et
NUOVA
ANTOLOGIA
LETTERE, SCIENZE ED ARTI
,UART A SERIE
VOLUME CBNTOSEESlM(>
DELLA RACCOLTA VOLUME CXC
(Luglio-Agosto 1903)
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KO.M A
DIREZIONE DELLA NUOVA ANTOLOGIA
Corso Umberto I, 131
1903
PROPRIETÀ LETTERARIA
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GLI AMMONITORT
n O M A N z o
È venuto il tempo di comitieie il mio grande atto. Fra alcuni
jfiorni tutto sarà tinito. Questo memoria!'» che invio in due copie, una
M' A va» ti.', l'altra alla Petite Eépii1>ti(inp. iia il solo scopo di dichiarare -
ili caso die si volessero liavisare le mie intenzioni o spiegare l'avve-
mito come un accidente lorliiito - il processo per cui io venni nella
determinazione di farmi uccidere in modo tanto eccezionale.
I.
Nacqui a Gassino, nell'alta valle del Po. .Non ho conosciuto mia
nuulre. Mio padre eia fornaciaio: colle gambe nude nella fossa, ta-
gliava la creta gialla, l'impastava, la metteva nella forma da maltoiii:
e s'allineavano innumerevoli i mattoni sull'aia levigata, i)arevano
grandi pani, inzuccherati di sabbia fina. Pane invece non ne guadagnava
molto: ma i suoi ottanta centesimi giornalieri procuravano a lui e a
me polenta il mezzogiorno e minestra la sera. L' inverno non si lavo-
rava; quando i primi geli ci avevano coperte le mani di crepacci, ces-
savamo: ci riparavamo allora nella staila d'un vicino che aveva be-
stiame, e quando non nevicava, andavamo a far legna nei boschi dei
signori, raccogliendo .soltanto il seccume e i ceppi putridi che vende-
vamo a un soldo il fascio: stando tutto il giorno nei boschi e portando
sulla schiena fino al villaggio due o tre fasci, guadagnavamo sette od
olio soldi.
Perciò l'inverno si mangiava meno, quantunque avessi molta più
fame: è vero che il pane di granturco, pesante e giallo come i nostri
mattoni, ci faceva credere d'aver sempre lo stomaco pieno.
A febbraio, sull'aia! R anch'io nella mota gialla fin sopra il gi-
nocchio, col sole che dava la febbre: per ciò mio padre era giallo e
io ho l'aria d'aver l' itterizia. Ma questo non monta.
Mio padre mori. Il sindaco ricorse per me a Torino e fui raccolto
nella Pia Casa. Qui mi si insegnò qualche cosa: d'inverno al paese
ero andato a scuola e sapevo il catechismo e la storia sacra: qui mi
fecero ripetere la storia sacra e il catechismo e un po' di stoiia romana.
.Muzio Scevola e Bruto, più i diritti e doveri del cittadino italiano.
Più tardi mi posero come apprendista in una stamperia. Correvo
lutto il giorno per città a portare commissioni e bozze. Quando mi
misero alla cassa di compositore, imparai rapidamente. Kbbi tosto un
buon salario e potei uscire dalla Pia Casa. Intanto frequentavo le
scuole serali: studiai |>arecchio: imparai l' italiano e il fraiU'ese e così,
4 (U.l AM.MOXnoKI
da me, nella mia sotìilla - abita\o in Boi'go San Secomlo e miiii^iiaxo
alla (liieina popolare - volli anche conoscere un po' la f>rammatiea
latina, senza di cui non si possono approfondire quelle lin^Jiie. l'erctiè
il mio scopo era di diventare correttore. Non avevo alcuna pieoccupa-
zione che mi Irastoi-nasse seriamente: otteinii presto un posto di cor-
rettore alla Società Editrice Scientifica: dapprimu fui impiegato in
lavori di poco conto: indi, conosciutasi la una buona volontà, mi si
pose attorno a lavori di maugior im])ort;inza, sopratutto a traduzioni
di opere scientifiche.
La mia professione mi dava iiiolle comiiiacenze. Kio a contatto
con gente di scienza e talvolta cercavo mostrare a cjualcuno, che
comprendevo molto di pili che non desse a presumere la mia condi-
zione: più d'uno mi |)iantò gli occhi in faccia con stu|)oie. quando
gli indicai certe contiaddizioni nel corso d'un lavoro e gli suggerii
umilmente certe tiasposizioni che avrebbero giovato all'ordine, all'equi-
librio non soltanto tipografico, d'\ma tiattazione.
Passarono, credo, cinque o sei anni. Nel gettar su calta tiuesti
ricordi non ho tempo d'indugiarmi: ricordare è dolce, anche i dolori,
ma la vita incalza -o piuttosto la morte...
Or son quattro anni, andai ad abitare in Borgo San Donato. A
questo punto incomincia la -mia vita. Perchè prima i;on avevo vis-
suto, vale a dire non avevo sentito nulla dentro di me. non mi ero
detto neanclie un momento: « To', sei qui. Martino: c'è tanta gente
al mondo: In vali (luanto qualcheduno... »
Abitavo nella soffitta della casa N." ** di via San Donato. C'erano
142 scalini che facevo ogni sei'a a due per volta, riducendoli cosi a 71.
Allora non iivevo il batticuore... Una sera, montavo allungando il braccio
alla ringhiera di ferro, a testa china; rischiai di sfondare il ventre a un
che discendeva, il quale per l'urto sedette sugli scalini senza fiato.
Ahi. lo j^tesso m'eia già accaduto qualche settimana ]irima con un
giovinotto elegante che aveva alzato il bastone a percuotermi, ma
aveva colpito soltanto la ringhiera, perchè io era già in salvo...
Chiesi perdono con una grande vergogna al povero diavolo che
avevo innanzi. Vidi un sorriso di fanciullo in una faccia pallifla e
patita : l'aiutai ad alzarsi : era jjìccoIo, di membra gracili, con un viso
fine dominato da una fronte enorme. Egli riprese a discendere dopo
avermi guardato con due occhi acuti e dolci, indimenticabili.
10 non avevo mai badato di proposito agli inquilini delle soffitte.
Uscivo la mattina, alle cinque d'estate, alle sei d'inverno, e non tor-
navo che la .sera tardi. stanehis.simo. Qualche bestemmia d'ubbriaco,
qualche urlo di donna percossa, qualche strillo di bimbo, le martel-
late di un calzolaio matto, chiamato Cimisin, mi destavano talvolta
d'improvviso, ma non mi davano iniiuietudine. A poco a poco, senza
volerlo, vidi chi fosse 1' ubriacone e la donna percossa che stavano
entrambi nella soffitta attigua alla mia, e parecchi degli squallidi abi-
tanti di quel lunghissimo corridoio a ferro di cavallo fiancheggiato
d'una quarantina di cellette dall'uscio color caffè, quasi sempre chiuse
lungo il giorno e piene la notte di agitazioni e di sonni più pesanti
che la morte.
11 giorno dopo, era una domenica di noveiidjre. limasi in casa
tino a tardi, cosa che mi capitava ben di rado, perchè ([uel bugigat-
tolo non m'invitava a trattenermici fuorché per dormire, e, nato in
campagna, amavo jtassarvi tutto il di festivo, da vero vagabondo so-
GI,I AMMONITORI o
litario (Feci perfino una piccola collezione di piante e d'insetti, aiu-
tandomi per la classificazione con le visite al museo zoologico). La
ragione era in questo, che attendevo dal calzolaio matto le mie scarpe,
r quegli non se la sbrigava. Bel tipo! Egli zufolava come un flauto
e sapeva a memoria tutto il Barbiere, che eseguiva secondandolo colla
Imttuta del martello o colle bracciate dello spago: zufolava dei fu fu
interminalìili o vocalizzava agilissimamente lalld Uro lìroìla! Un merlo
ili una y:abbia garegtiiava con lui. rii)etendo migliaia di volte la prima
lialtufa deWInìio di Garihuldi. Cimisin aveva inventato una macchina
per volare e diceva che senza i framassoni essa sarebbe già adottata
dairesercito italiano.
Dopo averlo lasciato fischiettar Rossini paiecchie ore, mi risol-
vetti ad affrontarlo nella sua lana. Aveva sempre l'uscio aperto, anche
la notte, perchè temeva che i fabbri glielo scassinassero, - i fabbri erano
altri suoi persecutori, come i tramassoni - soltanto teneva sempre
dinanzi alla porta una tenda, per la decenza.
Stavo per gridare : « Si può '! » cfuando al fondo del corridoio vedo
uscir dall'ombra una figura di giovinetta, pallidissima, cogli occhi
stravolli, come pazza, lo occupavo il passaggio: quando mi fu vicina
si coprì la faccia, strisciò contro il muro e prese a scendere i-apida-
mente. Appena scomparsa lei. dalla stessa parte un uomo si slancia.
Rra il giovane che avevo urtato per le scale il giorno prima. Aveva
la faccia come pesta e gli occhi smarriti.
— Mia sorella"? -singhiozzò rivolgendosi a me.
— R scesa, - diss'io subito.
Si precipitò anch'egli per la scala. Ed io dietro in ciaijatte. cliic-
dendogli con imbarazzo :
— Signore, scusi, signore !
Giunsi anch'io sulla strada. Ma la portinaia, che aveva veduto
scendere il giovane, lo afferrò pei- un braccio e lo spinse nella sna
camera. Là la sorella, accosciata in terra, si torceva in singhiozzi
convulsivi.
Egli diede un gran sospiio. strinse il braccio di lei per sollevarla :
ma il coi'iio non consentiva : l'alzò con forza, con ira. Poi s'intenerì
subito :
— Povera Lena ! - mormorò.
La sua voce era profonda e vibrante d'una dolcezza repicssa. .\d
1111 tratto strinse con ambo le mani la fac(Ma di lei, liggendolc gli
ocelli negli occhi, poi lasciò cader le braccia come esausto :
— Meni sopra. Lena !
RUa chinò gli occhi e obbedì.
Che fare"' Seguirli mi pareva sconveniente. (Juando iurono salili,
cinesi alla portinaia :
— Che avviene"? Ne sapete (pialcosa voi ?
— Rh ! non ne so niente... Ma lo dicevo io! I signori sono tutti
uguali.
I signori"? Non si riferiva certo ai miei compagni delle solììttc.
— Che c'entrano i signori'? -dissi.
— Mah! Misteri! t)el resto lo sanno lutti. Non lia visto mai un
bel gioviiiotto nei corridoi"? Ria lui. R adesso chi l'ha \isl() l'ha \ islo.
Tutti compagni... Buon giorno, signor Stanga!
R mi piantò in asso. Risalii. Appoggiato al davanzale della mia
linestra, che dava nel cortile, ascollavo. Tialtavasi forse del gioviiiotto
fi (ìli ammonitori
eleganle da me urtato sulle scale..."? Le finestre di fronte eran tulle
allerte, fuorché una : doveva esser quella... E un pianto lontano, pianici
di bambino, non discernevo se di lei o del fratello, si mescolava ora
al tischiettio allegrissimo del mio calzolaio.
La mia vita, il lavoro, le lezioni .serali ali" Università Popolale,
mi ripresero. Ma rincasando tardi, mentre mi sedevo a sbrigar i miei
compiti sotto la lampada a petrolio, davo più retta ora ai rumori della
soffitta, alla vita notturna di quella specie di chiostro aereo ove nes-
suno conosceva o vedeva forse mai il vicino: esseri umani le cni sof-
ferenze, le cui gioie d'un attimo, i cui riposi pesanti, divisi soltanto
da un sottil muro, gettavan nei corridoi rumori indistinti, vagiti, gemiti,
ronfi, bestemmie. E alloia senii\o qualcosa che entrava in me, qual-
cosa di tutti quegli esseri, con un senso quasi di molestia: pareva che
la loi' vita grave pesasse sulla mia: non mi sentivo piìi libero di esser
solo: non ero più solo : coloro m'imponevano qualcosa ch'io non accet-
tavo se non con riluttanza. Forse s' io non avessi mai sofferto non
avrei sentito questo : ora la sofferenza altrui ridestava quella mia antica,
sopita nelle mie libre di fanciullo: e il pensiero che altri ora dolorava
com'io allora, mi dava l'illusione che degli a?<r» me stesso, degli alt li
esseri come quel fanciullo giallo ch'io vedevo e vedo ancora, col ventre
lacerato dalla fame e le gambe nella mota, raspassei'o eternamente nella
terra infeconda, per coricarvisi alla fine.
Intanto io che prima lavoravo a libri di poca importanza, passai
a correggere opere di gran valore. Fu allora ch'io lessi per mio ufficio
volumi di cui non capivo gran fatto, ma ove, dopo cento pagine per
me mute, certi periodi spandevano nella mia mente onde di splendore.
Basti dire che corressi le opere tradotte di Darwin, di Haeckel, di Scho-
penhauer, di William .fames. di Wundt. di Flammarion. Ogni sera
dinanzi alla mia lampada rileggevo quelle pagine, di cui dal bozzista
compiacente, con qualche pietesto, mi facevo tirare una bozza per me: e
le pareti della mia soffitta si dilatavano, scomparivano: la mia lampada
diventava un sole.
Talvolta il mio cai)o era talmente pieno di calore, pei'corso da fre-
miti e posseduto dalla febbre, che aprivo la finestra e mi pareva d'im-
mergermi nelle stelle. Oh! gl'immensi mondi, nati ieri o già decrepiti,
pieni di vita o bruciati, irradiati o spenti nelle tenebre !
E sovente la finestra di fronte era illuminata : talvolta s'apriva,
e una mezza figura si curvava sul davanzale, la gran fronte del fra-
tello di Lena.
Una sei'a m'awiavo all'Università Popolare, dopo cena: aveva
nevicato tutto il giorno. In jtiazza Statuto lo spettacolo era stranissimo
ed energico. Mucchi di neve venivano ammonticchiati iiua e là da uomini
neri, i cni volti erano illuminati fortemente da fumiganti torce a vento,
piantate in cima a quelli: carretti si caricavano e trascinavano fino
alle botole, ove il carico si sprofondava. Mi soffei-mai a contemplare
un istante. Ad un tratto fui colpito di stupore.
Un mingherlitio. avvolto in un pastrano assai leggero, con due
occhi ardenti sotto un gran cappello a cencio, sollevava a stento le
sue palate di neve che gettava sul cumulo: lui! il tìatello di Lena.
Mi scorse e sorrise:
— Buona sera -disse con la voce tenera e profonda.
(HA AMMONITORI /
— Anche lei qui;? - esclamai.
~ Come vede ! Bisojina lavorare !
Ma le sue mani erano gracili e livide, e le hraccia laievano lalica
a sollevar la pala.
— Non è lavoro per lei, credo !
— Quando non e" è altro...! leii iio guadagnalo due liic. - K la sua
Taccia magra jiareva raggiasse di gioia.
Un assistente s'avvicinava. Mi incamminai.
Al mio ritorno egli era là ancora :
— Non viene a casa "? É quasi mezzanotte.
— Si, a momenti.
— Allora, l'attendo.
KvA trafelato, col cappello buttato indietio sulla nuca: e la sua
gran fronte splendeva alla luce sanguigna delle torce. Intorno a lui il
lavoro diveniva più lento, prossimo alla line, monotono e triste : pareva
una fatica interminabile d'una bolgia dantesca.
S'avvicinò l'assistente. Era mezzanotte. Aveva untoKlio in mano
e chiamava ciascuno, lo stavo attento; ad un nume. Crostino! egli si
levò e s'avvicino a colui.
Si chiamava Crastino: il mio latino me ne diceva qualcosa : con un
nome simile doveva essere un trovatello. Venne a me sfinito e conlento:
— Tre lire oggi !
— Ma perchè non cerca un'altra occupazione più a<latta per iei.'-
(liss'io. - Dall'aspetto immagino che abbia studialo.
— Appunto! Perciò sono un buono a nulla. Questo è. un lavoro
che non richiede preparazione. Dovrei avere un buon mestiere, ecco.
— Non potrebbe trovar lavoro in qualche ufficio, come .segretario,
o in ima tipogratia, o che so io"'
— Ho provato : non si trova nulla.
lo pensavo: avrei cercato io stesso, poi sarei sialo ben conlcnlo
di offrirgli un posto.
— E sua sorella"/ - osai domandargli.
Egli sospirò profondamente, ma non risiiose. Di lì a un momento
liprese :
— Tre lire... Nevicherà di nuovo, non è vei'o"?- E guardò il ciclo
brillante di stelle.
— Non credo - risposi. - Domani è sole: d'alti'ondc è domenica.
— È vero. Ija domenica dev'esserci il sole, per chi la\()ta tuttala
settimana. Chi sa quando lavorerò di nuovo! Dovrebbe nevicare domani
notte, no f
— Se le fa piacere ! - e risi anch' io.
— Ci son di quelli che guadagnano uno scudo: l'assistente li .s(|ua-
di-a, ti pesa coll'occhio, e ti fa la tai-a. Io peso poco.
aravamo giunti al noslio palazzo. Aprimmo: dallo scalone coperto
di tappeto, intiepidito dal calorifero, alla scaletta nuda dei nosti'o lub-
bione i gradini erano sempre più alti : traversavamo cosi ogni sera tutte
le zone della società: caldo, temperato, freddo: noi eravamo al jiolo.
In cima della scala io tiravo da una banda e luì dall'alti'a:
— Viene un momento da me.' Sono solo.
E come io esitavo :
— Domani lei non lavora... Chiacchieriamo. \'iene"'
E mi prese per un braccio. Traversalo il corridoio pieno come di
ronzii indistinti, entrammo. Eiu la mia soffitta tal e quale : la mede-
8 GLI AMMONITORI
sima disposizione del letto, col capezzale verso la parete maggiore e
i piedi veiso lo spiovente, poiché la lorma del tetto non ne comporta
altra. Un angolo era nascosto da una tenda.
— È solo lei ora".' - gli domandai.
— Solo, sì.
E mi guardò in modo che pareva mostiasse una intensa pietà di
me: e gli occhi gli si empierono di lacrime. Aggiunse:
— Lei non può dormire'?
— Io dormo come un ghiro! Al mattino non mi leverei mai.
— Percliè si mette alla finestra tardissimo V
— Oh, un momento, per cacciare il puzzo del petrolio, dopo avere
scritto o letto per ore intere.
— Ah, studia lei"? Ha dei libri"? - E i suoi occhi s'illuminarono.
— Moltissimo. Ho una curiosa biblioteca. Sono correttore di bozze
alla Società Editrice.
— Pei'dio! - interrupi)e egli. - Dunque lei può leggeir Spencer,
Nietzsche...
— Sicuro! Li posseggo quasi per intero, e molti altri.
— Li ha là, in quella sotfitta"? - e s' appressò alla finestra come
jier penetrare laggiù con lo sguardo.
Ma il suo entusiasmo cedette subito. S'abbandonò a sedere sul
letto, che fece un crepitio di toglie pigiate: appoggiò il gomito al cu-
scino e la testa sulla mano, poi l'iprese colla voce dolce e profonda:
— D'altronde, è inutile studiare, lo so già tutto. Ciascuno sa
quello che gii è necessario.
La lucerna gii illuminava la fronte troppo ampia, sotto cui le or-
hite si approfondivano: gli zigomi prominenti e le mascelle forti con-
trastavano colla forma della bocca nettamente .segnata sotto baffi neri
e radi e le labbra avevano increspamenti infantili con una perenne
piega dolorosa agli angoli.
La sua affermazione lo fece sorridere col suo sorriso melanconico.
Soggiunse :
— E lei non sente che il necessario a sapersi è molto |>oco'i'
— Non saprei, caro signore - risposi. - lo ho studiato moltissimo
e ci-edo che non cesserò mai di studiai'e, finché non senta di sapei'ne
abbastanza, cioè tino a quando quel poco che conosco sarà unito e
compatto. Oh, so bene! Ogni ramo di scienza richiede una vita intera.
Io ero pazzo f)er l'entomologia : ebbene, l'ho piantata perchè sentivo
che sarei andato al camposanto senza conoscerla interamente.
— Se la sarebbe fatta insegnar dai vermi !
— No, perchè mi farò cremare.
Egli si mise a ridere :
— Inutile, amico. Ci sono i microbi che ci fanno vivere e quelli
che ci fanno morire. (^)uesti ultimi la vinceranno... E ci sono altri
microbi che spazzano anche le nostre spoglie per far posto ai nuovi
arrivati.
— Questo l'ho letto anch'io. È dunque vero?
— Verissimo.
— Già: noi siamo colonie. Ogni gruppo di microi'ganismi ita l'uf-
ficio di mantenei-e un organo. Una volontà regge tutta quesla collet-
tività. Ecco l'uomo!
liimasi stupito della mia audacia: stupito e insieme lelice, come
se in tpiel momento io primo avessi scoperto d'un balzo ipiella verità.
GLI AMMONITORI 9
Egli mi guardò sorridendo di compiacenza:
— Questo non c'entra... Saremo amici, non è vero"? - E tosto si
oscurò. Mi afferrò la mano, poi la ritrasse subito e si stese sul letto:
— La vita è un male.
— No, la vita è un bene - protestai incoraggiato e quasi petulante.
Ero così poco avvezzo a parlare con jiersone colte di cui non avessi
soggezione, che il trovar finalmente uno col quale parlare da pari a
pari delle cose che erano divenute tutta la mia vita mi riempiva di
entusiasmo e di un'audacia che non sapevo contenere.
— È il solo bene la vita! - affermai con forza. - Tutto il lesto non
esiste che nella nostra immaginazione : labbiaino farneticato perchè
non .sapevamo il valore della vita.
— E questo che esiste nella nostra immaginazione vale molto più
che la realtà - egli riprese. - Io vedo un'altra vita e confido in essa...
Guardi un po' fuori della finestra. Perchè non si mette alla finestra
come le altre sere"?... Io sono troppo stanco!
Apersi: là dentro era freddo e senz'aria. La notte invece pareva
tfuasi tepida. I tetti bianchi: una distesa interminata di tetti, su cui»
i camini in fila parevano armenti immobili e candidi. Un augusto
mistero splende\a in cielo ove le stelle limpidissime tremolavano.
Egli aveva gli occhi ciiiusi. Disse:
— Il cielo! Che bellezza! Quando .spengo il lume, la finestra par
che si apra sull'immenso!
Poi, dopo un po' :
— Sa lei che io ho fatto un libro di poesie"? Non ha mai letto il
mio nome"? Io mi chiamo Vigile Cràstino: i)are uno pseudonimo. Infatti
c'è chi nasce sotto uno pseudonimo... Chi sa qual anima di rivoluzio-
nario mi dette questo nome, affatto fuor di proposito! Perchè io non
sono né del domani, né dell'oggi. Sono fuor della vita... Sa lei che
significa "?
— Si; so un po' di latino. Ma io l'ho sentito chiamar Luigi...
— Infatti Vigi era il mio nome da bimbo, e così mi chiama mia
sorella.
Tacque un istante, poi ripigliò:
— Ma ])er me non c'è né oggi, né domani. C'è l'eternità, cioè un
putito, e tutto é contemporaneo: il tempo e lo spazio non sono che
apparenze: le variazioni, il numero, gli individui non sono die appa-
l'eiize. La realtà è l'uno, l'Essere.
— Cosicché lei non vive, e neanch'io...
— Non esistiamo. Ombre... Così non ab'oiamo colpa e merito di
quello che agitiamo nella nostra vita, come non l'alibiamo nel sonno.
La vita è un sonno. Ci sveglieremo. Allora io (lofiò anche alìbracciare
mia sorella e baciarla in fronte...
— È morta dunque"? - interruppi io pieno di stupore.
— No. È nel sonno come noi. Ma il suo sonno è un incubo. Ella
soffre fisicamente e moralmente, dolore e onta. Alia sorella!...
Non potè proseguire, la voce divenne stridula, si spense. Iiuli ri-
prese con un grande sforzo e con voce mutata :
— Mia sorella è una disgraziata !
Pareva che da un sogno di languore fosse piombato in una realtà
disgustosa. Io non seppi che soggiungere. Dopo un po' mi feci colaggio:
— Dunque ])ensa lei che non esiste la colpa o il merito. Esiste
il perdono: no"?
10 (ir.I AMMONirOHI
— No, no! Né colpa, né perdono. Quello che deve avvenire av-
verrà, l'ercilè siani nati noi'? Non sa|)|)ianio, io e mia soiella, chi ci
Ila messi al mondo. Un burlone ci chiamò Oràstino. come se ci afìi-
dasse ima missione e forse una vendetta, di che? e noi siamo i)eitella-
mente all'oscui'o. Che dobbiamo fare? Intanto mia sorella ha ri|)elul<)
(piello che ha fatto probabilmente mia madre... Ella è ricoverata alla
.Maternità...
— Qui? - chiesi io, volgendomi verso di lui e sentendomi atterrale
da una gran commozione. - Lei va a trovarla? Domani è festa. Andiamo
a trovarla? Posso accompagnarla?
Mi stupii del mio ardire. Avevo quasi il senso d' un" intrusione
(^h' io compiessi, ma mi ci sentivo spinto imprudentemente.
— Non ci sono andato ancoi-a. N.m so perchè. Ho una immen.sa
pietà di lei. Ma sento una specie di rancore. Che obbligo aveva ella
vciso di me? Io sì, grandissimo, verso di lei. Ella guadagnava da
\ivere per entrambi. Io sono buono a nulla: non sono un uomo io.
Non dovevo nascere: perciò desidero morire!
Tutto la faccia nel cuscino e io udii come se il suo petto si rom-
pesse. Che fare? Forse il meglio era eh' io lo lasciassi piangere. K
avevo un nodo in gola, e i miei occhi dilatali verso la notte si riem-
pivano di lacrime.
Riprese dopo un momento :
— Non avevn confidenza in me. Sono sempre stato fuori del In
vita. Ero sempre astratto. Klla sentiva forse degl" im|)ulsi prepotenti
nel suo corpo robusto. Che ne so io? Uno studente, un commesso,
un seduttore di professione, un signore, dice la jjortinaia... doveva
essere bello e ben vestito, che ne so io? lo non fho mai veduto, non
ho sospettato nulla. Forse chi sa quante volte ella fu in procinto di
contidarsi : doveva pesarle il segreto... massime quando lui scomparve
senza lasciarle una parola d'addio... Infine non ne potè più. Un giorno
credette ch'io le osservassi i fianchi : m'era caduto lo sguardo lì: non
sapevo nulla, io...! E ruppe a piangere e mi svelò tutto... Tutto? Cioè
nulla. Un giovane... Chi? Dove abita? Nulla. E non lo sajirò mai...
Ora avrà un tiglio... di chi? Lo chiamerà Cràstino anche quello, e
così di generazione in generazione, procrastinando...
Lo scherzo orribile mi riscosse. La tiiannia delle parole! Gli si
era imposta, ed egli aveva dovuto eruttarla per liberarsene. N" ebbi
maggior pietà. Me gli appressai : aveva sulla faccia una smorfia amara,
(ili presi una mano e mi sedetti accanto :
— Sei mio amico, hai detto. Diamoci ilei tu: ((uassìi non si fanno
cerimonie. Io non credo che la vita è un sogno. Prima e dopo la
vita non e" è nulla per noi, vale a dire per la nostra coscienza
che è la nostra memoria e la nostra induzione dal passato al futuro,
dico bene? Pciciò doblìiamo vivere la vita. Tua soiella ha tentalo
di vivere... Bene o male? (Perchè abbiamo anche quelle parole li.
Ma ipielle parole li non hanno mica il significato che dà loro la jior-
tinaia, ad esempio). Io dico: bene. Bene, se ella pensa che ha amato,
che fu amata foise un istante, che una nuova vita nasce da lei, affi-
data alla sua lealtà. \'oi non avete ciu- da ricevere questo dono che
vi fa la vita, lealmente, ed essere poi leali con essa, coniai, col nuovo
essere, quando acquisterà il diritto di sapere chi egli è, dico bene?
Egli taceva: aveva gli occhi chiusi, paicva dormire, ma il suo le-
spiro era troppo silenzioso: ascoltava.
(ìli ammonitori 1 I
— Vedi, contimiai. C'è qui sopra unceniinaìo di sorterenli e liilli
sono estranei l'uno all'altro. Sembrano estranei, e non sono. Io sento
l)esare su me le loro sofferenze : così essi devono sentir le mie, e nessuno
cerea di togliersi di dossoquesto malessere. Noi. peresempio. g:uardavamo
le nostre finestre illuminate, ed ecco che un pensiero ci univa, questo
solo pensiero : « egli è là ». E ci siamo avvicinati : ora la nostra mutua
sofferenza non ci pesa più tanto, perchè la conosciamo e la dividiamo.
Egli aperse gli occhi:
— E tu... soffri?
— lo no, ora. Ma ho sofferto moltissimo in un'età in cui non ci
dovrebbe essere sofferenza. Ora soffro soltanto del dolore degli altri,
ed ho tale desiderio di sollevarlo, che ciò mi diventa un tormento, e
non posso scuotermelo se non coli' azione. Cosicché vo pensando ad
un'azione ch'io debbo fare, e non la trovo.
— Dovresti scrivere.
— Non sono capace. Le mie idee sono confuse. Potrei scrivere,
per esempio, quello che ho detto a te adesso, ma questo serve soltanto
jìer il tuo caso. Io. vedi, avrei bisogno di sistemare tutti questi pensiei'i.
di farne un organismo saldo, e darlo agli uomini perchè vedano chiaro...
Tacemmo un istante.
— No: sarel)be una ct)sa fredda. (ìli uomini non vanno innanzi con
la luce elle apparisce alla ragione, ma col sentimento... Questo non con-
clude che io ti seguirei. Dovresti far delle conferenze. Ma io non ti credo.
— Conferenze? Ho paura... E poi. un correttore di bozze! È vero
che adesso anche gli operai fanno delle conferenze... Socrate diceva:
« So di non sapere ». Oi-a io non posso dir questo, ma non posso neanche
dire: « So di sapere ». Ho udito dei professori di Università i quali non
dicevano una sola cosa ch'io non sapessi già. ma la dicevano in modo,
come se sajìessero molto di più. anzi, come non esistessero piii mi-
steri per essi. Io non sono neanche sicuro di quello che so... 0 me-
glio, tinche non l'ho tirato fuori, non ne .sono sicuro. Ma quando l'ho
affermato, allora ne sono certo. Per esempio, io credo affatto tutto
(|uelIo che t'ho detto questa notte.
Chiacchierammo cosi ancora per ini po' di tempo, e io venni in
lai mod<i a raccontargli la mia povera storia e lui la sua. Poi andai
a (loi'mire, dopo averlo fatto coricare e copertolo ben bene. Entralo
in letto, mi sentivo contento, e mi pareva anche di esser diventalo
(|ualche cosa, o almeno di aver riconosciuto una forza dentro di me che
stava nascosta prima.
II.
Al mattino mi svegliai laidissimo .^otio l'impressione d'un sogno
afi'atlo fuor di proposito, ma, secondo iiu', molto bello, sì che potrebl)e
fornire un ottimo argomento per un diamma. lo non sono capace di
cDncretar nulla, sebbene mi senta nato superiore a tanti altri. Ma è
certo che se io fossi stato in condizioni di svolgermi secondo la mia
forza interiore armonicamente, e intorno tutto non mi avesse compresso,
come un germoglio tra i sassi e gli steipi... Via! I^in-chè ariivi il temi)o
in cui tutti i naii dell'uomo siano eguali di fronte alla vita, aftinché diven-
tino quello che devono, di per sé stessi. Adesso intanto si nasce mala-
mente : le nostre madri ci foggiano come possono, da povere affamate
e sfinite che sono... Le nostre madri! Mia madre...! Basta. Ecco il sogno.
12 <iM AMMONITORI
l)im(|ii<'. piazza Statuto, e la stessa scena della sera innanzi. Le
piaiilc cofìcrte di neve, la piramidi' del Fréjns coU'angelo sospeso nel
cielo. (Iràstino è là, in mezzo al hiidichio dei piccoli uomini incapi»iic-
ciati die le torce a vento arrossano di scorcio, e la neve è tutta ro-
sata. Da quanto tempo raspano il selcialo e per quanto tempo ancora?
Ma il silenzio è stranissimo. La neve soffoca ogni rumore e tutti quei
sesti e quell'agitazione senza strepito danno proprio 1" impressione di
un sogno senza tempo.
Crastino è fermo, ap|)oggiato al manico della pala : si prova a lare
un gran respiro per sollevarsi il petto: quando una carrozza passa...
Un giovinotto è li dentro. È lui! Glii"? Adesso si ricorda: l'aveva ve-
duto per le scale e non l'aveva mai notato. È lui certo. Un moto ful-
mineo: il giovane cade dalla carrozza, stramazza, col[)ito alla testa da
un colpo di pala...
Un'agitazione enorme. Un fanciullo di sei o sette anni si lancia
alle ginocchia di Crastino, come per proteggerlo contro la l'uria dei
circostanti. E tutto stranamente silenzioso... Crastino salta su un cu-
mulo di neve e fa grandi gesti e apre la bocca come volendo gridale.
Infatti si sente, ma fiochissimo: « Fratelli, quell'uomo lui fatto morire
mia sorella dopo averla resa madre... K morta alla Maternità... morta
di ])arto, perchè aveva troppo sofferto... lo e mia sorella siamo tro\a-
lelli : suo tiglio, eccolo, non ha conosciuto la madre. Kcc(j1o ! » Lo
prende sulle braccia e lo alza sul suo capo. Allora si leva un tumulto
sterminato. La piazza è gremita d'un popolo immenso, bimbi, donne,
\('cchi. Tutti gridano con grida altissime.
In un momento Crastino è afferrato da due guardie nere, scompare.
Ma il tumulto non cessa. Tutta quella turba si stringe, alza i pugni :
tutte le braccia sono levate, tutte le voci vanno al cielo : e un uomo
altissimo ha afferrato il fanciullo alla vita e lo solleva colle due braccia
al disopra del suo ca|)0 :
— Il tuo bimbo, popolo !
Destatomi, il tumulto continuava nelle mie orecchie. Ma non era
già quello: veniva dal ()ianerottolo, dalla scala, dal corridoio. Fra un
vocìo di bimbi e di mamme. C'era il sole. Aprii la finestra e guardai
di fronte. Quella di Crastino era chiusa ancora.
Il pianerottolo, in cui il sole scialbo gettava un largo sprazzo, era
brulicante di biiidji. Alcuni avevano il grembialino pulito : i più erano
laceri e sporchi in viso. Una donna frugava nella selva ispida d'una
testa riluttante. Un ragazzo, tulio bianco di calce, un bicc muratore,
esponeva al sole i suoi piedi escoiiati dalla calce e dai geloni. Un cai-
bonaio rigirava la testa sotto il robinetto comune dell'acqua potabile,
inzuppandosi d'un sapone dall'otlor nauseabondo. Un uomo stava se-
duto in terra appoggiato al muro, con una faccia ebete e gli occhi i)roprii
degli ubriachi e dei morti, simili ad acini d'uva mezzo crepati : can-
tava una nenia compassionevole :
Minca 'u Crus, Minca 'n Crus
Le ninsole son pa nus
E le lUTS snii pa niiisnle... (1).
Spinilo dal basso della scala un cappello color caffé, (lue spalle
nirvc, e un viso da /(«//(/o// si alzò nel sole a «iiiardar la canaglia. Foi
^ 1) Cantilena pifUioiitesi,'.
(JM AMMONITORI 1 -i
traversò, senza badar molto acciuatainente dove mettesse i piedi, tra
i ceiiei e le gamt)ette dei bamliini e cominciò a l)ussare all'uscio del
11. 1. Era il segretario della casa.
Tutte le domeniche egli taceva il suo giro a riscuotere i fitti del
mese : cominciava sorridendo e finiva ruggendo e bestemmiando : spesso,
la sera della domenica, il pianerottolo era ingombro dei mobili di qual-
clie inquilino scacciato.
Di li a poco sentii vociare e strillare nella soffitta attigua alla mia,
II. 7. Era la moglie dell'ubriaco : protestava al segretario clie non
aveva da mangiare, ne da sfamare i suoi tre bimbi : uno. il più pic-
cino, strillava nelle sue braccia.
Sul pianerottolo un ragazzo patito, dalla faccia pallida e intelli-
gente, occhi inquieti, gran bocca ed orecchie ad ansa, inginocchiato
su un gradino, sporgendo la testa sul balcone, guardava verso quella
hnestra : doveva esser suo figlio. Una bambina ricciuta, colle guance
flosce e le labbra mocciose, tendeva una inanuccia verso di lui e rag-
giuntolo lo tirava pel |ìiede. piagnucolando: « Notu. Notu! » Notu le
diede un calcio e scappò lungo il corridoio.
Il segretario si acquietava con la moglie deirubriaco. Ciò conti-
nuava da mesi : il segretario finiva sempre con acquietarsi, il che non
avveniva con nessun altro inquilino, fuorché con la Salamandra, una
ragazza equivoca che era lo zimbello e insieme il castigo dei monelli.
Passata la mia soffitta (io pagavo anticipato al suo ufficio, ogni
mese) bussò al n. 9. Chi ci abitava^ Nelle rare notti in cui non po-
tevo dormire udivo, dopo la mezzanotte, scricchiare la chiave nella
toppa e due passi pesanti avanzarsi di là dal muro, e talvolta un
piccolo tonfo, come d'un sacco. Xieufaltro.
Nes.suno rispose alla picchiata, ed egli passò oltre. Quando, di li
a qualche tempo mi parve d'intravederlo nella .soffitta di Crasfino,
rimasi un momento ansioso. Ma come si tratfene\a |»iù che nelle altre,
mi risolvetti di intervenire. Traversai il pianerottolo: « Ciao, tijìografo».
mi mormorò l'ubriaco. Le donne mi guardarono con indiiterenza.
Bussai alla porta:
— Son io. Sfanga.
— Avanti! -rispose la voce di Crasfino.
11 segretario mi ricevette sorridendo in aria di condiscendenza.
Salutai l'amico:
— Hai dormito''
— Si. La fatica, vedi. LTn mestiere... Faticare... non c'è di meglio.
A ppunto chiedevo al signor segretario se avesse qualcosa da farmi fare...
Il segretario sorrideva tra il furbo e il fatuo. Che mistero, la
bruttezza! Cohii aveva un naso rintanato nella faccia come se tuffa
fo.sse stata dissestata da un pugno; gli occhi sporgevano, le labbra e
i denti grossi e gialli si protendevano. Aveva qualcosa di un batrace.
Quando rideva era orribile. .-Vveva un tic all'occhio sinistro e ammic-
cava spesso fuor di proposito.
— Veda, signor Stanga - cominciava con la sua pronunzia bal-
buziente. - lo sono lietissimo di vederli amici, loro due. Il signor Cra-
sfino... non può che avvantaggiarsi della compagnia d'un giovane
ammodo e pratico come lei! Vede, io sono molto ben dispo.sto verso
il signor Crasfino. E siccome so in che condizioni si trova, e la di-
sgrazia di sua sorella... vorrei perdonargli la pigione, affinchè porti
un regaietto a lei...
14 (HA AMMONITOHI
«Buon cuore'» |>ensavo diffidente. Ma l'amico oli poi>e il denaio
con un gesto hrusco.
l/allio lo intascò affeltanilo noncuranza.
— A rivederla, signor Stanga. Lei è un giovane assestato. Ci ho
una bella camera per lei, al quarto piano, se vuol discendere. Ah, lei
è un amico prezioso. Se il (Irastino favesse conosciuto prima... sua
sorella...
— A rivederla - l'interruppi, indo\inan(lo dove parava.
— Si, sì. lei è un giovane... - richiuse l'uscio dietro di sé. mor-
morando lungo il corridoio.
— L'hai trovato li, colui che ti darà un impiego! - esclamai a
(;rastino. - Non accetterei neanche un bicchier d'acqua! Immagini clic
possa rendere un ser\igio a qualcuno?
— È vero, ma a chi vuoi tu clie mi rivolga"^
— A chiunque, tuoi- ciie a i[uello li... Non ti pare che la laidezza
sia una cosa l)en misteriosa"? - continuai, es])rimendo le ritlessioni che
mi suggeriva sem|)re la vista irritante di quell'uomo. - L'no ti s'affac-
cia per la prima volta e tu iiai qualcosa che ti avverte subito die
([uegli è nocivo: egli è laido. Hai notato come i bambini non sono mai
brutti, fuorché quando nidrono un progetto crudele? Cosi gli uomini
buoni non sono mai brutti... I segni del dolore e i segni del genio
lamio sgomento sulla faccia d'un uomo : anche qui c'è del mistero,
ma un mistero di l)ellezza. Non ti pare?
Ora vedevo il segretario in lui'altra soffitta: era seduto su un
letto, immobile, le mani nelle tasche dei calzoni. LTna ragazza giova-
nissima, ma colla figura cadente e sciupata, dimenava le braccia
davanti a lui, come per respingere qualcosa d'invisibile che le si strin-
gesse intorno. Non udendo le voci traverso quei vetri, mi |)aie\a
ch'egli fosse un ragno schifoso che guardasse con cupidigia una mosca
<libattersi nella sua tela.
« Trovar cinque lire mensili è dunque sì terribile? » riflettei.
— Quella è la Salamandra - disse Crastino: - credo che paghi pii'i
degli altri per poter abitare qui.
« Tre classi della società? pensai. In realtà ce n'è un'altra : la
classe di quelli che non mangiano, non pagano pigione, muoiono
coidinuamente. fino allo strappo definitivo che li stacca dalla vita... »
E continuai ad alta voce:
— Senti. Io guadagno quattro lire al giorno: non ho nulla che
fare con costoro, ma ne sono sì vicino, ne soffro come se fossi dei loro.
Ora, metà del mio salario può essere impiegato a benefizio di quelli che
non ne hanno alcuno. Come fare?
— Non serve, caro mio - rispos'egli naturalmente come se avesse
seguito da principio le mie ritlessioni: - il tuo danaro servirebbe forse
a impedire a un povero diavolo di sloggiare, da un momento all'altro,
dalla soffitta e dal mondo, ma le cose rimarrel)bero allo stesso piudo:
soltanto lascerebbe a te l'illusione di aver fatto la tua parte, di cre-
derti sdebitato verso gli altri...
— È vero. Ma il danaro può far due cose, questa che tu dici, poi
un'altra: diffondere la verità, la scienza, la scienza che dice: « Reco,
tu, ricco, non sei felice: ti stordisci e chiami questo la gioia: provali
a guardar in te stesso: ci troverai tanti cantucci inesplorati, tante
libie che ti danno dolore: perchè? Sono le fibi'e che li legano agli
altri, agli allri che soffrono; ed esse soffrono. Per farle lacere, per
fll.l AMMONITORI *" 1ii
sanarle, bisogna sanare il dolore altrui ». Alloia si capila che la fe-
licità consiste nella giustizin. cioè nella tua rinunzia libera a ([ualcosa.
che è necessario pei' il tuo vicino. i/e(|uilil»ii(). rarinonia e la felicità...
— Fai delle conferenze. Stanca! Tutto questo è buono, ma ci vuole
l'uno e l'altro! Beco qui una gabbia di affamati: dar loro da mangiare
è urgente, da mangiare, capisci^ oggi, subito. Stasera commetteranno
una viltà, un delitto... Invece sai qual' è la morale della favola"? Sei
nato? Colpa tua ! Paga il fitto dell'esistenza. Ne in terra uè in aria
c'è posto per le tue quattr'ossa. Paga! Non hai soldiV Ingegnati!... .Mi !
Sci un utopista, come me, caro amico.
— Hai ragione. Ti annoio.
— No, no: al contrario. Come ti ammiro! Dovevi farti prete. Cioè,
tu sei uno dei preti nuovi, della religione nuova...
Fu interrotto da due colpi rapidi alla porta.
— Avanti, - rispose egli, avvicinandosi curioso all'uscio.
Rimanemmo entrambi interdetti. Era una signorina sorridente, ro-
sea, coi capelli lisci, a bande, tino agli angoli degli occhi.
— Oh, lei qui ! - disse ella apjìena mi scorse. - Lei è il correttore della
Società Editrice...
— Si. signorina, lo la conosco... Vedi, - aggiunsi rivolgendomi pie-
iiiiuoso a Ci'astino, e sentendo che arrossivo fino alle orecchie - la si-
gnorina dottoressa...
— Non importa, m'interruppe ella con un gesto... E lei è il si-
gnor CrastinoV - disse all' amico. - Io conosco sua sorella, le voglio
molto bene. Oggi lei doveva venire a vederla''
Il volto di Crastino si oscurò:
— C'è qualche pericolo"? Le fanno l'operazione"?- proruppe con ansia.
— No, nulla per ora. Ma il medico la tiene in osservazione: non
vuol che abbia nessun motivo di commuoversi, vuol che si riposi, per-
cliè l'operazione è imminente. Sua sorella è molto estenuata e... i)o-
Irebbe esser grave...
Crastino si sedette sul letto e si strinse la fronte tra le mani.
Ci fu un momento di silenzio lungo.
- Lei va in tipografia domani"? - mi chiese la signorina. - lo devo
passarci - aggiunse guaidandomi con intenzione.
Ebbi un brivido.
— Signor Crastino ! - cominciò la dottoressa con la sua voce infan-
tile. Tutta la sua persona era infantile. Pareva che non dovesse aver
coscienza atfatto della gravità di quel che mi aveva fatto indovinare. -
Signor Crastino! - e gli pose la mano sugli occhi, una manina di
i)imba. - Si faccia coraggio. Domani lei verrà a vederla : ci sarò an-
ch' io. lo voglio bene a lei, signor Crastino. Ho letto le sue poesie e
le ammiro. Lei può far molto: è giovane: ha un bel dono che è dato
a pochi, e deve tenerne buon conto... Domani lei può venire verso le
(lue del pomeriggio. Verrà anche lei, signore - disse rivolgendosi a me.
Parlava in fretta, di seguito, premurosa di andarsene.
Crastino s'era acquietato e la guardava con gli occhi atoni, come
attendesse ad altro: ella ne ])areva preoccupata e lo esaminava, menile
proseguiva, come per rompere la dolorosa impressione ch'ella ci aveva
pollata:
— lo conosco queste soffitte. Ho fatto una statistica sulle abita-
zioni operaie, l'anno scorso: poi parecchi di questi bimbi vengono al
Pane quotidiano.
Itì s liM AMMONITOIU
— Vfiiiiiiciilf (lucstc 11011 sono al)ilazioiii (»|)tTai('. signorina- a^;-
«iun^i io ()i()ritanieiite, arrossendo (li nuovo e luoleslalo dalla mia tinii-
dilà. - Sono nidi da gufi per gente che non lavora e non mangia. Su
conto inquilini o poco meno, venti soli lavorano: gli altri succliiano
il sangue di questi : le mogli e i figli. E le famiglie dove l'uomo non
lavora e si ubriaca, o è assente, o è morto, mangiano la neve dei tetti,
che non hanno altro... Solo io e Cimiiiin siamo senza famiglia... e (ba-
stino pei momento...
Questi si mosse udendo il suo nome: mi guardò con un profondo
scoramento, e volto verso la signorina, forse per una specie di rancore,
vedendola tutta un mite sorriso, un mite fiore di giardino al sole, mor-
morò fra i denti :
— La vita è una cosa malvagia.
— Si, - diss'ella semplicemente. - Bisogna mutarla!
— Bisogna...
E le liraccia di lui si levarono rigide in atto di violenza... Ma si
rilassarono subito. Gli occhi gli si riempirono di lagrime.
— Bisogna finirla! Ed appoggiò un braccio al muro e vi premè
la testa singhiozzando.
— Poveio fanciullo - disse ella con voce commossa e cantante,
chinandosi a guardare dei libri logori su un cassettone. - Povero fan-
ciullo, che è nato per cantare e per far della musica come gli usignuoli,
nato per godere il sole e gli alberi fioriti della primavera, nato per
sentirsi padrone dell'aria, e del giorno, e rinchiuso qui colle ali le-
gate. Povero fanciullo!
La voce era tenerissima e pareva cantare per non spezzarsi d'emo-
zione; e le sue mani e i suoi occhi passavano da libro a libro, come
se non sostenesse di guardare e di essere guardata. Anch'io sentivo
una strana soggezione. Sentivo qualcosa di vibrante sospeso nell'aria
fra noi. E non mi pareva di esser estraneo fra lor due, fra l'addolo-
rato e la consolatrice, che non mi sembravano più due individui, ma
da una parte l'uomo che si crede re della vita e se ne sente lo zim-
bello, e la donna dall'altra, che vede la vita qnal'è, frenando gli slanci
imi)rudenti, sollevando gli abbattimenti, immagine della vita stessa,
che è buona.
E con un tono di risoluzione :
— Su, infine. Non siate tanto debole. Domani verrete da vostra
sorella. Addio. Datemi la mano, su...
Gli prese la mano e la strinse, poi si volse per partire.
— L'accompagno fin sulla strada;? - chiesi io in fretta.
— No. Gì sono avvezza. A rivederla - aggiunse guardandomi.
Richiusi l'uscio. Clrastino s'era seduto sul letto e aveva la faccia
nel cuscino. Io guardai dalla finestra. Sul pianerottolo un vocio: « Si-
gnorina Lavriano, signorina Lavriano ! » 11 ragazzo dalle orecchie ad
ansa le correva dietro zoppicando.
— A proposito. Sai chi è .' - dissi a Crastino. - È la figlia del grande
psicologo, la dottoressa Eva.
Egli non si mosse, come se non avesse inteso, lo ascoltai le voci
scendere dietro la signorina. Comparve in basso, traversò il cortile
seguita da un nugolo di bimbi. On fiore di sole. E pensai che la donna
sanerà la società inferma.
(il,! AMMOMTf)Rl 17
IH.
11 giorno dopo, seduto nel gabhiolto dei correttori, lavoravo di-
stialto. Nulla di peggio ! I refusi passano davanti agli occhi lungo le
linee fitte. Glie tormento i refusi ! Io li sogno di notte. Nel principio
(lell'assopiniento i caratteri, nitidi sul bianco, mi scorrono dinanzi,
con lo stesso moto irresistibile di un viale (falberi o d'una serie di
solchi interminabili davanti allo sportello d"un vagone, che vi porta
fatalmente, senza che la vostra volontà possa farlo rallentare o sostare.
Quando si scorrono bozze, l'occhio e perfino la testa intorno al collo
prendono un molo regolare automatico: mentre infilzate un refuso sul
margine bianco, l'occhio e il capo continuano il loro moto di pendolo
e arrestarlo è quasi un dolore tìsico, un urto al cervello.
Per correggere bisogna essere tutt'occhio : la mente deve eclissarsi :
se |)ensate al senso intimo del periodo, i .soldatini di piombo vi sfug-
gono affatto o vi nascondono una |)arte del loro uniforme vecchio o
rotto o irregolai'e. Talvolta un soldato d'un altro corpo s'è intruso fra
estianei, un corazziere tra bersaglieri. (Immagini tolte al militarismo.
Ne ho rimorso).
Bisogna passare in rassegna i caratteri come individui a sé. E
certi esseri invisibili anche; i vuoti cioè. Bianchi tra nero e nero, sono
entità di cui bisogna tener conto, punti e interlinee. Ma io faccio un
trattato...
Fatto sta, nondimeno, che i protàni a stento riescono a ca|)ire da
(|ual pesante lavoro materiale risulti il leggiero foglio su cui gli occhi
atferiano, come a volo, le più delicate sfumature di sentimenti e le idee
eteree. Innumerevoli e minuscoli jirismi di piombo formano le pagine:
ima pagina pesa d'ordinario... da un chilo in su: un giumento non
porterebbe sulla groppa tutta una laude di Gabriele D'Annunzio.
Io diventai un pessimissimo correttore, lo leggevo, cercavo incon-
sciamente di capire, e se il testo mi [)rendeva la mano, andavo innanzi,
deponevo la penna e lasciavo che gli errori facessero il comodo loro,
facessero gazzarra, sfacciatamente: sicché mi toccava riprendere poi
da capo, afTerrando ben bene la mia attenzione, dividendola cioè in
due, ardua faccenda, una parte costringendo a Itadar a' segni neri,
l'altra facendo tacere il più possibile.
Quella mattina ero più (iistratto del solito. (ìuardavo ad ogni
trailo verso la portii. e chinando la te.sta sulle prove, vedevo ad ogni
momento l'immagine della sorridente, di quel vivente .sorriso, che
entrava e guardava verso la gabbia nel canto, ov'era scritto in grande:
Correttori.
Ed ecco appunto, di li a poco, entrare la signorina, dire una
parola ad im ragazzo e guardar-e verso il nostro angolo, volgendomi
un saluto, mentre il ragazzo giungeva a me col messaggio.
— La signorina Lavriano la desidera un momento.
Mi mossi col batticuore.
1 compositori avevano vòlto la testa dalle loro casse a ricevere
quel sorriso che raggiava dal vano della porta sotto la gran volta
vetrata, fumicosa e buia. Era vietato di entrare, ma ella con la sua
imperturbabile tranquillità si attacciava all'uscio e talvolta traversava
le corsie, andava fino alle macchine o alla legatoria per parlare con
18 ril.I AMMONITORI
qualche lapazza. II flirettore sorrideva anch'egli. non senza iin'occliiala
(li rimprovero verso quella gentil distrazione che attirava tutti gli
sguainili per un momento e li rallegrava.
Mi trasse nel gabinetto del direttore e mi disse, con un moto di
tristezza subitanea che la lece somgliafe ad una bimba che stesse jiei-
dare in pianto:
— La signorina (Iràstino, sa'.' è in condizioni dispei'ate. Questione
di giorni.
Rimasi accasciato.
— Perciò è necessario - ripiese - di preparare fin da oggi il fratello,
e prima ancora che egli la veda, alla ])ossibilità della sua moite. Perchè
la sorella che sa di morire è capace di dirglielo d'un colpo, e ciò gli
potreblie far molto male. Mio padre lo crede un pò" debole di cervello
e magari epilettico... Lei non conosce le poesie del francese VerlaineV
(Tè molta affinità fra i due temperamenti, salvo i costumi e l'incoe-
renza. Crastino è un debole, condannato probabilmente ad una ma-
lattia progressiva di esaurimento. Un'emozione forte potrebbe essergli
fatale.
Io ero fortemente colpito da quelle rivelazioni. Ella aveva ripreso
la sua serenità. La miseria, la malattia, la morte eran divenute il suo
ambiente ordinario, la sua atmosfera, perchè ella vi si movesse con
una tale calma v Parlava tenendo le mani incrociate sul grembo come
una bimba che voglia darsi l'aria di donnina, ma spesso le sue mani
scappavano a toccare un oggetto sul tavolo, a brandire un tagliacarte,
una penna. Com'io la esaminavo con evidente curiosità mista d'am-
mirazione, ella restava qualche istante leggermente interdetta, poi sor-
rideva.
— K di lui che avverrà do{)o la morte della soiella' -ripresi io. -
Non si potrà già nascondergliela per molto tempo... E il bambino'!? Non
potiemo mica affidare un bambino a questo fanciullo...
— Il bambino è morto - interruppe ella -fortunatamente. Un di-
sgraziato di meno. Quanto a lui, ci penseremo. Ne ho già parlato a
mio padre: chi sa, nell" insegnamento o in ini ufficio d'Opera pia...
— For.se è incapace d'una qualsiasi occupazione continuala. Co-
nosce lei la sua infanzia"?
E le raccontai in breve quello che avevo udito da lui il gioriu)
prima. Dalla Casa dell' Infanzia Abbandonata, la Cà Grmida. i due
orfani erano passati ad un Orfanotrofio, sempre tenuti con molto ri-
guardo. Poi una donna li aveva ritirati e aveva provvedido loro tino
alla sua morte, avvenuta due anni prima. Ella viveva agiatamente,
faceva dar lezioni ai bimbi, creduti suoi figli: ma alla sua morte non
aveva lasci.ato nulla affatto. Con la vendita dei mobili, gli orfani ave-
vano vissuto un anno. Poi la Lena s'era messa a lavorar di ricamo
e di cucito, il che le rendeva qualcosa. Avevano continuato così ali ri
due anni.
— Quanto alla loro nascita non sanno nulla essi'.'
— Nulla affatto: la donna pare che avesse detto che il figlio do-
vesse la vita ad un illustre ])ersonaggio, morto or son poclii aiuii. clic
bazzicava sovente in via San Donato.
— Ah! - fece lei. - Può darsi. Ne hanno seminalo in tutta la jiro-
vincia... — E i suoi occhi ebbero una punta d'ira.
Tacque un momento, come riflettendo, poi depose il tagliacarte
GI,I AMMONITORI 19
([liei punto il mezzogiorno era scoccato. Ella rimase tacita un istante,
come ascoltando piena di stupore.
lo sorrisi. Allo .scocco del mezzodì le macchine s'ariestaiio come
per incanto e il silenzio che ne segue reca un hreve intontimento anche
ai più assuefatti.
E subito nel coiridoio un rimescolìo di voci e di passi. Donne e
uomini, giovani in gran i>arte. vi si ingolfarono e ciascuno dava una
occhiata curiosa per la porta aperta.
Ella mi porse la mano.
— Verrà anche lei oggi? Vada a jiigiiarlo a casa, e non lo abbandoni
in questi giorni.
— Non dubiti, signorina.
E si inoltrò nella folla.
Afferrai le mie bozze e corsi verso casa.
Ingollando prestamente un boccon di colazione, non riuscivo a
fìs.sar la mente sulle pagine che tenevo innanzi, secondo il mio uso
di intrattenermi con ([ualche libro o giornale dinante l'antipatica
faccenda di rifornire la macchina... Mi preoccuiiava il pensiero del
povero amico, e .sopratutto rimmagine della sorella. Le sue fattezze
fine, animate di grandi occhi, mi erano stampate nella memoria. Non
mi ricordavo di averla veduta più che una volta, ma certamente l'avevo
rasentata più volte salendo o scendendo le scale a salti come facevo,
lincantucciata su un pianerottolo ad aspettar che passasse la va-
langa dei miei passi giganti. Dovevo sembrarle uno strano animale,
un di quei ragni magri del granturco, d'autunno. Fatto è che ora
la vedevo nitidamente e non come una persona estranea: mi pareva
che anche allora, (luando dovevo esserle passato vicino senza osser-
varla, qualcosa fosse entrato in me, forse .soltanto un alito della sua
atmosfera. Non è così? Ognuno di noi ha intorno un'atmosfera propria,
come le stelle. *
Quando bussai al n. 30, (Irastino attese un momento prima d'a-
prirmi, non senza cagionarmi ansietà: aveva la taccia stanchissima e
pallida e gli occhi rossi. (ìli chiesi se aveva mangiato. Mi rispose:
— Credo.
Non potei far a meno di sorridere. Avevo portato meco due ova
crude e lo pregai di berle, il che fece docilmente e con indiffeienza.
— Vuoi che andiamo? - dissi.
— Come vuoi. È già tempo?
E si guardò in un pezzo di specchio sostenuto sul muio da Ire
chiodi: si dette un colpo ai capelli colla mano:
— Come sono pallido! Sono mortuario...
— Perchè non sai faiti coraggio. Bella faccia che porti (Jiiianzi a
tua sorella !
Afferi'ai la spazzola e gli pulii il pastrano pieno di polvere: gli
porsi il cappello. Egli si rigirava intorno come se dovesse cercar molte
cose da portar seco. Prese un libro e fece ])er uscire. Poi si rivolse e
alzò la tenda: c'erano alcune sottane appese al muro e un lettino li-
piegato : mise le mani in un piccolo baule: brancicò non so che:
— Non avrà bisogno di qualcosa? (Ihe devo portarle delle cose
sue, qui?
lo lo afferrai per un braccio e lo spinsi fuori. I coriidoi erano de-
serti e silenziosi. A un tratto scoppiò un pianto fortissimo di doiuui.
Mi volsi indiclro; lulli gli usci ciano cliiiisi : (lo\('\a venir dal fondo.
':2() (il.l AMMONITom
- I'] la Hiondiiia ilei 4() - disse (aastiiio. - Le è morii) il liaiiihiiii»
ieispia: lei è a letto, assistita dalla moglie dell" iibiiaco, e il hinilio
nella culletta: un'ora fa dormivano tutti due: sì. pareva etie dormis-
sero tutti e due. Va" a vederla.
Mi ricoitlai. Era l'inquilina deirultima softitta. una eantarina bionda
di 17 anni, sarta: sul rullio della macehina a cucire la sua voce in-
stancabile finiva per dai' noia a chi doveva sentirla a lung:o : a me che
facevo rare appai-izioni di giorno, faceva 1' effetto d' uno si)razzo di
sole. Un giorno la ragazza aveva messo al mondo un bimbo: di chi ".'
Nessuno lo sapeva. Lo portava in braccio, seminudo, per tutta la casa,
continuamente: entrambi con una faccia tondeggiante, bianca e rosa,
ella pareva la sorella maggiore del suo bimbo. Una signora del piano
infeiiore, che aveva avuto, pochi giorni dopo, una bambina troppo af-
famata, la mandava sojìra a finir di pascere, e io avevo veduto una
volta la ragazza con due batuffoli rosei in braccio, baloccandosi : do-
veva divertirsi lui mondo.
— Non abbiamo tempo - dissi a Grastino. - Povera ragazza I Ma
d'altra parte non è meglio così"? Per lei no, forse, ma per il bimbo...
Scendemmo. 11 tiscliiettio di Cimisin trillava a tutTandare al bat-
tito del martello. Ai pianti di donna e alle bestemmie degli ubriachi,
da tanti anni, l'allegria di quel pazzo innocuo si mescolava senza riposo.
Non ricordo molto di ([uella visita. Ricordo un viso bianco, ca-
pelli neri umidi e appiccicati alle tenijiie: le fattezze parevano di marmo.
A un certo momento due grandi occhi s'aj)rirono e le labbra bianche
sorrisero, dosi la vidi sempre di poi, così mi sorge ora negli occhi,
un volto d'alabastro, come tras]iarente per un lume nascosto. Disse
qualche parola, tiochissima ; eia così stanca ! Ma gli occhi erano pro-
fondi, intensi, volevano signitìcare quello che non potevano dire le
lal)bra: passavano da Vigi a me, come se volessero intessere intorno
a noi una misteriosa trama che ci unisse per sempre.
Intorno erano altri letti bianchi, altre teste esangui, altri occhi che
ci guardavano. E il sole era stranamente puro e dolce in quell' aria
uguale e tepida.
La dottoressa venne |)er condurci via. Si sedette un iiioiuento,
prese la mano dell'inferma e cominciò a paiiare, come jier cullarla,
con parole carezzevoli, le parole dell'illusione per la moribonda e per
il povero hatello, ciie non si sarebbero veduti mai più.
Poi ci guidò tino alla porta. In tutto ((uel tem|)o Crastino rimase
stranamente calmo.
IV.
Tornando dall'ospizio in Iranvia, il Iragilto fu silenzio.'^o. Egli era
mollo accasciato, (iiunti in piazza dello Statuto scendemmo, lo volevo
trarlo lontano da casa. Entrammo nello stradale di Francia.
— Facciamo due passi"? - proposi. - lo ho vacanza oggi.
— Come vuoi.
Camminammo un buon tratto in silenzio. I prati erano velhrtati
di bianco. La neve prendeva una leggei-issima tinta azzurra nella
lontananza: gli alberi neri non par'evano scarni, ma aprivano conti'o
il cielo dei ventagli di iiiume. Ouando fummo fuori dell" aliitato. le
01,1 AAr.MOMTORI Ì\
Alpi si presentaiono in tutta in loro enormità, dalle punte spiccanti
sul cielo niorliido. ijianclie e chiazzate qua eia di azzurro denso, alle
basi che poggiavano sulla linea vaporosa della [)ianura. Cràstino, che
camminava curvo col mento in seno, alzò a poco a poco la testa, e i
suoi occhi parevano riscldararsi. Vicino a un ponticello si volse in-
dietro come a misurar la distanza ]ieicoisa dopo le case, poi guardò
dinanzi a sé:
- 1 monti! Che bellezza!
Ad un tratto la sua bocca si contrasse, gli occhi si empirono di
lagrime. Fece uno sforzo grande e liprese con voce natnrale:
— Ti darò a leggere i miei versi. Ne ho dei nuovi anche. Ma da
un po' di tempo non posso più comporre. La poesia nasce adesso in
me: quando sarò meno infelice, me ne ricorderò e scriverò. Adesso,
ecco, se fossi solo, piangerei. La notte, il sole, la neve mi fanno sempre
piangere, lo sono sempre solo.
Si avviluppò nel pastrano e prese a camminare più rapidamente.
— Ho freddo. Non hai freddo tu"? Io patisco molto il freddo: per
(piesto Testate è la mia stagione: proprio nel meriggio io cammino
per la campagna delle ore intere. Credo che morirò di freddo.
— Via! Fai conto di proseguire nella vita irregolare che hai tenuto
li noia"? Lavorerai: avrai un imi»iego, e nelle ore libere farai dei versi.
— Hai ragione. Lavorerò e non farò più dei versi... Devo pensare
a mia sorella adesso.
L'immagine della morente mi si i-ipresentò, dandomi una commo-
zione violenta.
Una figura umana tutta curva e affastellata sotto un gran ca])pello
logoro dalle tese pendenti \ eniva verso di n(ji. Quando fu a pochi passi,
scorgemmo un vecchio appoggiato a un bastone nodoso, con tre giacche
logore indossate Funa sull'altra e il petto aiierto rugoso e rosso: si
fermò e ci guardò con due piccoli occhi azzurri : tra la bocca ispida e il
cappellaccio non si scorgeva altro della faccia. Gli porsi una moneta:
— Grazie. Ora prò e/s.'
S'incamminò, poi si rivolse:
— Sentite, giovinotti: laggiù c'èil Re: adesso passerà sullaniacchina.
l'roseguinimo la passeggiata :
— Hai sentito"? - diss' io. - Laggiù c'è il Re. Che sia andato a Rivoli
in automobile"?
— Il re!... C'era un re, - rispose con la sua ai'ia di trasognato - un
re!... Ami le leggende? lo ne sapevo tante. Mia madre... mia zia, via!,
(piella che ti ho detto che ci teneva con sé, ne sapeva d'ogni colore.
— Anch'io ne sapevo molte. Andavo nella stalla, d'inverno. Dopo
il rosario e i paternoster a tutti i santi che ci lil)erino diit feii. ila la
losiia e dal troiai (t), mia nonna ne contava delle interminabili. Kra del
tempo di Napoleone: jiiegata in due dalla sciatica, sembrava una po-
vera bestia supplichevole. Foi, sull'aia della fornace, piena di sole,
io cantavo coi liamliini:
Andouma a Ronma
A coumpré una eouroiifia,
'uà couroiifia par im Re.
Giiirapapé (2).
(1) « Dal fuoco, dal fuliuiue, dal tuono ».
(2) ■• Andiamo a Roma, a comprare una corona, una corona ppr un re, ijiu-
rapapè! » Cantileua di ragazzi piemontesi.
22 (ÌLI AMMONTTOKI
Volevo farlo ralk'firiire.
[1 soie eadeva dictio i monti e il cielo su di e!«si era diveimlo roseo.
lia^tiiCi appunto, di là dai monti, eia forse il i>aese delle lejjiicnde.
( ;rast ino disse :
— Eppui'e sono esse, le leggende, elie ci fanno inabili a vivere, lo,
per esempio, |)enso sempre a Nausica. alle sibille, ai Nibelunghi, a
Bruto magari: e più ancora alla madonna, a Santa Teresa, a San Fran-
cesco d'Assisi... Tutto questo ini ha fatto dimenticare che mia sorella
lavorava per me, che un bel giovane può i)assare |)er la strada e farle
delle proposte, e che l'amore conduce all'ospedale...
Si tirò su il bavero e affondò le inani nelle tasche:
— lo penso alla biondina del n. H). Che diverrà"^? Mi pare perlino
che l'amerei. Sciocco! Intanto non mi ha mai neanche guardato...
Kppuie qualche anno fa le donne mi guardavano con certi occhi! Non
hai mai amato tu"?
— lo no. Non ci ho mai pensato, o quasi.
— lo non lo so. Ma credo che non ho mai amato. Mi ha sempre
disgustato. È vero che non ho mai incontrato una donna sopra la
mia condizione. Ma credo che una donna \iva non potrei amarla,
lo amerei la princijjessa di Tri])oli, per esempio, ossia Elisabetta
d'Austria.
Una forma nera in mezzo alla strada, lontanissima, ingrossava
rapidamente avvicinandosi. L'automobile del Re'! In brevissimo tempo
fu accanto a noi e passò. Due ciclisti lo seguivano. Mi pareva avere
scorto la fisionomia del re, giovane e ardita. Guardammo indietro
seguendolo coH'occhio.
Una piccolissima figura nera, il mendicante, era ferma in mezzo
alla strada: s'vidì la tromba: il mendicante si scostò. Avevamo avuto
un momento d'ansia.
— Se l'avesse travolto'' - disse Crastino.
— Orribile !
— Per entrambi - aggiunse egli dopo un silenzio.
— Infatti... - risposi, e non proseguii.
E c'immergemmo in un jiensiero che ci dava i brividi.
Tornammo che i fanali erano già accesi. Lo condussi alle Cucine,
presso casa: entrava per la prima volta in un ambiente simile. Se-
demmo ad un posto libero.
11 luogo era pieno di strepito e d'un vapore nauseabondo. Io man-
giai, secondo l'abitudine, in gran fretta e macchinalmente: l'amico
provò a trangugiare qualche boccone, ma la gola gli si chiudeva e
gli occhi gli s'empievano di lacrime. Alla sua destra un grosso uomo
appoggiava al tavolo due enormi braccia che sostenevano un testone
bovino: egli metteva in moto due grosse ganasce. In faccia a questo,
la Salamandra mangiava svogliata, versandosi di frequente un vino
nero e denso : gettandogli qualche parola e voltandosi a sorridere in-
torno con aria di civetteria.
— Non sei mai venuto qui .' - domandai a Crastino.
— No. Mi fa nausea.
— Ma si paga poco. D'altronde potresti mandar a prenderti da
mangiare pei- mezzo d'un ragazzo.
Volevo cosi insegnargli a vivere da solo.
Lo accompagnai tino alla sua stanza e gli diedi la buona iiollc
Seduto al mio tavolo sotto la lampada a [H-tiolio uhe aveva as-
sistito alle mie \ef>iie sui C('»mpiti di scuola, alle mie lotte conilo i
refusi, alle mie divagazioni lantasticlie sopra i periodi clie più affer-
ravano la mia intelligenza, mi provai a fìggere gli occhi sul Wundt
the avevo portato dalla tipogratia. E tosto Timmagine di Lena mi si
affacciò : mi guardaA'a con gli occhi supplichevoli, quasi imperativi :
mi pareva che m'imponesse con una dolce forza il pensiero costante
che aveva animato la sua vita per quello strano fanciullo che da due
giorni mi era divenuto fratello. Un passo pesante nel corridoio, ac-
cDuqìaguato da urti contro le pareti e da spergiuri, interruppe le mie
ritlessioni : Tubriaco aveva fatto il lunedi. Un uscio s'aperse; poi
un tonfo, e non sentii piìi nulla : quella sera non avrebbe più avuto
la forza di picchiare la moglie...
Ripresi a scorrere le mie bozze: inutilmente. Non potevo fermare
la mia attenzione ; forse d'ora innanzi queste cose, l'ufticio, la scuola,
i libri, non mi avrebbero mai piìi interessato come prima : qualcosa
(li estraneo era subitamente penetrato in me e faceva si ch'io non mi
sentissi più come prima affatto libero e solo : ne avevo a tratti una
punta di malessere che mi pareva fosse puramente immaginario : in
fondo non avrei affatto desiderato che non fosse avvenuto così. .\d un
certo momento mi domandai : « Ma che faccio io nella vita '? » Fino
a quel momento dunque io non ra'ei'o ancora accorto di me stesso,
perchè non guardavo che me e nessun altro: non avevo termini di
paragone. Che facevo io"? Lavoravo, cioè vendevo la mia opera ad
un padi'one, estranei l'uno all'altro. Fortunatamente, non amando il
padrone o i padroni, che non conoscevo, né lo stipendio se non come
una necessità, amavo invece il mio lavoro e avevo un ideale di me
stesso a cui il mio lavoro poteva condurmi. E d'intorno a me* Cor-
rettori, compositori, macchinisti, entravano, uscivano, vendevano mente
e mano a ore e a tariffa fissa. Nessun amore al loro lavoro, cioè alla loro
vita, e nessun ideale. Ciascuno vedeva di continuo uscir dalle sue mani
pei- sempre e anonimo il lavoro di un'ora, un frammento, e nessuno
poteva dir mai di qualche cosa : « Quello l'ho fatto io ! » Che cosa
resterà loro alla tin della vita a pi-ovare che hanno vissuto ? Non hanno
vissuto : questa è la verità.
0 forse in quella uniformità d'azione, estraneo, lontano dal mo-
notono affaticarsi che li esaurisce, qualcosa esiste, sorride, splende?
Oualcuno ha un piccolo usignuolo che gli canta in cuore mentre le
sue mani s'insudiciano attorno alle ruote '? E qui, intorno, in queste
celle tra di ])rigione e di chiostro, qualcuno di quelli che tornano ogni
sera abbrutiti dallo sforzo della giornata, si as.sopisce in un sogno
sereno e un ritornello di canzone suona al ritmo del suo respiro "?
Guardai intorno la mia sottitta : non era più sì fredda, si nuda.
La lampada diffondeva in essa una luce calma, dorata, che pareva quasi
sottilmente intepidire l'aria. 0 era il senso d'una presenza invisibile"?
Appoggiai la testa su ambe le mani e chiusi gli occhi : traverso le
palpebre la luce mi riempiva le pupille d'uno splendore marmoreo.
Rimasi a lungo così, quasi ascoltando il brusìo nelle mie vene d'un
tepore nuovo e vibrante. La finestra dietro il paralume era tutta az-
zurra. La neve era azzurra, il cielo quasi nero seminato di stelle,
.apersi, .\nche la finestra di fronte era aperta e una figura v'era in
mezzo, china sui gomiti. Non mi maravigliò : non mi pareva infatti
testé quasi d'essermi sentito chiamare 1
24 aiil AMMONITOKI
Che avveniva in quella gran saia bianca, lontano.' Rabbrividii.
Ma un'altra finestra laggiù neirangolo, 1" ultima, era illuminata:
vi si vedevano due candele, e un gemito uguale ne usciva, tranquillo
come se perdurasse nel sonno. Un'ombra di donna anche vi si moveva,
alcuno vegliava il morticino, forse la moglie dell'ubbriaco... Il silenzio
era intinito. Le stelle jiaiiìitavano, il cielo non pareva una volta eui)a,
ma lo spazio senza limite in cui stavano sospese nel lor molo iin-
percettibile quelle \ite luminose. In teira eia lutto bianco: tetti senza
fine, e in fondo il profilo delle Alpi : esse jiaievano inerti e morte.
La vita era qui, intorno a ine, su queste altezze tese verso il cielo :
la vita e la morte.
Lungo le scale un passo saliva e una luce si proiettò sul piane-
rottolo, scomparve nel corridoio. Dopo un po', lo sentii tornare, più
pesante e cauto ; vidi vacillare su la parete lungo la scala il profilo
d'un uomo con ispalla un oggetto oblungo : discendeva. Nella softifta
d'angolo le candele si mossero, l'ombra della donna si disegnò un
momento sui vefr'i : poi si spenseio. Il giMiiito continuava uguale nel
sonno.
— Crastino! - chiesi verso la finestra dirimpetto, pianissimo, come
temendo di svegliare quel gemito. Egli si mosse, accennò con la mano
alla finestra ora buia e si ritrasse.
Tre giorni dopo lui chiamato nella sala d" ingresso della ti|)ogratia.
Mi attendeva un signoie alto, biondo, che avevo già veduto nel labo-
ratorio. Infatti egli rivedeva delle bozze. Riconobbi il primo foglio di
un'opera che passava ora sotto le mie mani.
— Senta - incominciò egli guaidandomi con due occhi azzurro-
chiari. - La dottoressa l^avriano m" incarica di informarla die la sorella
del suo amico è morta iersera...
Quantunque fossi preparato alla notizia, ne rimasi costernato: egli
lo vide e i suoi occhi tranquilli si velarono leggermente:
— La dottoressa è andata stamani a trovare il suo amico : intanfo
vuol eh' io avverta lei, perchè l'assista questa notte, che può essere
terribile per lui, un po' ammalato, a quanto mi si dice...
lo non seppi rispondere parola. Egli proseguì:
— È morta d'emorragìa. Se fosse venuta all'ospizio subito... Invece
ha creduto poter superare la crisi da sola. Quando ce l'ha portata la
dottoressa Lavriano, era già tardi: aveva già dei guasti interni cui
non si potè rimediare...
Diede un'occhiata alle sue bozze, poi si decise a posar la penna
e volgendosi tutto a me, mi chiese :
— Il suo fratello, che tipo è"?
— Oh, un bravo giovine! - m'affictiai a rispondere. - Probabil-
mente non ha sa))uto nulla di nulla. V] un poeta. Ha scritto Tristiu.
— La rimproverava, che lei sappia"?
— Non credo. Soltanto, ella doveva averne soggezione, da quel
che posso iunnaginarmi. Doveva poi temere enormemente di addolo-
rarlo. Credo che gli facesse un ;h)' da madre...
— Ah, le parti s'erano in\ertite! Lui, ceito. non sapeva pioteg-
gerla. Lì sta il male.
— Lo crede colpevole';'
— Non posso giudicarne. Ad ogni modo, tutti gli uomini sono col-
pevoli in complesso, se non della motte dei neonati (i|uelli, pazienza!)
CilJ AMMONITORI 29
certo della morte delle madri; non sono soltanto indirettamente respon-
sabili... Ora lei legge il mio libro'? La signorina mi dice che lei ha
studiato molto di questioni sociali.
— Io"? - protestai contuso, sentendomi arrossire. - lo non ho stu-
diato che le bozze che vo correggendo già da dieci anni.
— Bene! Mi dicono che dà dei punti agli autori, qualche volta. -
E sorrise della mia contusione: nei suoi occhi brillava un" ironia bene-
vola che non mi cagionava disagio. In i|uel momento il sole clu' en-
trava dalla finestra l'aveva raggiunto sulla sua sedia e illuminava la
sua bella testa bionda, dall'alta fronte calva, dai baffi radi spioventi,
traverso i quali i denti brillavano nel sorriso simpatico. Aveva qual-
cosa del sognatore e dell'apostolo; e subito sentii per lui un segreto
moto di simpatia.
Egli si trasse indietro dal sole e riprese la penna, ma tosto la
depose per porgermi la mano, lo la strinsi e tornai al mio gabbiolto.
11 seguito delle sue bozze che avevo dinanzi (L'allevamenlo del-
l'uomo. V ediz.) diceva:
« Il ilovere primo e assoluto d'una società civile è di favorire e
sorvegliare le nascite. Tutti gli altri momenti della vita umana sono
secondari vicino a questo, e in essi l' indi \iduo può in diverso grado
piovvedere a sé stesso: qui due vite sono in pericolo e l'una, la più
indifesa, comincia appena, e guai se comincia male!
« Invece oggi la nascita è lasciata al caso. La procreazione, ch'èin
fondo il solo fine visibile della vita, viene dall'uomo considerata come
la s|)iacevole conseguenza d'un atto di piacere egoistico, dalla donna
ora una sofferenza senza compenso, oia una condanna, una diminu-
zione del suo essere, tuffai più una funzione semplicemente animale.
« Una gran parte di coloro che sentono in sé inquietudine, squi-
librio tisico, difetti od eccessi, germi di male, di pazzia, di delitto,
possono rintracciarne la causa nella nascita. Chi ne ha la colpa"? Di
rado la madie, spesso il padre, sempre la società... »
Quando fui libero dal mio lavoro m'affrettai verso casa. Crastino,
nel suo letto, aveva un febbrone. Deliiava. Minca. la moglie dell'ubriaco,
lo assisteva, colla sua faccia patita e la persona lunga e magra: gli
umettava le labbra ardenti e cercava di farlo rimanere quieto e coperto.
Non mi riconobbe, e rimasi lunghe ore accanto al letto, mezzo intor-
ui(lit(j e colla testa ondeggiante e vuota.
V.
La febbre durò sei giorni. Il medico era inquieto e la dottoressa,
che venne i)iù volte, temette seiiamente che il cervello gli si sconvol-
gesse. Era divenuto s]taventosamente arido e secco. Un giorno scorsi
così nitidamente la forma del teschio sotto la sua barba rada che n'ebbi
un istantaneo ribrezzo.
Nondimeno si risollevò lentamente. Pareva che si fosse dimenti-
cato d'ogni co.sa e una dolce convalescenza mi fece apparire il mio
povero amico come un fanciullo nuovo e ingenuo, ignaro d'ogni do-
lore, anche privo d'ogni iiensiero. come una pianta, un semplice es-
sere di senso.
Poi si ricordò, a spiazzi, del passato; macoli lieve dolore. L'alli-
vità del suo cervello, lideshitosi all' improvviso con un vigor nuovo.
26 OLI A:MJfONITOKI
lo elevava siil)i((), dai singoli casi, alle considci a/ioni j^eiieiali (hdla
vita: essendo stalo si vicino alla morte, diceva ejili, non si conlava
[>iù tra i vi\'i e i sofferenti, pensava agli altri che soffrivano e iniiiia-
"inava come avrebbero poi nto non soffrire, trovando ciò, intine, molto
facile, tanto viveva nelT astratto.
lo lo vedevo dne volte al giorno. Era debolissimo, talché ci volle
più (Tiin mese, prima ch'io potessi condurlo a fare qnalche passo al-
l'aperto.
Passammo così alcuni mesi in una intimità inelTabile: io am;ii
quel ragazzo di genio come avrei amato una creatura mia, la mia donna
o mio tiglio. La bellezza di quell'essere, che sorpas.sava la mia facollà
d'ammirazione, che mi riempiva spesso di slupore e di riverenza, (-ome
dinanzi a un mistero che si nianifesta.sse in lui, mi' affascinava. La
ligui'a divina eh' egli diventava, quando i suoi occhi contemplavano
certi spettacoli eterni di natura o d'umanità, non iiu uscirà più dalla
mente.
Mi condusse a visitai'e le gallerie, ove mi colpi la sua dottrina e
la sua ammirazione ragionata e istintiva dei capolavori. Lo affascinava
il museo egiziano, ov' egli passava ore intere a sognare in presenza
delle mummie e dei resti cosi viventi e strani di quel popolo miste-
i-ioso. Diceva che gli Egiziani dovevano somigliare ai grandi uccelli e
ai grandi fiori delle acque, ci-eature sospese su una linea d'orizzonte,
e sopra, il cielo infinito, e sotto, lo specchio del cielo infinito: nul-
r altro che cielo: perciò furono astronomi e matematici, e |)robabil-
mente musici...
Ma la natura vivente aveva potere di trasfigurarlo. Dinanzi al pae-
saggio dilatava gli occhi che diventavano luminosi come se concen-
trassero in sé quei colori e quella luce: guardavano così, al tramonto,
il cielo grande che si continuava dentro lo specchio del Po, chiuso
dalle masse dei pioppi: in principio gli sfuggiva qualche monosillabo :
ero ancora presente a lui. Poi mi dimenticava allatto : drizzava le sue
spalle gracili, ergeva il petto come per levarsi un'oppressione e respi-
rava a larghi sorsi: non tornava a me che all'annerirsi delle forme,
per ripetermi con i-are frasi, tirate fuori a stento, le sue solite tristezze,
la sua inettitudine ad un'opera grande, la morte che lo chiamava con
voce sempre più insistente.
Le piccole agitazioni degli uomini lo toccavano talvolta jìronta-
niente e vivacemente. Egli gironzolava ])er la città, ruminando di con-
tinuo i suoi pensieri o « coiniettendo a musaico », com'egli diceva, qual-
che sonetto. I moti soliti dei passanti non lo distraevano punto: ma
ogni più minuto incidente insolito lo richiamava : e come usciva da
mi mondo di sogni, la cosa prendeva un senso profondo e gli dava
subito cagione di risalire a idee generali o a visioni d'umanità che lo
prendevano alla gola: uso sempre, sciupandolo, il suo modo d'espri-
mersi. Ricordo che, avendolo incontrato una domenica in corso Vittorio
lutto in preda a' suoi pensieri, non mi peritai di distramelo, salutan-
dolo e accompagnandomi con lui. Ma pareva ch'egli duiasse fatica a
mantenersi con me nel mondo reale. Ad un tratto una fanfara sbocca
da un angolo di via e parecchie squadre di ragazzi marciano dietro
di essa.
I primi gonfiavano le gote rosse sulle loro trombe con un misto
di letizia e di baldanza: gli altri marciavano seiii, ma baldi e lieti
anch'essi, come compresi della loio azione, che eia di solidarietà e di
GLI AMMONITORI 27
Hiinonia, di thliicia verso l'avvenire. Egli li guardò passare con gli
occhi lucidi, attentissimo, li seguì a lungo con lo sguardo: poi lo prese
l'affanno, aprì la bocca a respirar forte per non piangere, singhiozzò
dueo tre volte, indi si acquetò. Di li a un momento: — Vedi !? - disse -
I nostri tigli quelli... i nostri nipoti!... Come sono belli, sani! E gli
altri, i nostri fratelli ! Là, su le soffitte o nelle tane. I nostri fratelli !
Ma il mondo cammina, caro Stanga, domani camminerà così, come
questi bimbi... quando noi saremo sotterra!
Una sera volle portarmi ad ogni costo a vedere il Faust. Fu per
entramììi una fonte di grande emozione. Egli pianse dal principio alla
tine. lo gli tenevo una mano nella mia, premendola ad ogni tratto for-
temente quando temevo che scoppiasse in singhiozzi : ma il suo pianto
era piuttosto calmo. Eravamo in loggione: egli appoggiava la lesta sul
parapetto, senza mai guardare il palco: ed io sentivo con angoscia
inesprimibile ch'egli faceva una tiasposizione : ascoltava la storia di
sua sorella.
Ala io che la musica occupava soltanto ad intervalli, poco avvezzo
a lati spettacoli, facevo amare ritlessioni. Ecco: il pubblico ama questi
quadri: dei burattini ridipinti, caricature dell'uomo, congesti che tra-
discono le cerniere nascoste nelle giunture, fanno grandi passi, si vol-
tano verso il pubblico ([uando devono parlale coll'amante: nel duetti
i due amanti tanno perfino un mezzo giro l'uno inforno all'altro come
i giuppi dei nuisei che hanno un perno sotto il [)iedestallo...
Il mio amico eia pienamente afferrato dall'azione, o piuttosto dalla
musica e dalla sua stessa fantasia, lo pensavo a quella Margherita.
Ecco che cosa è la donna oggidì. Da una jiarfe il diavolo che la tira
per la lunga treccia, dall'altra Dio, che finisce col salvarla per far pia-
cere agli spettatori e con lei l'altra allegra vittima del diavolo, Faust.
Margherita non esiste di pev sé: soffre, uccide la sua creatura... Che
strazio e che ridicolo insieme in (piella scena alla porta della chiesa!
Accanto a noi c'erano delle ragazze che avevano veramente paura. E
mi s'affacciò irresistibile la domanda: « Come si può chiamar conso-
lante la religione?... »
Dio finisce per trionfare, ma che importa se il diavolo ha conti-
nuato a torturarmi durante quattro atti e mezzo, cioè quasi tutta la vita?
Più tardi \'igi divenne sempre più instabile e inquieto. La mia
compagnia non gli bastava più. Egli mi dimenticava spesso quando
l'accompagnavo: si concentrava e rimaneva muto, non rispondeva; non
udiva, forse, il più delle volte. Io l'annoiavo, probabilmente, e ricor-
dando gli sguardi su|)pliclievoli di sua sorella, una profonda angoscia
mi prendeva. Mi sentivo impotente, meschino, nullo : in certi momenti
avrei voluto stendermi a' suoi piedi, farmi calpestare, perchè s'accor-
gesse di me.
Talvolta poi, all'improvviso, parlava e le sue frasi erano una con-
linuazione di un discorso inferno ch'io non riuscivo a ricostruire. E
l'idea insistente era l'amore. Che cos'era quest'amore, per cui sua so-
rella aveva tanto sofferto in silenzio ed era morta con tanta serenità?
L'amore! lo non ci ho mai pensato. O per dir meglio: ho pen-
sato moltissimo alla donna, senza che potessi neanche concepire di
aver mai una donna mia. una famiglia mia. I miei coetanei, i miei
colleghi di lavoro sono tutti ammogliati: ma si dibattono in tali dif-
ficoltà, che il far saltare sulle ginocchia 1" ultimo marmocchio e veder
gli alti-i rotolarsi nei prati, fuori porta, seduti colla mogliettina sotto
28 GLI AMMONITORI
la perKola di iiualclie osteria, è loro Iropjio scaiso coiiiiìeiisi). Alili non
vogliono i-aiii|)olli, e sono i più duri, e i più ciiiiisi, quelli che soiri-
douo di più. ina di un sorriso scoraggiante, niolleggiatore; tristissimi
certo, in fondo. Parlate di amore e di laniigiia in una società che dà
la medesima razione di pane a chi è solo e a chi ha moglie e bimbi !
Ma tutto ciò non bastava a tenermi lontano dal matrimonio, in
fondo io ho un'immensa nostalgia della carezza femminile che non ri-
cordo d'aver sentita mai. For.se, appena messo in luce, mia mamma
|)olè ancora stringermi al suo seno e baciarmi'? Non lo so. Ma mi [)are
die una donna (ora sono vecchio, ho trent'anni), luia donna che mi
avesse amato come avevo bisogno io di essere amato, saiebbe stala
un pochino mia mamma, e avrei avuto bisogno, si. di piangere, quando
l'avessi sentita mia, quando avessi sentito che tutto il suo mondo ero
io. io; di piangere nel suo seno tutte le lagrime che non ho pianto
in trenfanni; di versare tutta la immensa tristezza accumulata giorno
per giorno, da bimbo nelle giornate fredde e senza pane, da ragazzo
nella reclusione priva sempre del conforto d'una faccia femminile, da
giovanotto quando la sera trovavo sempre la mia soffitta buia e gelida.
Avevo una forza, accumulata in tanti anni di lotta contro un vero
strato di terra pesante su di me : non sono uscito dalla mia tomba
di creta come un germoglio in mezzo a un sentiero battuto ? Non avevo
rinunziato a quello che molti altri hanno, alla vita facile, apparec-
chiata dinanzi a loro come una mensa imbandita: rinunziato perchè
ero riuscito a non desiderare, sebbene me ne sentissi un diritto uguale
a quello di essi?
E avevo una debolezza : l'infermità, portata in me sia dalle incon-
scie sofferenze e piivazioni dellinfanzia, sia da quella rinunzia terri-
bile. Una donna avrebbe soddisfatto a questo mio bisogno di proteg-
gere e di essere protetto.
Non venne. L'attendevo e non la cercavo. Non osavo cercarla : ero
timidissimo di fronte alla donna, ])erchè conscio fin da ragazzo del mio
aspetto triste e deficiente, lo sono alto, magro, giallo, con un torso
gracile, gambe e braccia troppo lunghe: a sedici anni mi ricordo d'aver
avuto per un periodo di tempo una fame da canniliale: quando cessò,
io ero cresciuto di trenta centimetri! Da qualche anno non mi guardo
più nelle vetrine, e quando per caso l'occhio mi cade sul mio individuo
ritlesso, m'esilaro non ])oco : ma prima fui di una suscettibilità mala-
ticcia. Avevo un orecchio prodigioso per sentir dietro di me tutte le
gaiezze ch'io suggerivo alle ragazze che mi passavano accanto, e il
mio occhio, che pare un po' uguale e muto, non si lasciava sfuggire i
menomi moti che apparivano su le facce dei passanti. A qualche mo-
nello avrei ben volontieri non poche volte tirato le orecchie. Ma mi
contenevo: chiudevo gelosamente tidte queste ferite di spillo: credo che
avevo una vera faccia di diplomatico, tanto sapevo di.ssimulare. Ora
dicono invece che ho una faccia buona come il pan caldo. (Ili è che
vedo di quante piccole cose soffrono gli uomini : e sono tanto indulgente
verso il me stesso d'allora, che m'intenerisco stranamente all'aspetto
di tutte le ]>iccole sofferenze che gemono o tacciono intorno a me.
Non avevo poi molto tempo da cercarla. Rra necessario eli" io in-
contiassi per cdfio una donna che mi guai'dasse. mi trovasse simpatico,
mi parlasse e mi conoscesse: conosciutomi, mi aviobbc iir61)abilmente
amato, perchè mi |)are impossibile, dio buonol.il contrario, (liascuno
di noi ila dentro di sé di che far felice un altro essere. Ma dov'è que-
fi LI AMMONITORI "29
srullro.' Kcco lulto. Lei era forse ben lonlana e io slavo là noi mio
Imco (li correttore... 0 era torse a due passi: forse ni' lia guardato,
m'avrà anclie parlato... ma non m'ha eonosciuto: e neppur io.
Dunque io scrivo qui come su una pietra sepolcrale : io non ho
.\MATO.
Tutte queste riflessioni e questi rimpianti furono sollevati in me
dalla intimità con Crastino. Egli viveva così intensamente dentro di
sé che le sue parole, da cui ricevevo delle momentanee rivelazioni,
come dei lampi, di quella vita, mi riconducevano immediatamente alla
mia e mi sentivo tutto rimescolato. Una volta mi disse, come conse-
guenza d'una serie di suoi pensieri :
— lo non ho mai creduto veramente a una vita mia oltre a questa,
ad una vita individuale : non ci ho mai creduto, ma ho vissuto come
se ci credessi: vale a dire che, in vista d" un'altra vita, non ho vis-
suto questa...
« Vero», riflettei. E pensavo a me: io ho fatto lo stesso: anche
nel mio piccolo avrei ottenuto qualche felicità se 1' avessi voluta con
tutte le forze. Credo che molti oggidì sono simili a me : non ci si
rifa a nuovo tanto facilmente. Ma vedo che i nostri figli nascono già
diversi: guardano il sole con maggior confidenza. 11 sole è il nostro
vero bene: per ora non ce n'è uno maggiore. Godetelo, figli nostri!
Questa riflessione di Crastino era forse dedotta da mie idee ante-
riori che ero venuto quasi costruendo e connettendo dinanzi a lui :
a mano a mano che le dicevo, si organizzavano e diventavano più
persuasive, solide anche dinanzi a me stesso. Io dimque ebbi una
influenza sul suo pensiero: ho paura, ahimè, di averla avuta anche
sulla sua vita, o, dirò meglio, sulla sua morte I Ala non ho rimorsi.
11 professor Lavriano gli aveva trovato un im])iego nel dazio: lo
esortava a mantenercisi per un mese, intanto ch'egli avrebbe cercato
(|ualcosa di piìi consentaneo alle sue attitudini. Crastino ci si mise
(li buona volontà. Tornava a casa parlandomi dei carri pittoreschi
che scendevano dalle Alpi ed entravano nella barriera di Francia, dei
sotterfugi curiosissimi a cui ricorrevano i carrettieri per nascondere
qualche chilo di salume o qualche litro di vino. Ma ben presto il
lavorìo dei calcoli e della contabilità lo annoiò, lo irritò, e, passato
il mese, se ne partì, insalutato ospite.
Allora il professore lo ammise nella redazione d' una livista di
sociologìa, affidandogli, poiché non aveva alcuna cognizione speciale
della materia, la compilazione dei fascicoli. Né ciò gli piaceva gran
che. Pure tirò innanzi quasi un anno.
Un giorno, era di novembre e cadeva la prima neve, ero venuto
a casa nel meriggio, contro il mio costume, e stavo per tornare alla
tiliografia. quando sento altamente urlare fuori. Mi pareva la voce
dello zoppetto. Xofu. Infatti lo scorgo sul tetto opposto, aggrappai'si
agli spigoli delle ardesie, colle mani gonfie. Nella soffitta attigua
alla mia l'ubriaco urlava, sporgendosi dalla finestra e minacciando di
tirargli una scarpa. 11 ragazzo si voltava con una faccia pavonazza :
jiiangeva e insieme gli faceva le beffe. La Biondina aveva aperto la
sua finestra e lo chiamava, lanciando degl'insulti all'ubriaco. Ora il
ragazzo si trovava sul crinale, all'altezza dell'abbaino di Crastino. D'un
tratto, torcendosi verso di noi, jierdette presa colla mano, i piedi
scivolarono.
•10 OLI AMMONITORI
Dei tiiidi (li terrore seguirono, il ragazzo era sceso l)occoiii coi
piedi innanzi e le mani uncinate sulle ardesie. Il canale di scolo io
arrestò. Rimase immobile un sec(mdo. Allora la tinestra di (Iraslino
s'apri e la Hiondina gli afferrò un braccio. Era salvo.
Respirai. Per un momento ebbi la visione di un mucchietto di
cenci sparso sul lastricato del cortile. Udii allora aprirsi Tuscio attiguo
al mio ed uscir l'ubriaco. Lo seguii. Egli andava senza dubltio a con-
tinuar la scenata nella stanza di Grastino... Ma giuntovi, afferrò il
ragazzo e se lo strinse al petto piangendo forte. Noi lo guardavamo
sdegnati e inteneriti.
Io dovetti correre all' ufficio. Fu allora che s'iniziò 1' amicizia fra
la Biondina e Grastino, che doveva presto mutarsi in amore, e togliermi
per sempre quella dolce intimità che m'era divenuta necessaria.
VI.
Un giorno penetrò nel nostro convento una grande novità. L'n
giovanotto, un pittore, venne al n. "11. Egli non vi dormiva spesso
in principio, avenda anche un'altra abitazione. Era un bellissimo tipo,
un modello d" umanità : alto, proporzionato, elastico, con una testa
dalle fattezze forse un po' troppo fine, ma resa maschia da due grossi
batti e da una gran barba che si mescolavano a coprirgli tutta la
parte inferiore del viso d'una ondulata seta color di bronzo, nonché
da una capigliatura folta cui sormontava un piccolo cappello tondo.
Un gran vocione dalle sonorità di rame dava tale eco nel suo largo
|ietto che a qualche distanza, quando l'udivo nei corridoi, non distin-
guevo più le parole, e pareva talvolta un bordone d'organo. E l'udivo
s]iesso. perchè egli, appena tornato dal lavoro (era disegnatore nella
fonderia Nebiolo). interpellava tutti gl'inquilini delle soffitte, provocava
le loro risa con facezie a freddo, si traeva dietro tutti i bimbi, a cui
gettava dei pomi e delle noci lungo il corridoio, per farli ruzzolare a
mucchi e scompisciar dalle risa. Non so quando dormisse, perchè la
sua sottltta era sempre illuminata e lavorava moltissimo di notte,
traendosi dentro i modelli; un dopo l'altro tutti i piccoli scavezzacolli
(MVaeropoli.
Aeropoli è il battesimo ch'egli aveva dato al nostro convento, che
era, a suo avviso, il più numeroso e vasto di Torino: ed era il titolo
d'un album di acqueforti die voleva eseguire e mandare in Erancia,
ad un suo amico pittore che là veniva molto valutato e aveva promesso
fli farlo conoscere e chiamarvelo hen presto. Egli lavorava la notte e
tutto il giorno di festa. Aveva fatto subito conoscenza con tutti gli
abitanti della nostra piccola città; fatto lo schizzo di tutti. Di Grastino,
di me e della Biondina del 4<) volle fare dei veri ritratti.
Non ho mai creduto d' aver una fisionomia interessante. Le mie
fattezze oggi mi sono perfettamente indifferenti. Ma Quibio (che nome
strano!), altrimenti detto Criì/ic ! era un mago. Il ritratto di Grastino
è meraviglioso e io non ho visto più bello il mio amico nei suoi mo-
menti di trasfigurazione: quando gli sarà resa giustizia ei suoi pochi
versi saranno considerati come i più significativi che abbia prodotto
la poesia italiana in questi ultimi venfanni, questo ritratto costituirà
un prezioso ilocumento. Oia non è che uno dei tipi più suggestivi di
un'aeropoli !
GLI AMMONITORI 31
Il mio è molto strano e non credo di essermi mai veduto con quel-
l'espressione, per quanto quelli siano certo, ad uno ad uno, i miei tratti,
rutto è alterato curiosamente; la pallidezza sopiatutto colpisce e un
senso di terrore che ho negli cechi. Forse ciò proviene dal momento in
:-\ù egli esegui il disegno, un momento che non dimenticherò più.
Ma andiamo per ordine.
Quibio aveva la pili buona indole del mondo, sebbene la portinaia,
jh'era moglie d'una guardia civica, lo guardasse con diffidenza. Il se-
gretario era evidentemente oi'goglioso di tenere un simile inquilino e
o aveva consultato a proposito di certe oleografie che voleva comprare
ler il padrone di casa il giorno delle sue seconde nozze, al che Quibio
ìli aveva dato del filisteo e peggio. Ma la considerazione e la diffi-
lenza della poitinaia e del segretario provenivano da certe lettere pro-
fumate che gli pervenivano e più ancora dal fatto straordinario che
liù d'una signora (o era probabilmente sempre la stessa) aveva fel-
pato la carrozza davanti alla casa ed era salita a veder lo studio.
Per parecchi mesi, Quibio fu la mia compagnia nelle ore di libeifà,
poiché Vigi s'era evidentemente allontanato da me per passar quasi
e intere giornate solo o con la Biondina, verso la quale sentivo uiui
specie di rancore.
Una domenica Quibio bussò al mio uscio. Entrò tutto lieto.
— Due notizie, Martino, - cominciò col suo vocione: - una, che ho
^'into il concorso della Calcografìa di Roma, l'altra... che gli abitanti
li Mai'te fanno segnali verso la Terra.
— Tutt'e due dello stesso valore queste notizie"? - risposi io.
— Sì - riprese. - Ecco qui l'annunzio della Calcografia e il Popolo
li stamane col telegramma di Marte. Ora ti affeiro con una mano, e
k'ado ad afferrar Vigi coU'altra, poi partiamo per \'alsalice a far festa.
Non ci fu modo di replicare. Mentre mi vestivo, egli andò da Cra-
fitino a partecipargli la doppia notizia.
Io avevo sentito d"un romanzo inglese molto strano in cui si sup-
poneva un'invasione di Marziani sulla Terra. Ora l'annunzio del glor-
iale, che alcuni punti luminosi, supponenti una direzione intelligente,
fossero stati notati sul nostro pianeta più affine, mi colpì fortemente,
fi mio cervello, forse ])er mancanza d'un organismo scientifico com-
plesso, è prontissimo ad accettare di botto le cose pili straordinarie.
Questa concezione mi dava un singolare senso quasi di smarrinuMdo,
:(uasi sentissi di essere veramente colia terra lanciato nello spazio, lo
L-redo che quando codesti pensieri siano entrati profondamente in noi.
potremo sentir meglio la vertigine dell'isolamento nell'infinito. Dicono
li non so qual poeta francese, che avesse trovato un frisson nouveaii.
Questo j)are invece a me il brivido nuovo.
Uscirono dal corridoio e mi attesero un momento sul pianerottofo.
scendemmo. Quibio era in jtreda alla sua allegria rumorosa e rideva
;'on tutti i suoi denti brillanti in mezzo a quel bai'b(me biondo. Cra-
■ìtiuo paieva invece un po' contrariato. Da qualche tempo non lo vedevo
più: lasciato l'impiego, s'era chiuso nella sua soffitta: lavorava '?■ Kra
diventato diafano, cògli occhi cerchiati e ardenti, le narici mobilissime
e la bocca nervosa. Io m'ero inquietato molto per la sua salute: il suo
aspetto ora mi aumentava l'inquietudine.
Nonostante la gaiezza del pittore cui cercavo di tener dietro, N'igi
taceva, jtur rimanendo in apparenza sereno e un po' assorto in sé stesso.
Quibio eia tanto fefice. clie me ne sentivo ancli'io contentissimo : oar-
;V2 i:i.l AMMONITORI
laudo, tahiilla in voce uli si altorava : la tiioia lo piciidcxa ali
gola. Ah, che gusto di sentir ridere a ([iicl tiiodoi (Té chi nasco pre
potentemente felice.
Valsalice era piena di gente: tutte le cantine risonavano di orga
netti e rigui'gitavano di borghesi e di operai indomenicati. Quibio i^
piaceva enormemente dell'allegria popolare in campagna: e io pure ni
ne consolo lutto: è sincera, larga, sana. Ci sedemmo sotto un pergolato
e il pittore fece portare un certo vinetto frizzante, che l' inuzzoli v
tutto e gli faceva schioccar la lingua. Crastino ne assaggiò un sorso
fece una smorfia : io sono astemio.
— Ah miei cari! - fece Quibio. - Che bella cosa se la terra produ
cesse più vigna e meno ferro da cannone. Che ne dite"' La vigna è i
segreto della pace universale. Guardate: appena due uomini sono brilli
subito si abbracciano. Non è vero, Mincan Crus? - disse alzando l
voce verso la padrona grossa e rubiconda che si attannava a poita
bicchieri qua e là... Si era innamorato di quel nome, e lo ripeteva!
tutte le donne.
Un organetto entrò nel cortile e cominciò a suonare. Tosto Quihi'
si levò e afferrò la padrona per le braccia: questa, girando pesante
mente, rideva e oscillava tutta. La lasciò subito quando vide entrar
una ragazza con un gran cappello a piume di gallo.
— Oh! - esclamò. - La principessa d'Acropoli. Facciamo un giro
Era la Salamandra. E senza lasciarla rifiatare la trascinò in ui
valzer vertiginoso. l'olvere e ciottoli sprizzavano dalle sue scarpe chic
date. Quando non ne potè più si fermò e trasse la ragazza fino al nostn
tavolo.
Ella sedette, guai'dandoci con atto fra d'interrogazione e di non
curanza: poi bevve d'un fiato il bicchiere che Quibio le porse.
lo sentivo un leggero batticuore, il .senso che ho sempi'c di fronf
a una donna, di timidezza e insieme di dispetto contro la mia timidità
— Ebbene, come va la salute, Minchin"? - chiese Quibio sorri
dendo.
— Sempre bene la mia - rispose la ragazza quasi offesa. - Chiaiiiaiii
Olga intanto!
— Quanti anni hai.' Venti, non è vero?
— Ventuno.
Quibio rise fragoiosa mente: ella gli die del ventaglio sul capo
Aveva i capelli biondissimi, radi, gli occhi allungati agli angoli da un;
riga di bistro, la pelle delle guancie disuguale e guasta: la bocca, as.sa
bella, nelle mosse del discorso prendeva sempre delle inflessioni igno
bili. Aveva forse quell'età e poteva anche avere più di trenf'anni.
— Che farai quando sarai vecchia.'
— lo veccbia "' - rise, e un'ombra d'inquietudine mi parve le pas
.sasse un momento sul viso :
— Farò l'aftittacamere jiei- le ragazze come me.
— Bene! Per vendicarti di chi ti fa fare questa vita"' Tu ti ripa
gherai sulle disgraziate come te : la tua padrona fa lo stesso ora, i
la catena non finirà più - disse Quibio tra grave e ironico.
Ella volgeva gli occhi sovente a osservai^ Crastino: d'improvvise
chiese a me, sommesso, ma sì che lui sentisse :
— Sua sorella dov'è"?
— Morta - risposi subito sottovoce.
Crastino ci guardò entrambi con un rimprovero triste negli occhi
GI,I AMMONITORI 33
Ella diede un sospiro, crollò il capo, poi percosse il pittore forte sulla
spalla :
— Andiamo a ballare, biondo?
— No, grazie. Troppo liscio il pavimento e tu pesi troppo, cara
Olga mia, e poi... io non voglio essere un rivale per nessuno...
E accennò ad un giovinotto che sedeva davanti ad un bicchier
di birra tutto solo e guardando fissamente il nostro gruppo. La Sala-
mandra lo adocchiò di sfuggita e arrossì :
— Quello... sapete chi è quello là"? Guai se ve lo dicessi!
— Brr ! - fece Quibio. - !'] il re dei gargagnan, scommettiamo ! - e
vedendo passare la padrona ordinò un altro mezzo litro.
— Quello è il contino Raffi: ha pochi soldi ma molta sfacciatag-
gine, e mezzi i barabba delle Ca neire gli fanno i servitori.
Si volse a lui e lo guardò fisso atteggiando la faccia a un disprezzo
indicibile, poi si levò, cercò collo sguardo tutt'intorno, e si sedette di
nuovo rassicurata.
— Vuol che facciamo un giretto, signor Crastino"? Io posso con-
taile delle belle cose... E la Biondina non è venuta"?
Crastino arrossì e rise nervosamente, poi mise le labbra al bic-
cliiere e bevve con una smorfia.
— Ti proibisco di sedurre il poeta! - vociò Quibio. - Lui è tutto
scombussolato perchè Marte fa dei segni a Venere, cioè alla Terra...
e non bisogna disturbarlo nelle sue meditazioni...
— Sì, si, lasciamolo meditare. Che vuol dire aver la testa nelle
nuvole !
Poi si fece improvvisamente seria: - Ma è malato il vostro amico,
non vedete?
Egli era difatti pallidissimo, ma protestò vivamente.
La padrona si avvicinava: depose il vino sul tavolo con una leg-
gera smorfia verso la ragazza, che si levava dando un colpo di ven-
taglio a Quibio.
— ^"edi ([ui la donna onesta e si)ietata - mi disse Quibio sommesso,
accennando alla padrona.
— È vero. Non ha un'itlea della infelicità di questa povera ra-
gazza.
E tosto mi s'affacciò l'idea della orribile piaga sociale che, riu-
scendomi inesplicabile nelle sue cause e nei suoi rimedi, è la sola
la quale mi faccia quasi disperare. Intanto seguivo coli' occhio la Sala-
mandra. Subito il giovane solo che dapprima ci osservava fece una
mossa per seguirla. Ella gli lanciò un'occhiata che l'inchiodò sulla
panca, poi s'appressò ad una tavola ove un ubriaco in mezzo a parecchi
bevitori urlava con quanto flato aveva nei polmoni:
Cruce delissia,
Criice delissia,
Delissia al cor!
E si sedette nel gruppo accanto a un giovanotto mingherlino.
Quando ella gli accennò il contino, i due si guardarono, e il mingher-
lino ebbe un istante la faccia illuminata da un sorriso cosi maligno,
fino ed energico ch'io ne fui scosso. Aveva due occhi agilissimi e
mutevoli, che in certi momenti parevano quasi luccicare fuor d'una
guaina e ringuainarsì sotto le palpebre subito. Io pensai che il suo
coltello doveva apparire e scomparire bene spesso a quel modo.
o Voi. evi, Serie IV - !• luglio 1903.
34 OLI AMMONITORI
La sua fisionomia non mVia nuova. L'avevo visto torse alle Cucine.
C'è dinique una società sotterranea dove la sopercliieria, la lotta,
la solidarietà, sono praticate all'insaputa dell'altra, ma con la stessa
intensità. Qualche sommovimento lancia ogni tanto alla superficie un
cadavere. E tutto ciò viveva accanto a me: ne sentivo le pulsazioni
quando rincasavo tardi la sera e udivo dei susurri o delle risse negli
angiporti: qualche volta avevo udito accanto a me, nell'ombra, due
parole che mi causavano un fremito di teri'ore e subito dopo mi aveva
colto un moto di fiducia e quasi di compiacenza: « No, è Stanga! »
Mi conoscevano dunque: avevano una polizia anch'essi: io ero nella
lista degl'innocui o degl'insignificanti... Tutto ciò nelle tenebre. Alla
luce del sole nient'altro che uno sguardo d'odio, di provocazione, di
vittoria, come quello che avevo veduto luccicare un momento sulla
faccia di quel mingherUno...
Intanto una reminiscenza mi perseguitava. Dove avevo visto io
il contino"?
Imbruniva. Il cortile si riempiva sempre più. Entravano ora fa-
miglie intere con marmocchi e sedevano alle tavole facendo preparare
da mangiare. Mangiavamo anche noi in mezzo al tumulto, ma tutti
tre eravamo taciturni ; l'allegria del pittore era sparita.
Ci levammo e movemmo per uscire. Ad un tratto mi sentii toc-
care. Era il mingherlino che mi sorrideva coi suoi occhi aguzzi:
— Una parola.
— Dica - feci io imbarazzato.
Tacque lui momento, poi accennò dall'altra parte al contino.
— La sorella del vostro amico... Eccolo là!... E ora lasciate fare
a me. Nient'altro. Stia tranquillo, monssìi Stanga!
E sparì nella folla che ingombrava il portone. Noi ci avviammo
verso la città.
Molta gente scendeva per lo stradone battuto e bianco. Le donne,
stanche, si sospendevano al braccio degli uomini, i bimbi ruzzolavano
per le chine: su tutte le facce era la stanchezza e rintontimento delle
giornate di sole passate all'aperto da gente che vive tutta la settimana
nei laboratori e nelle case buie.
A un certo punto Quibio prese per mia via traversa :
— Allungheremo un poco, ma saremo tranquilli.
Era un sentiero fra le vigne: a quando a quando si cingeva ai
lati di siepi o di muri a secco.
Il cielo era tutto popolalo di nubi ineguali, fra cui il sole spargeva
i suoi colori.
— Mi par che il paesaggio vada mutando - incominciò Quibio - o
muto iof o mutiamo tutti"? Io non so piìi come si può dipingere il
cielo: è molto più difficile che una volta, perchè bisogna far intrave-
dere qualcosa di là.
— È vero - aggiunsi io. - I pittori dipingono uno strato d' aria
azzurra o un movimento di nuvole. Questo non è il cielo, è sempli-
cemente l'atmosfera.
— Oh certo! - rispose Quibio ridendo. -Non vorrai mica che di-
pingiamo fuori dell'atmosfera! Forse il hkutco e nero \mò far qualche
cosa di più. II mio amico Chedda mi mandò da Parigi delle fotografie
di Odilen Redon, da cui ho presentito quel che si potrebbe fare da uno
che tosse ben addentro in quello che mi hai mostrato tu. Stanga, coi
libri di Flammarion. .Ma non sarà un tentativo inutile"? Eppure mi
GIÀ AMMONITORI 35
attira. Vedi, pensavo poco fa di far qualcosa con quella ragazza, ma
non ne ho piii voglia. A che scopo studiare questi tipi, far della cri-
tica anarchica colla pittura"? E poi credo che non si può andar più oltre
di quel che ottennero certi francesi deir^s.s/e/<e au fieurre. Bisogna
trovar del nuovo.
— È la letteratura che deve precedere - esclamò Crasi ino che usciva
un momento dalla sua distrazione.
— È vero - diss'io. - La letteiatiua d'oggi mi fa pietà. Dopo d'aver
parlato tanto di sé stesso, l'uomo c'insiste ancora; eppure ne parla a
vanvera, perchè vede poco di sé stesso: si vede poco perchè non vede
pernulla gli altri esseri, non si considera in giusto rapporto cogli altri
esseri. Dico l'uomo letterato... Infatti chi sa che cosa è l'uomo? L'uomo
non è altro che la realizzazione della coscienza della terra, è la terra
che sente sé stessa. Che cosa è la terra? Un punto. È la figlia del sole,
un punto un po' pifi grande. 11 sole l'ha creata. Il sole scalda l'aria,
trae l'atmosfera dai poli all'equatore e crea il vento; il sole crea le cor-
renti del mare, assorhe i vapori e li cristallizza sui monti in ghiacciai
e ne fa scendere i fiumi; il sole solleva il mare come un seno che re-
spira. Il sole forse solleva il cuor della lena, il nucleo plastico che
freme dentro la scorza, e lo trae a sé e lo farà esplodere un giorno.
Noi siamo figli del sole.
— Bravo! - gridò Quihio. - E tu sei figHo dei lihri. Qual' è l'ul-
timo libro che hai letto?
— È vero: questo è un mio sunto dell'ultimo libro che ho cor-
retto, la Geologìa generale. E che perciò? La poesia sta tutta lì.
— Sì, - inferi'uppe Crastino colla gola stretta. - Questa è la poesia
nuova !
Sentii nella sua voce le lagrime. Lo guardai : la luce del tramonto
illuminava la pallidezza della sua fronte: aveva i pomelli accesi come
per febbre.
— Chi la farà? - aggiunse.
Tacque. 11 cielo si chiudeva: le nuvole s'erano assiepate, avvici-
nando i lor nuclei bigi fra cui brillavano delle lagune d'argento.
— I giornali - ripresi io - stimano che la notizia dei segnali di
Marte sia una fantasia di un astronomo poeta. Può darsi. Che importa?
Non ne sappiamo nulla, ma intanto l'ipotesi che il cielo tutto sia vi-
vente non ci stupisce più: ne cresce la coscienza in noi senza chela
scienza ci aiibia portato una sola prova. Com'è ciò? Forse tra i mondi
esiste qualche nujzzo di comunicazione che gli psicologi direbbero sub-
cosciente: forse domani questo sarà una certezza. Avete notato come
le scoperte più strabilianti si accettino con un'estrema facilità? I raggi
Roentgen, le onde Marconi, tutto questo era già nella coscienza del-
l'umanità. Donde?
Ma mi accorsi che i miei compagni non mi seguivano più. Essi
erano entrambi assorti in sé stessi, nella lor vita particolare. Ne ebbi
la sensazione quando Crastino concluse quasi un suo ragionamento in-
teriore, che pareva anche chiudere il mio discorso.
— E dopo tutto si muore.
— No, - protestai con veemenza. - La vita ha foise una fine rispetto
all'eternità. Per noi, per la nostra concezione, non ha né principio né
fine. Ma pensate che le cifre assegnate dagli astronomi alla vita dei
mondi più vicini a noi sono già una eternità per noi uomini. Non si
muore !
36 GLI AMMONITORI
— Si muore, si muore!... - insistè egli quasi con angoscia.
— Purtroppo, caro Stanga! - appoggiò Quibio. - E ciò non impe-
disce cbe non me n'importi un fico secco ! Io e Crastino abbiamo la
stessa idea della vita, intendo della nostra particolare: ma lui pensa
alla fine, io penso al momento. Ecco la differenza. Tu poi vivi nelle
nuvole e nei libri o, se vuoi, di là dalle nuvole... Sei un uomo felice!
Essi pensavano infatti alla lor vita [)articolare. Il crepuscolo li in-
teneriva mentre contemplavano in sé stessi un' immagine d'amore. Per
un momento io sentii acutamente la nostalgia di questa accompagna-
trice esistenza femminile che la natura assegna come complemento a
tutti gli uomini.
.Allora m'accorsi d'una puntura interna, come d'una di quelle ferite
troppo rapide e dirette che non si avvertono subito e si rivelano al
bruciore lentamente.
Anelai di esser solo per interrogarmi e sentirmi. Giunto a casa, mi
coricai e spensi il lume e m' immersi in me stes.so.
Fu prima un tumulto confuso e doloroso che mi riemjiiva il capo
e il petto, una ridondanza di amarezza e di calore da sottocarmi. Poi
divenni straordinariamente lucido e calmo, come se il mio sangue si
fosse sedato e tacesse, e sola l'intelligenza splendesse come una luce
a illuminare il mio passato e la mia miseria e la miseria di tutti i miei
simili.
Amare, amare, amare! Sentirsi vivo e pieno e perfetto nell'amore
dell'altra creatura necessaria, sentirsi un perfetto individuo che tende
a una comunità, a una umanità piìi ricca e piena. L'ideale mi appariva
semplice e lucido, e per me lontano, passato, morto forse con quella
povera morta cbe m'aveva sorriso nell'agonia. Ella era una povera
creatura : aveva seguito innocentemente il suo istinto di felicità : la
pei-tidia e la morte l'avevano ghermita.
E l'acre gioia e l'angoscia datami dalla scoperta dell' infame che
l'aveva tradita, si dissiparono. Potevo io vendicarmi di cohii? Chi era
egli"? Forse nulla: forse un essere non ancora apparso alla superfìcie
ove respirano gli esseri coscienti. Aveva seguito il suo istinto perver-
tito dall' eredità di generazioni oppressive e malefiche. Creature che
nascono senza doveri, ricche di tutti i diritti, che possono fare se non
approfittarne?
Reagire su di esse! Reagire colla luce!
Ma i malvagi si sopprimono fra loro. Quello era in buone mani
e avrei voluto potergli desiderare che la punizione non fosse fatale, da
impedirgli un ritorno alla sua vera natura umana.
Ma sono uomo e figlio d'uomo.
Io vorrei credere ad una legge inflessibile: chi ha fatto soffrire.
soffia !
E risolsi di non dirne nulla a Vigi. A che prò?
fContiiniii .
Giov.\NXi Cex.a..
IN FINLANDIA CON L'AMICO COCCHI'^'
Ti ricordi, o Igino, le nostre passeggiate della domenica- nelle
verdi foreste di San Rossore? Son più di cinquant'anni che son pas-
sati sul nostro capo, spargendovi le nevi che nessuna primavera è
capace di fondere; ma io le ricordo vive e care, come se le avessi
godute ieri.
È una bestemmia, che pure è in bocca di tutti, quella di dire che
il passato è morto per sempre e sepolto neireternità. Per me almeno
il passato è vivo, più vivo del presente e sopratutto più caro, perchè
il tempo gli ha tolto le spine e le ortiche quotidiane e gli sbadigli
delle noie ufficiali e le menzogne della civiltà, che si pettina e si tinge
più di quel che si lavi, conservandone solo il profilo nobile e piu'o di ciò
che non può jiiù morire, perchè vive solo nelle anime. 11 passato è
una moneta divenuta medaglia, è un uomo grande senza le debolezze
e le vergogne; il presente è una moneta viva, che si spende, ma che è
anche sudicia di tutti i sudori umani : ed io preferisco la ruggine al
sudiciume.
E di certo le ricordi anche tu quelle serene, gaie e gioconde pas-
seggiate pisane. Liberi per tutta una giornata, come operai della setti-
mana universitaria, ci lanciavamo nel verde e verso il mare senz'altro
bagaglio che la nostra giovinezza e con una scatola, che doveva racco-
gliere il nostro bottino, che con ingenua prosopopea chiamavamo
scientifico. Anche la colazione doveva essere una sorpresa, una con-
quista, e la si trovava in una delle tante fattorie, che il buon granduca
aveva sparse nella bandita colla dolce illusione di fabbricare in Toscana
il cacio parmigiano.
Si camminava tutto il giorno e le nostre gambe non erano stanche
mai. Si pescavano tritoni, che per noi erano coccodrilli, si acchiappavan
farfalle, e coleopteri e ramarri, si raccoglievano pietre, si coglievauo fiori
e rami d'albero, rispettando sempre i nidi, che per noi eran sacri.
Un giorno presi perfino un germano, che ferito in un'ala si era accovac-
ciato in un cespuglio di gine])ri. Lo portai trionfante nella città ancor
vivo, dovetti pagare mezzo paolo di dazio, e lo diedi a cucinare il giorno
dopo nella modesta trattoria, dove per un paolo al giorno pranzavo
con due piatti e un dessert e vino a discrezione, che io non beveva.
Eran davvero deliziose quelle nostre passeggiate! Anzi non erano
punto passeggiate, ma veri viaggi d'esplorazione, perchè ci si perdeva
più d' una volta in ciuell' immensa foresta e ci si trovava sulla spiaggia
(1) Prof. Igino Cocchi, Ln Finlnndìd. « Bicordi e studi ». Firenze, 1902,
Successori Le Monnier.
38 IN FINLANDIA CON l'AMICO COCCHi
del mare, quando meno lo si pensava, o chiusi a un (ratto tra dm
lanche si dovea passare 1" acqua a guado, senza paura di reumi o d
ratt'reddori.
Fin da quei giorni ci sentivamo viaggiatori e sognavamo vergin
foreste e selvaggi e belve mostruose. E abbiam viaggiato poi la nostri
parte, ma io anche in India, anche nel Brasile, anche in Lapponi^
Ilo sempre ricordato i viaggi delle domeniche fatti con te nella Banditi
di San Rossore.
*
» *
Il lettore mi perdoni, se volendo parlare della Finlandia, som
andato prima a Pisa, ma egli è ])erciiè in Finlandia sono andato ii
compagnia dell" amico Cocchi, purtroppo non già colle mie gambe
ma cogli occhi, leggendo il bellissimo libro, che ha dedicato a que
poetico e infelice paese, ch'egli ha percorso e studiato.
Anche i più ignoranti di geografia hanno dovuto ai nostri temp
ricordare e amare quella terra fredda e onesta; ricca di acque com
nessun' altra e più ricca ancora di onestà, dove ogni uomo e ogn
donna sa leggere e scrivere e dove la cifra dei delitti segna uno de
numeri più piccini e più gloriosi dell' Europa; quel paese che la Russi;
vuol abbattere colla violenza, col peso enorme della sua mano vuo
schiacciare, colla prepotenza vuol russificare. Vorrebbe anche coli
lusinghe corromperla, ma a ciò non airiva, perchè 1" animo di quelli
gente è troppo nobile e puro e come il granito si può fare in polvere
ma non si può stemperare. Non feste popolari, non stipendi, non deco
l'azioni possono piegarli. Finlandesi sono e finlandesi resteranno. Il
questi giorni il giovane professore Yrjo Hirn, che fa un corso di estetici
nella Università di Helsingfors, mi faceva una cara visita nel mi(
Museo in compagnia della sua dotta signora, che lo aiuta nei suo
studi. Fa un viaggio di tre anni in tutta l' Europa per studiare l'estetica
come la intendono i popoli diversi e come diversamente la intesen
nel tempo e mi meravigliavo di trovarlo tanto profondo conoscitori
della nostra letteratura antica e moderna.
Dopo una certa esitazione osai domandargli : Che cosa faret-
contro l'invasione russa? Ed egli, serenamente, senz' ira. e direi anch
senz'odio, rispondeva: Resister sempre, disubbidir sempre! In quelli
risposta mi parve sentire la calma forte di chi non si piega mai, d
sentire la forza del freddo, dia conserva e dura. Intanto, però, sotto
nostri occhi, in piena luce di civiltà umanitaria, vediamo compiers
due grandi iniquità commesse fra popoli civili: la guerra anglo-boeri
e la distruzione della Finlandia. Ma l' Inghilterra vuole allargare 1
frontiere africane e la Russia vuol giungere all' Oceano. Volete voi torsi
impedire il respiro a chi ha il petto largo: non ingrandite anche vo
gli abiti ai figliuoli, quando crescono"? Lasciate che i forti respirim
largamente e le membra gagliarde si muovano liberamente. 11 monde
è dei forti.
E ancora una volta il lettore mi jierdoni, se. parlando della Fin
landia, vi faccio della politica umanitaria, ma egli è perchè pensandi
ad essa il cuore palpita irresistibilmente pili che il pensiero noi
ragioni.
*
* *
Non so se io abbia torto, ma credo che quando si voglia viaggiar*
in un paese senza andarvi, il miglior modo è quello di lasciar parlare eh
vi è andato, e noi andremo in Finlandia, a braccetto del nostro Cocchi
IN FINLANDIA CON L AMICO COCCHI
39
La Finlandia è il regno delle acque, le quali si versano nel mare
limpide e chiare da 25i2 foci, e gli uomini, congiungendo fiumi con
fiumi e laghi con laghi, hanno ti'acciato il paese più ricco di rive
acquee che si conosca e il più variato per ampiezza e forma di hacini
^ji-^-fc \
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Tipi di douiie finlandesi.
lacuali, dal Ladoga, che oltrepassa i 4000 chilometri quadrati nella
sola sua parte finlandese, a quelli che ne contano pochi. Le acque,
che scendono dalle alpestri giogaie, si uniscono a quelle che incontrano
per via e insieme riunite non si avviano alle foci, formando giù
Tipi dell'Ostrobiitniil.
per le valli dei rigagnoli come quelli dell' Apennino, ma obbedendo
nella loro discesa alle depressioni ed ai rialzi di suolo, che inconti'ano,
si adunano in larghissime conche, formando laghi, o in ristretti solchi
a modo di fiumi spesso profondissimi, gli uni agli altri l'iuniti come
maglie di una medesima rete e lontani o prossimi al mare, vanno
a scaricarsi tutti nel mare.
4(J IN FINLANDIA CON l'AMICO COCCHI
Il movimento di discesa però non è sempre conforme e tranquillo.
Le acque incontrano dislivelli improvvisi, che le obbligano ad allar-
garsi o a lesti'ingersi o a Italzare di roccia in roccia, da un piano a
un altro, in forma di rapide correnti e di cascate. Un lago piii alto
si precipita in uno più basso a pochi metri di distanza, rumoroso,
spumante, e l'acqua, riducendosi in un pulviscolo minuto come nebbia,
i-icade in pioggia sui lati dopo aver fatto brillare i colori dell'arco-
baleno.
Imatra è la più celebrata fra tutte le cascate, ammirata da ogni
buon finlandese e visitata dagli stranieri. Enorme è la massa d'acqua,
che con sbalzi vertiginosi precipita dal lago alto nel basso. E vastis-
sime piu'e sono le cascate di Valinkoslci, di Kyriskoski e tante altre.
Tutte queste acque vanno a riposare nel Baltico, mare di un'acqua
poco salata e che è in gran parte mare finlandese e che coi suoi 410,000
chilometri quadrati di superficie tempeia il rigore del freddo. Mare
dolce, ma terribile ai navigatori per le sue fitte nebbie, pei suoi
ghiacci impenetrabili nelF inverno, terribili quando li rompe la pri-
mavera; mare che genera i più abili e coraggiosi marinai del mondo,
che combattono lotte di vita e di morte colla furia delle tempeste,
coir impeto delle correnti, col prodigioso sollevarsi della marea, che
si caccia dentro gli stretti con onde di 40, 50 e più piedi d' altezza.
E il Cocchi, parlando del Baltico tormentoso, richiama al pensiero lo
splendido inno al mare di Basilio il Grande, più eloquente del grido
di Orazio contro le navi.
E le rive di quel mare si frastagliano all' infinito con seni e baie
fantastiche, con isolette innumerevoli tutte coperte di cupe foreste di
pini e di betule sorridenti nella loro veste argentina; scene che per
la loro pittoresca freddezza si possono mettere al polo opposto delle
foreste policrome, feconde, esuberanti di fecondità, che in queste stesse
pagine abbiam percorso in compagnia del nostro Beccari.
Il clima della Finlandia è rigido, ma non quanto si dovrebbe
aspettare dall'alta latitudine. Dei dodici mesi dell'anno, l'inverno
se ne prende sei. cioè dal novembre all'aprile, e non ne restano che
due per la primavera, due per 1' estate e due per 1" autunno. Si può
dire che questo paese gode di un clima quasi marittimo, dacché
neir estate la temperatura sorpassa di raro i 30°C e nell' inverno la
temperatura più bassa fu di — 48°C.
11 clima finlandese tende a migliorarsi, dacché il suolo si va
progressivamente innalzando e così riceverà più direttamente i raggi
solari; non unico esempio di climi, che anche in tempi moderni si
sono cambiati di bene in meglio o di bene in peggio.
L'inverno in Finlandia è lungo e forte. Tutta la terra è sepolta
sotto la neve gelata, i fiumi son ghiacciati, gli albeii delle foreste si
piegano sotto la neve e i porti son chiusi. Ad Abo però e in qualche
altro poi'to entra il postale, ma solo rompendo il ghiaccio con potenti
ordegni.
Nell'inverno però i finlandesi lavorano e si divertono. 11 lavoro,
che più si adatta a questa stagione, è il taglio dei boschi, e i tronchi
tagliati scorrono facilmente sul suolo ghiacciato e si accatastano,
preparando nello stesso tempo le zattere, che porteranno tutti quei
rio in Finlandia.
42 IX f^IXLAXDIA CON l'aMICO COCCHI
poveri morti della foresta al mare. Si cambieraniio poi in case, in
barche, in carta.
Né solo al bosco si riduce il lavoro invernale. Si dissodano i
campi, si scavano canali, si lavora nelle cave, e celebri sono quelle
di granito rosso e di porfido. E chi può rinunziare ai rudi lavori del
povero, esercita i muscoli nelle slitte, nelle partite di caccia e di
pesca, nelle gare di pattinaggio o nelle corse sui siiksit. La pesca è
una delle industrie più ricche della Finlandia, ricca com'è di acque
dolci e salate, ed è interessante assai l'assistere alla gran fiera del
pesce, che si fa in ottobre nell'Esplanade di Helsingfors, e vi accorrono
a comprarvi i pesci salati o altrimenti conservati dalla Svezia, dalla
Danimarca, dalla Russia e dalla Germania. E col pe.sce in quell'occa-
sione si fa mercato di animali domestici, di selvaggina, di pelli, di
granaglie e persino di stoffe. Le trote e i salmoni formano la delizia
dei pescatori appassionati che, come avviene in Norvegia, vengono
dall'Inghilterra ed anche dall'America, prendendo in affitto una por-
zione d'un illune per dedicarsi allo sport dell'amo. Per la pesca com-
merciale più della canna serve il Loliipato, specie di laberinto o di
trappola, che si prepara in vicinanza di rapidi corsi o di cadute
d'acqua, dove il pesce si sofferma a riposare per jirender lena a
risalire la corrente e dove invece trova la morte.
La pesca non è impedita neppure dal ghiacciarsi dell'acqua. Il
pescatore nel più crudo inverno, quando l'aria è così fredda da far
gelare il mercurio, prende la sua slitta e con essa va al mare o al
fiume, dove vuol pescare. Rompe il ghiaccio, facendovi a viva forza
un pertugio, che poi allarga faticosamente. Il pesce curioso accorre
al nuovo spiraglio e là diviene preda dell'amo e della fiocina.
Quella della foca (descriviamola colle stesse parole del nostro
compagno di viaggio) è piuttosto caccia che pesca e vieii fatta in
comitive. Non una slitta, ma una barca di forma speciale, è trascinata
sul ghiaccio per servir di riparo e per imbarco in qualche tratto di
mare libero o di ghiaccio non resistente e sempre poi per l'accolta delle
provvigioni da bocca e da caccia non meno che per il trasporto della
preda al ritorno. Si usa farla quando per la stagione o per burrasche,
rottosi il mantello di ghiaccio, che copre il mare, vi sono ghiacci
galleggianti sull'acque. Alle foche di lago, considerate nocive alla
piscicoltura, si dà la caccia in qualunque stagione dell'anno.
Giunta in luogo propizio la comitiva e montata la vedetta, si
fanno i prejiaiativi d'uso. I tiratori, indossate lunghe cappe bianche,
imbracciano spingarde e carabine e si distendono bocconi sul ghiaccio,
tenendo fra corpo e ghiaccio un'asse sottile e leggera, che ne sorpassa
la testa; ivi è imperniata un'altra assicella verticale, la quale ha due
fori, che permettono al cacciatore di vedere davanti a sé e può pas-
sarvi al momento voluto la bocca dell'arma; i suoi forti stivali
hanno armate le punte di uncini di ferro, coi quali aiutandosi egli
può spingersi davanti in qualunque direzione, senza mutar di positura,
coll'assicella sotto a sé, il paratesta in avanti. Se la foca non scopie
l'insidia o se scoprendola non ha vicino qualche tratto di mare libero,
presto cade vittima della palla micidiale. Non di raro però cacciatore
ed apparecchio cadono nell'acqua gelata e i compagni devono farne
il salvataggio.
IN FINLANDIA CON l/ AMICO COCCHI - 43
Anche la terra dà al finlandese non troppo avari frutti. Egli coltiva
il grano, la segala, Forzo, l'avena, le patate, le rape e le carote e da
poco tempo nel mezzogiorno coltiva il grano saraceno. Antichissima
è la coltura della canapa e del lino.
Il lavoro cainpestre in Finlandia è legolato con criteri e con
sistemi diversi dai nostri. 11 lavoi'atore è proprietario o affittuario
{arentimies) della terra che coltiva e dove non sia né Funo né l'altro
è locatore dell'opera propria. Locano la loro opera i nullatenenti,
la locano quei piccoli possidenti, che hanno famiglia e tempo esube-
rante ai bisogni della loro piccola azienda. Locazioni di questa natura
le fanno ad anni o per determinati lavori - a<l esempio, per la mietitura,
per il taglio di un bosco, per lo scasso e il dissodamento d'un terieno.
Le condizioni variano secondo la natura e la durata degli obblighi
contratti. Generalmente hanno salari con alloggio in comune e vitto
gli opeiai fissi, scapoli i i»iù.
L'istruzione agraria tiene in Finlandia il primo posto nell'inse-
gnamento e vi è dettata nell'Università di Helsingfors come nella più
modesta scuola di villaggio. Le scuole rurali d'agricoltura sono divise
in primarie, in superiori e in professionali. Alcune delle professionali
sono destinate ad istruire i giovani nella custodia e guardia del be-
stiame, altre a formar lavoratori e lavoratrici nell'arte del caseificio,
altre mirano a dar nozioni meccaniche e fisiche per certe arti e indu-
strie rurali. Nel 1897 delle scuole rurali se ne noveravano una per
ogni 1050 fanciulli sotto i quindici anni e fin d'allora fu deliberato
di triplicarle. Per esservi ammessi i fanciulli devono dare esame di
leggere e scrivere.
Una società fondatasi fin dal 1797 col modesto nome di Società
di economia domestica prosperò con piena libertà di azione e col con-
corso di uomini distinti per nascita, censo e dottrina e impresse uno
straordinario movimento ai diversi rami dell'agricoltura. Il suo primo
successo fu la creazione nel 1809 di un gi'ande istituto agronomico,
che lo Staio «loto subito di una vasta tenuta di ben 60011 ettari di
terreno. È questo l'Istituto di Mustiala. che ha lo scopo di diffondere
i buoni metodi nell'agricoltura, nella pastorizia e nella silvicoltura,
di sjterimentare nuove razze di animali domestici e i relativi incro-
ciamenti.
Tutto l'organismo economico e educativo è in Finlandia fatto in
modo da accrescere sempre il numero dei piccoli proprietari di terre,
ed è evidente che questo è il mezzo più sicuro per sciogliere i più
ardui problemi della felicità collettiva. La legge vuole che sianvi in
ogni provincia agronomi provinciali coadiuvati da ingegneri agricoli;
Consigli speciali in ogni provincia per le diverse branche, e per citarne
taluni, vi sono Consigli e consiglieri per l'arte delle latterie, consi-
glieri per l'allevamento del bestiame in genere, mentre ve ne sono
altri per l'ippica, per la veterinaria e altri per la coltivazione
del lino.
La scuola è in Finlandia l'organo più robusto e a questo forse si
deve, che sia uno dei paesi più morali e più colti d'Europa, tfno scet-
tico maligno potrebbe dire, che si deve invertire la frase e che la Fin-
44
IN FINLANDIA CON L AMICO COCCHI
landia, appunto perchè per natura onesta e operosa, lia dato alla scuola
il più grande dei suoi amori. Lasciamo che lo scettico rumini il tiele
della sua malignità e t)attiamo le mani airorganisnio scolastico tin-
landese. In Finlandia abbiamo licei moderni e licei classici. Nei primi
si insegnano le lingue vive invece delle morte, che si studiano nei
licei classici. Il russo, l'inglese e il tedesco sono obbligatorii e il fran-
cese è facoltativo. Tutti sanno che in quel paese si ])arlano lo sve-
-;ala interna di-
dese e il fìnno. Anche nei licei moderni però si può imparare il greco
invece del russo da quegli scolari, che vogliono dedicarsi a studi filo-
logi o teologici.
Le scuole si aprono di settembre e si chiudono col 31 maggio. Alle
vacanze estive si aggiungono venticinque giorni a Natale e alcuni altri
pochi a Pasqua e a Pentecoste e un giorno di riposo obbligatorio
ogni mese.
Qualunque studente di liceo classico o moderno, che ripete due
volte vni corso senza poter passare a un corso superiore, è radiato per
sempre dalla scuola.
IN FINLANDIA CON I/AMICO COCCHI 45
L'istruzione primaria è urbana e rurale e vi sono anche scuole
ambulanti, che portano nei luoghi deserti l'alfabeto della scienza. In
qualunque luogo, dove sieno trenta fanciulli in età da frequentare la
scuola, il Comune ha l'obbligo di creare il distretto scolastico e nessun
maestro può avere contemporaneamente sotto di sé più di cinquanta
scolari, i quali jiagano pochissimo, quando non ne siano dispensati
per povertà, e quel poco va a benefìzio dei maestri. I locali di queste
scuole rurali sono spaziosi e ben aereati, con jiiccoli quartieri per il
maestro, che maschio o femmina, deve aver fatto gli studi in una
scuola normale, e se studiò nel solo liceo, deve però essere approvato
da una scuola normale. Le scuole urbane si distinguono in popolari
elementari e in popolari propriamente dette; le prime frequentate da
bambini dai sei ai dieci anni di età, le seconde da ragazzi dai dieci
ai quattordici anni. Ciascun sesso ha le proprie. Ai giovanetti, che
devono imparare un mestiere e passare la giornata nell'officina, sono
aperte le scuole serali.
In questi ullimi tempi si sono fondate alcune scuole speciali, che
si chiamano priinuri.e superiori e che sono aperte da novembre ad
aprile. Vi si ammettono studenti d'ambo i sessi dai diciotto ai venti
anni, e che pagano dalle quindici alle venti lire all'anno. Queste
scuole, mantenute da privati, danno un'istruzione più larga a quelli
che, volendo dedicarsi all'agricoltura, vogliono una coltura più pro-
fonda di quella che si dà nelle scuole agrarie.
L'Università finlandese, fondata in Abo da Per Brahd, fu distrutta
nel 1827 da un terribile incendio che ridusse in cenere tutto un tesoro
<ii libri, di manoscritti e di cimelii preziosissimi. E fu allora che se
ne costrusse una nuova in Helsingfors. che riunisce in sé l'osserva-
toilo. la biblioteca, le cliniche, il manicomio modello. Essa è auto-
noma ed è amministrata da un Consiglio che ha per capo un rettore di
turno. Conferisce i gradi accademici e le lauree con solennità antica,
nell'aula magna, in forma pubblica alla presenza dei dignitari, con
imposizione del berrettone, della toga, con l'anello e la corona d'alloro.
Essa conta quaranta professori ordinari, venti straordinarii e sessanta
professori aggiunti o docenti, oltre un gian numero di lettori, di
assistenti e di conservatori di musei, ecc.; tutto un esercito di grandi
operai delle scienze.
Accanto all' università, che è di un'architettura solenne e gran-
diosa, troviamo il palazzo o la casa degli studenti, magnifica anch'essa,
e che è una specie di club o di casino per uso esclusivo degli studenti,
che vi si radunano per studiare e per conversare.
L'Università finlandese fra le sue dipendenze ha anche delle sta-
zioni polari per studiarvi il magnetismo terrestre, l'induzione elettro-
magnetica del sole sulla terra, le aurore boreali e tutti quei grandi
fenomeni, che non si possono studiare che nelle regioni misteriose
del jiolo.
* *
11 nostro Cocchi ha toccato di volo l'arte finlandese e di certo non
:si potrebbe pretendere da lui, che con un soggiorno breve e in un
sol volume egli potesse dare fondo a tutta una monografia della Fin-
landia. Egli però si è soffermato con amore all'esame della poesia e
specialmente di quel grande poema, Kalei^ala, che fu cosi profonda-
mente studiato dal nostro Compa retti e clie si ])otrebbe battezzare per
la Bibbia dei Finni.
46 I.V FINLANDIA CON l/ Ali ICO COCCHI
In un'appendife eyli ce ne dà alcuni brani tradotti la italiano e
che vorrei almeno in parte riportare in questa breve rivista, se lo
spazio me lo consentisse. Meglio sarà che i lettori della Xttoua Anto-
logia li ricerchino coi propri occhi e ne avranno un grande diletto,
spaziando in un mondo mistico, tanto lontano da noi nello spazio e
nel tempo: ma che è pieno di una jìoesia nebbiosa, evanescente, grande
come i misteri del polo e affascinante ai)punto, perchè piena di fan-
tasmi giganteschi, ma pur sempre umani. E i fantasmi in ogni tempo
e in ogni terra scrissero poesie e poemi piii delle storie, e se la Bibbia
e la Divina Commedia non fossei'o piene di fantasmi, non sarebbero
i due più grandi libri della biblioteca umana.
Ciò che sorpicnde un lettore di lazza latina nel leggere il libro
del Cocchi, nel cercai' di vedere in quelle pagine il profilo dei fin-
landesi, è il contemplarne la serena onestà.
Case di ricchi e capanne di poveri son sempre aperte di giorno
e di notte e qua e là la gruccia e il saliscendi tengono il posto delle
toppe di sicurezza e delle nostre complicate serrature. E voi vedete
ville signorili campate in campagne deserte, senza cancelli dalle punte
crudeli e senza porte ferrate per difenderle da ladri che non esistono.
E il Cocchi percorre solo campagne e boschi, senza aver bisogno di
armi o di coraggio, perchè sapeva di trovarsi in un paese tutto di
onesti e dove non si incontra mai, come tra noi, un odioso, ma pur
tanto necessario rappresentante della forza. E il nostro autore vide
nelle case dei contadini, degli ojierai, da per tutto, scene di famiglia
tenerissime, bambini cullati o imboccati da vecchi e fanciulli che bal-
bettavano il sillabario fra le ginocchia del babbo. Non è senza orgo-
glio che ogni cittadino della Finlandia vi dice: noi non abbiamo anal-
fabeti, ed è con tristezza profonda e invidia grandissima che leggo
nelle statistiche, che il suicidio è in Finlandia rarissimo (1 per 10(),(X)0)
e vedo cosi bianche le pagine, che devono registrare le cifre del delitto.
Triste davvero questa fisica sociale, che c'insegna che il freddo è un
educatore del cuore, un calmante delle passioni, un preventivo del
delitto ! Il ghiaccio è dunque miglior maestro di morale del prete e
del carabiniere e per non peccare conviene mettere la co.scienza in un
refrigerante e le mani sotto la neve. Ma è proprio così. Il freddo
rallenta la vita e può anche spegnerla, e il delitto, come l'amore, come
il genio, è una forma della vita, che suda o si arroventa. Forse la
civiltà futura troverà modo di farci onesti senza metterci in ghiaccio.
Paolo Mantegazza.
MATERNITÀ
DRAMMA IX QUATTRO ATTI Hi
PERSONAGGI.
Marchesa Claudia di Montefranco. Suor Filomena.
Marchese Alfredo di Montbfrani'o Olghina.
Maurizio Dorixi. Filippo.
Il Duca di Vigen.\. Decio, domestico di Maurizio Dorini.
Rosalia. Un servo del March, di Montefranco.
Teresa. Tre bimbi.
EPOCA ATTUALE — A XAPOLI E PRESSO NAPOLI.
ATTO PRIMO.
Un salotto da celibe in casa di Maurizio Dorini. — Una porta in fondo.
Una porta laterale. — Una Bnestra. — Alla porta in fondo una pesante portiera
a guisa di cortina.
SCENA I.
Olghina, Decio, la voce di Maurizio.
Olghina — {entra dalla porta laterale con hi capo il cappello, ab-
bottonandosi l'abito. Apre la finestra. Bespira giocondamente). Ah !
che bella giornata! (Tocca il bottone del catnpancllo elettrico).
La voce di Maurizio. — Non tare complimenti, Olghina. Comanda
qnello che vuoi.
Olghina. — Non faccio complimenti. Grazie.
Decio — (entrando dal fondo). Caffè nero? Caffè e latte '^ Cioccolata?
Tè"? Burro? Confettura?
Olghina — (timida). Del caffè e latte e del burro.
Decio — (esce).
Olghina — (siede dinanzi a un tavolino e aspetta).
La voce di Maurizio. — Olghina. hai dimenticato i guanti.
il) Siamo grati all'Autore di questo lavoro, che ebbe sì favorevole accoglienza
sulle scene italiane, per aver consentito ad attenuare il verismo di alcuni punti
ed a modificare certi brani nel testo che pubblichiamo sulla nostra Rivista, seb-
bene le modificazioni fatte rendano, secondo lui. qua e là, meno snello ed efficace
il dialogo. Il testo autentico sarà pubblicato in volume.
{.V. II. D.)
48 MATERNITÀ
Olghixa. — Portameli tu se tiai fatto il tuo bagno. Mi manderesl i
via senza salutarmi ?
La voce di Maurizio. — No. cara. Mi vesto e vengo.
Decio — (ritorna. Porta e mette sul tavolino un vassoio co)i tuffn
Voccorrente). Faccio io"?
Olghi.xa. — Fate voi.
Decio — {servendo). Basta zucchero?
Olghina. — Basta.
Decio. — Basta latte?
Olghina. — Basta.
Decio. — Basta caffè "?
Olghina. — Basta.
Decio — (ind'cando). Basta pane e burro?
Olghina. — Sì, basta.
Decio. — Tutto a discrezione. Questi sono gli ordini che ho ricevuti.
Olghina — {cerimoniosa). Troppa cortesia!... {Chiamando) Maurizid!
La voce di Maurizio. — Amore mio !
Olghina. — E tu non pigli niente?
La voce di Maurizio. — A quest'ora, mai. Sarebl)e come un veleno
per il mio stomaco.
Decio. — Fa colazione ogni giorno alle dodici precise. E alle dodici
meno un minuto beve un bicchierino di aperitivo. Questa è la
regola. Ah ! Lui è un orologio. Vi ci troverete bene. Tutto sta a
capire le sue abitudini, lo mi ci trovo bene perchè le ho capite. È
vero che una cosa è fare il domestico è un'altra è fare... quello
che fate voi. Ma abbiamo dei doveri tutt'e due...
Olghina. — Io spero di accontentarlo. È cosi buono !
Decio — {confidensiabnenté). E poi le tratta bene le donne. Nessuna
si è mai lamentata.
Olghina. — Ne cambia spesso?
Decio. — No. '
Olghina. — Si vede che è molto delicato.
Decio. — Le tratta, vi dico, come se fossero sua moglie.
Olghina. — Difatti, me ne sono accorta. Non mi ha dato quasi nes-
suna noia.
Decio. — Avete dormito bene?
Olghina. — Benissimo.
La voce di Maurizio. — Decio! Decio! Prepara i manubri.
Decio — {da un angolo della camera, prende i manubri, il porta nel
mezzo e li spolcera).
Olghina. — A che servono ?
Decio. — Fa la ginnastica per riscaldarsi.
SGENA II.
Maurizio, Olghina, Decio.
Maurizio — (entra dalla porta laterale fregandosi le mani. Cava di
tasca un paio di guanti e li porge a Olghina). I tuoi guanti.
Olghina. — Come sei gentile !
Maurizio. — Chi è che ha aperto quella finestra?
Olghjna. — lo.
Maurizio — (rabbrividendo). No, bambina! Non lo fare più. Dopo il
MATERNITÀ 49
bapno freddo una tinenlra spalancala è la morie. Chiudi. Decio!
Chiudi.
Decio — {esegue).
Oi.GiiiNA. — Scusami. Non sapevo.
Maurizio — {cominciando le snc esercitazioni con i manuhri). Mi jier-
metti, eh f
Olghina — {bevendo l'ultimo sorso). Ti prego.
Maurizio. — Ho dei brividi addosso e hisogna che affretti la rea-
zione, altrimenti mi busco un malanno. Già, è così : se non dormo
le mie otto ore di seguito, resto sconcertato. Sbarazza, Decio.
Decio — (a Olghina). Basta zucchero"? Basta caffè"? Basta latte? Basta
pane e burro 'i?
Olghina. — Non desidero altro. Sbarazzate.
Decio — (esegue).
Maurizio — (a Decio die sta per uscire). Ehi! alle dodici...
Decio. — Colazione.
Maurizio. — Alle dodici meno un minuto...
Decio. — Aperitivo. (Via dal fondo).
{Un silenzio).
Maurizio — (è tutto intento alle esercitazioni ginnastiche).
Olghina. — Ne hai per un pezzo"?
Maurizio. — Ancora un poco. Ma hi parla pure
Olghina. — Volevo domandarti...
ìMaurizio. — Domanda, caia.
Olghina. — Non hai da lamentarti di me"?
Maurizio. — No. cara.
Olghina. — Temevo che...
ìMaurizio. — Ma no.
Olghina. — Hai detto di non aver riposato al)l)aslanza.
Maurizio. — Su questo ci accomoderemo.
Olghina. — Certo.
Maurizio. — La cosa che m'impensierisce un pochino è uiraltra.
Olghina. — Dimmela subito.
Maurizio. — Noi non ci vediamo che tre volle la settimana.
Olghina. — L'hai voluto tu.
Maurizio. — E così dev'essere. Chi tocca la (luai-anlina deve fare
economia di emozioni...
Olghina. — E dunque"?
Maurizio. — Ma probabilmente tutti gli altri giorni non resterai... sola.
Olghina. — Sei geloso"?
M.^urizio. — Neanche per sogno. Senonchè, io vorrei sapeie chi è che
li terrà compagnia. Con certe cose, non si scherza.
Olghina. — Quando qualcuno mi farà la corte, io te ne informerò. E
se egli non ti garba, lo manderò al diavolo.
Maurizio. — Questo significa essere una ragazza a modo.
Olghina. — Che se poi è di tuo gusto...
Maurizio. — lo chiuderò un occhio, ed egli ne chiuderà un altro.
Olghina. — Però... pensavo...
Maurizio. — Tu pensavi "? È un bel fenomeno !
Olghina. — Sujiponiamo che ciascuno chiuderà l'occhio che deve
chiudere.
Maurizio. — Supponiamolo.
Olghina. — Potrà darsi il caso che io...
4 Voi. evi, Serie IV . 1° IngUo 1903.
r^ MATERNITÀ
Maurizio. — Che tu...'.'
Oi-GHiNA. — TjO dicono tutti fhe somiglio a mia madre quando era
giovane !
Maurizio. — Brava!
Olohina. — Mia madre alla mia età cominciò ad aver figliuoli.
Maurizio — {lasciando d' mi colpo i matitthri die cascano rumorosa-
mente). Eh"?
OlCtHINA. — Se ne ho uno io. olii sarà il padre"?
Maurizio. — Nessuno!
Oi.ohina. — Come nessutto ?
Maurizio. — Ma che idee malinconiche adesso ti passano per la mente"?
Mi sentivo meglio, ed ecco che il sangue mi è affluito alla testa.
Avrò l'emicrania tutta la giornata.
Olghina. — No. non temere, lo non sarei una di quelle che. col pre-
testo dei bimbi, si aggrappano agli uomini e diventano un eni-
piastro. Non te ne darei mai dei fastidii.
{Pausa).
Maurizio — {preoccupato). Non è questione di fastidii. (Mettendo a
posto i manubri) Ciò che hai detto, bambina mia. è più serio
che tu non creda, perchè, in sostanza, se quel caso si desse, non
ci saiebbe nemmeno da seguire... l'impulso della propria coscienza !
Come diavolo si potrebbe appurare la verità"?
Olohina. — Appunto. Hai ragione tu. Nessuno sarebbe il padre.
Maurizio. — Senti, visto che ci sono di queste probabilità, lasciamo
andare. Meglio non vederci pili.
OuGHiNA. — Sei cattivo!
Maurizio. — Se fossi cattivo, farei il comodo mio! Invece no. lo mi
conosco. Con un tale pensiero nella testa, io non vivrei più in
pace. Ne. piglierei una malattia. Senza dire poi che diventerei...
inabile a qualunque pratica galante! No. no! Non ci dobbiamo
più vedere.
Oi.GHiXA. — lo mi ci sono affezionata a te.
M.U'Rizio. — Di già"?!
Olghixa. — Stiamo insieme da undici oie...
Maurizio. — Hai l'affetto galoppante!
OuGHiNA. — E non voglio finirla. Tu mi tratti bene. Mi tratti come
una signora... come una moglie... E piuttosto che finirla, prefe-
risco... che nessun altro mi faccia la corte.
Maurizio. — Io ti ringrazio del gentile pensiero, ma con questo non
si risolve il problema.
Olghina. — Al resto penserò io.
Maurizio. — A che cosa vuoi pensare tu '?
Olghina — {dopo un istante di riflessione, decide). Allora... te lo pro-
metto : non farò come mia madre.
Maurizio. — Ora sì che possiamo intenderci. Sei veramente una l'a-
gazza a modo. Qui, qui, un bacetto, e a rivederci.
Olghina — {gli dà un bacio). A domani sera?
Maurizio. — A domani sera, carina.
Olghina — [esce dal fondo).
Maurizio — {toccandosi le tempie). Ahi, ahi, ahi! L'emicrania!... un
poco di riposo mi gioverà. {Si stende sopra il canapè).
MATERNITÀ 51
SCENA III.
Maukizio. Decio. donna Claudia.
Decio — {entra lemme lemme con la sua aria stupida).
Maurizio. — Non disturbarmi, Decio. Ho l' emicrania. Finché non
viene il marcliese di Monlefranco, lasciami liposare.
Dkcio. — Non posso. Di là, ce n'è un'altra.
.Maurizio. — Ce n'è un'altra!?
Decio. — Un'altra donna. Per un punto non si sono incontiale
tutt'e due !
Maurizio. — E chi è '?
Decio. — Non ha voluto dire il suo nome, io non volevo riceverla,
perchè sapevo che... essendoci stata quella lì... era pei lettamente
inutile... imjìortunarvi. Ma ha insistito.
Maurizio. — Che aspetto ha ?
Decio. — Buono.
Maurizio. — Che vuoi dire buono?
Decio. — Belloccia... Elefante...
Maurizio. — Una... delle solite"?
Decio — (fìlosofìramente). Chi io sa! A me come me non c'è nessuna
donna che non sembri una delle solite.
Maurizio. — Giacché ti sei preso 1' incarico di annunziarla, la devo
ricevere per forza. Falla passare.
Decio — {via).
Maurizio — {tra s'è). Santo cielo! Chi è che viene a seccaimi a (pic-
st'ora "?
Claudia — (entra dal fondo).
Maurizio — {scatta in piedi in un sussulto di meravifilia). \'oi. mar-
chesa !
(Claudia. — Vi sembra strano che io vi faccia una visita "?
Maurizio — {confuso). Non lo nego... Mi sembra stranissimo... lo non
ho mai sperato d'avere quest'onore... E poi... alle undici del mat-
tino... Non so... Non intendo... E vi chiedo peidono. marchesa...
della mia... delle mie... dei miei...
Claudia. — Dei vostri?
Maurizio. — No. Del mio imbarazzo, ecco. Accomodatevi ; vi prego,
accomodatevi... lo sono mortificato di dovervi ricevere in (piesto
disordine, in questo piccolo salotto... Se l'avessi saputo...
Claudia. — L'avreste fatto ingrandire?
Maurizio. — Sì !... Cioè... Forse... Scusatemi, marchesa, io sono emo-
zionato !
Claudia. — Ma non c'è di che. Calmatevi. Prendete fiato.
Maurizio. — Non vi è accaduto nulla di grave ?
Claudia. — Nulla, nulla. Non vedete che sono sorridente?
Maurizio. — Lo vedo. Siete molto sorridente. E allora... io non mi
spiego la vostra... preziosa... inaspettata... inverosimile presenza
in casa mia. Certo, io sono un vostro antico e devoto servo, sono
l'amico più intimo di vostro marito ; ma sono anche...
Claudia. — Lino scapolo.
Maurizio. — Uno scapolo. È la verità.
.^"2 MATHHNITA
Ci.vi'DiA. — R una signoia che alle umlici del niaUiiio l)iissa alla pnita
(li imo scapolo è una si<j:uoia... Aiutatemi a dire...
Maliuzio. — Dite, dite voi.
Clai'dia. — È una signora... iiiuttoslo bizzarra.
MALiHizro. — E piuttosto imprudente, mi permetterei di agginn<iere
Claudia. — Aggiungete senza cerimcmie.
Maurizio. — Imprudente, intendiamoci, dal punto di vista delle con-
venienze sociali. La marchesa di Montefranco - questo è asso-
dato - è tale donna da costringere al rispetto i più audaci; e io
sono tale uomo da rispettare...
(Claudia. — Anche le signore che vengono a vedervi alle undici del
mattino f
.M.vuRrzTO. — Marchesa... luia donna come voi è rispettabile a tulle
le ore.
Claudia. — Resta a sapei-e se a tutte le ore è rispettoso un uomo
come voi.
Maurizio. — Certamente.
Claudia. — Mi fa piacere di appienderlo. E poiché avete di me e di
voi questa magnifica opinione, io ne profitto e vi chiedo un i»)'
di ospitalità. {Siede).
M.VURiziO — {sempre più confuso). \'oi, marchesa di Montefranco, chii'-
dete ospitalità a questo misero mortale"?
Claudia. — Vorreste... indorale la i)illola della paura.
Maurizio. — lo non indoro niente.
Claudia. — Ma che abbiate paura, si vede a occhio nudo.
Maurizio. — Tutt'altro ! Soltanto io supplico la vostra cortesia di uoii
tacermi più oltre il motivo per cui vi de.miate di chiedermi ospi-
talità.
Claudia. — Se io fossi nei vostri |)aiini, la concederei subito e illi-
mitatamente. (Cow- grazia umoristica) È vero die voi siete ri-
spettoso e io sono rispettabile: ma la rispettabilità d" una donna
non è che un pallone di carta. Un vento lo dirige di là. un altro
lo dirige di qua... Poi a un tratto si brucia in aria o si sgonfia
e... cade do\e meno lo credett'.
Maurizio — (sudando freddo). Marchesa !...
Claudia. — Dio buono, non vi turbate di nuovo. Vi pare forse che
la caduta sia imminente 1
Maurizio. — Marchesa!...
Claudia. — Parola d'onure. se tutti i mariti avessero degli amici in-
timi come voi, le povere mogli mi farebbero pietà! Ma rassicu-
ratevi. Il pallone di carta è ancora gonfio. È ancora su. Non sono
qui per offrirvi la mia mano sinistra.
Maurizio. — Ne ho la profonda convinzione.
Claudia. — Io sono qui, a quest'ora, esclusivamente perchè so che
a quest'ora, di solito, ci viene mio marito.
Maurizio. — E appunto perciò mi par d'essere sui carboni ardenti.
E indiscutibile che se egli vi trova in casa mia, sarà un fatto or-
ribile ! lo non saprò come regolarmi, non saprò come salvarvi...
Claudia. — Siete d'una esperienza commovente ! Quando verrà Ini,
io mi nasconderò. Si capisce.
Maurizio. — Vi nai;conderete ";" !
Claudia. — E ascolterò, dalla prima alluUima parola, la vostra con-
versazione.
MATERNITÀ 53
Maurizio — (cominchindn a mccapeszarsi). Ah !... Questo è il vostro
progetto ?
(Ii.AUDiA. — Voi siete il confidente di mio marito. Egli è con voi come
con un fratello. V'i racconta tutto. \'ì la i suoi sfoghi. Vi rivela
(luel che pensa, quel che sente, quel che desidera, quel che vuole,
quel che gli passa pel capo anche fugacemente, quel che per la
pigrizia della sua coscienza non rivelerebbe forse neppure a se
stesso ;ed io. nascondendomi dietro un uscio di casa vostra quando
egli è qui. apprenderò tutto ciò che non potrei apprendere altri-
menti. Né più, né meno. Che ve ne pare ?
.Macrizio. — Un agguato !
CiAiDiA. — Un po' di fotografia istantanea che una moglie applica
al cervello di suo marito. Il congegno è nuovo, semplice, carino,
e di successo sicuro.
Maurizio. — Ci vorrebbe poco a guastarlo, per altro.
Claudia. — Lo so. Basterebbe che avvertiste in tempo il vostro amico,
dicendogli: «Attento che tua moglie è qui: è dietro quell" uscio,
ti ascolta... » Ma voi non glielo direte.
Maurizio. — Glielo dirò!
/^.laudia. — E avrete poi il modo di provare j)ositivamente che la mia
^' venuta in casa vostra non sia stata un" im])rudenza di amante"?
La vostra denunzia parrebbe un espediente trovato con soverchia
furberia per iscansare l'eventuale pericolo della scoperta: e ogni
sforzo per dimostrargli la \erità parrebbe, viceversa, artificio e
menzogna. Voi com])rometlereste me. lo comprometterei voi. Tutt'e
due comprometteremmo lui. E vi avverto che ci metterei tutta la
mia buona volontà a compromettervi per vendicarmi della vostra
denunzia.
.Maurizio. — Sicché?
Claudia. ^ 0 passare per il mio amante senza esserlo e subire tutte
le conseguenze della compromissione, o rassegnarvi, almeno pei-
una volta, a essere più ^mico mio die di mio marito.
Maurizio. — 0 la borsa o la vita?!
Claudia. — Precisamente.
ìMaurizio. — Ma passare per il vostro amante senza nemmeno esserlo.
sarebbe d'una gravità eccezionale !
Claudia. — Pettegolezzi, responsabilità, duelli, processi 1 E, per giunta.
una figura alquanto odiosa al cospetto della società...
Maurizio. — Alquanto ridicola al cospetto mio!
Claudia. — Scegliete.
Maurizio. — Sarò il vostro conqilice. marchesa!
Claudia. — E farete una buona azione.
Maurizio. — Credo nondimeno che la mia complicità non approderà
a niente. La vostra fantasia di moglie diftìdenfe immagina chi sa
quali conversazioni sovversive fra me e lui. Sì, di tanto in tanto,
è possibile ch'egli mi faccia delle confidenze, che mi chieda o mi
dia dei consigli, che mi apra l'animo suo: ma dai nostri colloqui
non vengono mai fuori rivelazioni o indizi di cui voi, che avete
molto spirito e poche rosee illusoni, vi potreste meravigliare o
d(jlei-e. D'altronde, stamane egli potrebbe parlarmi di cavalli, di
autoM'.obili, dei sospetti che desta la vena di Mario Corlini ; po-
ti('bl>e parlarmi, non so. di tutto, fuoichè di ciò clic v'interessa,
fuorché di ciò che é oiigctlo dei xoslil (lul)bii ; e in lai caso io
54 MATRKNITÀ
avrei tnuiito ramicizia senza neaiii'he la sotldislazioiif d'avervi
reso un servigio. Via. marchesa, rinunziate.
("-i.Ai'DiA. — Mio carissimo amico di mio marito, se i miei calcoli non
sono sbagliati, egli, stamane, non vi parlerà ne di cavalli, né di
automobili, né di baccarat. \'edrete. L'uomo più scaltro è sempre
un po' un fantoccio nelle mani di una donna, sia pur essa la più
ingenua. Io non sono ingenua, e mio marito non è scaltro. R
convinto di esserlo, ma non è. (Confondere lo scetticismo con la
scaltrezza è un ei'rore. Io ho data la corda al mio fantoccio, e per
oggi egli non vi parlerà di cose futili. Del resto, gliel' ho data
senza nessuna maligna premeditazione. Ho compiuto anzi un mio
dovere, annunziandogli un fatto molto serio e per me anche molto
bello ! Il suo contegno mi ha paralizzata. Ho sentito il bisogno
di conoscere tutto infero il suo pensiero. Ne ho sentito il diritto.
P^i'a breve, lo conoscerò. E non c'è altro.
Maurizio. — Tutto questo, marchesa, è d'una solennità che m'im-
pensierisce, che mi sconvolge.
Claudia. — Io vi assicuro, mio buon Maurizio, che. mentre vi parlo,
nessuna donna è più felice di me.
Maurizio. — lo participerei volentieri alla vostra felicità se mi fosse
consentito di non trovarmi qui. vicino a voi.
Claudia. — th-edele dunque pro|)rio che stia per cascare il mondo?
Maurizio. — 11 mondo, no ; ma una tegola sul mio capo, si. Io ne
ho il presentimento.
Claudia — (alandosi}. Guardatemi in faccia e avrete invece il pre-
sentimento più lieto che si possa avere.
Maurizio. — Ma è permesso almeno di saper la ragione della vostra
insuperabile felicità .'
Claudia — {con (ili ocelli pieni di luce). Una ragione grande grande
grande !
Maurizio. — Che non volete ilii'ini .'
Claudia. — Ve la dirà lui, non dubitate.
Maurizio — {solibahondu). A proposito!... Egli può capitarci addosso
da un momento all' altro. Entra spesso senza farsi anmmziaie.
Per carità, marchesa, non ci lasciamo .sorprendere ! Avete defini-
tivamente deciso di aspettarlo?
Claudia. — Ne dubitate ancora ?
Maurizio. — Ebbene, se siete irremovibile, nascondetevi subito, e che
Dio mi protegga ! {Indicando f uscio laterale) Qui, qui...
Claudia — {prima di aprire, maliziosamente). Che camera è questa?
Maurizio — {i mìiarazzatissimo) . Marchesa, è la mia camera... da letto.
Ne sono dolente, ma è cosi. È la .sola che sia attigua al mio salotto.
Claudia. — Meglio! È la camera più conqirometteiite. Ciò mi garantisce
la vostra complicità. {Apre. Guarda). C.amera da letto... per due?
Maurizio. — Io... di notte... ho l'abitudine di...
Claudia. — Di raddoppiarvi ?
Maurizio. — Press'a poco, marchesa.
Claudia. — Meraviglioso !
Maurizio. — Mah !
Claudia — {uscendo). Vi raccomando, Maurizio. Lasciatelo parlare.
Maurizio. — Io ne piglio una malattia !
Claudia — (chiude).
MATERNITÀ
SCENA y\\
Maluizio. Decuo. indi Au'kkdu.
Maiirizio — [in (jrande orgasmo, tocca due, tre. quatlro vuìfe urgente-
mente il fiottone del campanello elettrico).
Decio — (entrando, assume il suo aspetto di serco esperto).
Maurizio. — Decio... la signora di poco fa se n'è andata.
IJecio. — Diciamo così, la seconda signora.
Maurizio. — La seconda signora.
Decio. — lo, non 1" ho vi-sta uscire.
Maurizio. — Perchè sei uno stordito. {Martellando le parole} Se ne è
andata !
Decio — {ride}. Eh, eh, eh!
Maurizio. — Non ridere ([iiando ti do degli ordini.
Decio. — Se ne è andata.
Maurizio. — Se viene il marchese di Montetianco. \n\ò entrare libera-
mente come al solito.
Decio. — 11 marchese è venuto un minuto tii.
Maurizio — {spaventato}. Santi numi! E che gli hai (h'tloV
Decio. — L'ho pregato di aspettare un momentino.
Maurizio. — Non gli hai detto altro".'
Decio. — Non una parola di più. Conosco i miei doveri.
Maurizio. — \'a! Presto! Chiamalo! Presto! Decio! Muoviti! Muovili!
Decio — (esce correndo).
Maurizio. — Io ne piglio una malattia !
Alfredo — (entrando). Come! Sei solo'.'
Maurizio. — 0 perchè non dovrei essere solo";?
Alfredo. — 11 tuo servo mi ha fatto aspettare.
]\1aurizio. — Ti domando mille scuse. È stato un ecpiivoco.
Alfredo. — Egli aveva una certa faccia!
Maurizio — (accalorandosi). Ma che faccia si è [M'iiucsso di avere ([uel-
r animale?!
Alfredo. — La faccia del servo di un padrone che è in buona com-
pagnia.
Maurizio. — Io mi meraviglio di te che stai a guardare la faccia del
mio servo! Queir uomo è un bugiardo.
Alfredo. — Se non ha parlato !
Maurizio. — È un bugiardo sopratutto quando tace. Io non ero né in
buona né in cattiva compagnia. E ti prego di credermi. Domando e
dico: perchè non dovi'ei esser solo"?
Alfredo. — Ma tini.scila. .\vevo creduto che non ti fossi ancora libe-
rato dalla piccola Olga.
yi.\.vsR.uio — (rasserenandosi). Ah! Dalla piccola Olga:'... Difatti...
Alfredo. — Ma guarda che gesuita! Ci scommetto che per non far-
mela incontrare 1' hai mandata via, alla chetichella, per la porla
di servizio !
Maurizio. — R probabile.
.\lfredo. — Come se io pi)i non fossi al corrente di tutto! Tre volte
la settimana! Lunedì, mercoledì e venerdì. Oh! Hai fatto un buon
contratto. Olghina è un'oca, ma ha delle attrattive. Quasi inedita,
salute eccellente...
ó(j ' MATERNITÀ
Maurizio. — Ottima salute, questo si.
Alfredo. — Ieri sera mi fece ridere tanto l'Elvira Melfi, curi cui Olsi-hina
si era consigliata. tJià, il salotto della Metti è diventalo di\erten-
tissimo: una specie di Borsa in cui...
Maurizio — (dando uìi'occhiafd alla porta a destra e interrompendo
vivacemente). Hai visto il l'isultato della gara Parifii-Vienna"' Il
trionfo delle Mercedes! Ma le Panhard si sono battute bene! lo,
per me, sono sempre per le F^anbaid. p] vero clie non possederò-
mai un automobile, ])erchè l'automobile è decisamente il meno
igienico dei veicoli. Chi ci sta dentro non ha come respirare. Clii
non ci sta dentro ne è investito. L'uno crepa d'asfissia, l'altro si
rompe la nuca, quando non se la rompono l'uno e l'altro. Tutto
ciò non è igienico... Ma non importa. Io sono per le Panhard. Se
mi si condanna ad andare in un automobile, io vado in una Pan-
hard. È inidile! La sento così. Le corse non provano niente. Mi
dirai: la velocità, l'er conto mio, potrei rispondere: io della velo-
cità me ne impipo. Ma comprendo che i miei gusti nOn faiuio
legge! E neppure 1" igiene fa legge! La migliore igiene, del resto, è
((nella di scomodarsi il meno possibile. La questione della velocità
è ritenuta di iJiimaria importanza '.' Ebbene, ragioniamone un po'!...
Alfredo. — Ma che diamine hai con gli automobili'?
Maurizio. — No, volevo assodare che...
Alfredo. — Mi sembri uno scimunito stamane. La buona salute della
piccola Olga ti ha dato alla testa. Si vede che invecchi. Lascia
stare gli automobili, e dammi retta, pei'chè ln) da parlarti di cose
molto stabili.
Maurizio — (paurosamente). Parla, parla.
Alfredo. — Dunque...
Maurizio. — Scusa però una bi'eve sospensiva |)er soddisfare una cu-
riosità. Come è andata Jeri sera la partita"? Che giuoco ha fatto
quel buon Gorlini"? Bada che io sono uno di quelli che lo mande-
rebbero dritto in Corte d'assise. Mi dirai: la fortuna ! Nix! Altro che
fortuna! S'intende che avrà guadagnato anche jer sera, e tu sarai
stato una delle vittime...
Alfredo. — Ma no. ma no, non. ci stetti iei'i sei-a al Club. Fui seque-
strato dalla Melfi e capirai...
Maurizio — {subito, a voce alta), lo sono uno di quelli che lo mande-
rebbero dritto alle Assise. Abbi pazienza: come mi spieghi...
Alfredo — {interrompendo). Vuoi sentire si o no ciò che lio da dirti"?
Maurizio. — Sono qui ])er ascoltarti.
Ai,FREDO. — E cerca di essere chiaroveggente perchè è pi'obabile che
tu debba un po' aiutarmi. {Siede).
Maurizio — {perplesso). Figurati! A tua disposizione. {Siede anche lui).
Alfredo. — Mio caro Ma inizio, io sono ini gi'and' nomo.
Maurizio. — Questa è una lenona notizia.
Alfredo. — Ieri, io avevo dei debiti... molti debiti! K oggi...
Maurizio. — Non ne hai più"?!
Alfredo. — Ne ho sempre. Ma posso farne degli altri.
Maurizio. — Non mi pare eccessivamente facile!
Alfredo. — Ti pari'à facilissinio (piando salirai che sono riirscito a far
la pace con mio zio.
Maurizio. — Pei'liacco! K iirr miracolo! K come (■ accaduto ciò"? Come
MATERNITÀ ■.)!
hai potuto calmare il suo sdej>no anuoso? Aveva giurato di iiou
darti quartiere. Ti aveva diseredato cosi <-i)rdialiiieiite. Aveva testato
in favore di cincjue ospedali.
Alfredo. — Gli ospedali, amico mio, sono spacciati !
Maukizio — (levando molto la voce). Immaoino la conlentezza di tua
moglie!
.Alfredo. — tUaudia non ne sa ancoia nulla. La pace è stata falla
mezz'ora la, e uscendo di casa non le lio voluto comunicare il mio
disegno. Oh! Un disegno estemporaneo! Un momento di genio!
Malrizio — (titiiha)ìfe). - -]je farai... una hella sorpresa!
.\lkredo. — K sarà per lei una i-agione di legittima fierezza, percliè.
bada che. in fondo, questo miracolo è proprio a lei che lo devo.
Maurizio — {interroga con gli sguardi).
Alfredo. — Non inclovini?
Maurizio. — No.
Alfredo. — Claudia mi lui rejialato un tìglio.
Maurizio. — All'impensata.'!
Alfredo — Repentinamente!
Maurizio. — Aspetta... tu mi fai ammattire... Rei>entinamente t'è ve-
nuto fuori un tiglio.'
Alfredo. — Non è ancora venuto, ila verrà. Questa mattina ne ho
avuto da lei il preannunzio uftìciale.
Maurizio — (ricorda le parole di Claudia). Ah. ecco! Ora intendo
tutto!... 0, meglio... non intendo quasi nulla. Tua moghe ti dà
un tìglio e tu fai la pace con tuo zio"/
Alfredo. — Sei ottuso. Non era solamente per la mia vitaccia che lo
zio mi aveva abbandonato. Che cosa lo aveva reso addiiittura im-
placabile' La sterilità di mia moglie... o la mia: quella della nostra
unione, insomma. Avere un pronipotino era stato il suo sogno, e,
dopo le mie prime scapataggini di marito, era sfata la sua formale
imposizione. Gli premeva |)ure che la stirpe continuasse, capisci. Lo
desiderava maschio, naturalmente, il continuatore: ma in via transi-
toria si sarebbe accontentato anche d'una femmina. Lui me lo aveva
detto a chiare note: « Se avrai un bam))ino. io ti perdonerò senza
restrizioni: se avrai una bambina, io ti perdonerò a metà ». Era
evidente che il perdono, tiadotto in cifre, sarebbe stato un ama-
bile accomodamento tinanziario durante la sua vita e avrebbe as-
sicurato per lo meno l'eredità alla jirole e l'usufrutto a me. Come
vedi, mio zio aveva avuto un modo molto jìiatico d'incoraggiare
la fecondità. E ti accerto che mi bastava di pensare alla sua pro-
messa per sentirmi...
Maurizio. — Non dire sciocchezze se vuoi che io ti ascolti.
.\i,FREbo. — Hai torto di chiamarle sciocchezze. Mio zio, con la sua
imposizione, aveva mostiato di essere un psicologo e un fisiologo
di prim'ordine. Egli avea compreso bene che la sua promessa mi
avrebbe fatto finalmente amare mia moglie.
Maurizio — {ostentando, a voce alta, un tono di convincimento). Ma
se l'hai sempre amata tua moglie! Senza averne l'aria, non hai
amata che lei. Non ti sei innamorato che di lei !
Alfredo. — Va là che non è vero.
Maurizio — {riscaldandosi, come per suggestionarlo), lo ti garantisco
che, in qualche momento di es])ansione siuceia. in (pialche mo-
mento di franchezza, tu me l'hai confidato.
58 MATERNITÀ
Ai.KHKDO. — Mai. mai. mai ! Xoii fi ho mai rietto una corbelleria simile!
Del resto, questo è un dettaglio che non ha importanza. La verità
è che il mio amore fu. per cosi dire, tiafo sprecato, e la .seconda
luna di miele non fu più produttiva fiella iirinia. Mi scoraggiai.
Mi rassegnai, lo e lei, (li comune accordo... tacemmo. E mia moglie
mi pareva così abituata... al silenzio, che quando poi, fatta che
ebbe una cura di bagni a l.schia. nell'isola dei tremuoti. mi ritornò
in casa con delle velleità affettuose e fece sorgere la terza luna di
miele, io non potetti a meno di sospettare di lei e di manifestare
a te, come a un fratello, i miei dubbi.
M.\LiR[Zio — {vivissimamente), lo non mi ricordo di nulla, e non te
ne ricordi neanche tu !
.Vi.KKKDO. — Ma io me ne ricordo perfettamente, ed è per questo che
mi do la pena di raccontarti i fatti miei. In uno di quei tali mo-
menti di franchezza, in uno di quei tali momenti di espansione,
che poc'anzi mi citavi a sproposito, io ti dissi di sospettare che
il non breve soggiorno di tllaudia nell' isola vulcanica l'avesse de-
cisa a fare il gran passo. Mi pento ora dello sfogo: ma tant'è. te
lo feci; e non c"è nulla di strano che io mi sia aperto con te, che
sei la sola persona innanzi alla quale non mi .sono mai messa la
maschera. Tu potresti attestare d'altronde che, nel dubbio, o nella
quasi certezza, ero giusto vei'so di lei. La trovavo colpevole '' No.
Le movevo rimprovero"? No. Anche perchè, poi, se lei non comin-
ciava ad essermi infedele che dopo dieci anni di costante infedeltii
mia, me l'ero cavata bene !
Maurizio. — Alfredo! Alfredo! Ti prego!...
Ai.KUKDO. — lo vorrei sapere come ti vengono oggi queste smanie ila
|iuritano?
Mal'rizio. — Anzitutto, io non sono mai stato un pervertito!...
.Vi.FREDO. — Questo è vero, ma per misura igienica !
Maurizio. — E poi, puritano o no. non ti permetto di parlare con tanta
leggerezza di tua moglie ! E tengo a dichiararti che io come io
ho sempre ritenuto che ella fosse insospettabile e invulnerabile !
Ai.KREDO. — Di" la verità : le hai fatto la corte e ti ha detto di no.
Maurizio. — Ti proibisco di continuare su questo tono !
Alfredo — {celiando). Se ti scaldi così, e" è quasi quasi da pensare
che....
Maurizio. — Sei noioso !
Alfredo. — Evvia ! Rammollito ! So quali riguardi bai per quella
donna : e te ne ringrazio.
Maurizio. — Ma devi conveniie cun me che il tuo sospetto era cam-
pato in aria.
Alfredo. — Campato in aria, no ! Quando una moglie, che abbia da
un pezzo esonerate^ suo marito da certi doveri, ricomincia un bel
giorno a coltivarlo, la faccenda può non esser liscia. Tanto piii
che la contemporaneità del marito e dell'amante non guasta nem-
meno la poesia d'un convincimento, in cui s'incontrano tutte le
donne. Il loro convincimento è che se ci sono delle... conseguenze,
queste son sempre dovute all'amante. .\1 marito, mai! Una illu-
sione di più ! Ma intanto il brutto è che il lìovero marito è co-
stretto a subire dei rit(»rni intempestivi per far piacere a quell'altro.
Questo, per esempio, è immorale ! lo non l'ammetto. Ed ecco
perchè, impensierito del ritorno di mia moglie, mi projiosi di sin-
MATERNITÀ 59
cerarmi. In fin dei conti, c"pra o non c'era l'amanle? E se c'era.
(•Ili era ?
,M AiKiz[o. — Ma |iercliè le dici a me (|uesle cose?
Ai.iiìEno. — Per concludere che ho avuto torto marcio di sospettare
e per confessarlo a te. a cui ebbi la (leb(dezza di esprimere i miei
dubbi e nel cui animo essi avevano potuto lasciare un qualche
verme roditore.
Maurizio. — Nessun verme, credimi.
Alfredo. — E sai com' è che oramai sono certo di avere avuto torto"?
Maurizio. — Dimmelo.
Alfredo. — Da più d'un mese io faccio pedinare mia moglie.
Maurizio — (spalanca gli occhi). Benissimo !
Alfredo. — Quel degno personaggio di Filippo, che mi è devoto perchè
gli debbo dei quattrini, la segue scrupolosamente, e giorno per
giorno mi riferisce a che ora esce, dove va. quello che fa...
Maurizio — (cercando di celare il suo turbamento). Benissimo !
.Vi.FREDo. — E sino a jeri, neanche la più lieve traccia di un amante.
Modiste, sarte, medici, delle visite innocue, delle passeggiate...
JIaurizio. — Sino a jeri?...
.\lfredo. — Ma giacché un mese d' indagini basta e ne avanza, sta-
sera ordinerò al mio lido esploratore di smettere l' inutile spio-
naggio...
Maurizio — (stentando a mostrarsi calmo). Dopo che ti avrà fatto l'ul-
timo resoconto, beninteso...
Alfredo. — R siccome sarà insignificante come gli altri...
Maurizio — (alliinto). Naturale !
Alfredo. — lo potrò vantarmi domani, mio caro Maurizio, di essere
completamente padre !
.Maurizio. — Che gio.ja !
■\lkredo. — Una gio.ja immensa! Quando slamane mia moglie, tutta
commossa e timida, mi ha data 1' inattesa notizia, io, non te lo
nego, sono limasto un 110' male. Non accade s]iesso di mettere al
mondo il primo figlio dopo dieci ainii di matrimonio. Ma ajipena
r immagine di mio zio, cioè di due milioni, è appai'sa dinanzi a
me, l'orizzonte mi si è rischiarati), e la maternità di mia moglie
mi è sembrata una delle opere più grandiose compiute dalla mo-
derna civiltà !
.M.\irizio — {con iiìì fìl di (Hìce). E adesso che ci dovrei fai'e io in tutto
questo idillio ?
Alfredo. — Tu, col tuo tatto, col tuo garho, dovrai affrettare gli av-
venimenti.
Maurizio. — Quali ?
Alfredo. — Mio zio si è lamentato della tua lunga assenza. Ha do-
mandato di te con tenerezza.
Maurizio. — Troppo buono, tuo zio !
Alfredo. — E quindi tu andrai da lui col pretesto di congiatularti
della pace fatta. Gli parlerai di me diffusamente. Gli dirai clie io
mi sono ti'asformato. che sono diventato un marito esemplare, un
liadre ifiijìareggiabile. . .
Maurizio. — Prima che sia nato il tiglio?
Alfredo. — Ma si. Il buon padre si dislingue anclie |)rima che il figlio
nasca. Si vede subito. Tu lo iiai già visto in me. E con rajuto
della tua perorazione i() indurrò mio zio. il (piale non ha (die
(io MATERNITÀ
seflaiifanni, a una emissione finanziaria provvisoria, per cui, al
postutto, egli nvih il vantap-gio di potersi godere la sua longevità ..
senza clie alcuno gliene serbi rancore. Ti va?
.Maiuizio. — Non mi \a molto; ma tu lo hai stabilito e cosi sia. Sa-
ranno menzogne dell'altro mondo !
Ali'kedo. — Non c'è che la menzogna per fare un po' di bene all'uma-
nità. {Alzandosi) E con questa piofonda sentenza tilosotica. me ne
vado. Vieni a colazione con me"?
Maurizio — {sodduurdaìido l'uscio a destra). No!... no!... a colazione
con te, non posso...
.Vlfhedo. — E allora ti saluto. Mia moglie mi asi)efta, e io voglio es-
sere gentilissimo con lei: pieno di delicatezze, pieno di pensieri
carini...
Maurizio. — Va', va'. Se ti aspetta, non ritardare.
Alfredo. — Ma perchè non vieni"? Un po' di platea mi piacereld»^
tanto ! Fammi questo favore.
Maurizio. — T' ho detto che non è possibile. Anzitutto, non mi sento
bene. Ho un peso alla testa... un altro al cuore... un altro allo
stomaco...
.Vlpredo. — Dil'atti, sei pallido.
Maurizio — (con siiì>ita)iea preoccupazione). Sono pallido"?!
.Vi. PREDO. — Si, abba.stanza. (lerca di non ammalarti pi()|)rio oggi. Più
tardi devi andare da lui. E stasera poi, a ))ranzo con me tutfe
due. E senza fallo! Mettiti un pochino a letto ora.
Maurizio — (guardando di nuovo, più che mai allarniato, la porla a
destra). No! A letto, no! (Ihe esagerazione!
Alfredo. — Ma cura la tua salute, i)erdinci! Tu non ti curi come
dovresti. E grazie, eh"?... Grazie anticipate! (Gii sfrini/r la maim).
Maurizio. — Carissimo Alfredo!
.ALFREDO — (s'avvia per uscire: indi a un Iratlo .sv' rolla). Ti senti
meglio "?
Maurizio. — Meglio, meglio! Sta" trancpiillo, mi senio meglio!
Alfredo. — Addio. (Esce).
SCENA V.
Maurizio e Claudia.
Maurizio — (ansiosamente va alla porla in fondo per assicurarsi
che Alfredo sia partilo : quiìidi corre alla porla laterale, come per
chiamar Claudia).
Claudia — (senza aspettare che etili la chiami, entra. Viso calmo, di
una calma disdegnosa fatta di profondo disgusto e di fierezza. Il
sarcasmo acre è sulle sue labbra, atteggiate a un sorriso amaro).
Maurizio — (agitatissimo e disfatto). Avete udito!"?
Claudia. — Ero qui per questo.
Maurizio. — La persona da cui vi ha latta seguire gli dirà ceitamente
che siete venuta da me.
Claudia — (fredda). Glielo dirà.
.Maurizio. — Tutto sommato, sarà meglio che glielo dica subilo io
stesso.
Claudia. — Non sarà uè meglio né peggio, perchè risulterà chiaro
MATERNITÀ 61
clic voi s:lielo avrete detto, in mancanza di iiilii espedienti, dopo
di avere appreso che io sono stata pedinata anclie stamane.
Mai itizio. — E allora"?... Che cosa facciamo?... In che modo ci sal-
veremo ?. . .
Claldia. — Cioè: in che modo vi salverete "? Quanto a me, non sento
punto la necessità di salvarmi. E non sarebbe neppure possibile
il salvataggio. Per mio marito, con o senza di voi, io sono già
una donna che ha un amante. Spero che la vostra perspicacia vi
abl)ia permesso di com]ìrendere ch'egli mi crede la più furba delle
adultere e che dal momento che io gli rendo il servigio di for-
nirgli il bamboccio per cui suo zio gli riapre le braccia e la borsa,
egli vuole perfino evitare il fastidio di sapere da che parte gli
venga la fortuna. Chi si deve salvare, dunque, siete voi, non
sono io.
Mal'kizio. — Donna Cllaudia. io lo avevo presentito che un grosso
guajo sarebbe accaduto !
Claudia — (sempre fredda, con una punta di grazioso umorismo).
Vi dispiacerebbe proprio molto di passare per il mio amante ?
^Ialrizio. — Voi avete il coraggio di burlarvi di me quando io mi
sento morire...
Claudia. — Rispondete, intanto.
iJAURizio. — Al «"onspetto di vostro marito, certo che mi dispiacerebbe!
Claudia. — E al conspetto degli altri, no?
Maurizio. — Al conspetto degli altri me ne vergognerei !
Claudia. — Grazie del complimento !
Maurizio. — Ma no! Voi fraintendete.... lo ne avrei vergogna e ne
sarei orgoglioso... Voi siete una donna per la quale un uomo...
Basta, non divaghiamo, ve ne prego... Datemi almeno un consi-
glio... .\jutatemi... Non mi lasciate solo in questa terriiiile situa-
zione...
Cl.vl dia. — Mio buon Maurizio, io sono diventata un ])o' egoista. Ho
sajiuto ciò che desideravo di sapere. Ho saputo che mio marito «^
molto più vile, è molto più volgare, è molto più spregevole di
(|uanto m'era parso sinoia. Io vi sono riconoscente della vostra cor-
lese condiscendenza e di tutto quanto, nel colloquio con lui, avete
rivelato di veramente gentile per me. .Ma non contate sul mio aiuto,
e, per quel che può riguardare la mia esistenza, non abbiate ne
scrupoli né paure. Io mi preparo a vivere della mia felicità, d'una feli-
cità che è soltanto mia. sempre più distaccata da lui - lo spero -.
sempre più attaccata al grande bene che tinalmente ho ottenuto da
me stessa ! lo non so, ora, con precisione, che cosa avverrà : ma
so che. dato il vostro temperamento, io vi ho piocuiata qualche
noja... Perdonatemi. E. non ostante il mio egoismo, iiermettete ch<'
da oggi in poi io vi chiami: amico. \'olete darmi as.sai cordial-
mente la vostra mano?
Maurizio — {mi po' commosso). Marchesa... (Le porge la mano).
Cl.audi.v — (ffliela stringe con effusione).
Maurizio. — Siete... una santa donna!
Claudia. — Santa, è troppo. Sono una donna... che è madre. .\ ri-
vederci .
Maurizio. — A rivederci.
02 MATERNITÀ
SCENA VI.
Decio, Maurizio, Claudia.
Decio — {entra difilato portando mi vassoio con tino, hottUfliu e un
hiccìiierino). Aperitivo! {Vedendo Claudia) Oh!?
.Maurizio. — Idiota!
Decio. — Mi avevate ordinato di eredere clie la signora non ci
era più.
Maurizio. — E ve l'ordino ancora !
Decio. — Posso annunziare ciie la colazione è |)ronta ".'
Claudia — (sorridendo). Potete.
Decio. — Pronta... per uno. (Serio e dignitoso, sogguard<tndn Clau-
dia, attraversa la camera e poggia il vassoio sul tavolino).
Maurizio — {pianissimo e rapidamente, a Claudia). Adesso, è neces-
.sario che io vi tratti come una cocotte.
Claudia — {con un moto istintivo di sorpresa). Cosa?
Maurizio. — State accorta! Bisogna far deviare la curiosità di questo
imbecille. La sua testimonianza potiebbe toglierci ogni speranza
di salvezza! (A Decio, che sta 2><'>' svignarsela) Restate li. voi!
Tenete su quella jiortiera. {A Claudia che .s'arria per ii.'icire)
Addio. Nini !
(Claudia — (si rotta con caricata civetteria inesperta).
Maurizio — {le manda un bacio sulle dita).
Claudia. — Addio. Nunù (imitandolo graziosamente, gli ricamhia il
bacio). E tanti saluti...
Maurizio. — A chi?
Claudia. — A Olghina.
Maurizio — (con un soprassalto), (ila!
Claui)l\ — (esce).
SIPARIO.
MATERNITÀ
63
ATTO SECONDO.
Salotto ol'unii fine elesanzii iiol>ilf>8eii in casa del maiflios.- ili Montefranco. -
Una porta in fondo. Una a destra. Una a sinistra. — A una parete. Tapparec
chio del telefono. — È sera. Ijumi accesi.
SCENA I.
Un servo, Filippo, indi .\LKHEno.
(La scena è vuota).
II. .-^ERVO — (entra dalla porta a destra, affacceìidato. Va al telefono.
Gira la manovella. - Tintinnio di risposta). Coniunicazioue col VHt:3.
(Dopo un istante, altro tintinnio). Con chi parlo"? {Pan.'sa). .Vile
dieci, la carrozza del signor duca. (Pausa). No, non al Circolo
del Whist. Qui. qui. Sono il cameriere del marchese di Mcmtefraiico.
Il signor duca ha pranzato qui. (Pausa). SI, va bene, il landau
chiuso. (Gira la manovella e toglie la comunicazione). {Va alla
porta in fondo e introduce Filippo). Favorite. Il signor marchese
viene a momenti. Ha finito di pranzare e gli ho potuto far Tam-
basciata senza che gli altri se ne accorgessero. (Esce).
Filippo — (ha l'aspetto d'un cameriere al riposo. Faccia losca. Fedine
hreoi. Niente baffi. Grosse anella alle dita. È entrato rispettosa-
mente, con in mano il cappello. Ora che è solo guarda un po' alle '
porte curiosaìtdo. Come vede avvicinare il marchese di Montefranco
assume un'aria umile e misteriosa).
Alfreoo — (in frack e cravatta Inanca, entra dalla destra). Che c'è,
Filippo? Avresti dovuto venire al Circolo verso la mezzanotte,
come al solito. Non qui. Sai bene che mi annoia che ti si veda
bazzicare in casa mia.
Filippo — (sottovoce, accostandosi al marchese). Col dovuto rispetto
a Vostra Eccellenza, ho anticipato perchè ci sono delle novità.
Alfredo. — Delle novità?
Filippo. — 11 servizio, finalmente, è stato fatto.
Alfredo — (scosso). Davvero?!
FiLiPPja. — Credo che ci siamo, Eccellenza.
Alfredo. — Tu non devi credere nulla. Devi solamente raccontare.
E presto, perchè ho di là degli invitati.
Filippo. — Racconto, Eccellenza. Stamattina la signora marchesa è
uscita di casa alle dieci e trentacinque minuti.
Alfredo. — Beh, sbrighiamoci. Dove è andata?
Filippo. — La signora marchesa era vestita magnificamente...
Alfredo. — Questo non mi riguarda. Tira via.
Filippo. — No, ecco, voleva dire a Vostra Eccellenza che così vestita
non l'avevo mai vista a quell'ora...
Alfredo. — Abbrevia, santodio! Dove è andata?
Filippo. — Eccellenza, è andata alla Riviera di Chiaia, trecentoven-
tiselte.
B4 MATKHMTA
.Vi-KKKi>o — {situsulUtndo). Non è possiljiie!
Filippo. — Treceiifoventiselte, Eccellenza.
(Breve jja»sa).
Alfredo. — Garantisci?!
Fn-ippo. — Garantisco.
ÀLfREDO — {con una certa reticenza). E... a (iiiale piano è salita?
Filippo. — Col dovuto rispetto a \'ostra Eccellenza, la signora mar-
chesa è entrata in casa del signor Maurizio Dorini.
Altredo — (stranamente impacciato). Sta bene. (Indi, pensando alla
sinriolarità del caso, abbozza un sogghigno eli beffe per sé stesso.
E, tosto, agilmente s'infìnge e prende un tono di tranquillità in-
differente). Non c'è altro?
Filippo. — Non c'è altro, Eccellenza.
Alfredo. — E a te sembra d'avere scoperto qualche cosa d'impor-
tante?
Filippo — (rispettosamente). Se... non seinlìia importante a Vostra
Eccellenza... non sembra importante neanche a me.
Alfredo. — Chi ti ha riferito che la marchesa si è recala in casa
di... quel signore ?
Filippo. — Ho date venti lire di mancia al jiortinaio per sapere la
verità.
Alfredo. — Hai fatto malissimo!
Filippo. — Come piace a Vostra Eccellenza.
Alfredo. — Le mance troppo grosse non servono che a pagare delle
menzogne ! Ti sia di regola. (Cava del danaro dal portafogli e
glielo porge). Prendi. Ce n'è anche per te.
Filippo. — Ma no... non voglio che Vostra Eccellenza s'incomodi ora.
Abbiamo tanti conti pendenti...
. Alfredo. — E penderanno per un |)ezzo. Prendi questo, provviso-
riamente.
Filippo. — Per obbedire (iìifasca).
Alfredo — (soccorso ad un tratto da una idea). E di' : quanto
tempo la marchesa si sareblìe trattenuta in quel palazzo?
Filippo. — La signora marchesa è montata alle undici precise. A che
ora sia scésa, in coscienza, non lo so. lo sono stato ad aspettare
una ventina di minuti. Ma poi ho detto fra me e me: — Qui, col
dovuto rispetto a Sua Eccellenza, le cose vanno per le lunghe...
Alfredo — (interrompendo severamente). Non ti ho chiesto confo dei
tuoi soliloqui ! Il certo è che non hai aspettato abbastanza. Se avessi
aspettato un poco di più, avresti veduto entrare anche me in quel
palazzo. Il che dice con chiarezza che proprio lì io avevo un ap-
puntamento con mia moglie. Te l'ho taciuto poc'anzi per control-
lare la tua puntualità. Sono indignato della improntitudine con
cui vieni a raccontarmi delle fandonie !
Filippo. — Eccellenza !
Afredo. — Basta così ! Da oggi in poi ti è assolutamente proibito di
seguire e sorvegliare mia moglie. Si trattava di una semplice cu-
riosità, e l'ho soddisfatta altrimenti. La marchesa - ricordatelo
bene - è una signora a cui bisogna fai- tanto di cappello.
Filippo. — Como piace a Vostra Eccellenza.
.MATKKNITÀ (>5
SCENA 11.
[|, Duca di Vhìena, Claudia, Ai.fuedo, Filippo, Maurizio.
Il Dltca — {di dentro). Eccolo lì il disertore.
Al!'redo — {in fono disinvolto). Andate, Filipjio.
{Sulla soglia della porta a destra, si fermano il Duca in frak
e cravatta bianca, e Claudia appoggiata al hraccio di lui).
FiiJPi'O — {inchinandosi ad Alfredo). Servo. {Ed. esce dal fondo).
Alfreoo. — Dico, zietto: mi rapite la moglie'?
Il Duca. — Te la conduco, invece. Si annoiava cosi lealmente
con me !
Alfredo. -- Non ti difendi, (Uaudia?
Claudia - {freddamente, lasciando il hraccio del Duca). Il Duca mi
perdona.
Alfredo. -- Tutte le mie s(;use, zio, per lei che non è brillantissima,
e per me che mi sono allontanato. Ma gli è che avevo da fare
delle comunicazioni interessanti al mio segretario e i)erciò...
Il Duca — {avanzandosi). Hai un segi'etario"?
Alfredo. — Sì... per il disbrigo di qualche affare urgente... {Mutando
subito dixorso) Questa poltrona, zio, è per voi.
Il Duca — {■'fedendo). Grazie.
Alfredo. — E Miurizio dov'è? Dov'è Maurizio':? Dov'è (piel caro
Maurizi'j'.'
Il Duca. -- Passeggia.
Alfredo. — Ah, toso. Lui |)asseggia. Dopo pranzo, doviin(|ue si trovi,
passeggia un;', mezz'ora per digeriie. K la sua igiene. Ma non è
una ragione per privarci della sua compagnia. ( Va alla porta in
fondo e chiama:) Maurizio! Maurizio! {Al Duca) E lauto buono!
Il Duca. — Mi è simpaticissimo !
Alfredo. — Per noi è come una |)ersona di famiglia. LTii amico
d'oro. Anche Claudia permette a lui (piel che non ha mai per-
messo a nessuno !
Claudia. — A nessuno.
Maurizio — {come gli altri, in abito nero e craralta liianca. - En-
trando, he. uiito). Che cos'è che permettete soltanto a me donna
Claudia ?
Claudia — {sedendo lontano dal Duca). Per lo meno di farmi la corte.
Maurizio — {ha una smorfia d' impazienza; e comincia a passeggiare
con passo piuttosto affrettato intorno intorno la camera).
Ai^FREDO. — Ah no ! lo ti smentisco. {Al Duca) È una blnguc, zio.
{Accostandìsi a Claudia e tenendole le mani alle spalle) Questa
qui è una donnina eccezionale : una moglie come non se ne tro-
vano più.
Il Duca. — Dev'essere difatti una eroina del matrimonio, per aver
saputo rinuamorare un marito quando questi più correva la ca-
vallina.
Alfredo. — I*] oramai ci sono dentro fino ai capelli, zio. {Le carezza
il collo).
Claudia — {dominando il disdegno, cerca di scansarsi).
Il Duca. — Bravo !
5 VoL evi, Serie IV - l-> luglio 1903.
66 MATERNITÀ
Alfredo. — Ho preso una colta come si può. prendere a vent'anni !
Maurizio — {sema volerlo, gli getta litio sguardo di stupore).
Alfredo — {andando verso il nuca). \^edete, io vi potrei raccontale
dei particolari da farvi intontire.
Il Duca. — Raccontami tutto. Intontirò con molto piacere.
Alfredo — {sedendogli accanto). Ve ne dico uno, ma all'orecchio.
Maurizio — {ancora passeggiando). Perciiè poi all'oreccliio"? Piacerebbe
molto anche a me d'intontire.
Alfredo. — Scusami, ma ho due jiudori da rispettare : il mio e quello
di mia moglie.
Claudia. — Del mio non te ne preoccupare.
Maurizio — {ad Alfredo). Sei d'una correttezza irreprensibile!
Alfredo — {al Duca). Dunque, .sentite... {Gli parla all'orecchio con
dimestichezza gaja).
Il Duca — {lo ascolta or sorridendo di maraviglia ed or di compia-
cimento).
Claudia. — Mentre mio marito rispetta i due pudori, Maurizio, sacri-
ficatemi un po' della vostra digestione. Abl)iate la cortesia di se-
dere. Mi fate venire il mal di mare.
Maurizio. — Sarà un disastro per il mio stomaco : ma eccovi servita.
{Siede).
Claudia. — Non cosi lontano! Dcno diivi più chiaramente clie vi vo-
glio vicino a me?
Il Duca — {ascoltando Alfredo). Vii là ! Non è possibile !
Alfredo. — Sì, sì, ve lo confesso : è la verità !... {Continìia a [jarlargli
. empre piìi confidensialmente).
Maurizio — {malvolentieri prende posto accanto a Claudia. Impacciato.
Pianissimo). State attenta : mi conqtromettete anche (iinanzi al
vecchio, adesso.
{Parlano sommessamente).
Claudia. — Gli siete estremamente simpatico.
Maurizio. — Lo so bene : è vostro maiito che mi fa la reclame per
appiccicarmelo addosso.
Claudl\. - - Avete visto l'uomo che è uscito di cpii poco fa"?
Maurizio. — No.
Claudia. — Era il traftichino di mio marito.
Maurizio. — L'uomo che vi lia spiata "i?
Claudia. — Il fido esploratore.
Maurizio. — Ne siete sicura"?
Claui)l\. — A me è parso di ricordarmi d'averlo spesso incontrato per
istrada da un mese in qua. Ha una lisonomia che non si dimen-
tica. K poi mio marito lo ha chiainato Filippo !...
Maurizio. — E dunque era lui !
Claudia. — Era lui certamente.
Il Duca — {con gioconda soddisfazione, ad Alfredo). Ma è enorme !
Alfredo. — Sentite ancora, zio!...
Maurizio — {a Claudia, iìKinicto). Sicché, itoco fa saiehbe accaduto
ciò che io prevedevo"?
Claudia. - Non ne dubito.
Maurizio. — V^ostro marito avrebbe appieso che voi ipiesta mattina,
di nasco.sto. siete venufit da me ?
Claudia. — Non ne duhilo.
Maurizio. — A conti fatti, noliebbe essere già convinto che io sono...
MATERNITÀ 07
Claudia. — Il mio amante.
Maurizio. — Io ne piglio una malattia !
Claudia. — Ed io sarò felicissima di curarvela. Così almeno ])otrò fli-
sobbligarmi.
Maurizio. — Voi siete la mia perdizione, donna Claudia !
Claudi.^. — Purché voi siate la mia buona stella, che importa'!?
Maurizio. — Ecco: il sangue mi affluisce alla testa... Mi permettete,
se non altro, di passeggiare "ì
Claudia. — Passeggiate.
M.URIZIO — {si alza. Si tocca le tempie. Si tocca lo stomaco).
Il Duca — (n cui il racconto di Alfredo ìia procurato uìi crescendo
di buon umore, prorompe ora in una gran risata). .\ questo punto,
abbi pazienza, mi \ ien voglia di congratularmi più con lei che con te!
Claudi.a. — Di che cosa vorreste congratularvi con me. caro Duca"'
Il Duca. — Dei prodigi della vo.stra novella luna di miele.
Claudia. — Pare che sieno specialmente i segreti di alcova che risve-
gliano il vostro affetto di zio !
Aj.fredo — (si alza annoiato).
Maurizio — {passeggiando, lo sogguarda con trepida curiosità).
Il Duca — {risentito). L'affetto di zio è risvegliato in me in tutto
(pianto mi conferma d'aver ritrovato in questa casa l'organismo
(l'una famiglia. Quando dico /"aoi/^/to, dico anzitutto owes^à coniu-
gale. E questa onestà, donna Claudia, se non vi dispiace, comincia
l)recisamente dall'alcova.
Claudia. — Peccato che la storia veridica delle alcove non si scri-
vei'à mai !
Alfredo. — Lo storiografo della situazione, dovendo esseie un testi-
mone oculare, si troverebbe in un beli' imliarazzo !
Il Duca. — lo ho voluto soltanto giustificarmi, marchesa, di avere
ascoltate volentieri le confidenze di vostio marito.
Alfredo. — Ma sì, zio. Claudia scherza. Nessuno meglio di lei intende
(pianta bontà sia nella vostra compiacenza: e nessuno jiiù di lei,
credetemi, ve n'è grato.
Il Duca. — Se ci sia della bontà, non so. È probabile che ci sia sopra
lutto dell'egoismo. Non lo nascondo. Ero stanco di solitudine. E
il dolore che il mio unico nipote fosse imyieritevole della mia
liducia e non mi avesse nemmeno dato un erede, condannandomi
j a guardare con malinconia i parecchi chilometri quadrati di terre
r che per volontà di Dio mi sono stati trasmessi insieme con un
nome immacolato, s'era così inasprito che quasi andava mutandosi
in rancore verso me stesso e quasi mi faceva pentire d'aver vissuto
troppo sobriamente la mia vita di vedovo.
Claudia. — Pote\'ate pensare a costruirvelo voi un erede.
Il Duca. — In che maniera f
Claudia. — Non avrete avuto sempre settant'anni !
Il Duca. — Ne avevo venticinque, cara signora, quando amai e sposai
la donna più eletta che io mi abbia conosciuta. La morte me la
rapì ben presto, ed io giurai che le sarei stato fedele.
tii.AUDiA. — \'eramente, un vedovo, che non vuol tradire la sua prima
moglie, se ne piglia subito un'altra. È il solo preservativo per amar
sempre quella che è morta.
Il Duca. - Intorno all'amore e alla fedeltà ho i miei criteri, e li pre-
ferisco.
68 MATERNITÀ
Gj^AUDiA. — Rohii iraltri liMn|)i.
II. Duca. — Io penso e spero che certi sentimenti possano essere di
tutu i tempi, li sentimento ehe lia guidato me è in (piesle parole :
avendo amato una volta sola, non Iio saputo sposare due volle.
(iLAuniA. — Ma il matrimonio non serve soltanto a ini|)iefraie il propiio
amore. Serve anche a impie<i:are i propri capitali, quando se ne
hanno come voi. Se vi foste i-iammoglia)o, avreste avuto prolta-
hilmente il piacere di produrre illegittimo destinatario di tutti
quei chilometri quadrali che vi hanno messo di cattivo umore.
li. Duca — {con eìiercfia). Non sarà un erede meno legittimo, donna
Claudia, quello che aspettiamo.
CI1..UJDIA. — Per una transazione!
II. Duca — {scattando). Non c'è nessuna transazione, marchesa, in ciò
che è un atto spontaneo del mio cuore !
Alfredo — ■ {urgentemente, piano, a Maurizio). F\unmi la grazia: cerca
di troncare...
Maurizio. — Che c'entro io?
Claudia. — Del vostro generoso proposito, io vi ringrazio. Ma la velila
è che io non vedo e non c'è eftettivamente nulla di comune fra
il figlio che faccio e le ricchezze che avete voi !
Alkrkdo — {pianissimo, sospingendo Maurizio). Ti'onca ! Tronca !...
Il Duca — {alzandosi fieramente). In altii termini, voi disdegnale...
Maurizio — {costretto, interrompe). Ma no. non disdegna nulla!...
Alfredo. — Non di.^degna nulla, zio. Se ve l'ho avvertito che scherza!
Lo fa ap]iosta per stuzzicai-vi. Fa così con tutte le persone a ciu
vuole molto bene. Ne sa (|ualche cosa Maurizio, poveretto, che è
il suo bersaglio. .Non è vero, Maurizio, che sei il suo bersaglio'?
Maurizio. — 11 suo bersaglio, io?!
Alfredo. — Appunto perchè te ne vuole del bene.
Maurizio. — Cioè, distinguiamo...
Alfredo. — Non ti allarmare, che non ti pie|>aro mica una scena di
gelosia. Pusillanime !
Maurizio. — Pusillanime, no!
Alfredo — {ostentando un brio motteggiatore e mtaffeitnosUà csitan-
sica). Taci là che ti conosco! {Indi a Cliulia) E conosco anche
te, sai! angelo caro! {E rivolgendosi al Duca) Nelle sue celie e
nei suoi paradossi, che sembrano amari, c'è sempre invece un fondo
di gentilezza e di poesia. (Di nuoro a Claudia, avvicinandosi a
lei) Vuoi scommettere che t'indovino? Tu avevi destinati i tuoi
piccoli risparmi, la tua piccola dote, salvata a stento dal naufragio,
dal mio naufragio, all'educazione del bimbo: e ades.so. sapendo
che lo zio ha stabilito di educarlo a sue spese con la larghezza
che i suoi mezzi gli permettono, tu sei... un tantino gelosa. In-
dovino, si o no?
Claudia — {invelenita, si comprime e si chiiide nel silenzio).
Alfredo. — Ma sei una bambinona, vedi! Che sarebbero tutti i mi-
lioni di Rothschild senza le tue cure, senza le tue carezze, senza
il tuo soffio?
Il Duca. — Mi pare che Alfredo dica benissimo.
Alfredo. — Nessuno oserà usurpare il tuo posto. Io mi propongo di
essere un babbo tenerissimo. Va bene. Lo zio si propone d'assu-
mere la parte del nonno, e sarà un nonno incantevole. Ma per
lui e per me nulla parrà più bello e più rassicurante di questa
MATERNITÀ (19
iiianimiiia tutta assorta nel suo compito e spadioneggiaiite presso
la culla che ci deve tenere insieme. Quanto poi a quel signore che
fa l'indiano {indicando scherzosamente Maìirisio), visto che siamo
abituati a vedercelo tra i piedi, dovremo pine annnetterlo qualche
volta al circolo domestico. A una sola condizione però: che non
si dolga più di sentirsi dire che gli si vuol bene.
II. I)uc.\ — (ride).
Maukizio. — lo non me ne sono doluto, ma...
Ai.i'HEDo — {con solennifù comica). Chiedete scusa a doinia Claudia
della vostra inconsulta protesta. Sconoscente! lo offro intanto da
fumare allo zio. (Prende la scatola dei sigari).
Il Duca. — Dopo pranzo, o un avana o niente.
Alfredo — (porgendogli la scatola). Me ne ricordavo e ne avevo com-
perati apposta.
Il, Duca — (scegliendo un sigaro). Sì, un avana e una ]iarti1a a scacchi.
Ecco quello che ti scroccherò spesso e volentieri. Olfi'e il pranzo.
l)en inteso.
Alfredo. — Una partita a scacchi? Maurizio, hai sentito? Una fortuna
per te!
Maurizio. — Cosa?
Alfredo. — Lo zio è un forte giuocatore di scacchi.
Maurizio. — Beh ?
Alfredo. — Sei un accanito giuocatore anche tu.
Maurizio. — Io!
Alfredo. — Tu ! tu !
Il Duca. — Pei- bacco! Un accanito scacchista? Siiii]iaiicissimo! Ci
misureremo.
AiJ'KEDO. — Egli non chiede che di misurarsi. Su, su. Maurizio! Co-
raggio e all'opera! (Al Duca) Potrete giuocare agli scaccili lullc
le sere, zio.
Maurizio. — Con me?
Ai.FREDO. — Con me certamente no. perchè non li so giuocare.
Maurizio — (sperando ancora di sottrarsi). Ma io li giuo<-avo una
volta... Adesso non sono più in esercizio... Non potrei.
Alfredo. — Zio, non gli credete. È una civetteria.
Il Duca — (che si è già seduto presso la scacchiera). Qua. (|ua. mio
degno avversario.
Alfredo — (a Maurizio). E tu non fumi? Prendi tu pure un axaiia.
(Mettendogli la scatola fra le mani, sottovoce, in fretta) Non li litiii-
tare, te ne prego. Devo dire due jiarole a mia moglie. Se non mi
aiuti tu, chi vuoi che m'iiiuVil {Indi, lecando la roce come .<ie con-
tinuasse un discorso) E io... sempre fedele alle mie sigaielle. [(Uiint
di tasca il portasigarette).
Il Duca. — Un po' di fuoco, Alfredo.
Alfredo. — Immediatamente.
(vLAUDiA. — Me ne duole assai, ma sono costretta a pregarvi di non
fumare. Sento che il fumo mi farebbe un po' male.
Il Duca. — Per conto mio. ci rinunzio subito, donna Claudia.
Alfredo. — Ma no, ma no. Piuttosto andate a giuocare nel fumoir.
Starete più raccolti. (Tocca il hnttone del campanello).
Il Duca. — Ah si! Questo è un benedetto giuoco per cui non ci si
raccoglie mai abbastanza.
Maurizio — (sospirando di pazienza). Haccogliamoci.
70 MATERNITÀ
11, SKRVO — {entra dal fondo).
Alfredo. — Accendete nel fumoir. E portaU' li (infila scacchiera.
Il, SERVO — (esce a siìiislra, portando via la scacchiera).
Il Duca — {alzandosi). Siamo noi intanto, donna (llavulia, che (loh-
hiamo chiedere ()eidono a voi. Avremmo dovuto pensare che nelle
vostre condizioni...
Alfredo. — È la prima volta, per altro, che ella avverta di non i)oter
tollerare il fumo. Da oggi in poi, ci baderò. {A Claudia) in casa,
mia bella mammina, non fumei'ò più.
Il Duca. — Molto galante!
Ai,i'REDO — {abbreviando). Buon giuoco, zio ! Buon divcrtiiuenlo, Mau-
lizio !
Maurizio. — Grazie tante!
Il, Duca — {presso la porta, a Maurizio). Prego, caro avversario!...
Maurizio. — Prego, prego, Duca...
Il Duca — {via a sinistra).
Alfredo — {sottovoce, in fretta). Ti laccomando: fammelo vincere.
Maurizio. - Ma tu lo sai che lo star seduto dopo pranzo per me è
una catastrofe.
Alfredo. -- Giuoca all'impiedi.
Maurizio. — lo non voglio, cai)isci, non voglio!
Alfredo. ~ Ed è questa ramicizia die hai per me e per mia moglie"?
Il Duca — {di dentro, iinpazievte). Signor Maurizio! Signor Maurizio !
M.^URizio. — Uhm ! {Dando un pM(jno in aria, esce).
SCENA 111.
Alfredo e Claudia.
Alfredo ^ (dopo un silenzio). Desideravo di aver subito un colloquio
con te. {Cerca di tenere un fono gentile, mte, cordiale). Lo desi-
deravo, perchè il tuo contegno, mia buona Claudia, mi crea una
posizione diflicile. In tutto ciò che fai e che dici dinanzi a mio
zio e specialmente in tutte le parole che rivolgi a lui e' è sempre
un non so che d'ironico, di acre, e perfino d'insolente che è... inop-
poituno. Mio zio non è un rimbambito. Egli si è ravvicinato a noi
per partecipare alla festa della nostra famiglia, e questo ravvici-
namento è iier noi - tu ne sei persuasa - un bene, sotto tutti i
rapporti. L'avvenire della nostra creatura è assicurato. Noi po-
tremo vivere con essa e per essa nella sicin-ezza della sua prospe-
rità. Ma viceversa, se mio zio dubitasse della nostra gratitudine,
se non vedesse in questa casa mi perfetto accordo, dovuto appunto
alla più dolce delle aspettazioni, noi saremmo liquidati.
Claudia — (siede, in silenzio. Il suo volto dice tutta V amarezza dcl-
l'anima sua e l'estremo sforzo della sua prudenza).
Alfredo — (accostandosi a lei). D'altronde, perchè non dovremmo mo-
strargli ciò che è vero? Dopo la mia jìrima sensazione di sorpresa,
che stamane ti è giustamente dispiaciuta, a poco a ])Oco io ho
ritrovato quello che s'era per un pezzo nascosto nel fondo del mio
cuore. La tua dignità severa aveva, apiiarentemente, mutato in
rispetto profondo Tamoie die In mi avevi ispirato. Ma esso è ri-
masto sempre vigile dentro di me per avvertirmi, se non altro, di
lutto ciò che vi era di efimero in qualche mia momentanea... di-
MATERNITÀ / 1
vagazione. E se tu sapessi quante volte io ho sentita la nostalgia
d'una unione più intima fra me e te! Pei- dare impulso al mio
affetto, io avevo bisogno di un tìglio, sì, di un figlio, il solo vin-
colo che possa davvero far combaciare fra loro due volontà, due
temperamenti diversi. Ed è per questo che adesso 1" accordo e' è.
E tu che non hai mai cessato di essere la più nobile, la più fedele
delle mogli, puoi stringerti a me e prepararti, insieme con me, a
una vita tutta bella. {La circonda delicatamente col braccio). Via,
Claudia ! Non ti accorgi che oramai non so più stare vicino a te
senza darti la prova... del mio affetto"? (La bacia).
Claudia — (levandosi con atto di ribresso). Ah, no !
Alfredo. — Claudia!...
Claudia. — No! no! no! Questa sozza commedia mi fa schifo !
Alfredo. — Silenzio, per carità! E rientra in te, Claudia, rientra
in te!
Claudia. — lo avrei voluto parlarti con tranquillità, avrei voluto an-
nunziarti pacificamente la risoluzione ferma e irrevocabile di se-
pararmi da te e d'andare a vivere sola, lontana da tutti...
Alfredo. — Tu sei un'insensata !
Claudia. — Ma, in poche ore, mi si è così appesantita addosso que-
st'afa pestifera di transazioni, di finzioni e d'infamia che non mi è
più possibile nemmeno di serbare una calma relativa, non mi è più
possibile di tacerti ancora quanto ti disprezzo, lo mi sento .sotto-
care ! Io mi sento morire d'asfissia! Aria! aria!
Alfredo. — Abbassa la voce, maledizione! (Citi ade in fretta l' uscio
a destra, e torna a lei). Abbassa la voce!
Claudia — {in tono piii sommesso, come per una concessione). È com-
pletamente inutile, dunque, che tu ti dia la pena di fingere e di
mentire. Io ho deciso di scavare un abisso fra me e te. E Io farò !
Alfredo — (padroneggiandosi). Senti. Claudia, non è questo il mo-
mento di discutere la tua risoluzione. Ciò che per ora devo chie-
dere alla tua... cortesia è che tu mi risparmi adesso l'imbarazzo
grave d'uno scandalo, che, tutto sommato, tu non puoi temere
meno di me ! Andiamo di là, Claudia... Parleremo a nostro agio
quando saremo soli in casa... Andiamo di là...
Claudia. — E tu, senza pensarci su due volte, fidi nella certezza che io
tema Io scandalo?
Alfredo — (tentando di parer sempre mite e remissivo). Forse non
lo temi. Non hai ragione di temerlo. Sta bene. Ma una cosa è non
temerlo e un'altra è invocarlo addiiittura.
Claudia. — Orbene, è proprio così. Io lo invoco ! Io lo voglio !
Alfredo. — Ma nella tua ribellione, vedi, ci dev'essere un errore di
fatto, ci dev'essere un equivoco.
Claudia. — Nella mia ribellione c'è l'idea chiara ed esatta di ciò che
è stato e di ciò che .sarà.
Alfredo. — Appunto di ciò ragioneremo.
Claudia. — Ciò che è stato, te Io dico subito. (Parla rapido e con-
citata). Non erano trascorsi pochi giorni dalle nostre nozze e io
comprendevo già che mi avevi spesata per una capricciosa osti-
nazione di uomo corrotto dal quale una fanciulla non s' era. la-
sciata prendere. La percezione della realtà incenerì a un tratto il
mio amore o quel sentimento che avevo creduto amore. Eppure
rimasi al mio posto. Non per omaggio alle convenienze sociali e
nemmeno per rispetto al tuo nome clie tu per il primo non ri-
spettavi : no, no!; ma percliè ron volevo rinunziare a un"aiflente
speranza, non \olevo linunziare a un'ambizione che tutta mi te-
neva, lo ero presa, ero dominata da un singolare istinto di ma-
ternità, che andava assumendo le proporzioni d'una necessità im-
prescindibile della mia vita e che era sempre stata la guida, la
luce, la fiamma della mia esistenza ! {Più dolce) Quando ero bam-
hina, carezzando le mie bambole, io costruivo nella mia inco-
scienza qualche cosa che era assai più della tenerezza infantil';,
di cui. a quella età, si circonda la marionetta graziosa. E più tardi,
mano mano che la mia indole si è sviluppata, mano mano che
il tuiiudto vario del mondo mi ha investita, una sola voce ho ben
distinta, una sola voce m'è parsa limpida e convincente, quella
che mi parlava della t.irza, della gioia e della gloria di sentirsi ma-
dre! Io porto oramai nel mio seno l'oggetto di lutili miei sogni,
di tutte le mie aspirazioni. Ho trionfato ! Ho trionlalo I Posso de-
nunziare la tua indegnità ! Fosso respingerti come un intruso !
lo basto a n)e stessa. Dio, te ne ringrazio ! E non devo chiedere
più nidla a nessuno ! Vallone.
Alfredo — (con-elile iiii'eire contro 'li lei. ro, rebbe metterle un ba-
vaglio per costringerla a tacere; ma k lui che è costretto a frenarsi
e ad ingoiare la rabbia che gli sale alla bocca). (Una pausa). (Indi
con un sorriso bieco) Dopo tutto, mia cara Claudia, questo figlio,
che già prima di nascere li rende così orgogliosa e così battagliera,
è anche mio.
Claudia — {seccamente). Tu non lo credi che sia tuo.
Alfredo. — Ti ho detto io di non crederlo ".'
Claudia. — Non lo credi !
Alfredo. — E re ])ure io non lo credessi o se appena ne dubitassi,
non ti affrelleiesli tu a protestare per il tuo decoro '
Claudia. — Il fatto è che io so ((uello che tu i)ensi, e non piotesto!
Alfredo. — • La tua audacia è un lusso inutile.
(Claudia. — Non protesto !
.■ALFREDO. -- 11 mio convincimento è già formalo!
Claudia. -- Formato o no, la verità vera non può essere che il mio
segi'eto !
A],FRED0. — Ma dove vuoi arrivare tu'' Quale scopo ti prefiggi".' Quale
altra illusione nascondi nella tua fatua spudoratezza'?
Claudia. — Non è un'ir.usione. È il diritto di salvaguardare la mia
creatura dalle ingiurie della tua falsità !
Alfredo. — K un diritto fantastico, condannato a resfare nel mondo
della tua immaginazione.
Claudia. - lo saprò gridare a tutti che non sei il padre di mio
figlio!
Alfred(j. — Il Codice non attribuisct^ alcun valore alle confessioni di
tal genere.
Claudia. — E ti rassegnerai tu allo scandalo che poc'anzi temevi'.'
E il tuo nome, la tua stirpe, il tuo... il tuo onore ti permette-
lanno di rassegnarli e di covrirli di ridicolo, negando quello che
io affermerò '? E anche ammesso che tutto questo non ti spaventi,
che importanza lia la legge nel caso nostro";' Tu hai bisogno della
paternità j)er carjiire del denaro a un parente milionario. Sei tu
sicuro che la mia confessione non basterà a l'aiti perdere la partita''^
MATERNITÀ 73
i^r.FREDO — {offuscato daìl'ira). Non insistere, per Dio, perchè se tu
ti ostinassi a volermi rovinare, io non so che cosa accadrebbe.
Un uomo, che è giunto dove sono giunto io, non ha e non deve
più avere scrupoli di coscienza !
jLAUDIA — {hrvasa dalla paura, sharra>ic1o gli occhi). Alti'edo!
U,KREDO. — Sì, io potrei essere capace di tutto!...
ìi.AUDiA — (indietreyfjiando). Di percuotermi, anche!'?
ILFREDO. — Taci, te ne supplico!
Il.'VUDia — {serrando al corpo le braccia incrociate per difendersi,
grida:) Sarebl)e la distruzione! Portatemi via! Portatemi via!
{Il Duca e Maurizio accorrono).
SCENA IV.
Il Dica, MArRizio, Claudia e Alfredo.
ALFREDO. — No... nidla di grave, zio. Non vi spaventate. Una crisi
nervosa che...
jLaudia. — Non è vero ! Egli mi ha minacciata di violenze inaudite!
L Duca — [ad Alfredo). Tu!?
u.FREDO. — Zio, io conto sul vostro buon senso. Questa donna è in
preda a un accesso di follia, di cui mi sfugge la causa. Ella vi
dice e vi dirà delle cose enormi. Ma sono certo che voi non le
presterete fede.
jLAUdia — {affannosamente, assorgendo, esaltandosi). Duca di Vigena,
voi siete tornato tra noi per amore di pace e di concordia".'... Vi
hanno ingannato, lo vi giuro che detesto mio marito e che egli
mi detesta! Voi avete scelto a erede mio tiglio come continua-
tore della famiglia illustre a cui mio marito a|ìpartiene "'... Eb-
bene, avete scelto male, ])erchè egli stesso è convinto che questo
tìglio non è suo I
I- Duca — (impetuosamente, a Claudia). Un'accusa orribile che voi
respingete ! 1?
ÙLAUDIA. — (con frenesia). Se avessi voluto lespingerla, non l'avrei
rivelata a voi. lo sono qui per confermarla, e nessuno la sosterrà
con pilli fervore di me.
ALFREDO — (con energia audace). Non bisogna crederle, zio lo non
ho mai sospettato di lei.
J.AUDiA. — Fino a stamane, mentre cercava di riconquistare il vostro
affetto, l'accontandovi i suoi ravvedimenti e le mie virtù, egli mi
faceva seguire, mi faceva spiare da una persona di sua fiducia; e un'ora
fa... un'orafa ha dovuto avere la certezza che appunto stamane mi
sono recata di nascosto in casa d'un uomo! (Siede affranta).
i. Duca — (ad Alfredo). Dunque, ti rassegnavi a tutto!?
Maurizio. — Ah! Vivaddio, io non devo permettere che la signora
marchesa si lasci andare al capriccio di accusarsi così ingiusta-
mente. Ella conta sulla mia timidità? Ella conta sulla mia pru-
denza egoistica? Ma io parlerò, perbacco! Io parlerò! Anche perchè,
dopo di aver parlato, mi sentirò meglio! È proprio in casa mia
che ella si è recata stamane. Se la spia è stata diligente, Al-
fredo non ))uò ignorare ciò. Questa mattina, sì. la marchesa di
Montefranco mi ha onorato di una sua \isita per ragioni che
spiegheiò più tardi se sarà utile e che adesso sarebbero fraintese.
^
74 MATERNITÀ
lo non sono ramante della marcliesa di MontetVaneo. Reco qnello
elle i)er ora è necessario .sapere. E lo attermo in lìerfella coscienza,
impegnando la mia parola di gentiluomo.
Alfredo — {die lo ha guardato dissimulando la sua completa incre-
dulità, si affretta ad aggiungere:) È la verità, zio!
li, Di'CA — {ironicamente). Ed era lui, intatti, il solo che ce la potesse
dire. {Camhiando tono) lo creilo che da quando esiste l'islilu-
zione delfinfedeltà coniugale, sia questa la prima volta che un
marito si convince che sua moglie non ha un amante esclusiva-
mente perchè è l'amante stesso che glielo garantisce.
Maurizio. — Ma sono bene io che posso sapere di non esserlo !
Il Duca. — Voi non fate che compiere, nel modo più rudimentale, il
vostro dovere, e cercate, se non altro, di seguire la tradizione.
Chi se ne guarda dal seguirla è mio nipote. E me ne felicito
molto con lui. Egli è un innovatore. La prammatica gli sugge-
riva di mettervi alla porta questa sera e di ammazzarvi, possibil-
mente, domani...
Maurizio. — Non ci mancherebbe altro !
Il Duca — {continuand>). Ma chetatevi, perchè ciò non avverrà. Egli,
invece di pensare ad aramazzarvi, vi ha chiamato in suo soccorso,
e, tacitamente, vi ha domandato: Sei l'amante di mia moglie'?
Voi gli avete risposto di no. E tutto si è appianato. \Diventando
sempre più serio) 11 che significa che sullo scandaloso teatro
dell'odierno sfacelo morale, dove perfino 1 pii'i degeneri dei suoi
pari. Ira i disastri del tappeto verde e quelli dei mercati usurarii,
tra il ludibrio della prostituzione |)rofumata e quello delle tresc'he,
hanno saputo talvolta ivippresenlare l'einsodio tragico della loro
decadenza facendosi saltare le cervella in omaggio alla antica
purezza del blasone, egli, iniziatore della degenerazione allegra,
ha preferito di fare del suo stemma il simbolo del buonumore,
l'insegna della più grottesca comicità !
Alfredo — {con risentimento). Zio!
Il Duca. — Vi proibisco di chiamarmi zio. lo sono stato bensì per
un giorno il vostro zimbello. Non saprei rimproverarne voi. Ma ne
chiedo scusa a me stesso. E me ne vado. {Rivolgendosi a Claiulia)
Donna Claudia...
Claudia — {sorpresa che il Duca Ir diriga la parola, si alza rispet-
tosamente).
Il Duca. — Io... superfluo il dirlo... non ho nessuna predilezione per
l'adulterio. Mi è sempre parso una cosa abbastanza... abietta. Ma
devo convenire che nei limiti inalterabili dell'errore voi lo avete
alquanto nobilitato. Se tutti i mariti del bel numero fossero come
vostro marito, e se tutte le mogli adultere fossero come voi, ho
paura... ho paura... che l'adulterio... finirebbe col piacermi. Vi
saluto, donna Claudia. {Fa un inchino).
Claudia — {incliinandosi unciie lei). Duca...
Il Duca — {esce dal fondo).
MATERNITÀ 75
SCENA V.
Maurizio, Alfredo e Claudia.
Maurizio. — Kd ora, marchesa, spero die vi unirete a me nel dare
delle spiegazioni a vostro marito.
Alfredo — (con la bile sulle labbra), lo non ti ehiedo nessuna spie-
gazione e te ne dispenso.
Maurizio. — Ma non me ne dispenso io.
Alfredo. — Mi hai seccato.
Maurizio. — Non mi pare.
Alfredo. — Mi hai seccato!
Maurizio — {vivacemente). Io ripeto che non sono...
Alfredo — {con maggior vivacità). Se tu non fossi ramante di mia
moglie, saresti qualche cosa di peggio !
Maurizio. — Tu impazzisci!
Alfredo. — Saresti il traditore pettegolo e malvagio d"un amico di
vent'anni senza nessuna attenuante!
Maurizio. — Ma lasciami dire...
Alfredo. — Io preferisco di non crederti tale! E, non per fare della
tragedia, come vorrebbe mio zio - perchè già, tanto, il farla con
te sarebbe un bel tour de force - ma per essere pratico e spic-
ciativo, ti prego di risparmiare a me, da oggi innanzi, l'incomodo
della tua presenza.
Maurizio. — Ah, questa è la conclusione' {A Claudia) lo ne piglio
una malattia! {Poi, ad Alfredo) Ma prima di ammalarmi definiti-
vamente, e prima di lasciare ]ier sempre questa casa, giacché ti
fa tanto piacere che io sia ramante di tua moglie, mi affretto a
renderti felice, mi affretto a colmarti di gioia! Sì, si, io l'adoro,
ella mi adora, noi ci adoriamo come due pazzi sfrenati; e se si
continua di questo passo, con l'aiuto della Divina Provvidenza,
andremo tutti e due al manicomio, dove ci adoreremo con la
camicia di forza. 11 che sarà semplicemente delizioso! E buona
sera! (Esce difilato).
SCENA VI.
Claudia, Alfredo, il servo.
Alfredo. — Buffone! {Breve pausa. Si stringe nelle spalle cinicamente.
Si avvia verso il fondo come per uscire).
Claudia — {per trattenerlo). Dunque"'
Alfredo — {si volta. Dopo un altra pausa, con accento freddo e secco)
Sta bene. Ci siete riuscita. Ci .se))arereino.
Claudia. — Legalmente"'
Alfredo. — Legalmente.
Claudia. — E la vostra... paternità"/
Alfredo. — Riconosco che Taibitra naturale siete voi. Voi la negate;
e quindi io la nego.
Claudia. — E dinanzi ai tribunali?
Alfredo. — La negherò.
Claudia. — È quello che io desidero; ma vi pieglierete voi certamente
ad accettare la parte del marito ingannato"?
7() MATERNITÀ
Alfredo. — Oramai commetterei la più ingenua delle stoltezze assu-
mendo dei doveii che non mi sjìettano. Fra i due mali, scelgo il
minore.
Claudia. - Sarà per altro indis|)ensal)ik> esibire delle prove con-
vincenti.
Alfredo. — Senza dubbio.
Claudia — (riflettendo). Quali '^
Alfrkdo. — Se non ce ne sono, bisognerà inventarne.
Claudia. - Stabilirete... delle circostanze, delle date, dei confi-onli...
Alfredo. — Ma badate che anche pei' inventare io non \)(An) che
lasciarmi dirigere da voi, perchè i confronti, le fiate, le circo-
stanze si devono subordinare a un fatto... che è il « vostro segreto ».
CiiAUDiA. — Questo è giusto.
Alfredo. — R allora"^
Claudia. — Ci metteremo d'accordo.
Alfredo. — Ecco: ci metteremo d'accordo.
Claudia. — Voglianio parlare adesso"?
Alfredo. — Parliamo adesso.
Claudia. — (tocca il bottone del campatiello).
Il servo. — (comparisce subito dal fondo).
Claudia. — Non siamo in casa per nessimo.
Il servo — (via).
Claudia. — (siede presso mi tavolino).
Alfredo — (paziente, prende una sigaretta, l'accende. Poi siede dirim-
petto a CAaadia). Sono a voi.
Claudia. — (con un lieve gesto, severamente avverte), frego...
Alfredo. — È vero, si! (Getta via la sigaretta).
SIPARIO.
fJl tergo e il quiirlti atta al prossiiini fdsiiculo).
lioHi-.iiTo Bracco.
VIOTTOLI DI CAMPAGNA
La corda d'acciaio.
Su la corda di Jniono ai-ciar prolesa
fino al villaggio da un' alpestre gola,
scivola e rade, infaticata spola,
la messe nuova ai saldi rostri appesa.
Non più il villan per l'erma via scoscesa
cui d'aspre vampe il mezzo luglio assola,
sotto il cai'co che lieve oggi trasvola
le dure spalle piaga ne la scesa.
Grato così dei provvidi metalli
mirar da solatie vette un baglioie
che ininterrotto solca le convalli;
o ne le mute, notti udirne un lento
ritmo di lontananti onde sonore
che vibrano or sì or no col vento!
La cartiera.
Strepila notte e dì senza mai soste
nei duri magli la cartiera in riva
al fiume che di schiette forze avviva
le industri ruote a sua corrente opjìoste.
Giungon, morendo ne la sera estiva,
fioche da tante fabbriclie discoste
le Totle voci del favor, composte
dat vento in sola un'armonia giuiiva.
Ma diletta e distinta odo fra tutte
l'opra dei magli che fedeli all'arte
dei padri picchian macere e distrutte
trame di tele: per la loggia sparte
domani al sol biancheggeranno asciutte,
già pronte a rattener l'idea, le carte.
78
La sega.
\'iv(' riiidustre casa col respiro
cruii t'eii'o aguzzo che rapido sale
discende incide, e di due ruote a pale
muscose che si volgon lente: in giro
l'isola e il fiume. Io qui seggo e rimiro
aprirsi blandamente tra un' eguale
chiarità d'acque, specchio al ciel d'opale,
presso le chiuse, gorghi di zaffiro.
L'assi recise odorano di selve
lontane. Io penso, mentre in ogni fibia
sotto gli strazi torconsi gl'immani
tronchi con urli di ferite belve
(stride il ferro e più rudi piaghe vibra):
(luaiile baie con (lucstc assi domani".'
L' osteria.
Le feste l'osteria dei colli è piena
di gente e fresca la cantina: sgoccia
scarsa dai putrì legni d'una doccia
l'acqua, li presso, d'un'alpestre vena.
Saggio un'ora impetrar lutta serena
dal patrio vin che spuma ne la boccia
tonda e ricolma! Un fior d'oro ne sboccia:
il fervor che le risa agili sfrena.
Fin da mattina, dopo messa, al sole
in corte o de le pergole all'ombria
come fraterni i giuochi e le [ìarole!
.\ sera un gran cantar lungo la via
dei colli: fioche voci, roche gole,
occhi aperti al sognar... Ciii sogna, oljlìa.
79
Lungo il fiume.
Dopo i tramonti a nuvole di bragia
asil dall'afa n"è la solitaria
via lungo il fiume: ivi più fresca l'aria
che vien dai boschi e reca odor di ragia.
Mormora in suo passar l'onda randagia;
giungono un bimbo e l'ava ottuagenaria;
dietro ai rondoni il bimbo gli occhi svaria
e corre; ella su l'argine s'adagia.
Giungon gli amanti ; è l'ora. Da le fratte
un cantare di donna all' im])rovviso
si leva come lucido zampillo...
Ma se la giovenil coppia s'imbatte
in noi che andiamo ebliri del i)ar, nel riso
naufraga tra le rosse labbra il trillo.
I vecchi gelsi.
Felice la campagna s'inorgoglia
di sua verzura tra un ronzar di sciami;
soli sovra i noccliiosi ignudi rami
i vecchi gelsi non recano foglia.
D'atroci piaghe biancica la spoglia
scorza; sembran di mostri aridi ossami
dopo una strage i bronchi irti che a grami
gesti rattrasse l'iterata doglia.
S'allietano d'un brulichio di vermi
calde le case ; ai venti della sera
i vecchi gelsi abbrividano inermi;
e pazienti aspettano per giorni
innumeri una tarda primavera
che ai rami le perdute gemme tomi.
80
Falciatori.
Voi tornate col vespro. Lenii i passi
strisciano sui viottolo sonoro:
le falci grevi penzolan dai lassi
omeri : lungo ed aspro oggi il lavoio !
Ma un rìso scuole gli arsi volti bassi:
vedeste il gran già biondo come l'oro,
dei tieni oggi recisi i pingui ammassi,
e dei già folti grappoli il tesorof...
La donna attende e il nato ultimo allatta:
(piesto il pensier che sa dai duri campi
a le case gioiosi ricondurvi?
No: velava una nuvola scarlatta
il sole; e dava stranamente lampi
di foco e sangue sui ferri ricurvi.
La cava.
Lenti ed attenti all'opera concorde,
sparsi per vene occulte de la ricca
montagna - vuote vene ornai ! -, la picca
stretta in pugno, a la cintola le coi-de,
scavano: il ferro l'aspre selci morde:
ecco, vittorioso un lo conticca
tra masso e masso, e vampe altri v'appicca:
(lan le rocce squassandosi urla sorde.
Per nuove case edificar, ruina
santa! Che importa, oscuri eroi, se prima
di sangue la qui nata calce è rossa ?
Altre ruine ogni scoppiar di mina
affretta... E già la vecchia torre in cima
al monte, trema da la base scossa.
Giovanni Ghiggiato.
IMPRESSIONI DI SICILIA
Un amico dell'Italia.
Le brevi e simpatiche impressioni di Sicilia, che pubblichiamo con
animo lieto, ci offrono gradita occasione di ricordare ai nostri lettori un
vecchio e sincero amico dell'Italia: il signor P. D. Fischer.
È anzitutto per noi un piacere porre in rilievo i notevoli progressi che
un osservatore, cosi acuto e cosi sperimentato, come il Fischer ha constatati
in Sicilia. Come egli stesso ci ricorda, l'eminente tedesco aveva visitata
l'Isola per la prima volta nel 1861, quarantadue anni or sono; vi è ritor-
nato quest'anno per cercarvi un quoto riposo per alcune settimane.
Quali cambiamenti! Il Fischer ce ne scrive in breve, colla parola pacata
e misurata dello studioso e dell'economista: ma con quale calore, con quale
affetto, egli ce ne ha parlato a Roma, nella sua recente e cara visita! Strade,
ferrovie, scuole, alberghi, sicurezza, igiene, spirito pubblico ed operosità pri-
vata - tutto ha progredito, tutto ha mutato. La nuova Italia si va affermando
anche nell'Isola con progresso misurato, ma continuo e costante. E tutto vi
accenna a più liete speranze, ed a rinnovate energie economiche e morali.
Di ciò nessun giudizio più sicuro di quello del Fischer. Come straniero,
il suo pensiero è sereno ed imparziale: ma il suo cuore di amico dell'Italia
palpita e si compiace con noi. Egli è ritornato nell'Isola con i suoi ricordi di
quarantadue anni or sono; l'ha riveduta, osservata e studiata alla stregua
di ciò che dovevano fruttare quarantadue anni di libertà e di progresso :
ed egli più volte ci ha ripetuto che le sue speranze, le sue aspettative fu-
rono spesso di non poco superate. Ed il suo volto, sereno e simpatico, si
apriva ad un sorriso di compiacenza e di fede che ci riconfortava.
Nessun straniero ha studiata l'Italia con tanta competenza e con tanta
simpatia, quanto il nostro illustre amico. Perché in lui c'è la mente dello
studioso e l'osservazione dell'uomo pratico.
Il Fischer è figlio delle sue opere, del lavoro e dello studio. Egli ha
passata la vita laboriosamente nell'Apiministrazione delle poste e dei tele-
grafi della Germania e vi raggiunse l'alto grado di Sotto-segretario di Stato,
carica che tenne per lunghi anni. Ma sovra ogni cosa, il Fischer fu il più
devoto ed abile collaboratore dello Stephan, il grande ministro delle poste te
desche, il fondatore deìV Unione postale internazionale; è a questa affettuosa
collaborazione, che solo la morte dello Stephan interruppe, che il mondo intero
va debitore dei maggiori e più recenti progressi dei servizii postali, tele-
grafici e telefonici, che il Fischer più volte promosse ed illustrò con sapienti
pubblicazioni. Ed all'opera concorde di Stephan e Fischer è pure dovuto il
grandioso risorgimento della marina postale tedesca, la cui potenza, in breve
tempo conquistata, rappresenta uno dei maggiori avvenimenti economici
dei tempi nostri.
Morto lo Stephan verso il 1897, il Fischer usci dall'Amministrazione
postale e chiese il collocamento a riposo. La sua simpatia per l'Italia, che
6 Voi. evi. Serie IV - 1° luglio 1903.
82 IMPRESSIONI DI SICILIA
più volte aveva visitata nella prima giovinezza, l'attirò ben presto a Romi,
dove visse a lungo, dedicandosi con intensità di pensiero e di affetto alii
studio delle nostre condizioni politiche, sociali ed economiche. Frutto ih
queste indagini fu l'opera migistrale di oltre 603 pagine, Italien uinl
Jtaliener am Schlusse des neunzehnten Jafirhunderts - (L'Italia e ii\\
Italiani alla fine del secolo xix) - che il Fischer pubblicò a Berlino w\
1899, e di j;ui si fecero già parecchie edizioni.
Il volume del Fischer è oramai diventato il manuale politico ed ecoii.i-
mico dell'Italia all'estero. Non v'ha amico e studioso del nostro paese, in
qualsiasi parte del mondo, che non consulti le successive edizioni dil
Fischer, come testo indiscusso delle condizioni, dei progressi e delle sih-
ranze del nostro paese. Perchè l'opera sua può dirsi concepita sotto un
duplice aspetto : da un lato egli constata i progressi innegabili già da ii'i
compiuti; dall'altro 'egli apre al lettore, con prudente perspicacia, i nuoNi
orizzonti di un' Italia che risorge.
Quando comparve a Berlino la prima edizione del libro del Fischer fu
quasi unanime, in Germania, l'opinione ch'esso fosse ottimista e che la
seduzione del bel paese lo avesse tratto a colorire le sue speranze. Quattro
anni sono appena trascorsi, e le previsioni del Fischer sono raggiunte : la
consolidazione della finanza e del credito italiano è un fatto compiuto.
Egli fu uno dei pochi, all'estero e persino all'interno, che ebbero fede nei
destini economici del ijostro paese : e nei fatti trovò il conforto migliore
dell'opera sua. Pochi mesi or sono, quando il 16 gennaio comparve nella
Nuova Antologia l'articolo dell'on. Maggiorino Ferraris sopra, Il progresso
della finanza italiana, esso non ebbe lettore più simpatico e più lieto del
Fischer, che ha un'ottima conoscenza anche della nostra lingua. Ed egli
immediatamente ne scrisse festante al Ferraris, con lui felicitandosi a
vicenda, di aver insieme tenuto fede, anche in momenti difficili, « alle spe-
ranze italiche! »
Uscito dal Ministero delle poste, il Fischer non credette con ciò finita
la sua attività, ma con giovanile ardore attese a nuove e grandi intraprese.
L'espansione economica della Germania ben presto lo attrasse ed il suo nome
venne cosi a collegarsi all'intraprese tedesche in China, specialmente alla
ferrovia ed alle miniere dello Sciantung, di cui è amministratore. Desideroso
di conoscerne a fondo le condizioni, il Fischer, due anni or sono, benché
già oltre i sessant'anni, con giovanile vigoria intraprese un viaggio in China,
visitò e studiò le aziende tedesche e ritornò in patria, attraverso gli Stati
Uniti, compiendo così il suo antico desiderio di un giro attorno al globo.
Tanta attività non poteva a meno di essere apprezzata dai suoi concit-
tadini. Chiamato a far parte della grande Banca di Berlino, la Disco i>to
Gesellschaft, il Fischer è attualmente Presidente del Consiglio di ammi-
nistrazione del potente Istituto, che recentemente festeggiò il primo cin-
quantenario della sua esistenza , colla pubblicazione di uno splendido
volume (1), in cui sono pure particolarmente illustrati i molteplici rapporti
d'affari, che la Disconto ebbe coll'Italia, soprattutto per ciò che riflette
l'emissione di obbligazioni ferroviarie e la costituzione della importante
Banca commerciale italiana. La presenza di un amico dell'Italia, come il
Fischer, alla testa di un Istituto cosi potente, ci f<t sicuri della simpatica
e poderosa cooperaziane del capitale tedesco alle future operazioni, indi-
spensabili a proseguire l'opera della ricostituzione economica del nostro
(1) Di:; Discììtto-Oesellschaft 1851 bis 1901. Dankschrift zum 50 Jilhrigen
Jubiliium.
84 IMPRESSIONI DI SICILIA
paese. Perchè, a dare un" idea della potenza della Disconto Geselìsc/n
basti dire che essa possiede circa 250 milioni di lire tra capitale e ri?i
e che essa negozia ogni anno circa 2 miliardi di valori di borsa e 3 milia
di cambiali.
Camminare non vuol dire essere giunti alla meta. Pure constatane!'! :
non lievi progressi che la Sicilia ha compiuti, il Fischer non disconi -
la molta strada che v'ha ancora a percorrere. Ma. egli ha fede e noi 1
biamo con lui. Egli sente che alcuni problemi economici, specialmente i
carattere agrario, presentano una particolare gravità: fa anzi comprende ni-
di volo che richiederebbero soluzioni ardite, alla tedesca. Più volte gli a li-
biamo chiesto, quale sarebbe l'avvenire della Sicilia e del Mezzogiorno m
genere, se quelle Provincie avessero la benedizione di uno Stato operos.j
e risoluto come quello prussiano, e di popolazioni dotate dello spirito di
iniziativa e di associazione, come quelle tedesche. Egli sorrideva in elo-
quente silenzio od al più ci animava ad aver fede.
La fede in noi stessi - ecco ciò che manca in questo momento agli
uomini migliori della nostra Italia: ecco ciò che soprattutto difetta alle
popolazioni ed alle classi dirigenti del Mezzogiorno. Meno recriminazioni
contro questi o quelli, contro lo Stato ed i Municipii, contro il Nord e
contro tutti! Meno querimonie, meno domande al Governo - maggiore con-
cordia di voleri, maggiore continuità di propositi, maggiore operosità per
il bene di ognuno e di tutti. Il Governo adempia ai suoi doveri meglio di
quanto non abbia saputo fare finora; ma le popolazioni non aspettino tutto
da esso e lottino per il meglio, con energia e con fede.
Con questo augurio diamo la parola al Fischer, al vecchio e sincero amico
dell' Italia.
Berlino, maggio 1903.
Mio onorevole Amico,
Ella mi ha richiesto di scrivere alcune ri<ilie sulle impressioni rice-
vute nel viaggio che ho recentemente compiuto attraverso la Sicilia e
l'Italia meridionale: con piacere aderisco al suo grazioso invito.
Due volte ho visitata la Sicilia: la prima nella primavera del 1861.
la seconda adesso. Allora, quarantadue anni or sono, vidi cpiella terra
immediatamente dopo la liberazione dal giogo dei Borboni. Da un
estremo dell'Isola risuonava l'inno di Garibaldi: la camicia rossa era
l'abbigliamento favorito dei giovani; dovunque sentivo narrare della
semplicità, della bontà fanciullesca e del coraggio da leone dell'eroe
nazionale. Mi riuscì assai commovente e gradevole il riandare questi
ricordi nell'ultima gita, pochi giorni dopo il mio arrivo a Palermo,
quando incontrai, alla tavola ospitale in casa del sindaco, un signore
che si era unito ai Mille, poco prima della presa della capitale siciliana,
ed aveva combattuto con Garibaldi a Milazzo ed al Volturno. « Nulla vi
era di cui non lo avremmo creduto capace, nulla che noi non avremmo
creduto di poter compiere sotto il suo comando. Il suo potere sopra
i giovani era sconfinato, noi ci trovavamo quasi sotto un incantesimo.
Noi, un pugno di giovani, avevamo appena conquistato Palermo che
Egli disse: - Ragazzi, ora al Faro! -e quando avemmo sbaragliato le
schiere napoletane a ililazzo. ci fu ordinato : - Adesso, a Napoli ! -
Allora noi tutti avremmo giurato che quella marcia vittoriosa non
avrebbe dovuto arrestarsi, e che noi, sotto una simile direzione, saremmo
giunti a Roma e poi all'Isonzo».
IMPRESSIONI DI SICILIA 85
Orbene, le cose non procedettero così rapidamente, ma quelle mire
che parevano tanto facili a conseguirsi a quei giovani pieni di entu-
siasmo, sono state pure in pochi anni fortunatamente realizzate. Innanzi
tutto non si è avverato ciò che gli scettici ed i paiu'osi davano allora
per sicuro: il periodo di calma che doveva seguire e seguì infatti ai
sorrisi della fortuna ed ai primi entusiasmi, non ha avuto per con-
seguenza la rovina dell'unità agevolmente conquistata. Sento ancora
suonarmi nelle orecchie quelle profezie di malo augurio, con le quali
allora mi si assaliva : « Il Nord ed il Sud, così fondamentalmente diversi
per indole, temperamento, cultura e ricchezza, una volta che sia passato
il sogno primaverile di questo episodio, dovranno fatalmente disgiun-
gersi; la Sicilia ed il continente, separati da un odio secolare, non
potranno vivere d'accordo. Noi meridionali non ci lascieremo governare
lai freddi, rigidi piemontesi; tropjio profonde radici ha nel nostro
sangue il particolarismo; e quelli sono troppo convinti della loro pro-
pria eccellenza, per potersi indurre ad aver riguardo alle nostre spe-
ciali qualità... »
Ed ora?
Certamente, lo so. si trovano anche fra voi certi dotti così attac-
cati alle loro teorie etnografiche delle differenze fra Nord e Sud, che
mcor oggi si sforzano di dimostrare teoricamente l'incompatibilità dei
S'ari gruppi di italiani. Ma il reale stato delle cose ha dato ragione a
coloro che prevedevano fin da allora l'unità d' Italia come la soluzione
ieflnitiva ed irrevocabile dell'assetto del paese. E questa è 1" impres-
sione che io, qiumto alla situazione ])olitica, ho ricevuto inalterata,
con mia soddisfazione, anche in Sicilia. La Sicilia si è fusa nell'Italia,
3d è divenuta una parte vitale del corpo della Nazione italiana. Per
lunghi anni, dei siciliani hanno retto le sorti politiche dell'Italia. Anche
Jopo la morte di Crispi e le dimissioni di Rudini, i siciliani sono ono-
revolmente rappresentati nei Ministeri, nei più alti e più importanti
uffici dell' amministrazione, dell'esercito, della diplomazia, dell'alta
finanza e dell" industria. La coscrizione generale, sconosciuta e odiata
in Sicilia, come in alcune altre regioni, ha preso, in breve, piede nel-
l'Isola, come in ogni altra ])arle d'Italia ; a Dogali e ad Adua sono caduti
molti siciliani, insieme coi figli del continente e i loro nomi sono tra-
mandati alla i)ietosa posterità, su monumenti che si incontrano nei
centri grandi e in quelli minori dell'isola, come anche di qua dallo Stretto.
Fin dal tempo dei Vespri Siciliani - il ricordo dei quali, noterò qui
ii passaggio, ricorre in Sicilia con meravigliosa frequenza - l'isola della
Frinacria si è sempre dibattuta in convulsioni violente contro l'oppres-
sione del giogo straniero, impostole da Angioini, Absburghesi, Spagnuoli
3 Borboni. Più lunga che non per le altie regioni d' Italia è la lista che
ia Sicilia può vantare, di sollevazioni, di cospirazioni e di martirii poli-
tici. Sotto questo aspetto le pietre di Palermo parlano un linguaggio
molto eloquente. Sulla piazza della Ci'oce dei Vespri, adorna di una
copia di quella croce, che vi fu eretta per ricordo della cacciata dei
Francesi avvenuta in seguito ad una solle\azione popolare, si mostra
incor oggi il palazzo in cui ha risieduto il governatore francese. Fra
le rovine di S. Giovanni degli Eremiti, il custode di questa vecchia
chiesa, ora trasformata in monumento nazionale, narra come la cam-
pana dei Vespri abbia suonato come segnale dello scoppio dell" insur-
rezione, e come sia avvenuta la cacciata dell'oppressore straniero. Una
lapide di tVonte al palazzo in cui abita il sindaco di Palermo tramanda
86 IMPRESSIONI DI SICILIA
ai posteri i nomi della Giunta che diresse rinsurrezione del 1848. Nell.i
contigua piazza della Rivoluzione, l'antico Mercato Vecchio, trovai l.i
lapide, ornata di corone fresche, che ricorda i capi dei patrioti, col.i
fucilati dai soldati del Re Bomba. Vicino airantico ])orto si eleva un
obelisco che porta i nomi di parecchi martiri della libertà, fucilati sui
principio dell'insurrezione del 1860: Li. piazza si chiama « Piazza delie
Tredici Vittime ».
E quando si mette il piede nel magnitico ornamentale giardino
Garibaldi, che nel bel centro della città offre un luogo di ricreazione
assai ricercato in tutte le ore del giorno da giovani e da vecchi, al-
l'ombra di nobili altissimi alberi, si trovano, vicino ai busti di Gaii-
baldi, Mazzini e La Farina, collocati su piedistalli, i visi espressivi di
altri patrioti siciliani, che sostennero vivamente la resistenza contro
il dominio borbonico, e ne prepararono la caduta per mezzo di con-
tinue cospirazioni e di sollevazioni sempre rinnovate. Sul piedistallo che
porta il busto di Giuseppe La Farina, sono enumerati come titoli ono- ]
rifìci quelli di « cospiratore, oratore, soldato, esule ». Cospiratore dunque \
in prima linea. Potrebbe, ciò posto, biasimarsi la gioventù che ha dap- '
perlutto davanti agli occhi questi, monumenti, queste statue e queste
iscrizioni onorifiche, se ancor oggi considera l'espressione « cospiraloi-e »
come segno di un talento degno di una speciale venerazione, capace
di assicurare in particolar modo la gloria presso i contemporanei e j;
presso la posterità? Si potrà farle un rimprovero, se essa, che ritrova
di preferenza nei nomi delle vie e delle piazze nelle sue città natali ;
quelli di Timoleonte, dei Gracchi, di Giordano Bruno, di Savonarola, '
e di altri precursori nella lotta per la libertà politica e religiosa, si ■^.
entusiasma innanzi tutto per ciò che si ribella contro l'esistente stato '
di cose, e se batte vie radicali all'estremo"?
Anche in Sicilia, dunque, i giovani non mancano di essere attratti
dal radicalismo, e saranno rinvigoriti dalla predilezione per questo |
modo di vedere le cose, attraverso i gravi e seriissimi inconvenienti,
che sono abbastanza numerosi nelle condizioni amministrative e so-
ciali della loro patria. La questione della terra e le condizioni dei lavo-
ratori dello zolfo basterebbero da sole a giustificare un ampio bisogno !
di riforme radicali. È tanto più facile scagliarsi contro l'assenteismo
dei latifondisti e contro la crudeltà dei proprietari delle zollare, che
non proporre vie pratiche conducenti al miglioramento dello stato di
cose. Non da me, che sono stato nel paese solo poche settimane. Ella
avrà da aspettarsi simili proposte.
Dappertutto ove mi sono recato, in Sicilia, sempre con viva pre-
mura, mi è stato domandato, dagli amabili italiani coi quali ho avuto
contatto, come io trovassi trasformato il paese.
Che dopo quarantadue anni dovessero essersi verificati grandi e
profondi cambiamenti, è evidente: ciò io comprendevo perfettamente;
ma sotto parecchi aspetti li ho trovati ancor più grandi di quello che
mi fossi aspettato.
Mi occuperò innanzi tutto della viabilità del paese.
Nel 1861 in Sicilia non esistevano ancora ferrovie. Le strade maestre
e le altre di campagna, per le quali si potesse andare in carrozza, erano
in numero estremamente limitato. Se la memoria non mi inganna, non
ve ne erano che due: quella sulla costa orientale da Messina a Sira-
cusa, e quella da Messina a Palermo; la prima da principio segue la
IMPRESSIONI DI SICILIA 87
costa orientale, e poi, un po' piìi al sud di Taormina, si annoda all'an-
tica strada maestia. sul versante settentrionale dell'Etna, penetrando di
traverso nell'interno dell'isola, verso occidente. Perle comunicazioni
fra le città della costa si ricorreva a piccoli vapori, che erano per la
maggior parte di qualità veramente dubbia, e per le comunicazioni fra i
luoghi interni ci si serviva dei cavalli. Anche molti anni dopo vi erano
ancora popolose città nell' interno dell' isola non congiunte fra loro da
alcuna strada. 1 fiumi, e specialmente le numerose fiumare, nell'interno,
erano non di rado prive di ponti. Quando le acque crescevano, allora il
viaggiatore doveva scegliere : o cercai si il passaggio traverso le acque
per guadi malsicuri, oppure, come i contadini nel verso di Orazio, aspet-
tare ilum eie fl lied atmiis: metodi ambedue che mal si accordano conia
necessità di percorrere rapidamente e sicuramente una data distanza.
Certo si è che in generale allora non si viaggiava rapidamente: nel-
l'aprile del 1861 sono stato in viaggio ben cinque giorni col mio bravo
vetturino per andare da ilessina a Sii'acusa; ora questo tragitto, con un
treno diretto della rete sicula, si percorre in quattro ore e mezzo !
Tale .stato di cose ha subito un profondissimo cambiamento per
opera delle strade ferrate. La Sicilia possiede ora una lete che orla
completamente le sue coste settentrionali ed oriejitali. e in gran parte
quelle meridionali, e che traversa l'interno dell'isola andando da noid
a sud e da occidente ad oriente, lo sono andato da Palermo a Cìir-
genti senza cambiare vagone, in quattro ore e quaranta minuti, e da
Girgenti a Siracusa in otto ore, con un solo trasbordo. Quest'ultimo
treno incontra a Santa Caterina-Xirbi il treno quotidiano che va da
Catania a Palermo, il solo che, corrispondendo a tutte le esigenze della
moderna comodità nei viaggi, porti seco un vagone-ristorante, ed abbia
potuto offrirci la gradita opportunità di far colazione in viaggio. In
queste linee, come pure in quella da Siracusa a Taormina e nella cir-
cumetnea da Taormina a Catania, ho trovato il servizio delle strade
ferrate siciliane bene ordinato, meravigliosamente puntuale e il mate-
riale d'allestimento delle stazioni rispondente a tutte le esigenze normali.
Quale somma di facilitazioni, comodità e maggiori agevolezze siano da
ciò derivate al viaggiatole può valutare solo colui che ha conosciuto
il paese senza le ferrovie !
Vi erano nel 1861 in Sicilia, date le misere proporzioni del movi-
mento dei forestieri, pochi alberghi, e di quelli pochissimi erano buoni.
Ero allora giovane, senza esigenze, e perciò, pieno delle meraviglie
che il \iaggio attraverso la bella isola mi offriva in abbondanza, poco
mi curavo di tali cose. Ciononostante mi è rimasto impresso nella me-
moria come la questione dell'alloggio lasciasse molto e talvolta mol-
tissimo da desiderare, con la sola eccezione dell'albergo Trinacria, a
Palermo, già allora famoso. Come era oscuro e sudicio l'alberguccio
che faceva poco onore al suo titolo di Albergo del Sole, l'unico del quale
il viaggiatore potesse allora valersi a Siracusa! Nel ISfil a Taormina
riuscimmo appena a pernottare. 11 nostro vetturale si fermò ad una
modesta locanda che si trovava isolata in basso, vicino al mare, presso
all'odierna stazione ferroviaria di Giardini, e lasciò che ci arrampicas-
simo, per mezzo di asini, su per le balze scoscese delle rocce di Taor-
mina. Lassù, in quel miserabile paesello, non vi era alcun luogo in
cui il viaggiatore potesse ristorarsi. Ricordo ancora nettamente come
88 IMPRESSIONI DI SICILIA
mi rispose la locaiidiera di Lentini, presso la quale avevamo preso
quartiere per la notte. Quando le richiesi che cosa ci avrebbe servito da
pranzo, essa con tutta semplicità ci rispose: « Quello che vi siete por-
tato». Siccome in quell'albergo niente altro poteva trovarsi all'infuori
del vino immancabile, così io andai al mercato della piccola città cir-
costante e comperai un pollo, uova, pane ed insalata per la nostra cena.
La Trinacrìa è ancor oggi in Palermo un buon albergo, mentre
per comodità, ampiezza e qualità delie stanze è rinomato da alcuni anni
V Hotel des Palmes, che parimente appartiene alla famiglia Ragusa, ed
è situato nella moderna parte della città che si trova Inori dell'antico
recinto delle mura. Nella nuova magnifica Villa Igiea che è fuori del
porto, solenne sul mare, alle falde di Monte Pellegrino, l'altiera capi-
tale dell' isola possiede imo stabilimento pel movimento dei forestieri,
capace di soddisfare alle più raffinate esigenze : esso costituisce un centro
di attrazione della più alta importanza e comprende un'ottima agenzia
internazionale di viaggi. Girgenti e Siracusa, ambedue allora terribil-
mente abbandonate e desolate, sono ora meta di un'amplissima cor-
rente di viaggiatori; ambedue quelle città posseggono alberghi buoni,
dei quali l'Hotel des Temples in Girgenti e la Villa Politi, situata splen-
didamente nel margine superiore della meravigliosa Latomia dei Clap-
puccini, sono divenuti punti di fermata assai ricercati dai forestieri
elle viaggiano in Sicilia. Anche a Taormina, allora cosi inospitale, si
trovano adesso, olti'e a parecchi ottimi alberglii di prim'ordine, fra cui
il Grand Hotel, il Belleiuie. il San Domenico, ecc., anche un certo
numero di altri buoni e raccomandabili. L" intera città, in cui allora
non si poteva avere una tazza di caffè, è adesso per la maggior parte
tlelfanno percorsa da una notevole quantità di forestieri. Ed aumenta
il numero dei visitatori tedeschi, inglesi, americani, svizzeri, russi, ecc.,
che giungono a questo meraviglioso punto di vista jier farvi una più
lunga dimora. Qui come in Aci Reale sono venute sviluppandosi
alcune particolarità che ricordano le stazioni climatiche invernali
della Riviera. È per me assolutamente fuori di dubbio che anche in
Sicilia le ferrovie si siano dimostrate mezzi apportatori di cultura di
prima importanza, in rapporto al movimenfo dei forestieri; ma io
sono inclinato a credere che la loro missione di fronte alla cultura non
sia limitata al movimento dei viaggiatori.
La prima cosa che mi diede nell'occhio a Palermo fu il fatto che
sono scomparsi i balconi chiusi con una grata, che formavano allora
pel Cassaro un cammino sospeso lungo la via principale fino al Duomo,
per offrire alle pie signore una via per giungere alla chiesa, lungo la
quale non fossero disturbate da sguardi profani. Adesso è caduto il
congiungimento fra i balconi delle singole case e la maggior parte dei
balconi si sono anche liberati dalle anguste grate. In seguito a ciò la
strada principale di Palermo ha perduto una delle caratteristiche per
la quale sorgeva assai vivo il ricordo del tempo dei saraceni.
Anche sotto altri aspetti trovai Palermo assai rimodernata. La
pulizia delle strade, dirò, servendomi di un eufemismo, vi lasciava spesso
a desiderare. Adesso ho potuto francamente manifestare all'onorevole
sindaco la mia meraviglia per lo stato attuale di cose, grazie alla bene-
merita attività della « nettezza pubblica », che fio incontrata senza
eccezione anche nei luoglii jilù angusti del dedalo di viuzze della parte
IMPRESSIONI DI SICILIA 89
mtic i della città. Attribuisco a questo miglioramento, che è al tempo
;tesso della i)iù alta importanza per l'igiene di Palermo, maggior valore
;he non ad altri che a molti cadono innanzi tutto sott'occhio, come, per
esempio, il sontuoso edifìcio del Teatro Massimo e del Politeama, poiché
0 ritengo quelli più necessari e più salutari che non questi jmlazzi
)rnament,ali, che hanno imposto gravi carichi alle finanze della città.
Di pesi spirituali di ogni specie non vi è penuria neppure nella Palermo
l'oggi. Però mi sembra che il grave regime conventuale, sotto il quale
gemeva una volta la metropoli siciliana, sia ora non poco diminuito.
n grandissimi possedimenti di ordini religiosi ho trovato ora istituti
alci ; nel grandioso chiostro dei gesuiti vicino al Duomo ha preso stanza
1 Convitto Nazionale, ed ho osservalo con piacere che il refettorio dei
'adri della Società di Gesù costituisce ora la sala da pranzo dei 180
dunni di questo ottimo istituto di educazione, che è di indole asso-
utamente secolare. 1 suoi alunni ricevono le lezioni rispettive nel
ginnasio Giovanni Meli, e nella scuola tecnica, situati nello stesso
;aseggiato e comunicanti per mezzo della corte posteriore.
In forte contrasto col comjileto stato di abbandono in cui si trovava,
il tempo della mia prima visita, la pubblica istruzione, si incontra ora
n Palermo e nelle altre città dell' isola una folla di istituti di ogni
specie, dedicati all'educazione popolare. Scuole elementari. Scuole serali:
isili d' infanzia, Scuola professionale femminile. Scuola commerciale ;
jueste sono le iscrizioni che spesso ricorrono sulle case nell'interno
Iella città. Secondo il bilancio, quale è stampato nei resoconti del Con-
iiglio comunale, che deblio alla cortesia del sindaco senatore Tasca-
^anza, furono nel 1901 stanziate le seguenti somme per le scuole di
Palermo :
Stipendi ai maestri delle scuole elementari L. 267.357. »
Stipendi alle maestre delle scuole elementari » 328,711.50
Basso personale delle scuole elementari » 85,678. »
Affitto dei locali per le scuole elementari >> 95,000. »
Valore locativo dei luoghi di proprietil comunale usati da dette
ìcuole » 26,000. »
Manutenzione della suppellettile scoslatica e del mobilio. . . » 28,200.-50
Ciò dà una spesa annua per l'istruzione popolare in Palermo, rag-
!:iungente una somma superiore ai tre quarti di milione di lire. Oltre
1 ciò vengono le numerose scuole popolari private, aventi carattere
•eligioso ed antiquato, non municipali. Così pure nelle alti'e città, anche
1 viaggiatore più frettoloso può vedere che i municipi si sforzano di
•isolvere nel miglior modo possibile il problema delle scuole, che è loro
mposto. La mia piccola guida sulla rupe Atenea a Girgenti, alla
lomancla se sapesse leggere e scrivere, mi rispose: « Signor mio, io ho
ivuto il premio alla scuola per il buon profitto nello studio! » Ed a
Siracusa, mentre attraversavo la corte di una nitida casa sulla quale
!Ì leggeva l'iscrizione « Scuola elementare femminile », fuicoiiesemente
nvitato a visitare le classi. Chi avrebbe mai pensato a Siracusa nel 1861
ìd una scuola pubblica, per giunta ad una scuola femminile ! Eppure,
iella statistica degli analfabeti, le provincie siciliane si trovano tuttora
id un livello assai basso con una percentuale spaventosa.
Come segno dell'abbandono e del deperimento che incontrai a Sira-
;usa nel IStil, mi è rimasto in mente il misero aspetto che allora pre-
sentavano le sorgenti di Ai'et usa. L'Antichità aveva tributato a questa
bnte onori divini, e le aveva dedicato uno splendido culto, lo vidi
90 IMPRESSIONI DI SICILIA
allora la Ninfa, dolente, adattarsi ai più umili servigi: intorno al su
dicio orlo della fontana, rasente ai piedi del muro del grande porto ,
completamente deserto, stavano sedute le lavandaie, intente a pulire
in mezzo ad un alto gridio la biancheria di dubbio candore, nei tlutti
abbondanti della sorgente. Ora la nuova bella passeggiata lungo il \
porto è interrotta da un emiciclo, in cui la bella fonte riversa le sue
lim])ide acque. Alti fusti di papiro piantati fin qui. dalle rive della
vicina Ciane, susurrano una pace lieve e soave su questo ospitale
emiciclo, mentre, nelle acque mormoranti, guizzano allegramente nu-
merosi pesci ed alcune palme sollevano maestose verso il cielo le loro
chiome. Come una volta nel suo abbandono, così ancor oggi Arelus.i
può, nella sua modesta e pur meravigliosa bellezza, rappresentare il
simbolo del miglioramento che Siracusa ha subito dal 1861 in poi.
Adesso è interamente demolita la cinta di fortiiicazioni che una volta
teneva segregati dal continente, sull'isola, loro origine, i poveri resti
di Siracusa. Fra il porto grande e quello di Acradina è stata fatta una
comunicazione navigabile. Se la foresta degli alberi di nave che animano
questi porti, per lungo tempo non ha corrisposto a ciò che ci si ri-
prometteva dal canale di Suez allora in costruzione, pure io vi ho
veduto, oltre ad un discreto numero di feluche e di altri legni di ca-
botaggio, un grosso vapore ancorato che caricava agrumi, ed ogni
giorno il porto è toccato dall'uno o dall'altro vapore, che mantengono
le comunicazioni con altri luoghi della costa orientale e di quella me-
ridionale.
Quanto non dovetti penare nella mia prima visita per trovare la
bella statua di Venere, che costituisce una delle glorie di Siracusa e
una delle più nobili reliquie del suo passato! Oggi Siracusa possiede
un museo suo proprio, che è stat(j collocato degnamente in un palazzo
di fronte al Duomo. Al piano terreno, vicino agli avanzi di architettura,
alle urne e ai sarcofagi, è stata posta una raccolta di sculture che con-
tiene, oltre alla Venere Anadiomène, una serie di notevoli statue romane
drappeggiate, ed un magnifico rilievo sepolcrale della buona epoca
greca. 11 piano superiore presenta una mostra etnografica ricchissima e
bene ordinata, che risale fino al passato preistorico dell'isola. Una
l'accolta di magnifici vasi e una collezione quasi completa di monete
della città danno un'immagine evidente del talento artistico che ha
reso, per secoli, Siracusa uno dei centri della vita intellettuale dei Greci.
Ma quando poco prima dicevo che le ferrovie hanno dimostrato
di essere anche in Sicilia mezzi di diffusione della cultura, non avevo
di. mira soltanto il rifiorire del benessere e dell'istruzione, quale si pre-
senta nella città ad ogni osservatore. Dopo tutto ciò che avevo letto
ed udito sugli ettetti del regime dei latifondi in Sicilia e della cultura
tendente a divenire sempre più estensiva, debbo confessare aperta-
mente che quanto ho veduto nella coltivazione ilei paese mi ha viva-
mente sorpreso. Non parlo qui della fiorente cultura delle vigne e degli
agrumeti che danno alla Conca d'oro intorno a Palermo, alla striscia
di costa da Catania a Taormina e a molte parti dei paesi traversati
dalla Circumetnea, un aspetto più ricco di tutti i giardini più curati e più
intensamente coltivati. No; io ho trovato anche nell'interno dell'isola,
tanto nel viaggio da Palermo a Girgenti, quanto in quello da Girgenli
a Siracusa, una coltivazione che ha superato la mia aspettazione.
IMPRESSIONI DI SICILIA 91
Innanzi tutto mi ba sorpreso il numero degli alberi cbe si osservano
dal treno. Non soltanto i gruppi di Eucalyptus cbe sempre annunziano
la vicinanza di una stazione, ma parecchi alberi fronzuti, come pioppi,
salici, ulivi e piti lontano alberi fruttiferi delle specie più varie, fra i
quali il mandorlo cbe si trova quasi dappertutto, danno al paese un
aspetto oltre ogni dire grazioso. Oltre a ciò, non di rado si incontrano,
neirinterno, dei tratti diligentemente coltiviiti ad agrumi. Debbo però
ritenere cbe queste siano eccezioni che si possono spiegare col fatto
che la linea ferroviaria, sempre quando è possibile, segue le valli dei
fiumi, e in Sicilia là dove è acqua là sono anche agrumi, come mi
spiegava un siciliano, mio compagno di viaggio. Ma anche la cultura
dei cereali, osservata dalla ferrovia, si presenta molto meno interrotta
di quello cbe avrei creduto : fino alle regioni montuose che limitano
l'orizzonte, ho veduto distendersi i campi di frumento, sulle plaghe
lontane. I terreni deseiti, i pascoli aridi, le paludi non bonificate che
non di rado incontra chi viaggia per il Mezzogiorno, non mi sono
mai venuti soft' occhio in Sicilia. E debbo anche riconoscere che ciò
che mi è capitato di osservare in fatto di edifìci rurali, attrezzi, be-
stiame, vestiario e mantenimento dei lavoratori della terra, non è
affatto rimasto indietro a ciò che ho veduto in parecchi distretti del
continente.
Mentre scrivo, so bene ([uanto poco facciano fede queste fugge-
voli osservazioni e quanto poco valore esse abbiano in confronto alle
testimonianze di esperti conoscitori delle condizioni dell' isola, e per
il terribile posto che la Sicilia occupa nella statistica degli omicidi,
ila Ella, mio onorevole amico, mi ba invitato a scrivere queste righe,
benché le fosse noto perfettamente che io non ho affacciato alcuna
pretesa di un'esperienza particolare: debbo ritenere che sia stato desi-
derio di Lei di udire con tutta semplicità, così come esse sono, quelle
impressioni di viaggio, che ho raccolto durante la mia visita, purtroppo
tanto breve, in Sicilia, e perciò non mi sono vergognato di esporle
ciò che mi ba sorpreso e rallegrato in rapporto alle condizioni della
economia rurale. Pure non potrei a meno di difendermi, nel modo più
esplicito, dall'accusa di aver sostenuto die in Sicilia tutto va per lo
meglio, come se io credessi che la riforma delle condizioni agricole e
sociali, cbe sono urgentemente richieste da profondi conoscitori del
pae.se, non sia di una necessità impellente e tale che non si possa dif-
ferirla. Una simile falsa interpretazione delle mie parole mi dispia-
cerebbe sommamente.
Del resto, alla fine dei conti, io ho ritrovato la Sicilia, dopo qua-
rantadue anni, di molto ringiovanita, arricchita e più coltivata di
quello che io non avessi sperato, fondandomi sui miei ricordi. Ariche
la Sicilia ha da sopportare la sua grave quota del carico imjiosto da
più di quarant'anni alla vostra nobile patria, dalla conquista dell'indi-
pendenza e dalla fondazione di uno Stato unitario nazionale. Ma anche
in Sicilia non vi è luogo a trarre tristi presagi sull'avvenire dell'Italia,
nel quale tanto io quanto Lei, abbiamo piena fiducia. Certo, chi sente
amoi'e pel paese, non deve starsene colle mani in mano, né in Sicilia,
né in altie parti d'Italia. Infatti, come diceva Orazio? Bi(sticus expe-
ctat cium defluat ainnis...
Sempre suo aff.mo
P. D. Fischer.
ELEZIONI UNIVERSITARIE NEL CINOUECENTO
Da documenti ixediti sl'llo Studio di Perugia.
I.
La storia dello Studio di Perugia è ancora da fare, nonostante che
ne apparisca verauiente cospicua l'importanza. Quello Studio è già in
fiore a metà del Trecento, quasi solo, può dirsi, da Siena a Napoli.
L'aver riprodotti, come dimostrò il Padelletti, ordinamenti e statuti
dell'Università bolognese non diminuisce lustro all'Università peru-
gina : che anzi Perugia destava per ciò, a quanto pare, nella città
d'Accursio gelosie e timori di concorrenza.
E la gloria dello Studio perugino s'accresce nel Quattrocento e nel
Cinquecento : esso prospera libero in liberi ordinamenti, senza neppure
le protezioni di mecenati che nelle altre città italiane alimentavano
le LTniversità, fossero essi Medici o Estensi o Visconti.
È notevole poi che anche quando con Paolo 111 l'autorità ponti-
fìcia si rinsalda sulla città, lo Studio risente bensì, per varie vie, la
nuova più diretta dominazione, ma non perde la sua tenace auto-
nomia.
Occasione a guardare un po' nella storia di questa insigne Uni-
versità mi s'è offerta per qualche ora testé passata in quella Biblio-
teca Comunale, ch'è allettamento grande agli studiosi per il molto
d'inedito clie vi si trova accolto.
Fra le numeiose carte sciolte che il tanto benemerito Annibale
Mariotti riuniva e, in parte, ordinava, molte ve n'ha che concernono
l'Università, e queste sono ancora quasi tutte inesplorate. Noto, per
esempio, un gruppo contenente quinterni ove son registrati i salarli
degli insegnanti (1), un altro che ci dà le riforme degli Statuti della
Sapienza vecchia (i2). Ancora: una busta conserva gli J.cto scholarium
per tutto un ventennio (1497-1517) (3) e un'altra contiene - incitamento
anche piìi vivo alla curiosità del ricercatore - molte centinaia di fogli
ingialliti (sec. .xvi) ai quali, nel linguaggio moderno, daremmo il nome
di atti elettorali (4).
(1) Porta il N." 148S Eì nel diligente e pregevole Inventario di A. Bellucci,
formante il voi. V degli Inventava dei manoscritti delle Biblioteche d' Italia, a
cui-a di A. Mazzatinti.
(2) N. 1470 G del d» Inventario.
(3ì N. U72 L del A" Inventario.
(4) N. 1467 C del d" Inventario.
ELEZIONI U.N'IVERSITARIE NEL CIXQUECEXTO 93
Su quest'ultima busta mariottiana mi soffermo di preferenza nella
presente notizia, perchè i documenti ivi compresi illustrano quello che,
tra i varii aspetti della vita universitaria italiana, mi pare il ]iiù at-
traente: voglio dire quell" autonomia per la quale l'Università italiana
nella sua età dell'oro rajipresentava quasi uno Stato nello Stato.
Fra gli scrittori che, dal Denifle in poi, trattarono la storia delle
nostre Università, pochi, in verità, studiarono questo lato della vita
universitaria. S' insistè piuttosto a dimostrare come gli Statuti degli
3tudii sorsero e s'elaborarono, come e (piando furono riformati anche
dalla pratica : meno invece si badò alle continue ripercossioni che
[{uegli ordinamenti avevano fuori della vita universitaria nell'esistenza
giornaliera degli scolari e nella stessa vita comunale. Eppure, di contro
alla conoscenza teorica e generale della storia, piace e diletta l'episodio,
dal quale spesso emana i)iìi luce che dalle grandi linee storiche.
S'aggiunga che, nel caso nostro, questi episodii di vita universi-
taria, e 1 documenti dove sono consacrati, appariscono sempre infor-
mati a quello spirito di libertà, che può perfino sembrare a noi mo-
derni disordinato, scomposto, eccessivo, ma che non cessa d'avere il
suo fascino simpatico. Agli scolari si davano piivilegii su privilegi!:
soltanto dinanzi al loro Rettore essi potevano portare accuse e difese,
contestazioni civili e penali; e ogni altra specie di franchigie, fino
alla esenzione dalle gabelle, era loro concessa. Ciò turbava l'egua-
glianza degli altri cittadini; ma che importa"? Quei cittadini tenevano
a sommo vanto l'accogliere quanti più scolari si potesse ed erano lieti
che ogni anno la spensierata turba se n'aumentasse e si studiavano
di rendere ad essa sempre piìi liete e facili le condizioni di vita.
Così dagli occhi nostri dileguano le ragioni teoriche inspirate al
concetto moderno dell'eguaglianza, giacché la visione di quella vita
studentesca arriva a noi atti'averso la trasformatrice lente dei secoli
che sopra vi corsero.
Per noi il quadro degli scolari d'un libero Studio, radunati per
eleggere tra loro il Rettore o i Consiglieri o i Lettori straordinarii, è
bello e attraente per sé medesimo.
Tali la mia mente si rappresentava questi scolari per l'esame
di queste carte perugine, che pure appartengono ad un'era non più
felice per la libertà politica del Comune. Ma è degno di nota il con-
statare che, nella seconda metà del Cinquecento, al vecchio e glorioso
Studio perugino era lasciata intera anclie dai Pontefici la sua legge
di autonomia e di libertà. Illusione o realtà"'
Non divaghiamo più oltre, e guardiamo più da vicino i mano-
scritti.
II.
I manoscritti raccolti nella busta mariottiana abbracciano il ven-
tennio 1571-1590, e altro non sono in sostanza che gli atti originali
delle elezioni dei Consiliarii compiute in quel periodo.
Ciascun foglio registra, per ciascun anno, tutti i nomi degli scholares
che hanno preso parte alla votazione. Accanto al nome dell' elettore
sta quello del candidato cui questi dà il voto.
I Consiglieri dello Studio (Consiliarii) costituivano, com'è noto, una
specie di consesso o corpo consultivo intorno al Rettore. Era quasi
un Senato, cui il Rettore doveva in certi casi chiedere il suo parere.
94 ELEZIOXI UNIVERSITARIE NEL CINQUECENTO
Oltracciò i Consiglieri avevano certe funzioni proprie e le esercitavano
all'infuori del Rettore: principalmente quella di decidere suU' accusa,
che taluno movesse, di sospetto rettore.
L'elezione di questa magistratura universitaria risulta dai nostri
manoscritti avvenuta ogni anno, senza lacune o interruzioni : ciò che j
era, del resto, conforme al precetto degli Statuti riformati nel 1511, |
secondo i quali l'elezione era appunto annuale. \
Gli scolari votano divisi per Provincie: e provincie si chiamano
anche le nazioni straniere. Ciascuna provincia nomina due consiglieri.
Universalis è designato l'eletto dall'Università; Sapientiarius quello
eletto dalle Sapienze, le quali a Perugia, com' è noto, eran due nel
Cinquecento: Sapienza vecchia o Collegio Gregoriano ; Sapienza nuova
o Collegio Gerolimiano.
11 numero dei votanti appare per talune provincie assai grande;
scarso è per altre, specialmente, come s'intende, per le provincie fo-
rastiere.
Sotto quest'aspetto i manoscritti in esame potranno essere indice
a segnare il progresso o la decadenza dello Studio perugino nella se-
conda metà del secolo xvi. Per restringermi ad un solo anno - il ,
primo (1571)- basti notare che l'esser venti i Consiliarii da eleggersi
in quell'anno mostra indubbiamente un progresso, almeno numerico,
in confronto di ciò che l'Università era al principio del Cinquecento.
Infatti, nel 1504, come si ti'ae da altro gruppo di manoscritti stu-
diato dal Dr. Pardi (1), si eleggevano soltanto otto Consiglieri : due della
Provincia Romana, due delle Marche, due del Regno, due alemanni,
mentre i precedenti Statuti del 1457 ne stabilivano a dieci il numero.
Evidentemente, la legge teorica degli Statuti soggiaceva a mutamenti
suggeriti di volta in volta dalla pratica e dalla consuetudine. Cosi per
la scarsità o per l'assenza di scolari d' una data provincia poteva o
numericamente variare o mancare del tutto l'elezione dei rispettivi
consiglieri. Per esempio, nell'elezione del 1504 si trovano mancanti i
Consiliarii toscani, e ciò - nota il Pardi - sta a provare che Pisa e
Siena e soprattutto Bologna dovevano attrarre di preferenza gii studenti
di Toscana e privarne intieramente lo Studio di Perugia.
Invece, se guardiamo in base ai nostri documenti l'anno 1571,
troveremo che di ben dieci Provincie s'eleggono consiglieri, due per
ciascuna provincia, e che non fanno difetto, benché in numero infe-
riore a quello delle altre provincie, gli studenti toscani. L'Università
dunque si trovava sempre in un felice periodo di progresso.
E sempre limitando la mia rassegna al solo anno 1571, rilevo dalle
votazioni che al corpo degli scolari il maggior nucleo è dato dalla
Provincia Romana. Infatti per il consigliei-e delle due Sapienze {Sa-
pientianus) prendon parte alla votazione 23 scolari: per il consigliere
dell' Università ( Universalis) ne accorrono al voto 74. Sono dunque 93
scolari del solo Lazio.
Curioso è poi il notare che, contro la diversa previsione a cui
c'indurrebbe la lontananza dell'Umbria dalle provincie meridionali, il
Regno delle Due Sicilie tenga nella graduazione numerica degli scolari
il posto immediatamente successivo alla provincia romana. Si vede così
che fin dal mezzogiorno d'Italia salivano, a traverso l'Appennino, alla
(1) È la sopra ricordata Busta 1472, L, dottamente illustrata da G. Pasdi:
Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per l' Umbria, toI. IV, pag. 487.
ELEZIONI UNIVERSITARIE NEL CINQUECENTO 95
apitale dell" Umbria, gli studenti. Nel 1571 erano 36 votanti, tra Uni-
ersilà e Sapienze.
Vengono })oi, in ordine numerico, le Marche (!2S scolari), la Lom-
ardia (13), la Toscana (8).
In ogni filza annuale di carte si trova intine un gruppo intitolato :
nnominatae (sottintendi Provinciae), nel quale sembra fossero riuniti
non iscritti in nessuna speciale provincia. Nell'anzidetto anno il nu-
lero di tali scolari è di 11.
A questi sei gruppi è da aggiungere quello della provincia o città
i Perugia, del quale però non ho trovati i singoli fogli di votazione,
lo trovato invece i soli nomi dei Consiliaril riusciti eletti registrati in
na specie di specchio riassuntivo costituente il primo foglio della filza.
Un particolare interesse presentano inoltre i nostri documenti in
uanto porgono nuovi dati utili a determinare la proporzione in cui
Perugia la studentesca italiana trovavasi con quella forastiera.
Non è già che la viva forza d'attrazione con cui la cultura italiana
però su tutto il resto d" Europa abbia bisogno di nuove prove per
ssere riconosciuta. Ma, a buon conto, l'accertare sempre meglio se,
3me a Bologna ed altrove, così anche a Perugia, centro pii^i modesto .di
ita universitaria, continuassero ad accorrere fino a tutto il Cinquecento
polari stranieri, riuscirebbe di non poca importanza. Devesi però no-
ire che pochi sono, nell'anno che qui teniamo presente, gli stranieri :
inque spagnuoli, tutti di Valenza ; due francesi ; due tedeschi o ultra-
lontani (dacché la parola ultramontani si trova sempre usata ad in-
icare soltanto i tedeschi, indifferentemente coU'altro appellativo di
lamanni). Questi ultimi sono, per necessità, elettori di se medesimi,
tutt'al più si danno il voto a vicenda. E nel costume studentesco
el tempo questo fatto era meno strano che non sembri oggi a noi
loderni. In molti altri punti di questi documenti elettorali mi è acca-
uto di leggere di questo o quel votante : « elegit semel ipsum ».
Ma all'infuori di tali rilievi, giova interrogare i nostri documenti
il modo onde l'elezione procedeva.
III.
Le elezioni, nel giorno fissato, si bandiscono dal Bidello.
Le mansioni di questo ch'è oggi collo stesso nome {Bidelhis) umile
ersonaggio in umilissimo ufficio, erano, secondo le vecchie costumanze
gli ordinamenti universitarii, meno volgari e assai più varie: anda-
ano dall'obbligo di controllare se Doctores e Lectores facessero rego-
irmente lezione tino all'incombenza delle notificazioni al domicilio
egli scolari.
Certo però l'atto più solenne del Bidello era la convocazione de-
li scolari per le elezioni. Ciascuna infatti delle carte che ho avuto
ott' occhio contiene, prima d'ogni altra cosa e dopo la intestazione
ella Provincia cui il foglio si riferisce, la formula sacramentale della
onvocazione dei votanti. Seguono poi, come ho già accennato, in due
alonne i nomi del votante e del designato, congiunti dalla formula :
legit in Consiliarimn. Per tal modo il voto riesce palese. Per esempio :
« D. Stephanus Vimes de Valencia elegit iti Consiliarinm D. Ca-
olum Sanleglium de eadem ».
E così di seguito; usandosi la formula : « elegit eumdem » quando
n elettore vota per Io stesso pel quale ha votato il precedente.
96 ELEZIOXI UNIVERSITARIE NEL CINQUECENTO
Se taluno sia impedito di recarsi di persona all'Università, seni
bra che gVi si consenta di mandare il suo voto per iscritto. Ho Irò
vato i)iii d'un foglio volante nel quale, quasi sempre coli" intervento d
publìlico notaio, è dichiarato il voto di studenti trattenuti in casa
Talvolta però la dichiarazione è fatta senza autenticità notarile, e al
lora s'abbandona il latino pel volgare, come, per esempio, nella se
guente carta, concernente l'elezione del 1572:
« Io Domenico Lucio de Collestatti elego per consiglieie della Na
tion Romana M. Gioan Baptista Maninio Romano et in fede del vero hi
fatta la presente de mia propria mano questo dì 15 de decembre 1572
« lo Domenico Lucio manu propria »
L'accorrere degli studenti alla votazione durava per tutto il giornc
e se n'ha una conferma nella stessa formula di convocazione.
Questa in tutti i fogli dal 1571 al 1590 è, tranne 1 cambiamenl
di date ed altre minime varianti, la seguente :
« Die lune XVII decembris Macca Bidellus retulit se hodie citass
dominos scholares qui per totam hodiernam diem accedant ad Pala
tium ad creandum Consiliarios Provincie... » (equi segue il nome dell
Provincia).
La data dell'elezione non cambia, da foglio a foglio, se non per
giorno : il mese è sempre il dicembre. Quiinto al luogo delle elezioni, no
era il palazzo dell' Università, ma il palazzo pubblico della Città, divei
tato a quel tempo la sede del Governatore. Se n" iia una riprova nell
formula di ratifica che quest'ultimo appone a ciascun elenco dei votan
e con la quale termina ciascuna carta. Non è dunque il Rettore eli
imprime alle votazioni compiutesi la forma legale e la sanzione def
nitiva: è il rappresentante dell'autorità politica. Una tale deroga ali
autonomia dello Studio non è priva di significato. Essa, del resto, :
spiega anche meglio se si consideri che, come ho già accennato di sopn
il corpo dei Consiliarii giudicava dello stesso Rettore. Anche la cot
fìnnatìo del Governatore è redatta in forma sempre uguale, alla flr
dei singoli fogli di votazione. Eccone, per esempio, una:
« Die Veneris xix decembris de sero, instante dicto domino, (qv
il nome dell'eletto) et infrascripta fieri petente et nemine contradicent
R. Dominus Gubernator Perusie et Umbrie confirma vit in Consiliariu
diete Provincie dictum Doininum (si ripete il nome) presentem et acc
ptantem cum honoribus et oneribus solitis et consuetis » (secfue la fìrm
del Governatore). Altra volta, il nome del Governatore è inserito nel tes
stesso della Conferma. Nel 1572 si trova menzionato: « R"""* D"""* ■}■
hannes Thomas Sanfelicius episcopus ».
In alcuni casi l'eletto dichiara di non accettare il consigliera
ed emette, seduta stante, la dichiarazione di voler surrogare nell' ufhlc
un altro scolaro. Il Governatore prende atto della surrogazione.
Fin qui, e nella maggior parte dei casi, la proclamazione dei Co:
siliarii procedeva tranquillamente e senza contrasto. Ma molto p
interessanti agli occhi nostri di ricercatori riescono quelle elezioni
cui contro l'investitura d'uno scolaro altri scolari insorgono. Anc!
sotto questo aspetto le carte |)erugine possono essere consultate e st
diate col più vivo interessamento.
ELEZIONI UNIVERSITARIE NEL CINQUECENTO 97
IV.
Il Governatore è in questo tempo anche giudice delle contestazioni
leltoiali. Queste avevano principio nel giorno stesso della votazione
sembrasi agitassero piuttosto aspre. Si capisce: erano giovanilmente
ive le passioni ed era ambita la carica. Ma, in verità, nelle carte
he ho avuto sotfocchio moltissime elezioni - anzi la maggior parte -
rocedono regolari e tranquille. La nostra curiosità s'accresce là dove
i manifestano dissensi e s'impegna la lotta. Così, per esempio, limi-
indoci sempre a ricercare negli anni 1571 e 157"2, troviamo due sco-
iri. se ad iuvicem coutradicentes, contrastarsi il posto di Consi-
larixs Innoìninatae Procincine e contendere sull'attribuzione di un
oto - un voto solo - d'un Jiilhis Menyacii de Mondnlfo, che bastava
cambiare il risultato e che apparve dolo assigiiatiis all'uno invece
he all'altro candidato.
Un'altra contestazione ha luogo pure nel 157'2 tra uno scolaro di
livita vecchia {Romana Provincia) ed un umbro, di Calvi.
Per dare un'idea del modo onde tali dibattiti procedevano, cito
ncora' una contestazione, che trovo consacrata nei fogli dell'elezione
er il Consigliere uiìiversalis della Provincia Romana, e che si svolge,
no alla decisione del giudice, a traver.-;o un sistema procedurale fìsso
disciplinato.
Tale procedura riesce, per dippiìi. interessante anche alla storia
el diritto, ritiovandovisi concetti che. come quello della contumacia,
el termine ed altri, sono proprii dei procedimenti rituali conservatisi
ino ai nostri giorni.
- Alla fine della giornata elettorale (15 decembre 157'2) dovrebbe avve-
lire la proclamazione del Consiìiarins per gli scolari della Provincia
lomana. Sarebbe, pare, da proclamarsi un Americus Egius de Spoleto;
questi infatti, de sero, domanda al magistrato competente la conferma
[ella sua vittoria.
Ma uno scolare romano, quel Johannes Baptista Maninius de Urbe
opra citato, interviene ad im]ieilire che sia pronunciata la formula
acramentale: « Nemine contradicente... ». No. è lui che contradice la.
stanza di Americo. Trascrivo dal verbale:
« Petente D. Johanne Baptista Maninio de Urbe et predictis con-
radicente et dicenle se creari debei'e in ConsiUarium diete Provincie
labentem plures voces et ita fieri libere petente;
« Petente dicto D. Americo et dicente dictum D. .lohannem Bapti-
lam esse inhabilem ad Consiliaratum attento quod non servavit con-
titutionem inscribendo se in matricula per uno mense ante electionem
jonsiliariorum. et ipsum Americum esse habilem ad Consiliaratum
ìum se scripsisset in Matriculam secundum formam dictarum consti-
utionum ».
Secondo gli Statuti universitarii perugini del 1511. che ho riscon-
rato, la deduzione dello scolaro spoletino contro il romano sarebbe
ìtala attendibile: ivi infatti troviamo stabilito che nella creazione dei
consiglieri non avessero voto gl'iscritti in Matricola da meno d'un
nese prima. Donde la conseguenza: chi non è elettore, non può essere
iletto. La tèsi sarebbe parsa inoppugnabile; ma... purtroppo quella
'egola era stata derogata!
7 Voi. evi, Serie TV - 1° luglio 1903.
98 ELEZIONI UNIVERSITARIE NEL CLVQLECENTO ^
Una deliberazione dell'assemblea degli scolari, presa il 15 teli-
brajo 1511) e già nota (1). aveva derogato a quella disposizione.
Essa suona cosi :
« Proponitur ut derogetur constltutionibiis quibuscunque facien-
tibus contra creationeni consiliarorum, et maxime ubi habetur quod
qui non fuerit matriculatus per unum menseni non possit dare vocem
in creatione consiliariorum : quibus derogetur prò hoc vice tantum,
scilicet quod omnes matriculati possint dare voces, non habita ratione
temporis».
L'eccezione di Americo si direi)be. nel linguaggio moderno, di
forma. Quahuique ne fosse il valore, il Maiiinio pretendeva d'opporre
ragioni di sostanza. Egli chiedeva pertanto al Governatore: « sibi assi-
gnari termininn ad docendum de inhabilitate et incapacitate dicti do-
mini Americi ».
L'assegnazione del termine era obbligatoria nella procedura elet-
torale : e trovo intatti l'ordinanza del giudice che assegna al cotitra-
dicente il termine di otto giorni per proporre, in altrettanti Capifula,
le varie deduzioni contro l'avversario.
Questi capitoli si conservano in un foglio a parte, staccato dal
verbale, e scritto in carattere diverso; probabilmente di mano dello
stesso scolaro contendente. A parte le questioni formali, che costitui-
scono i primi quattro capitoli, sembra che questo bravo Giambattista,
nonostante il calore della sua difesa, in realtà avesse torto. A buon
conto, non si può negare che lo spoletino abbia conseguito il maggior
numero di voti: ma il romano, se non può raccomandare all'aritme-
tica la propria causa, la raccomanda ad argomenti, diciamo così, mo-
rali, ma di mediocre importanza. |
Egli, per esempio, si dichiara pronto a provare che Americo non.
avrebbe voluto esser candidato, ma che vi fu tratto a forza dagli avver-
sarli di lui. Giambattista. Quanto a sé, vuol mostrare che tutti gli
scolari della Provincia in questione lo hanno reputato e lo reputano-
più adatto ali" ufficio che non l'Egio, « qui nullam habet aptitudinem ».
Ma non basta ; udite questi altri due capitoli :
« Item quod ipse Dominus Americus est minor xxv annis et ex
eius aspectu minorem huiusmodi demonstrat aetatem :
« Item quod est simplex, facilis ac inhabilis ad curandum numera
sibi commissa ».
Come si vede, le ragioni del contradittore non erano molto solide.
Il foglio dei Capìtiila è presentato nel termine prefisso, cioè al-
l'ottavo giorno {^2'ò di dicembre). All'udienza (si legge nel Verbale)
« superdictus Johannes Baptista comparuit et exhibuit et producit iu-
frascripta Capitula » e fa istanza che Americo sia citato per il giorno
seguente, al fine di confutarli.
Infatti, il Bidello cita lo scolare spoletino, notificandogli il foglio
nel suo domicilio. Edeccjlo infatti il di appresso comparire personal-
mente nel giudizio di contestazione.
Ma il giovane e bollente Jlaninio tarda a presentarsi. Pronto,
l'altro scolare solleva l'eccezione di contumacia, e chiede « transapta
bora termini, prout est transapta, se deputari, eligi et contìrmari in
Cousiliarium ».
(1) Publjl. in nota dal Pardi, op. cit.
ELEZIONI UNIVERSITARIE XEl. CINQUECENTO 9^^
Il contestante, tuttavia, giunge all'iiltim'ora: ma il Giudice « visti
i Capitoli esibiti da Giovanni Battista benché nell'ultima ora del ter-
mine, e poiché se anche tutto quanto in essi è contenuto fosse pro-
vato e accertato, non avrebbe effetto sul risultato dell'elezione, e
poiché Messer Americo consegui più voti che Giovanni Battista, con-
ferma il primo a consigliere, con tutti gli onori e gli oneri eie. etc. »
Non può dirsi che la Sentenza fosse ingiusta 1
Eppure, seguitando a scorrere lo stesso gruppo di carte, mi é ve-
nuto fatto di scoprire questo curioso particolare : che, poche settimane
dopo, la baldanzosa tenacia del candidato romano riuscì ad ottenere
dalla bonaria acquiescenza dello spoletino ciò che non aveva potuto
ottenere dal regolare giudizio di contestazione. Infatti, un atto notarile,
rogato da nota.jo perugino, Angelo Castellino, dichiara che innanzi
a quest'ultimo s'è presentato, a di 8 Gennajo 1573, Americo Egio da
Spoleto per dichiarare che « discessurus de civitate Perusia prò suis
negotiis » rinunzia alla carica e intende gli sia sostituito chi di ragione.
E così lo scolare (7e Urbe è finalmente appagato nelle sue as|iirazi<mi!
Quest'esempio, sul quale mi sono meno fugacemente intrattenuto,
basta a mostrare qual sapore di modernità abbiano questi curiosi atti
elettorali. Una vera ed analitica illustrazione di essi potrà in seguito,
meglio che questa mia notizia sommaria, cogliere tutto {|uel geniale
ambiente studentesco nella funzione forse la più significativa e solenne
della vita luiiversitaria.
AXNIB.4LE G.\BRIELL1.
GIUDITTA PASTA E MARIA MALIBRAN
Nel tempo in cui Rossini con il GuciUelmo Teli prendeva com-
miato dal teatro e che, insieme a lui, si accomiatavano la Marcolini,
la Pisaroni, la Belloc, Garcia, Nozzari e Galli suoi interpreti gloriosi,
due altri maestri di genio - Bellini e Donizetti - venivano a collo-
carsi, astri parimenti radiosi, nel firmamento dell'arte.
Con Bellini e Donizetti il melodramma, pur conservando i vezzi
e gl'incanti della lussureggiante melodia rossiniana, assumeva fisono-
mia più umana e commovente. La melodia, che Rossini avea creato
e data agli uomini come miraggio di supremo sollievo e letizia, con
BelUni e Donizetti diveniva canto soave e doloroso, poesia divina
d'amore e di lagrime.
Allo stesso modo che il genio alto e sorridente di Rossini aveva
con la sua musica fatto vivere sulla scena artisti d'impareggiabile virtù
e leggiadria, cosi parimenti il genio elegiaco di Bellini e quello so- '
vranamente eclettico di Donizetti creavano intorno ad essi uno stuolo
elettissimo di cantatricì soavi e appassionate, lìa le quali - prime e
insuperate - Maria Malibran e Giuditta Pasta. j
Tentare un ritratto artistico di queste due regine del canto vor- j
rebbe dire scrivere addirittura un volume. D'altra parte non è lecito ]
passare, anche fugacemente, a traverso la loro epoca senza trattenersi |
un momento sopra quella mirabile leggenda d'arte e di gloria. ]
Sembra impossibile che Rossini, il quale ebbs agio d'udire le due
somme cantatrici, dalla loro radiosa aurora sino al loro luminoso tra-
monto, abbia avuto la forza di serbare il suo olimpico silenzio, e di-
nanzi alla voce e all'ingegno meraviglioso delle due insigni non abbia
sentito il bisogno irresistibile di scrivere per esse almeno un altro dei
suoi deliziosi capolavori.
Le voci tanto della Pasta quanto della Malibran avevano una esten-
sione straordinaria. Da un la sotto le righe esse potevano salire fino
a un do diesis e magari a un re acuto, estensione che permetteva loro
di cantare a vicenda e con uguale disinvoltura la musica di soprano
e quella di contralto. La Pasta, al suo apparire, die subito prova di
questa sua virtù portentosa cantando con pari bravura nel Tancredi
di Rossini, nella Mede'i di Pacini, nel Rom^o e Giulietta di Bellini
e negli Orazi e Cariasi di Gimarosa. Una singolarità della sua voce
era la disuguaglianza del timbro, difetto di cui essa si prevaleva con
rara abilità per ricavarne una maggior potenza d'espressione. Del resto
la storia dell'arte c'indurrebbe a ritenere come ben difficilmente sia
dato alle voci, d'un metallo perfettamente omogeneo, di esprimere un
cauto appassionato, laddove quel leggero velo che si distende sul suono
GICDITTA PASTA E MARIA JfALIBRAN 101
lerve talvolta ad aggiungere efficacia al canto nei momenti d" agita-
tone e di angoscia. Affinchè ciò accada fa di bisogno però che l'ar-
ista possieda quel fascino sublime, retaggio del solo genio, mediante
1 quale è dato mandare in visibilio la platea d'un teatro.
Altra singolarità della Pasta era quella di poter unire con sor-
)rendente facilità la voce di petto alla voce di testa. -Dall'unione di
[uei due suoni essa traeva effetti stupefacenti. Per ravvivare il colore
l'una frase, ovvero per infondere il chiaroscuro ad una semplice me-
odia, essa adoperava il falsetto, suono completamente diverso da quello
Iella sua voce di petto, pura, limpida, brillante, d'una leggerezza am-
Qirabile.
Dalla Fama di Milano riproduciamo (piesto sintetico giudizio in-
orno alla Pasta :
« Corde basse un po' sot^'ocate. corde medie leggermente velate,
;orde acute che vanno all'anima, abilità sorprendente, presenza che
miione e ispira il più grande interesse, azione ammirabile, dramraa-
icità sublime - forse impaieggiabile. - Qualche volta pcco studio nel
lascondeie gli sforzi e gli espedienti dell' arte. Nel suo insieme un
fenomeno assolutamente portentoso ».
Più volte venne chiesto invano alla Pasta chi fosse stato il suo
naestro sulla scena. Probabilmente questi fu il suo gran cuore d'ar-
ista, cosi disposto per natura a vibrare innanzi alle più intime pul-
sazioni della sofferenza umana e alle più sottili e delicate manifesta-
:ioni del bello.
Un giorno a Trieste, mentre essa passeggiava lungo il molo, ini
novero bimbo di tre o quattro anni le si avvicinò e le chiese l'ele-
uosina per sua madre cieca. La grande cantante ruppe in un pianto
ìirotto e donò al fanciullo tutto il contenuto della sua borsa. Le per-
sone che l'accompagnavano non seppero trattenersi dal lodare viva-
nente l'atto pietoso e caritatevole, ma essa asciugandosi le lagrime
lisse loro: « Non accetto le vostre lodi. Quel fanciullo mi ha doman-
iato l'elemosina in una maniera sublime, in un batter d'occhio io
io visto la sventura di sua madre, la miseria della loro casa, la
mancanza delle vesti e il freddo ch'essi debbono soffrire, lo mi sen-
irei veramente una grande attrice se. all'occasione, riuscissi a trovare
jn atteggiamento, un gesto ch'esprimesse un dolore così piofondo con
pari verità ed efficacia! »
LTn'altra \olta una giovine inglese, corista al Teatro Italiano di
Parigi, non avendo denaro sutficiente per seguire la Compagnia a
Londra, pensò di dare un'accademia. Sempre disposta a render ser-
vigio, la Malibran acconsenti di cantarvi e bastò il sno nome per
riempire la sala. Senonchè, contro il suo costume, quella sera essa
arri\ò tardi facendosi lungamente aspettare. Finita l'accademia essa
chiamò in disparte la beneficata e le disse: «Vi ho promesso la mia
serata: ebbene, ho trovato modo di far due raccolti. Prima di venir qui
bo cantato dal Duca D'Orleans ed eccovi i cinquecento scudi d'oro che
mi ha regalato ».
Innumerevoli sarebbero gli esempi e gli aneddoti che si potreb-
bero narrare in prova della bontà e generosità d'animo di queste due
celebri prime donne. Le lagrime infinite asciugate col proprio denaro
a col prodotto della loro voce, tanto dalla Pasta quanto dalla ilalibran,
possono soltanto far loro perdonare lo sperpero favoloso dei monili,
gioielli, corone, poesie, epigrafi, medaglie, busti, monumenti e onori
101^ GIIDITTA PASTA E .MARIA MALIBRAN
d'ogni sorta a loro prodigati ilairaminiiazioiie di popoli, piiiK-i[)i e
poeti.
Non so trattenermi dal riprodurre due originali poesie, una del
Monti per la Malibran e Taltia del Romani per la Pasta.
A Giuditta Pasta.
Voce sola.
Ascoltate!.. Qual dolce lamento
della notte i silenzi interrompe?
E sospiro di querulo vento?
Fhttto è forse che al lito si rompe?
Alci'on che predice tempesta?
Usignolo che geme d'amor?
Coro.
È Giuditta che intuoua la mesta,
la notturna elegia del dolor.
Voce sola.
Ascoltate !.. Suonar da lontano
più gioconda una voce si sente.
L'inno è fca-se d'augello montano
che saluta l'aurora nascente '
È liuto che invita siill'aja
a danzar forosette e pastor ?
Cono.
E Giuditta che intuona la gaia
canzonetta d'un ilare cor.
. Tutti.
Ah! l'orecchio all'alterna porgete
melodia di quel labbro celeste.
Aure, augelli e voi rivi tacete,
emularla giammai non potreste.
Men cortese natura vi diede
scioglier voce d'un solo tenor.
Canti e modi a lei sola concede
quanti sono gli affetti del cor.
Felue Romani.
Le seguenti terzine di Vincenzo Monti sono per la Malibran :
Ma, oh! cessi alquanto da' dorati palchi
cessi il furor di ripercosse palme,
cessin l'arpe, i liuti e gli oricalchi ;
che tu, cortese, già ti volgi e l'alme
luci a me inchini, e par già di Talia
quasi abbi a vii le ambiziose palme,
E ben fai: che tra quel che a te s'invia
misto suon di favor, quel ch'io favello,
forse più caro al paragon ti fia.
Quel plauso popolar che par si bello
come folgore passa e si fa vano,
né va de l'ampia arena oltre il cancello.
Solo di Vati il plauso ogni lontano
lito celer trasvola e solo sprezza
l'ala del tempo che lo tenta invano.
Per eiò che riguarda le paghe, queste salgono a cifre, per quei tempi,
assolutamente favolose.
GIUDITTA PASTA E MARIA MALIBRAN 103
Vediamo inlatti la Malibran nel carnevale del 1834-35 scritturata
al San Carlo di Napoli per lire ottantamila, poi a Londra al Covent-
Garden a lire cinquantamila per venti recite e più tardi al Drury-Lane
a sterline 1*25 per sera.
Un impresario americano, certo Caldwell, olfii alla Malibran per
un solo anno lire duecentocinquantamila ; offerta che venne rifiutata
poiché la Malbi'an guadag'nava più in Europa, dove le sole beneficiate -
una diecina all'anno in media - le fiuttavano ognuna lire diecimila!
Così le scritture della Pasta vanno da lire quarantamila sino ad
ottantamila. Neil' ^c/e e letteratura di Bologna, in data 1^2 aprile 1841,
si legge: « Madama Fasta in seguito al suo ritorno da Mosca, dopo
aver dato a Pietroburgo un'Accademia che fece accorrere al solito tutta
l'alta società unitamente alla Corte imperiale, e le procurò, oltre al-
l'infroito, tìn ornamento preziosissimo regalatole da S. M. l'Imperatore,
pensava di recarsi direttamente a JSerlino. Senonchè l'Imperatore, ap-
prendendo l'imminente partenza della Pasta, osservò esser cosa scon-
veniente che questa grande artista, dopo aver cantato sulle scene di
Mosca, abbandonasse la Russia senza comparire su quelle di Pietro-
burgo. Inoltre è d'uopo sapere che una sottoscrizione di trecento fra i
più distinti personaggi, ammontante alla somma di sessantamila rubli,
era già stata a tale effetto raccolta sino dalla sua partenza per Mosca.
La Pasta protrasse quindi la sua partenza per Berlino e nelle otto rap-
presentazioni di Pietrobuigo, ove cantò Norma, Semiramide e Anna
Bolena, ricavò un guadagno oltrepassante gli ottantamila rubli (L. 3!2O,O()0
circa) ! »
Queste due insigni attrici-cantanti, sorte a breve distanza una
dairaltra, avevano creato attorno ad esse un'atmosfera d'entusiasmi
cosi intensi, che i ]nibblici. vedendole ed udendole, non sapevano più a
quale delle due accordare la jireferenza.
La Pasta, venuta prima della Malibran, aveva naturalmente il van-
taggio d'ima riputazione già consacrata da una serie gloriosa di trionfi.
Quando la Malibran, la sera del 18 maggio 1834, si presentò intatti sulle
.scene della Scala, sotto le spoglie della Sacerdotessa d'Erminsul, il pub-
blico milanese accolse con diffidenza quasi sdegnosa l'arrivo di questa già
celebrata cantante su quelle massime scene. Anzitutto vuoisi conside-
rare che la Xorma, come è noto, era stata scritta dal Bellini per la
Pasta. Le più favorevoli circostanze e i più lieti auspici avevano ac-
compagnato l'esperimento della Pasta nella Norma. La musica era
nuova: lo stesso autore siedeva al cembalo. Al canto della Pasta si
univa inoltre la voce formidabile di Donzelli, uè v'era per lei alcun con-
fronto da vincere. Aggiungasi che la Pasta era considerata come milanese
€ circondata quindi da una sim])atia universale. D'altra parte la Malibran,
sebbene nuova per Milano, sconvolgeva da due o tre anni il mondo
musicale e il suo rapido passaggio attraverso l'Europa avea destato un
rumore straordinario. L'annunzio (piindi ch'essa sarebbesi presentata
nella Norma era stato come miccia che ap])iccasse il fuoco a migliaia
di razzi ad un tempo.
Da una lettera d'un dilettante milanese al direttore dell' Arte e
letteratura, di Bologna in data 19 maggio 1834 stralciamo il seguente
brano che ci dice a quale alta temperatura fosse salita in quei giorni
la pubblica curiosità :
« Per quel giorno addio colazione, addio pranzo. La febbre e il
convulso mi trascinano al teatro. Erano le tre dopo mezzodì. Biglietto
104 GIUDITTA PASTA E MAHIA MALIBKAN
d'ingresso uno scudo. (Con la Pasta il biglietto era d'un solo fiorino).
Per una sedia chiusa in orchestra sino a otto scudi. Il prezzo dei
palchi addirittura favoloso. Quando io arrivai mille e più persone sta-
vano già facendo ressa alla porta del teatro con le grida : - Si apra, si
apra ! - Mi caccio, m"inoltio fra quella siepe umana e mi metto a gri-
dare anch'io come un matto senza sapere di che e perchè. Mi capitano
alcuni pugni, ne restituisco alcuni altri e chi tocca, tocca. Finalmente
si spalancano innanzi a noi quelle porte, divenute una voragine, entro
la quale ci slanciamo tutti come tanti demoni a jirender d'assalto le
panche dell'immensa platea, con uno schiamazzo, un chiasso, una ca-
gnara - diremmo noi - mai più sentita.
« Di quella guisa, sepolti nelle tenebre, vivemmo dalle tre e un
quarto dopo mezzogiorno sino alle otto di sera. La noia dell'aspettare,
l'impazienza d'udire, l'affanno di quell'imprigionamento era giunto al
colmo. Una mano come di ferro mi stringeva il petto e mi toglieva il
respiro.
« Comparve alla fine, sfolgorante come un sole in mezzo al teatro,
la grande lumiera che irradiò di luminosissimo giorno quel vasto re-
cinto. Apparvero quasi subito, fra le acclamazioni dell'aflollato udi-
torio, il Viceré, la Viceregina, Maria Luigia, il liatello del Duca [di
Modena, la Corte e tutta una schiera interminabile di leggiadre dame.
A un tratto gli spettatori della jilatea tutta si volgono tutti da una
parte : era madama Pasta che elegantemente vestita prendeva posto in
un palchetto di seconda fila...
« Finalmente ci siamo. Echeggia la prima arcata della sinfonia...
vola il sipario, vola il coro col basso Marini, e l'aria del tenore Reina
se ne vanno con esso, ed ecco starmi dinanzi agli occhi la Malibran.
Essa tremava. Avvertita da qualche imprudente che un partito av-
verso avrebbe cercato di abbatterla, aveva pianto lungamente nel suo
camerino, rifiutandosi perfino di comparire in scena...
« 11 poco o nulla ch'essa fece in quella prima sera bastò tuttavia
perchè il giorno di poi - venerdì - in tutta Milano non si discorresse
d'altro. Si contendeva se la Malibran fosse paragonabile alla Pasta ;
quindi liti, contrasti, discussioni, dispute senza fine ».
Uscirono in quel giorno, cosa eccezionale per quel tempo, tre gior-
nali : la Gazzetta Privilegiata di Milano con un articolo del Lamber-
tini in cui l'illustre critico non ebbe il coraggio d'un giudizio deciso;
YEco sollevò la Malibran al settimo cielo: il Barbiere di Siviglia
- altro periodico - ne parlò invece in modo quasi obbrobrioso.
Alla seconda raj)presentazione, ch'ebbe luogo il 17 - sabato -, il
trionfo della Malibran fu veramente completo. 11 solito corrispondente
del peiiodico liolognese cosi scriveva :
« Che vi dirò ■; Milano è tutta sossopra. La seconda sera in teatro
si piangeva, si gridava, si urlava con un esaltamento inesprimibile.
Si gridava Bis ! bis ! anche ai recitativi. L'ultima scena fu cosa da non
potersi descrivere!... Che cosa diranno i milanesi se udranno da lei
I Capiileti e Montecchi'ì... Domani sera la Malibran va in scena con
l'Otello... ».
E la sera infatti del ^0 maggio 1834 Maria Malibran si presentò
nelle dolci e amorose sembianze di Desdemona, parte di puro e libero
soprano - a due giorni soli di distanza dall'aver cantato quella di
Norma d'un registro assai più basso. - Onde dar risalto anche mag-
giore alle sue mirabili facoltà vocali essa introdusse nell'atto primo
GIUDITTA PASTA E MARIA MALIBRAX 105
i cavatina della Donna Caritea composta da Mercadante per voce di
sro contralto. Miracoli ai quali oggi si stenterebbe prestar fede se
ivi non fossero tuttavia coloro che li videro.
Dopo V Otello l'entusiasmo dei milanesi per la Malibran divenne
inatismo, deliiio. idolatria. Fu una vera ebbrezza, il cui racconto
ombrerebbe leggenda anzi che storia.
Per avere un'idea del grado di commozione estetica, o meglio del
rado di astrazione fìsica a cui la virtù di queste due somme cantanti
■asportava il ]iubblico di allora, citerò questo stupefacente esempio:
Nello stesso anno 1834, la sera del i2 ottobre, la Pasta e Donzelli
lutavano la Norma al Comunale di Bologna. Una folla immensa era
ccorsa in teatro: la Pasta avea già cominciato a innalzare il canto
jblime della « Casta Diva » quando una tortissima scossa di terre-
loto preceduta da un lugubre rombo, « con direzione dall' est-nord-est
IFovest-sud-ovcst. prima di sussidio, poscia di ondulazione, che durò
irca otto minuti secondi », fece traballare spaventosamente il teatro,
terrore fu immenso. Non uno spettatore però, malgrado la paura,
bbandonò il proprio posto. Cessato il fenomeno, dopo brevissimo in-
;rvallo. la Pasta ripigliò il suo dolcissimo canto e dieci minuti dopo,
l cessare di esso, nessuno rammentava quasi l'ansia spaventosa pro-
ata poc) prima.
Più che il terrore avea potuto la voce paradisiaca della Pasta.
La contemporaneità sulla scena di queste due cantatrici fenome-
ali non fu molto lunga. Maria Malibran dovea ben presto estinguersi,
Dnsumata forse dall'eccesso del suo fuoco.
E strano come ella abbia potuto presagire la sua prossima fine.
Fn noto editore di Parigi riceveva infatti la seguente lettera scritta
alla Malibran il 1^ luglio 18'^(i, alcuni mesi prima della sua morte:
« Mio caro amico,
« Fareste molto bene se riuniste in una nuova edizione tutte le
jmanze ed altre melodie che aveste la bontà di far stampare e le
endeste al miglior prezzo che fosse possibile. 11 loro prodotto do-
rebbe esser destinato a sollievo dei poveri di Parigi, lo credo che
on vi tornerò più perchè mi sento molto male, lo canto ancora per
uesli inglesi con tutto l'impegno, ma la mia voce se ne va: è finita
er me.
« Domani vo a Birmingham ma, purtroppo, dubito fortemente di
oter ritornare.
« Questa è forse una di quelle strane idee delle quali, come voi
apete, me ne vengono tante. Ciò nonostante io non voglio morire
enza rivedere codesta grande città la quale mi diede le prime prove
i affezione che commossero il mio cuore.
« Maria M.ìlibrax ».
Il 23 settembre 1836, in età di soli 28 anni, questa donna mera-
igliosa soccombeva agli accessi di una febbre nervosa all'Albergo delle
jmi di Morley in Manchester dopo una breve malattia di nove giorni.
L'annunzio della sua morte percosse il mondo d'uno stupore dolo-
Dso. La storia non ricorda forse la partenza d'un' anima seguita da
na mestizia così intensa e universale.
Tempi vecchi e beati in cui il pubblico aveva in teatro la sua re-
igione, i suoi altari, i suoi idoli e in cui gli artisti facevano a gara
106 GU'DITTA PASTA E MARIA MALIBRAN
neir infondere nel popolo quella fede atta a procurar loro maggior nu-
mero di proseliti ardenti e sinceri. Ali! vecchi tempi beati invero, in
cui l'arte e il teatro tacevano palpitare il cuore d" una moltitudine e
le facevano dimenticare in una sera le amarezze di lunghe e penose
giornate... Quei tempi non sono più! Di quelle gioie trascorse e dei
grandi fattori di esse unica breve consolazione è ormai questa di rie-
vocarne il ricordo.
tloloio. e purtroppo la schiera va ingrossando, i quali nel teatro
non vedono e non sentono che una specie di palestra speiimentale e
scientifica, non arrivano a rendersi ragione di questo clamoroso e fe-
stante tripudio delle anime plebee, e certi entusiasmi non toccano i
loro cuori chiusi alle commozioni pronte, facili, spontanee. I loro spi-
riti aridi e disseccati si ribellano alla musica che batte rapida e di-
retta alla porta dei loro cuori : essi preferiscono affaticare i loro sensi
alla ricorca d'una idealità lontana che sfugge loro dinanzi senza me-
mori dolcezze. Ebbene, se a questi sjtiriti, cosidetti forti, si rammen-
tassero le pazze frenesie, gli sconfinati deliri e le idolatrie teatrali di
una volta, essi ne riderebbero!... Eppure, nulla di tutto ciò che può
coiinnuovere il cuore dell'uomo deve ritenersi insignificante. Dovunque
l'uomo versa una lagrima esiste una passione ossia un soggetto ài go-
dimento artistico. L'arte, ricordiamolo, vive di passioni, e queste
soltanto conducono ai forti e nobili entusiasmi.
Benedetti gli artisti che con la virtù della loro musica o del loro
canto ne schiudono la benefica sorgente !
Gino Monaldi.
GLI ISTITUTI DI CREDITO IN ITALIA
11 190:2 fu torse il primo anno, dopo la grave crisi del 189:2-1894,
durante il quale il movimento economico dell'Italia si svolse in modo
normale.
Nessui^ grave avvenimento politico né all' interno ne all'estero
venne a turbare il risveglio dei commerci e delle industrie, le quali
cominciarono, bencliè lentamente, a riaversi dalla crisi dell'anno pre-
cedente; il prezzo del denaro, se non facile come poteva far sperare
la pace nel Transvaal, non fu però tale da troncare ogni iniziativa, ed
infine nel nostro paese l'assetto della finanza consolidò il credito pub-
blico, e, fatto più di ogni altro importante, l'aggio della moneta metallica
scomparve e si aprì così al credito privato il mercato internazionale.
11 momento sembra quindi opportuno per esaminare, colla scorta
delle relazioni presentate alle assemblee degli istituti di emissione e di
credito ordinarlo, quale sia l'assetto odierno delle banche in Italia. Ciò
vorremmo fare in queste brevi note, considerando la questione da un
punto di vista completamente obbiettivo.
1.
Narrare come si esplicava il credito negli antichi Stati tra i quali
era divisa l'Italia, quale contributo portarono, specie nel Piemonte,
gli istituti di emissione e di credito ordinario alla grande opera di
libertà e di unità, come l'alta mente del Cavour seppe giovarsi anche di
questi strumenti, quanto profitto trasse il paese dalle banche e quanto
le banche dal paese, come dal 1859 al 186(5, dal 18(56 al 187i2, dal 187:2
al 1894 si andarono organizzando e sviluppando, con alterna vicenda
di successi e di cadute, le varie specie di banche, e quali infine furono
le cause e gli effetti della crisi del 1893, sarebbe opera degna di uno
studioso delle discipline eonomiche.
Opera lunga e difficile, non tenteremo qui di esporla neppure per
sommi capi: occorre pero dare un rapido sguardo alle condizioni in
cui si trovavano gli istituti di credito prima del 1893 per poter giu-
dicare della diversa situazione del credito jirima e dopo quell'epoca.
11 risveglio economico dell'Italia, effetto in ])arte naturale del lavoro
serio e pertinace, in parte fittizio della abolizione del corso forzoso,
aveva fatto nascere e crescere molte banche, senza che un esame
accurato e sereno dei bisogni, delle forze e delle condizioni del paese
avesse dato modo di tracciare un programma ben chiaro e determinato.
Da ciò una grande confusione nei mezzi e nei fini del credito, una
■cura affannosa più a creare che a consolidare, una distribuzione del
108 GLI ISTITUTI DI CREDITO IX ITALIA
denaro spesse volte così eccessivamente larga da compromettere la
sicurezza dell'istituto che lo dava, e, ciò che è peggio, da eccitare nel
cliente che lo prendeva desideri eccessivi, ed attività non fi'enate dalla
prudenza.
Una netta distinzione tra le varie forme di banche è assai difficili^
anche là dove la costituzione politica e la economica sono assodate da
un lungo periodo di pace interna e di piosperità; è naturale quindi
che fosse più difficile in un paese nuovo come V Italia, ove tutto,
o quasi, era da creare e da organizzare.
Determinare con precisione le funzioni degli istituti di emis-
sione, delle banche di credito mobiliare, delle banche di deposito e
sconto, quando un paese giovane e pieno di vigoria prova il bisogno
di espandere le sue forze e di acquistare nel mondo economico il posto
che sente di poter meritare, è opera che avrebbe richiesto menti sui»'-
riori, conscie delle proprie forze e sopratutto sicure di trovare mi
poteri dello Stato continuità di indirizzo e serietà di propositi.
Cosi non fu in Italia, per colpa più forse delle cose che degli
uomini.
L'azione coordinatrice e moderatrice avrebbe dovuto essere esei-
citata dagli istituti di emissione, sorretti e guidati alla lor volta dal
Governo, ma il Governo nonché trattenerli sulla retta via li incita\a
ad uscirne, spinto alla sua volta da interessi economici o politici cui
non sapeva o non poteva porre freno. La stessa condotta prudenlc
dello Stato nella gestione della finanza pubblica fu causa per far de-
viare gli istituti di emissione dalla retta via, poiché tolse loro occa-
sione di guadagni.
Quando gli Stati moderni trasformarono la loro organizzazione
economica in armonia coi nuovi bisogni della società, le banche di
emissione portarono ai governi un prezioso contributo, ma ne furono
anche compensate con larghi profitti. Le ojìere della pace e della
guerra, i lavori pubblici, la trasformazione delle imposte, resero neces-
sarie grandi operazioni di credito, dalle quali le banche di emissione
trassero copiosi utili, accresciuti poi dall'aumentato valore dei titoli
di Stato, nei quali era rimasta impiegata parte notevole delle loro atti-
vità. E quando queste sorgenti, di lucri eccezionali vennero a mancare, e
le operazioni ordinarie divennero sola tonte di profitti, resi sempre più
scarsi dal diminuire del piezzo del denaro e dal crescere delle spese
e delle tasse, esse trovarono nel frutto delle riserve accumulate e dei
titoli acquistali a basso prezzo compenso ai redditi diminuiti.
Anche in Italia i banchi di emissione coopeiando. specie nei primi
tempi, spesso anche con patriottico ardiie. all'opera del nostro ri-
scatto raccolsero benefizi assai lauti. Ala, credendo forse che questa
causa di lucro duiasse più a lungo, non ne fecero uso così moderato
da serbarne parte per i tempi meno favorevoli; e quando questi giun-
sero, corsero affannosamente alla ricerca di nuovi attari.
A tale indirizzo poco prudente contribuì lo stimolo del Governo,
il quale per eccitare in alcune legioni le industrie manifatturiere, in
altre le edilizie, in altre le agricole, alcune volte anche per salvare
enti la cui caduta temeva potesse scuotere il credito pubblico, spinse e
quasi obbligò gli istituti ad operazioni pericolose e affatto contrarie allo
spirito ed anche alla lettera delle leggi e degli statuti che regolavano
gli istituti stessi. E gli istituti di emissione spinsero alla lor volta gli isti-
tuti di credilo ordinario a dare un impulso eccessivo agli affari, promet-
GLI ISTITUTI DI CREDITO IN ITALIA 109
tendo ogni maggiore facilità di denariì e rassicurandoli contro ogni peri-
Colo di restrizione nei mezzi monetari, poiché scarso o nullo era il treno
airemissione dei biglietti ed in ogni modo era l'erma la convinzione
che così fitta erasi fatta la rete di interessi che tutti legava, da dar cer-
tezza che al momento del bisogno i mezzi per venire in aiuto non sareb-
bero mancati. Situazione tanto più grave in (juanto che era creata non
da interessi privati, contro i quali l'onestà degli uomini che reggevano
i maggiori istituti di emissione e di quelli che erano a capo del Go-
verno si sarebbero ribellati, ma dall'interesse pubblico o meglio da
quello che si credeva esseie l'interesse pubblico.
Gli istituti di emissione, dimentichi così della loro funzione, di-
vennero anche istituti di credito mobiliare, di credito ipotecario, di
credito fondiario, di credito agricolo, e per salvare il denaro prestato
dovettero divenire grandi proprietari di case, grandi proprietari di fondi
rustici, costruttori, industriali, agricoltori. E per accrescere i mezzi dispo-
nibili senza allargare soverchiamente la circolazione dei biglietti, dovet-
tero escogitale nuovi mezzi per attrarre a sé il denaro; sicché nei depositi
in conto corrente l'opera loro non si limitò ad essere integratrice, rap-
presentando il deposito più sicuiamente rimbonsabile e per conseguenza
meno lai'gamente rimuneiato, ma divenne anche efficiente, allettando i
depositanti coU'alto saggio deg l'interessi. Così si fecero concorrenti non
solo delle banche di credito mobiliare ed immobiliare ma anche di
quelle di credito ordinario e di deposito e sconto. Le prime, incorag-
2:iate, come si é visto, dagli istituti di emissione, spinsero gli affari oltre
ogni limite di prudenza: dimenticando gl'insegnamenti della teoria e
ieir esperienza, non serbarono alcuna ])roporzione fra gl'impegni e le
disponibilità e corsero esse pure affannose alla ricerca delle somme
in deposito immohilizzandole poi in operazioni a lunga scadenza; le
ultime, tradendo il loro programma, si volsero esse pure ad impieghi
kinghi ed aleatori. Tra queste, con errore ancor più colpevole, non
mancarono alcune Casse di risparmio.
Numerose é vero furono le eccezioni; il più gran numeio di quei
mirabili istituti che sono le Banche Popolari tennero fede agl'insegna-
menti del loro fondatore, molte piccole banche locali e la maggior parte
ielle Casse di risparmio non abbandonarono la via della prudenza, e
[e une e le altre silenziosamente, modestamente, rinvigorirono cosi da
poter senza scos.se superare i momenti difficili.
La crisi, che ai più avveduti appariva inevitabile, cominciata nel
1891, maturata nel 1892, scoppiò nel 1893 in tutta la sua intensità e
iprì col 1894 un nuovo perìodo. La leg^e del "20 agosto 1893 sugli
stituti di emissione, per quanto imperfetta e rispondente alle neces-
sità impellenti del momento piuttosto che alle finizioni organiche di
jn buon ordinamento bancario, valse però a ricondurre i nostri isti-
tuti di credito a pili sani principii.
II.
Le vicende della crisi attraversata dall'Italia nel 189'^ e nel 1893 sono
i tutti note. Le difficoltà in cui si trovarono grandi società industriali
;d edilizie, la sfiducia che invase il pubblico, il ritiro dei depositi che
le fu la conseguenza, provocarono la caduta delle due maggiori banch e
3er azioni, le quali, istituti di credito mobiliare e banchi di deposito
110 (ìli ISTITl'TI DI CREDITO IX ITALIA
ad un tempo, non poterono far fronte alle insistenti domande di rin.
borso da parte dei loro creditori ne trovar aiuto nei banchi dieini-
sione, sia perchè anche questi erano in un periodo di disorfj:anizzazioiic,
non più sotto 1" impero della vecchia legge non ancora saldameli It
costituiti sotto rimpei'o della nuova, sia perchè non erano in grado
di offrile garanzie abbastanza pronte e sicure. Le infauste rivalità
che da lungo tempo esistevano fra i vari grupj)! tiancari, la debo-
lezza stessa di tali gruppi non consentivano di liquidare senza scosse
una situazione che già da lungo tempo si era andata aggravando.
Fu allora a tutti gli osservatori diligenti e spassionati ancora una
volta manifesta la grande importanza che ha per un paese la solida
cos tituzione dei banchi di emissione : i nostri, ])er sostenere nel passalo
il credito di posizioni deboli, avevano siffattamente indebolito sé sfc-ì
che giunto il momento in cui il loro aiuto morale e materiale avreblu-
])otuto essere di vero soccorso, furono iin|iotenti a darlo perchè ad essi
per i primi mancava ogni forza morale e materiale.
Solamente nei primi mesi del lSi)4 la Ranca d' Italia potè, mercè
eccezionali provvetliinenti legislativi, ]iromettere il suo aiuto a quelle
banche e a quelle Casse di risparmio le (|uali malgrado la loro salda com-
pagine, potevano temere il contraccolpo della sfiducia che aveva invaso
il pubblico verso tutte le aziende bancarie. Il 1894 fu anno di licpii-
dazione. Alla crisi bancaria si aggiunsero le difficoltà del Tesoro : de-
presso il credito pubblico, salito il cambio a glandi altezze, conveni\a
provvedere a saldare ingenti debiti all'estero, a rimliorsare gli spezzali
metallici di cui avevamo ottenuto dalla Lega latina la nazionalizzazione,
a liquidare molte operazioni di tesoreria fatte sotto la i)iessione del bi-
sogno nell'anno precedente. Ij'energica ed intelligente condotta del Te-
soro, le leggi fiscali fatte approvare dal Parlamento, gli accordi stretti
con la Banca d" Italia eia cooperazione cordiale da es.sa prestata allo
Stato, senza venir meno ai suoi doveri ed ai suoi fini, valsero a salvare i
il paese da una crisi piìi grave ed a porre le basi di una salda rico-' ]
stituzione delle forze economiche.
Cominciarono allora a sorgere nuovi istituti di credito, a trasfor-
marsi e a consolidarsi quelli che avevano supei'ata la bufera. Ma que-
st'opera di ricostituzione fu condotta con un prograiiniia perfettamente
definito ":f Furono chiaramente, esattamente separate le funzioni del
credito mobiliare da quelle del deposito e sconto ? Non sempre ; forse
perchè le condizioni in cui si trova ancora il nostro Paese non per-
mettono una esatta distinzione di funzioni.
Il banco di credito moliiliare, c[uello cioè che ha jier programma
la creazione o la trasformazione di società per azioni e tutte le opera-
zioni di borsa che ne sono la conseguenza, richiede un capitale assai
vistoso, sia fornito dagli azionisti del banco, sia accresciuto dall'ag-
gruppamento attorno al banco stesso di ])rivati capitalisti. Inoltre, per la
natura medesima delle sue funzioni, richiede negli azionisti e negli amici,
la conoscenza di tali funzioni e la virtù di non perdere la fiducia se
ad anni di grande prosperità succedono anni di pochi utili o di per-
dite. Donde o una grande varietà nei dividendi, o la necessità di co-
stituire nei tempi pi'osperi forti riserve, per fronteggiare i tempi meno
fortunati. Il banco di deposito e sconto, il cui programma comprende
oltre le operazioni di sconto anche quelle di banca richieste dal com-
mercio interno ed estero, vuole invece capitale scarso, ottime orga-
nizzazioni [)er attrarre i depositi di denaro ed assicurare loro pronta
restituzione, e dà utili forse meno lauti, ma più costanti.
GLI ISTITUTI DI CRliDITO IN ITALIA 111
Malgrado l'aiuto dato dalle banclie forestiere che ben si accorsera
elle prospere sorti a eui si avvia\ a 1' Italia, non sarebbe stato possi-
lile raccogliere capitali sutficieiiti per un potente istituto di credito
nobiliare, il quale del resto non avrebbe, senza fare opera imprudente,
rovaio campo sufficiente di azione. E la fiducia conservata o riacqui-
tata da molte Banche popolari e Casse di risparmio e da alcune banche
li credito ordinario non avrebbero lasciato alimento bastante ad un
stituto che avesse vohìto tondare la sua azione quasi esclusivamente
ui depositi di denaro.
Per questo gli istituti nuovi o rinnovati seguirono un progiamma
uisto : capitale relativamente importante, organizzazione tale da invi-
are i depositi, studio di dare largo sviluppo alle operazioni d'indole
'eramente commerciale. Alcuni pochi fallirono alla prova, altri, i piìi
'd i più importanti, andarono e vanno ogni giorno meglio consoli-
landò la loro situazione.
Anche l'opera che essi diedero alla ricostituzione economica fu
mportante e benefica. Aziende indu.striali ridotte a mal partito furono
•iordinate. altie nuove furono create : la diffidenza che aveva invaso il
lubblico per ogni iniziativa fu a poco a poco vinta, se non interamente,
Umeno in parte.
Maggior cammino si sarebbe fatto se per un momento il peri-
colo di ricadere negli antichi ei-rori non fosse riapparso. Illudendosi
mila potenza del paese, credendo troppo presto che ogni traccia dei
inali passali fosse cancellata, le riorganizzazioni e le creazioni furono
nel 1898 e nel 1899 spinte con soverchia alacrità, giovandosi di una
3ccessiva facilità di denaro, che favori nella borsa un movimento di
rialzo disordinato e fittizio. Ma l'esperienza del passato non era di-
menticata, e gli istituti, pur favorendo tali tiasfoi-mazioni e creazioni,
procedettero in generale con maggior ]irudenza. Ebliero cura di non
conservare in grande quantità i titoli emessi, di collocarli nel pubblico
0 quanto meno di suddividere il rischio, chiamando a partecipare nella
operazione finanziaria i capitalisti amici e ad essi richiedendo il ver-
samento effettivo della partecipazione assunta ; non si ripetè così il
male che gli istituti rimanessero con un grosso portafoglio di titoli
industriali e con una importante somma di crediti verso gli amici, parte-
cipi in tal modo piìi di apparenza che di fatto dei pericoli e degli esborsi.
Questi avvedimenti, una salutare restrizione nella circolazione dei bi-
glietti e accenni di sfiducia ricomparsi nel privato capitalista valsero
ad arrestare il movimento espansionista in tempo iievcbè nessun danno
(all' infuori di poche eccezioni) risentis.sero gli istituti di eredito. 1
quali anzi pongono ora ogni studio per raffei'uiare il programma di
lavoro ordinario ; è notevole il fatto che quasi tutte le relazioni dei
Consigli d'amministrazione sidl'esercizio 189^2 insistono nell'affermare
che gli utili ])rovengono quasi totalmente dalle operazioni ordinarie di
banca e che il portafoglio di titoli industriali ed il capitolo delle ^iar-
tecipasioni (dell' interessenza cioè in gruppi di capitalisti che possie-
dono titoli industriali) si vanno assottigliando. Ed è cpiesta una buona
via, sulla quale è bene persistano.
Non per questo però ancora gristituti di credilo ordinario devono
e possono precludersi ogni iniziativa di operazioni di credito mobiliare.
Di nuovi organismi ha ancora bisogno la pubblica economia. Il cre-
dito agrario, il credito navale, il credito coloniale non hanno ancora
strumenti adatti e sufficienti. Molte industrie vanno rinvigorendosi ed
112 GLI ISTITITI DI CREDITO IN ITALIA
lianno d'uopo di accrescere i mezzi disponibili, di rifare e migliorali-
gli impianti tecnici; raiimento di capitale o l'emissione di obbligaziMni
divengono una necessità a soddisfare la quale gl'istituti di creditu
possono e devono servire quali organi intermediari. Le opere pubblicin .
bonifiche, ferrovie, acquedotti, offrono pure un campo assai vasto; ii
problema dell'esercizio ferroviai'io, comunque si risolva, richiederai i a
parte delle banche studio ed attiva cooperazione. E lo Stato, se voiià
preparare e condurre a termine la grande opera della conversione del
debito pubblico, dovrà, più che non abbia mostrato di voler fare in
questi ultimi tempi, assicurarsi il concorso dell' alta banca italiana ;
la quale, malgrado quanto si è affermato, non potrà da sola assu-
mere operazioni cosi imp )rtanti come son quelle della conversione
del consolidato 5 per cento, ma potrà, per il piestigio di cui gode,
aggruppare intorno a se le maggiori Ijanche d'Europa.
Nella creazione e nella emissione di obbligazioni di enti privati e
pubblici, nelle operazioni in titoli di Stato hanno quindi i nostri isti-
tuti vastissimo campo d'azione.
Un'altra manifestazione dell'attività economica dovrà richiamale
l'attenzione degli istituti di credito: la industria edilizia. Quali e quanti
errori siano stati commessi è noto a tutti: la grave crisi che ne fu la
conseguenza ha seminato il campo di rovine, istituti di emissiour.
banche ordinarie, privati, hanno perduto qualche centinaio di milioni.
La crisi fu liquidata, l'equilibrio si va ristabilendo, ma ancora istituti
di emissione, istituti di credito fondiario, banche, privati, trascinano
il peso di terreni e di case (specie a Roma e a Napoli) redditizie o
infruttifere, non finite o minanti per difetto di manutenzione. Gli isti-
tuti di credito fondiario ancora opeianti funzionano egregiamente,
qualche istituto di credito immobiliare si è ricostituito, qualche altro,
come la vSocietà del Risanamento di Napoli, sta per riprendere attività.
Ma molto ancora è da farsi.
11 jiroblema edilizio, specie a Roma, si dibatte fra molte difficoltà.
Gli istituti di emissione, le banche e i privati vorrebbero vendere i
loro immobili, ma chi compra? Qualche ricco ed ardito capitalista ha
potuto fare acquisti importanti, ma molto e molto è ancora da ven-
dere. Le società di assicurazioni e i privati sono poco propensi ad ac-
quistare immobili, che, per il modo con cui sono costruiti, richiedono
amministrazioni costose, minute, fastidiose; sono, come è noto, per
lo più case con un centinaio di inquilini che pagano ciascuno sei o
settecento lire di fìtto. Peggio se l'immobile non è finito: gli istituti
di emissione perchè la legge vieta loro di accrescere le cifre delle im-
mobilizzazioni, le banche e i capitalisti privati perchè non vogliono o
non possono volgere nuove somme in imiiieghi immobiliari, lasciano
l'edificio inadempiuto sfasciarsi a poco a poco, quando non preferi-
scano abbatterlo per idilizzarne i materiali.
Occorrerebbe un istituto il quale fosse in grado tli acquistare un
buon numero di immobili e potesse quindi (poiché a Roma non è pos-
sibile come a Napoli e a Genova) vendere separatamente piani o quar-
tieri, con un ben congegnato sistema di ammortamento restituire a
poco a poco agli azionisti le somme impiegate e costituire così in
un periodo lungo di anni una proprietà immobiliare che non rappre^
senterà più una immobilizzazione di cajtitali. Gioverebbe inoltre la
creazione di un ente il quale avesse per uttìcio di amministrare gli
immobili per conto di terzi ; provvedendo cosi a gestire con economia
GLI ISTITUTI DI CREDITO IN ITALIA Ili}
! con unità d'indirizzo e togliendo al proprietario anche di una sola
ìasa i fastidi e le cure deiramministrazione, esso eliminerebbe uno dei
naggiori ostacoli alla vendila degli immobili.
III.
Un altro quesito s'impone agli istituti di credito, oltre quello del
)rogramma di operazioni : devono cioè limitare la loro azione diretta
id uno o a pochissimi centri importanti o devono estenderla con un
:ran numero di uffici dipendenti 1
Negli altri paesi d'Europa il sistema dell'espansione va ora pre-
valendo, sia per effetto di assorbimento da parte di istituti maggiori e
legli istituti minori, come in Inghilterra e in Germania, sia per irradia-
;ione dal centro politico, finanziario ed economico come in Francia.
Ma gli esempi della Germania, dell'Inghilterra e della Francia
nal si addicono all'Italia. In Italia è scarsa ancora la classe dei pie-
oli e medi capitalisti, i quali coU'impiego in titoli di Stato ed indu-
triali, coli' acquisto e la vendita di questi titoli, coU'impiego dei
oro averi, in riporti o in altre forme di prestiti, sanno trarre profitto
[al capitale; manca quindi quella larga clientela che dà tanto alimento
gl'istituti francesi. In Francia inoltre il movimento finanziario fa
[nasi esclusivamente capo ad un centro. Paiigi. e la clientela di pro-
'incia ha quindi bisogno di istituti potenti che la mettano in contatto
liretto col mondo parigino, sia per l'impiego del denaro, sia per la riscos-
ione delle rendite. Ed infine in Italia^ oltre alcune banche di credito
irdinario autonome, che esercitano nelle piccole città ove hanno .sede
m'azione preponderante e sono giustamente gelose della loro auto-
lomia, esistono le moltissime Banche popolari e Casse di risparmio,
mai divenute abbastanza forti per meritare la fiducia dei cittadini
he le hanno viste sorgere e prosperare, organizzate in modo da poter
oddisfare ai bisogni della clientela locale e che a nessun patto con-
entirebbero ad essere assorbite da istituti maggiori.
Si aggiunga a ciò la grandissima difficoltà di trovare un personale
datto a dirigere tante aziende, le quali per essere strumenti efficaci
evono avere una certa libertà di azione. La nostra coltura tecnica, specie
legli affari di banca, è ancoia deficiente ; gli istituti maggiori hanno
ncora troppo breve vita, |)er essersi potuti formare un numeroso
lersonale esperto a dirigere con la larghezza di vedute e la quantità
i cognizioni oggi necessarie. È questa una difficoltà transitoria, la
uale a poco a poco scomparirà, specie sei capi degl'istituti andranno
lersuadendosi, come in gran parte mostrano di persuadersi, che a
len condurre gli affari non basta piti la pratica acquistata in molti
nni di tirocinio ma occorre un corredo di cognizioni teoriche e che,
ome per dirigere una manifattura occorre avere studiato ingegneria
ndustriale, a dirigere un'azienda commerciale e bancaria occorre avere
tudiato alcune almeno delle discipline economiche ed averne seguito
D svolgimento ed il progresso.
Non è dunque possibile dare in Italia ad un istituto di credito
1 espansione che ha, per citare un esempio tipico, il Crédit Lijonnais
a Fiancia. Però non è d'altra parte completamente da escludersi la
reazione di succursali che possano trovare alimento di affari e rac-
ogliere abbondanti depositi di denaro in alcune città dove maggiore
il movimento o dove, per ragioni speciali, non esistono o sono ve-
lute a mancare buone banche locali.
8 Voi. evi, Serie TV - 1° luglio 1903.
114 GM ISTITUTI ni CRliDITO IX ITALIA
IV.
Le considerazioni che siamo andati svolgendo hanno preso li-
mosse dall'esame delle relazioni presentate alle assemhlee dei no- ri
principali istituti di credito. Ma sono queste relazioni, e i bilanci ; !!■•
esse illustrano, abbastanza chiare, abbastanza complete per foiiiiie
una guida veramente sicura a giudicare della consistenza patrimo-
niale e del modo di operare degli istituti stessi -! Malauguratamente no,
e chi non abbia modo di addentrarsi nelle complicate aziende scarso
sussidio può trarre dai documenti che si fanno di pubblica ragione.
Salvo alcune rare eccezioni, i bilanci e i conti profitti e perdite con-
tengono poche cifre riassuntive ed i quadri statistici sono pochi e
poco analitici.
Conviene riconoscere che l'ostacolo maggiore alla chiarezza dei
bilanci è cagionata dalle leggi fiscali complicate, gravose e applicate
in modo da fare di ogni contribuente un presunto colpevole, di ogni
agente finanziario un feroce inquisitore. Fu più volte osservato che
mentre il privato commerciante, industriale, professionista, trova il
modo di pagare le tasse in misura inferiore al dovuto, le società ano-
nime pagano non solo tutto quanto è dovuto, ma spesso anche piìi
del dovuto, e che se tutti i contribuenti fossero tassati con eguale
giustizia, l'aliquota della ricchezza mobile potrebbe essere diminuita.
Da ciò deriva che gli amministratori delle società per azioni sono co-
stretti, nel formulare i bilanci, ad aver sempre presenti le conseguenze
che da essi i)otrebbero trarne gli agenti fiscali, ed a conciliare il ri-
spetto alla verità colla difesa degli interessi loro affidati, non per sot-
trarsi a pagare il dovuto ma per non essere costretti a pagare più
del dovuto o almeno a sostenere lunghe e fastidiose controversie.
Anche la cognizione ancora scarsa da parte della maggioranza del
pubblico dei congegni bancari e la diffidenza creata dagli errori e dalle
colpe del passato rendono difficile la compilazione di bilanci chiari
e particolareggiati. Un nuovo capitolo aggiunto nell'attivo o nel pas-
sivo con l'onesto intendimento di render conto più preciso agli azio-
nisti, dà spesso occasione a supposizioni maligne, ad interpretazioni
contrarie alla verità. Quanti erronei aj)prezzamenti. ad esempio, non si
fanno sulle cifre dei titoli di proprietà, dei riporti, delle partecipazioni,
dei corrispondenti? Alcune imperfezioni si po'rebbero correggere, alcune
deficienze si potrebbero colmare, ma scarso effetto se ne trarrà fino a
quando il pubblico non abbia acquistato fiducia nei dirigenti delle
società anonime. Fiducia che essi meriteranno tanto più, quanto più
larghi saranno di notizie e di dati statistici, quanto maggior cura
porranno nel dire intera la verità.
11 legislatore nello studio delle leggi fiscali e del codice di com-
mercio no;i dimentichi questo lato del problema, non crei esso stesso
ostacoli alla sincera e completa esposizione degli affari, non impedisca
l'accumularsi di quelle riserve di utili, che oggi occorre alcune volte
nascondere per non vederle falcidiate dal fisco, senza speranza di ria-
vere le tasse pagate se disgraziati avvenimenti imponessero di valer-
sene. Ed alla lor volta gli azionisti mostrino di far maggiore assegna-
mento sul valore efTettivo del patrimonio e delle azioni che sul valore
transitorio attribuito dalla Borsa e consentano che non tutti gli utili del-
(ìli l^iTITUTI DI CREDITO IN ITALIA 115
l'esercizio, sinceramente dichiarati, vengano distribuiti in dividendo,
ma che parte se ne serbi per gli anni meno prosperi. Ottimo provve-
dimento questo seguito dalle società inglesi e da molte francesi e
tedesche, di passare tutti i profìtti dell'esercizio ad un fondo dal quale
si prelevano i dividendi, conservando così sempre nei bilanci una
abbondante scorta tli benefìzi per fronteggiare gii anni meno prosperi.
V.
In questa opera di riordinamento e di consolidamento del credito
quale fu l'azione degli istituti di emissione"? Buona ed efficace in ge-
nerale, malgrado qualche dubbiezza, e qualche deficienza dovuta, più
che a loro colpa, alla situazione nella quale essi erano posti.
La legge del 1893 non ha dato e non poteva dare agli istituti di
emissione la forza necessaria in quei momenti diffìcili. Soltanto la
liquidazione degli antichi istituti e la creazione di un unico ente, costi-
tuito con capitale modesto ma nuovo ed interamente liquido, avrebbe
consentito di disciplinare la circolazione in modo da corrispondere
interamente ai fini dell'economia nazionale ed al vantaggio particolare
deiristituto.
Invece, dei tre istituti rimasti qviello che per essere di gran lunga
il pili potente è il vero regolatore del credito, la Banca d'Italia, si
trovò fin da principio a dover cercare l'equilibrio tra l'interesse gene-
rale ed il proprio. Sorta quasi senza capitale reale (poiché le perdite
occulte o palesi delle così dette immohUizzasioni. del credito fondiario,
della liquidazione della Banca Romana e delle operazioni che figura-
vano ancora nel portafoglio ordinario, ma che erano men che sicure,
quasi lo pareggiavano), premuta dall'interesse degli azionisti i quali,
cullati da ingannevoli lusinghe, imputando allo Stato la più gran
parte delle perdite, pretendevano di aver dividendi eguali o quasi a
quelli avuti fino allora, legata <la ogni parte da una vigilanza dello
Stato inspirata dalla profonda sfiducia che giustificavano gli errori e
le colpe del passato, la Banca d'Italia, avrebbe dovuto limitare le sue
operazioni negli strettissimi confini segnati dalla legge e restringere
la circolazione, diminuendo così la fonte dei guadagni, ma nello stesso
tempo avrebbe dovuto raccogliere profitti tanto larghi da ricostituire
il suo patrimonio e da soddisfare almeno in parte ai desideri degli
azionisti.
Da questa antinomia fra i doveri che incombono ad un istituto
di emissione (doveri troppo poco compresi dagli azionisti) e l'interesse
proprio, difficoltà, lotte, incertezze, che ostacolarono una azione pronta,
efficace, risanatrice. Le convenzioni fra la Banca e Io Sfato, durante
i ministeri degli onorevoli Sonnino e Luzzatfi, portarono in parte ri-
medio a questo stato di cose, permettendo di dare un sia i)ur modesto
dividendo agli azionisti (mentre se si fossero volute strettamente se-
guire le norme del codice di commercio nessun dividendo avrebbe potuto
esser dato fino a completa ricostituzione del patrimonio), di accrescere
i profitti, e di assicurare l'avvenire dell'istituto anche dopo la scadenza
dell'attuale convenzione, sia perchè, esercitando l'istituto stesso il ser-
viziodi tesoreria, lo Stato è interessato alla sua conservazione, sia perchè
la proroga è promessa come un premio alla fedele osservanza della leo'oe.
Ma ciò malgrado, il pericolo che deriva dal contrasto fra l'interesse
pubblico e il privato non fu interamente evitato, né è quindi cessata
IKi GLI ISTITUTI DI CREDITO IN" ITALIA
la pressione dej>:li azionisti perchè la Banca dia maggior impulso ali-
operazioni e, uscendo dalla ristretta cerchia degli affari propri ad un
istituto di emissione, raccolga in un campo |)iù vasto benefici più
larghi. Pi'essioni alle quali tratto tratto si aggiunge quella degli opi'-
ratori di borsa e di alcuni uomini d'affari che nell'allargamento dellii
circolazione vorrebbero trovare alimento alla speculazione.
A queste pressioni la Banca ha saputo quasi sempre resistere.
Non forse sempre ed interamente: qualche anno fa. come abbiamo
accennato, non ebbe la forza di opporsi come avrebbe dovuto a tentativi
di soverchia espansione negli affari di credito mobiliare e di borsa e
stava per lasciarsi trascinare su una via che avrebbe condotto il Paese
e la Banca stessa sopra un terreno pieno di pericoli. Per buona sorte
se ne ritrasse a tempo.
Non miglior fortuna ebbe la campagna aperta pii!i tardi per modi-
ficare la legge bancaria, sopratutto nei rispetti del limite della circo-
lazione. Si diceva, e si pretendeva dimostrare, che i limiti fìssati dalla
legge del 1893, se suftìcienti in condizioni di depressione economica,
divenivano troppo ristretti ora che il commercio e l'industria avevano
ripigliato ardire e vigore, e si accusava Banca e Governo di non voler
favorire la restaurazione economica del paese negandogli i mezzi di
lavoro. La legge non fu modificata, i limiti della circolazione restarono
gli stessi, eppure non solo il lavoro sano e onesto trovò sempre alimento
nel capitale italiano a condizioni eque, ma, assodato il credito del
paese, scomparso l'aggio sull'oro ed assicurata la fiducia verso l'Italia,
il capitale estero si offrì abbondante e a buon mercato.
Una tale situazione non deve per altro far credere che il tempo
abbia cancellato o diminuito i difetti della legge del 1893. L'azione
benefica, ausiliatrice e moderatrice, ad un tempo, esercitata dagli isti-
tuti di emissione è dovuta non alla legge, ma al modo con cui da
qualche anno a questa parte quegli istituti sono guidati. Le ultime
relazioni del direttore generale della Banca d'Italia pongono in chiaro
l'efficacia dell'opera sua, ma non nascondono la difficoltà contro cui
si deve dibattere ancora il maggiore istituto.
Noi non crediamo, come abbiam detto più sopra, che il limite
della circolazione debba allargarsi, ma crediamo possa consentirsi con
le debite garanzie una maggiore elasticità ; non crediamo che si debba
permettere agli istituti di emissione di fare operazioni non consentanee
all'indole loro, ma crediamo che una maggiore libeità, in quei servizi
che non importano rìschio, si dovrebbe pur lasciare e che per alcune
operazioni si dovrebbe tollerare maggiore larghezza. È assurdo, per
citare un solo esempio, che oggi essendo i nostri titoli di Stalo e le
cartelle fondiarie al di sopra della pari non si possano fare anticipa-
zioni se non fino ai quattro quinti od ai ti'e quarti del loro valore;
questa limitazione e la tassa di un centesimo al giorno per mille lire
rendono impossibile l'anticipazione presso gli istituti di emissione e
possono costringere in determinate contingenze (e si è visto in occasione
dell'emissione del 3 ' ., per cento) a sostituire almeno transitoriamente
alla forma corretta e legale delle anticipazioni, quella meno schietta
della sovvenzione col mezzo delle stanze di compensazione. Strunìento
questo che torna oggi utilissimo, anzi indispensabile come sovventore
giornaliero, ma che può divenire, sotto amministrazioni meno rigide,
pericoloso ed al quale converrebbe quindi poter sostituire con eguali
fini e con eguali mezzi l'anticipazione o il conto corrente garantito da
titoli di primo ordine.
GLI ISTITUTI DI CREDITO IN ITALIA 117
Ed infine, bandite ormai ie diffidenze che lianno inspirato la parte
della legge del 1893 ritlettente la vigilanza, si dovrebbe ricondurre
l'ingerenza del Governo neiraraniinistrazione degli istituti di emissione
a più ristretti e giusti contini: impedire che la sorveglianza continui,
come è ancora oggi, minuziosa e vessatoria, inspirata al sospetto,
pronta a cogliere ìq fallo gli istituti per i minimi atti, tale da sovrap-
porsi alcune volte non solo ai direttori degli istituti ma ai più alti
funzionari dello Stato ed agli stessi ministri ; un vero comitato insomma
di salute pubblica, un tribù uale dei sospetti, una inquisizione, senza
ghigliottina e senza roghi, ma armata di leggi, di regolamenti, di de-
creti, pronta a lanciare ad ogni minimo dubbio eserciti formidabili
di note e di divieti.
Gli uomini, è vero, possono mutare, gli istituti di emissione pos-
sono, è vero, cadere nell'avvenire in mani meno sicure di quelle che
oggi li governano, ma ormai il Paese, il Parlamento, il Governo hanno
compreso quali siano i doveri dei banchi di emissione, ed assai diffì-
cile sarebbe il ripetersi degli errori passati. Una maggior libertà di
movimenti è necessaria, pur serbando ai poteri dello Stato un'azione
integratrice e sorveghatrice : che se gli uomini mutassero o venissero
meno alle regole della prudenza, l'opinione i)ubblica prima, lo Stato
poi (grazie anche al sistema, che dev'essere mantenuto, delle inchieste
triennali) saprebbero sempre ricondurre o col consiglio, od occor-
rendo anche coi provvedimenti legislativi, gli istituti all'osservanza
dei loro doveri.
I banchi di emissione potranno esercitare sull'ordinamento eco-
nomico del Paese l'azione regolatrice e moderatrice che loro compete
con tanta maggiore efficacia, quanto più liberi essi saranno dai legami
che oggi ne imiiediscono i movimenti e che in ogni modo distolgono
spesso l'opera e l'ingegno di chi li dirige dai più elevati problemi, per
immiserirli in minute polemiche, e, col considerarli quasi dei pupilli o
degli imputati, tolgono ad essi prestigio ed autorità.
Aiireus.
IL PROFESSORE KOERBITZ
Ricordatevene; avrete pur dovuto incoiitrailo qualelie volta, nelle
ore del vespero, lungo la via Nazionale, al Macao, su pe' Quartieri
Ludovisi.
Sono i siti ov'egli jìasseggia di preferenza.
Anche gli osservatori meno superfleiali, a prima vista, lian da
concepire di lui la migliore opinione.
Alto, corpulento, dall'incesso maestoso; col magnifico cappello a
stajo a larghe tese, un po' indietro, affinchè la bella fronte; gli si veda
tutta; gii scintillanti occhiali d'oro sul naso aquilino; l'alta soddi-
sfazione personale impressa nella bella faccia quadra, ornata dalla ma-
gnifica barba, che gli scende fin sull'ampio torace sporgente; la zazzera
inanellata, da dio Odino, spiovente sulle spalle erculee ; piena di dolce
austeiità la fisonomia, come di solennità tutta la persona, degiiaiiiente
modellata dallo stiffellio autoritario.
È un principe oltramontano"? un addetto a qualche ambasciata?
lina personalità esoticav un letterato slavo"? un drammaturgo scandi-
navo"? un poeta sassone, o semplicemente un qualunque miliardario
a piedi?
Certo, voi potete scambiarlo per uno di questi, o per tanti altri
simili semi-dei; ne avete il diritto: il suo fisico e la frequenza dei
forestieri d'alto bordo, nella capitale d'Italia, può farvi cadere in
errore.
E quale errore!...
Colui è semplicemente un maestro privato di lingua tedesca, a
trenta soldi l'ora, il professore Waldemaro Koerbitz.
Da anni, egli vive a Roma; vive solo, più per timidezza che per
tendenza alla misantropia.
Timidezza: e come no"? combattetela, se siete bravi; cercate di
non lasciaivi sopraffare, dopo certe grottesche vicissitudini della vita,
dalla triste scontrosità che tien dietro alle sventure domestiche"?...
Dato il caso occorso al professore Koerbitz. delle due l'una, o si
diventa spudorati, o timidi.
Più naturale la seconda cosa.
La fatalità, pel povero Waldemaro, tu la sua passione per l'Italia.
Oh, rttalia non gli portò proprio fortuna!...
Quando non si crede al contagio! Da giovane, nel suo ])aese,
ebbe per maestro un innamorato dell'Italia, dell'arte italiana, della
IL PROFESSORE KOERBITZ 119
vita nel mezzogiorno del nostro bel paese, e, per amico, il figlio di
uno squilibrato inventore siciliano, il quale, dopo lungbe peregrina-
zioni, era andato a morire colà. Quel suo primo amico soffriva di qo-
stalgìa, e Waldemaro fini per soffrir dello stesso malore, peggio che
se fosse nato quaggiù.
Una bella mattina, pianta Stoccarda, gli onesti bottegai che gli
avevano data la vita, e, via pel Brennero, in Italia.
Aveva poco più di vent'anni, quando, fuori di sé dalfeutusiasmo
per Roma, decise di finirvi i suoi giorni.
Andava per le vie, respirando a pieci polmoni, palpitando nella
soddisfazione di quA suo immenso desiderio, di quel sogno di luce,
d'aria, di tripudio, realizzato. Passava giornate intere a Villa Borghese,
al Pincio, a Mila Pamphily, a Monte Mario, componendo, dentro di
sé, odi, canzoni, elegie, e dimenticando di mangiare. Sì, qualche volta
entrava nella prima bettola che trovasse sulla sua via, per mandar
giù, alla svelta, una dozzina di pagnottelle gravide, con un litro di
vino...
Amava Roma; ma più che FArte, le memorie gloriose, amava il
limpido color turchino del cielo latino, il tiepido .sole, l'aria vagamente
piofumata de" colli. Amava Roma tanto, da dimenticar che la Germa-
nia, che il resto del mondo esistes.sero ancora: e tale « colpa » gii valse
l'addio esti'emo de' suoi, in una lettela che Waldemaro non terminò
nemmeno di leggere.
Amava Ronia, tanto che fini per dare il propiio nome alla figlia
della sua « padrona di casa » ; la quale, una notte, aveva scambiata
la propria camera con quella di Waldemaro : e poiché il gruzzolo che
s'era portato da casa stava per esaurirsi. ^Valdemaro, a sua volta,
scambiò Lalletta per la provvidenza, quindi, il matrimonio. Altro che
provvidenza!... Una mattina, nel rincasare, trova... un secondo equi-
voco di Lalletta: aveva « equivocato» con un altro.
Coljnto in pieno petto, Waldemaro fuggì via come un disperato;
ed i Monti Albani furon testimoni delle sue lagrime, de' suoi lamenti,
de' suoi sospiri.
Quindici giorni dopo, risoluto a togliere dal mondo l'indegna si-
gnora Koerbitz, torna a casa, e vi trova soltanto la suocera, nuotante
in un mare di lagrime :
— Qua' poera cratura s'è annata a hiittù a finme'....
Waldemaro, stupefatto dallo spavento, aspetta la scoperta del ca-
davere: e, due giorni appresso, arriva una lettera da Livorno: Ma-
dama Koerbitz dichiarava che il proprio carattere non andando d'ac-
cordo con quello del « tomo » cui apparteneva, aveva voluto provare
l'altro polo dell'antitesi, ond'era scap])ata da Roma con un canzonet-
tista francese.
— Fio! non me l'ammazza'.... - strillava la madre, ai ginocchi del
genero: mentre costui pensava a ben altro.
Pensava, nel primo avvilimento, il povero Waldemaro. che i ca-
daveri non ammazzano, e poiché tale sentiva che lo aveva reso quella
disgraziata, egli, nonché lei, avrebbe dimenticato financo d'esser mai
esistito al mondo egli stesso !
Cosi fece, piantò la vecchia ; cambiò camera, andò a depositare
orologio, spillo, anello nella pia istituzione per gli spostati, e fece an-
nunziar nel Messaggero che il professore Waldemaro Koerbitz, da
Stuttgard, dava lezioni di lingua tedesca a trenta soldi l'ora.
120 IL PROFESSORE KOERBITZ
Il sipario era calalo sulla sua vita ; a tutto rinunzia va, meno alla
sua fatale Italia, a Roma : d'ora innanzi, al lutto del proprio cuore,
avrebbe fatto contrasto il sole eterno del bel paese. Dal contrasto,
l'unica consolazione, povero VValdemaro !
E gli scolari vennero : una dozzina, che gli permisero di vivac-
chiare meschinamente ; né mai gli mancarono : diavolo ! chi poteva
fargli concorrenza, col modesto emolumento del quale si contentava?
Nella monotonia della sua nuova esistenza, l'anima aveva fatto
presto ad invecchiare. Appagata quella sua ardente smania giovanile,
il fuoco degli anni migliori s'era smorzato, e. in essa, pareva gli si
fosse esaurita ogni energia.
Non vedeva più nessuno; sfuggiva specialmente le poche conoscenze
che aveva fatto a Roma, ne' primi tempi. Una preoccupazione lo per-
seguitava : che qualcuno (v'han tanti indiscreti che si tingono inge-
nui !) non gli dicesse :
— Professore, jersera, al Caffè-concerto Margherita, abbiamo ap-
plaudito freneticamente la vostra signora !
A poco a poco, Waldemaro era riuscito a farsi dimenticare da
tutti; a sparire. L'apatica quiete della sua solitudine gli assorbiva
l'esistenza.
La mattina era con gli scolari.
Venivano Tun dietro l'altro, quelli del primo corso: sedevano intorno
ad una larga tavola, nella stanza che gli serviva anche per ricevere
e per desinare ; e avanti : « lei) hin - Du List - Er ist - \\ ir shid - Ihr
seid - Sie shid ». E questo, per due ore di seguito.
Poi, la zuppa flaccida, il lesso sciapito. la montagna di patate ed
il boccale di birra romana, acidula.
Dopo il sonnellino del pomeriggio, arrivavano gli scolari del se-
condo corso.
La sera, usciva a prendere una boccata d'aria, a fare un po' di
moto, in vie lontane dal centro: e talvolta andava a leggere qualche
giornale in uno de" caffè meno frequentati, ed a casa, per ricominciar
l'indomani la stessa vita, per riveder le stesse facce, gli stessi sco-
lari : giovani, per lo più, destinati al commercio : solleciti, rispettosi,
avidi di saper presto scrivere una lettera e dir quattro parole nella
lingua di Schiller.
Non c'era da scambiar nemmeno un'idea con quella gioventù ta-
pina, la quale poteva appena pagargli i soldi delle lezioni.
Bravi ragazzi, nondimeno, che sapevano dir tanto bene del pro-
fessore attorno, da non fargli mancar mai nuove lezioni.
Unica vanità del buon Waldemaro era il comparir, per le vie, nella
signorile decenza di persona rispettabile, a seconda del grado sociale
che gli spettava : negli abiti degli insegnanti, di tutte le persone serie
del suo paese.
E una cura minuziosa, amorosa, per la propria persona, per la
toletta : si capisce, non aveva da pensale ad altro !
Bisognava vederlo, la sera, prima di andare a letto spazzolarsi il
soprabito, i calzoni, la giubba, lucidarsi le larghe scarpe, lisciarsi te-
IL PROFESSORE KOERBITZ l!21
eramente la tuba ; e, a prim'ora, al bagno salutare nella conca, ove
iguazzava beato, lavorandosi di spugna per tutto il corpo.
Finalmente la tazza di tè, la grossa pipa di porcellana ; poi :
— Professore, sono di là - veniva ad avvertirlo la padrona di casa.
— Gruten Morgen, meine Kinder!
Principiava la lezione.
Cosi, tìn presso alla quarantina.
D'allora, le sue veccbie preoccupazioni andarono abbandonandolo:
rano anni che nessuno de' rari superstiti tra le sue antiche cono-
cenze, incontrandolo, lo ravvisasse. I suoi scolari gli raccontavano
he i quartieri nuovi della Roma alta, tra il colle Esquilino ed il Qui-
inale, si facevano sempre più belli : perchè non allargherebbe egli il
ircuito delle sue passeggiate vespertine '?
Una sera, invece di andarsene a giionzare lungo quel malinconico
Taccio di Via Cavour, da Santa Maria Maggiore al Foro Romano, come
i solito, quando usciva dalla sozza stradetta degli Zingari, ove di-
lorava, salì un po' più su, verso la stazione ; di là, giunse al Macao,
irò per Castro Pretorio, arrivò a Porta Pia, svoltò pel Corso d'Italia,
rimase estatico davanti alla magnificenza dei Quartieri Ludovisì.
Vi mancava da anni ; li aveva lasciati cosi che parevano una de-
olata pianura, irta di « ruderi moderni », e li ritrovava irriconosci-
ili : tagliati da belle vie regolari, spiranti la signorilità, fiancheggiati
a vaghi villini, da svelte palazzine, disegnate con simpatica bizzarria,
ircondate da piccole a.juole, vagamente screziate di fiori, di fontanine,
i statue ; e, di tratto in tratto, alberghi sontuosi, pensioni eleganti.
u tutto ciò, sorrideva il più bel cielo del mondo.
Colassù, si respirava ogni benessere dell'esistenza !
Pochi minuti in quella delizia di città nuova bastarono perchè
^'^aldemaro si sentisse tornato come da morte a vita.
Quella sera doveva segnare un'epoca per lui. Dopo l'intorpidimento
urato oltre quindici anni, egli si ridestava e si accorgeva di quelli
he gli vivevano intorno, assai meglio del modo com'egli vivesse.
Tutte quelle palazzine, que'villini, la sfilata delle carrozze eleganti,
i corsa vertiginosa degli automobili; tutti qiie'signori che prendevano
fresco davanti ai caifè, alle birrarie, alle trattorie, confortandosi con
none bottiglie; ma specialmente quegli alberghi per gli oltramontani
'alto bordo, quelle pensioni pe' forestieri ricchi (li vedeva aggrupparsi
avanti ai magnifici vestiboli) gli parlavano alla fantasia un linguaggio-
uovo, che egli traduceva pel Lazare, veni foras!
La vita dello spirito, con tutti i bollori della poesia giovanile,
ramai era tramontata; e, adesso, quasi d'un subito, si sentiva spri-
ionar dentro tutta una falange di desideri inaspettati; i quali, presto
tardi, sarebbero diventati bisogni, e Io avrebbero fatto sofirire ben
iversamente dall'ardente aspirazione sui A'ent'anni, a Stuttgard : gli
vrebbero intlitto il martirio d'ogni ora, d'ogni momento.
E gli parve tanto strana l'occasione di quel suo risveglio, che
srvì come da punto di partenza a quanto aveva concepito di poi.
i'^aldemaro si era fermato dietro allo « Schweitzerhoff » di Via Veneto,
ella piccola via Liguria, ad osservar giù, nel sottosuolo di quell'al-
ergo, l'aftàccenda mento nelle cucine: vaste, pulite, lucenti, come
5mpi evangelici, e fragranti, poi!... Ecco, ecco, proprio l'inebriante
'agranza del pranzo sontuoso che apparecchiavano laggiù, gli era
alita alla testa, gli aveva messo dentro come un'anima nuova, sle-
l!22 IL PROFESSORE KOERBITZ
gandogli le ali della fantasia, intorpidita dalla lunga vita grigia che
aveva menato, ridestandogli lo stomaco, atrotìzzato da quelle eterne
minestre flaccide, dagli immutabili lessi sciapiti, dalla crudele birra
acetosa.
Inconcepibile!... l'odore delle sfogliantine à ht fiìiaucière, che
stavano sfornando laggiù, gli aveva fatto tornare alla mente la sua
infanzia: tutfuna sorprendente visione... Come al solito « Wald », uscito
di scuola, correva dal pasticciere, volava alla gioia de' pasticcini caldi
caldi, ripieni di carne, di tartufi, di fegato grasso sti-asburghese e d'altre
delicatezze ! Ecco, sentendo lo stesso odore, il professore Koerbitz era
tornato il piccolo « Wald ».
E il poveraccio pensava, poi, amaramente:
— « Non mi avevano ancora parlato dell' Italia, in quel tempo!... »
Quando quella sera fu a casa, invece di risentirsi del piacere che
tutti i sensi pareva avessero aspirato, il professore Koerbitz era pieno
d'uggia, d'impazienza, di scontento; e non capiva che tutto ciò gli
venisse da una subita ribellione all'esistenza da tal|ia, durata fino
allora.
Nonj)ertanto, messosi a fumare nella grossa pipa di porcellana,
seduto al balconcino che rispondeva in un vicolo buio, Waldemaro si
abbandonò alle più affliggenti resipiscenze.
— « Povero imbecille !... - pensava - a che mai f ha menato l'ubria-
catura, il malanno nella tua prima giovinezza? A durare nella più
umile tra le esistenze, che oramai non si cangerà... oh, questa è cosa
certa ! Bella piospettiva, se cosi !
« Ma di', ]irofessore mio? era quella la maniera di soddisfar la
tua passione |)er la terra wo die Citronen hWin''. 1 poeti tedesclii,
gli storici, i filosofi, ed anche i bottegai tuoi connazionali, vengono
qui a dimorare per qualche tempo: gli uni si pigliano un bagno di
classicismo, di archeologia, di estetica; gli altri vi fanno una provvista
di luce, d'ai ia. di calore, di delizie naturali, e poi se ne tornano a casa...
Ma - un momento! - come vengono essi in Italia, i tuoi connazionali?...
con la scarsella gonfia di fiorini, di marchi, per sentire, per saggiare,
con le bellezze dell'arte e della natura, anche le altre, che confortano
l'esistenza negli alberghi di prim'ordine. Persuaditene, i tuoi conna-
zionali vengono ad ammirare comodamente la patria di Dante, di Ma-
chiavelli, di Michelangelo: essi, prima di dedicar.'^i alla via-crucis
dei musei, al calvario de' ruderi e dei panorami, fanno semplicemente
colezione (e che colezione!); prima di passar la serata ne' teatii, a
russare in cadenza della vecchia musica italiana, trascorrono lunghe
ore alla tavola rotonda - da veri paladini della forchetta! -; insomma,
i tuoi connazionali, al poetico purgatorio deirainmiiazione. fan prece-
dere il prosaico paradiso della buona mensa.
« Ecco come avresti dovuto fare anche tu, niein armen Freiind!
Prima il covo a casa tua. metter da ])arte il superfluo, e, col superfluo,
soddisfar comodamente il tuo idrofobo entusiasmo per l'Italia.
« Che. forse, Goethe fece diversamente, lui?... e tutti gli altii
famosi della Germania, non fecero altrettanto?
« Vuoi te lo dica, in questo momento di sincerità?... A te. la
saviezza è venuta do])o i quarant'anui: questo, il guaio!
« Adesso, che vuoi f'aici più?... a Stuttgard i tuoi se ne saranno
andati tutti all'altro mondo, e fin gli amici avran dovuto, da un pezzo,
■dimenticare quel matto di Wald !
IL PROFESSORE KOERBITZ 123
« Protessore mio, non si può tornare indietro; troppa premurati
ésti di bruciar le tue navi : resta, dunque, a far la fine delle cicale,
ella tua bella Italia!...»
Questa conclusione, o il fumo della sua pipa negli occhi, gli pro-
ocarono una lagrima dolorosa.
Sul fatto, prese un'eroica risoluzione: spense la pipa, e se ne andò
letto.
in.
Sì, ma il di appresso, non seppe trovar la forza di prendere
n'altra risoluzione: dimenticare quanto aveva visto, provato, il giorno
recedente, e tornare all'esistenza solita, senza pensar più. Niente!... e,
oichè un suo scolaro (caso unico più clie raro) gli aveva regalato un
Manilla » da venticinque centesimi, il professore Koerbitz andò a
limarselo sui Quartieri Ludovisi.
Colassù, quell'aria del lusso, de' milioni, delle mollezze che circon-
ano i privilegiati, resuscitò la sua fantasia, meglio ancora del giorno
irecedente.
Mentre accendeva il « Manilla », ecco un hrenck venire a corsa
frenata e fermarsi dn vanti al Savoy Hotel. Era un'allegra comitiva
sotica, coperta di polvere, reduce da qualche scampagnata. Q)uei gran
ignori aiutavano chiassosamente le dame a scendere, mentre, dall'al-
lergo, venivano a riceverli due statuarii camerieri: i quali, cavati
uori dall' interno della carrozza, un cestone vuoto ed una paniera che
,veva dovuto contenere la provvista dei vini di lusso, rientravano
iella casa dietro alla comitiva; ed il breack si allontanò.
Osservando la scena. Waldemaro tirava lunghe boccate di fumo
lai sigaro; e (curioso!) quell'elegante profumo, per un momento, gli
liè così chiara l' illusione di aver fatto parte della comitiva, che si
orprese a gridare all'albergo :
— Aiif ìviedersehen'...
Quando la sera, seguente, ripreso dalTavidità di rivedere e di ri-
entire la bella vita degli altri, il professore usci di casa per dedi-
arsi ad una passeggiata lungo via Nazionale, ebbe un'idea : entrare
n una spaccio di .sigari, e chiedere un « Manilla » ; cosi fece.
L'accese, ne aspirò forte il fumo, poi si squadrò, con un immenso
ospiro di soddisfazione : il miliardario della sera precedente gli era
ornato dentro.
Prese a passeggiare con un beato sussiego : la testa g'^ttata in-
lietro, le falde dello sfiffellio al vento, il sorriso di sovrumano piacere
legli occhi.
Si sentiva come se avesse tracannato una l)uona bottiglia del-
'eccellente « Kirscbwasser » dei suoi vent'anni.
Difatti, passando d'avanti all'Albergo del Quirinale, si sentì spinto
id entrare nel gran vestibolo : muto, silenzioso, discreto.
Il portiere, dalla marsina sopraccarica d'oro, gli mosse incontro.
!ol berretto gallonato in mano, per aspettar gli ordini.
Waldemaro usci da un naturale momento di confusione, per do-
nandargli, alteramente :
— Ist der Pfinz von Schtvartzenberg schon yekunimen?..
124 IL PROFESSORE KOERBITZ
— Nein, mein Herr, tvir haben keinen Prinzen von Schìvart::i'ii~
berg hier.
— Ich clanke Ihnen, aher er schnell kommen wird - rispose il
professore, ed uscì come volando sulle nuvole, maestosamente.
Poco appresso, egli si scosse, e rimase estatico di fronte a qin!
grosso mascalzone di marmo, col quale lo scultore cremonese volle
ditfamare il Condottiero degli El)rei, sulla fontana di Piazza San Ber-
nardo.
— «Oh, che mai aveva egli fatto?! E chi era ipiel Principe della
Montagna Nera, di cui aveva chiesto, poc'anzi, all'Hotel Quirinale .'...
Ma che ammattiva egli, forse ? »
No, Waldemaro era entrato così bene nell'altro personaggio, tla
andare a chiedere d'un nobilissimo teutono della sua imaginazioni',
in uno de' primi alberghi di Roma, annunziandone, poi, l'immineiih
arrivo!... Ma e che perciò? Egli era tanto felice!... egli si sentiva
una così schietta giocondità addosso!...
Non si die, quindi, la pena di spiegarsi niente; mentre, sceso per
Santa Susanna, risalÌA'a ai Quartieri Ludovisi.
Andò a fermarsi a Via Liguria.
Quando giunse dietro allo Schweitzerhoff : ,
— Ci siamo! - esclamò, nel risentire l'odore delle cucine. 1
Che concerto di vertiginose esalazioni !... Alla fragranza del pescea
in casseruola (doveva essere un dentice, non s'ingannava), si univa
quella dell'arrosto allo sj^iedo (eccolo laggiù, a sinistra, girante sulla^
bragia, come sur un letto di rubini); al profumo dei brodetti e delle
salse, si mischiava il forte odore de' pasticci al forno : cento vivande
delicate formavano una sinfonia degna d'un Beethoven gistrononio.
alla quale facevan da « dominante » le inebrianti emanazioni de' piii
famosi vini da ]iasfo. che i camerieri imbottigliavano nella vicina di-
spensa.
D'un subito, le finestre al piimo piano sulle cucine, furono avvam-
pate di luce elettrica, e, contemporaneamente, un giocondo scampa-
nellare risonò dall'interno : la campana dell'albero chiamava i fore-
stieri alla tavola rotonda.
Addossato ad un fanale di rimpetto. Waldemaro chiuse gli occhi,
e ci si trovo anch'egli nel tepore fragrante del salone sontuoso; seduto
intorno alla lunga tavola, scintillante pei cristalli, pei vasellami, pei
trionfi, per le fioriere, per le dolciere dorate, per gli scaldavivande
d'argento, per la tersa porcellana, sulla candidezza della tovaglia
istoriata.
Gli girava la testa : lì dentro, la sinfonia delle fragranze era ben
più inebriante d'un momento fa 1...
— Pardon, Moìisieiir. me dontieriez-voiis evcore de la sauce?
— Certame»ie>ìf.. Madame - ed aveva servita quella gran dama,
russa probabilmente, carica di brillanti, di merletti e di languore.
— Bitte, die Wasserfìasche ?
— Geviss - ed aveva versata l'acqua al rotondo signore che gliene
aveva chiesta la bottiglia.
— Zn gate, mein Herr!
Intorno, i camerieri superbi nelle eleganti marsine, officiavano in
quell'atmosfera ove si respirava la gran vita del lusso, e le sterline
jiareva fiammeggiassero per terra ; tra l'acciottolio dei piatti, il tin-
tinnar dei cristalli e l'eco lontana dei campanelli elettrici.
IL PROFESSORE KOERBITZ 125
— Encore do la timballe aux macaroni, s' il vous plait?
Il cameriere, che aveva in custodia lui ed i suoi due compagni che
li sedevano affianco si era avvicinalo per servirlo, mentre il dispen-
ere, con due pretensiose boltigUe, avvoltolate per metà nei tovaglioli,
li domandava neirorecchio, quasi gli chiedesse la rivelazione d'un
;greto di Stato :
— Dii Saiiterne, oh bien da Chahly, Monsieitr ?...
— Verses dìi Saiiterne.
« Ah !... delizioso !... »
Ed aveva riaperto gli occhi.
« Follie ! ! ! »
Era scesa la sera. Intorno non passava un'anima ; sulla strada
uia, era il ritlesso della luce delle finestre ove si pranzava.
— « Follie !...- ripetè il professor Koerbitz, con una poderosa
jroUata delle spalle erculee, all'indirizzo della sua visione.
« Follie"?... e perchè follie"?... ragioniamo - si disse, poi, riac-
3ndendo il sigaro. - La fragranza di quelle cucine, il profumo di
uesto « Manilla » giungono a darmi visioni tali che si confondono
3n la realtà. E l'abbandonarraici sarebbe proprio follia "? Ma e che,
)rse, di fantasticaggini, d'illusioni, di sogni non si compone per tre
uarti la vita "? La vita dello spirito non è dessa composta di tutto
io?... Si, e per questo appunto è più lunga, più piena, più intensa,
iù continua : tale da portarci al convincimento che la fantasia, « la
azza della casa », come la chiatiiano, sia la più positiva tra le fa-
oltà del cervello.
« Per prova, se andiamo a consumarci la salute, o a dar di fondo
i una considerevole fortuna, in pochi anni di quella vita lì (quella
e' felici dello Schweitzerhoff a tavola), trascorso qualche tempo,
uando ci desteremo fradici, o ridotti al verde, non dovrem noi
passarcela con la vita della spirito, fantasticando"?... Quella ci sem-
rerà durata un attimo, questa, un'eternità!... Or, dunque, se tale è
predominio della fantasia sulla nostra vita, godiamo de' doni che
5sa ci dispensa, ridiamo dell' « attimo fuggente », e consacriamoci...
ir eternità !...
« Codesta, no, non è filosofla dei Grandi che furono nel mio
aese : è semplice buon senso !... »
Con simili consolanti sillogismi, il brav'uomo, quella sera, se ne
)rnò a casa come se si fosse tolto parecchi quintali che gli grava-
ano sullo spirito.
E, d'allora, Waldemaro Koerbitz si vide, si senti in un mondo
IV.
Primi a notare la trasformazione del professore Koerbitz furono
suoi scolari. Usi ad incontrarlo soltanto di sera, in vie solitarie,
on quell'aria allampanata, stanca, attediata da qualcosa che loro
iusciva incomprensibile, stentarono a riconoscerlo nel trionfante per-
onaggio, con la testa erta, gittata indietro, aspirando l'aria baldan-
osamente, come riconciliato con l'esistenza ; la cravatta, il panciotto,
3 dita, i polsi, pieni di scintillamenti.
126 IL PROKESSOKE KOERBTTZ
— « Ohe!... ch'è mai quella roba? » — « Brillanti, vi dici»! •
— « Ma siete pazzi?!... » — « Bravo!... se ne sarà fornito coi trenta
soldi delle nostre lezioni !... — « Imbecilli!... non vedete che ha chi li-
biato umoie ".'... avrà fatto iin'ei'edità » — « E vi pare che avrelil.e
continuato a seccarsi lanima. insegnandoci il tedesco?... » — « l!|i-
pure è così ! »
Poveri giovanotti !.. era tale il rispetto pel loro professore, da
non andar all'idea che egli si fosse provveduto di tutta queirorj)(l-
leria gemmata, in qualche minuteria del Corso, profondendovi i suoi
lisparmì.
E come si era sentito felice, quando, riscintillante come una bal-
lerina, aveva esclamato di fronte allo specchio :
— Porto almeno diecimila lire di brillanti addosso : giù il
cappello !
Poche sere appresso, uno degli scolari raccontò agli altri di avere
incontrato il professore Koerbitz davanti all'Albergo di Londra, in
piazza di Spagna, in un circolo di forestieri, che aspptta\ano le cai-
rozze per una qualche gita.
Al che, un altro :
— Dunque, non m'ingannai - disse sorpreso - quando, giorni la.
mi parve riconoscerlo dinanzi all' H(itel Continentale, a discorrere con
certi personaggi oltramontani, scesi da un magnifico automobili' :
gente di tanta boria, da dissuadermi dal salutare il professor»; Koerbitz.
— Bazzica ! clie conoscenze fa egli !...
— Che amicizie va scegliendosi !...
Niente, poveri giovanotti !... né conoscenze, né amicizie. Al pin-
fessore era entrata un'altra smania addosso: strofinarsi ai foresi irii
d'alta importanza, mettersi, in qualunque modo, al contatto coi mi-
liardari : e, dopo averli tanto invidiati, ammirandoli per le vie, nei
caffè, in carrozza, dopo averli attesi dinanzi agli alberghi, alle pen-
sioni, si concedeva il piacere di confondersi con loro, di entrar nei
loro discorsi, con ogni pretesto, sempre anonimamente : dava spie-
gazioni, avvertimenti, consigli, e diceva la sua, nelle discussioni ch'essi
legavano tra loro.
Smania non priva di pericoli, codesta. Una sera, per esempio,
quando egli ebbe voltato i tacchi, udì un connazionale, con cui aveva
scambiato qualche parola, domandare ad un altro :
— Ma colui chi è ?...
— E chi ne sa niente!...
— Ohe, siamo in Italia : attenti al portafogli!...
Credete che da simili lezioni, la smania di Waidemaro restasse
domata?... Ohibò !..
Un giorno, mentre s'era ficcato in una conversazione tra parecchi
forestieri, volle dir imprudentemente la sua: ed allora, un superbo
uomo politico francese, voltosi di botto a lui. gli tiiidò in faccia :
— Monsieur, je ne voiis coniiais pas .'
— Et nioi non plus !
— Fichez-moi la puix, alors !'.!
Povero Koerbitz! dovè allontanarsi borbottando : e. per (jualche
sera, si contentò di guardar da lontano la turba dei « ])rivilegiati
IL PROFESSORE KOERBITZ 127
^■
Era una limpida serata d'inverno.
Koerbitz se la passeggiava dinanzi alla sfolgorante cascata d'acqua
della fontana di Piazza Terme, che si rifletteva sulla sua oreficeria,
accendendovi miriade di fiammelle.
Andava da li al Grand Hotel, e viceversa, aspirando in estasi il
fumo del solito « Manilla ».
Il massimo albergo di Roma, nella migliore stagione dell'anno,
era in piena animazione ; fasci di luce elettrica illuminavano super-
bamente ogni camera prospiciente sulla via. 11 regale cortile era ri-
schiarato come a festa, e la candida luce si diffondeva davanti al
palazzo, facendo splendere i facchini della casi, dalla rossa divisa,
allineati a pie delle colonne, come tanti corifei da ballo.
Koerbitz si fermava in mezzo alla piazza, per levare il capo, e
vedersi, fantasiosamente, lassù, dietro ad una di quelle finestre.
Si sentiva il padrone del mondo!...
Oh, ma perchè mai tutta quella gente deli' albergo, schierata in
bell'ordine, assumeva il sussiego dell'aspettazione d'un qualche im-
portante avvenimento"?...
— Ah ecco... ecco chi aspettano!.. - sclamò il professore, nel
veder giungere dalla vicina stazione sei carrozze padronali cariche di
signori.
Difatti, in un momento, tutto l'albergo pare elettrizzato. I came-
rieri, impettiti, rigidi, si accostano alle carrozze : i facchini si occu-
pano delle valigie, delle casse.
Waldemaro s'avvicina anch'eglì, tra la folla che incornicia a far
circolo, e ode mormorar nei crocchi che quella è tutta un ambascerìa
oltramontana, mandata al Re d'Italia da qualche potenza amica, per
felicitarsi della nascita dell'erede al trono.
I camerieri, dignitosamente, aiutano a scendere tutti quegli sta-
tuarii personaggi, imponenti nelle grandi barbe fulve, nei soprabiti
autoritari, nelle fisonomie l)iubanzose.
Valdemaro li ammirava, e, senza che se ne accorgesse, la sua faccia
andava atteggiandosi come quelle dell'ambasceria.
D'un subito, la sua smania, rinatagli prepotente, lo spinge a con-
fondersi prima, ed a farsi largo, \ìoì, tra i camerieri, per porgere la
mano ad un venerando signore :
— Erìaithcii sic, mein llerr, dass idi...
Di botto è interrotto, sos|)info da uno dei camerieri, mentre un
altro frettolosamente lo prega:
— Veuillez entrer vite, Monsieiir, car la fonie des badnuds aug-
ni citte: voijez, plidót?!...
Intontito, Waldemaro è sul punto di volgersi alla folla dei curiosi
assiepati davanti all'albergo, quando altri camerieri lo ricacciano presto
nel grupjìo degli arrivati, e, con quelli, lo spingono nel cortile, nella
gran sala d'ingresso, su per le scale, al secondo piano; finché uno
di loro, aperto violentemente un uscio del corridoio, non lo caccia in
una camera, dicendogli, con un inchino:
— C'est votre chambre, Monsieur!
Come in sonnambulismo, Waldemaro varca la soglia, e l'uscio gli
si rinchiude dietro.
128 IL PROFESSORE KOERBITZ
K li. impalalo, a fj:uanlai'e.
Un lelto ilalla coltrice a ricami, col piumino di raso violaceo, ciii
sovrasta il haklaccliiuo a larghi flocchi pendenti: uno scrittoio di
ebano, dalla forma svelta : una lunga, soiìice poltrona ; una graziosa
cappelliniera. un piccolo canterano, un fulgido armadietto a specchio,
un lavabo di lacca, un morbido tappeto, armonizzante col parato bianco.
a fiorami d'oro; tutto ciò, inondato dalla vaga chiarezza della lini
elettrica; tutto ciò soavemente silenzioso, respirante in un'aria conic
di dolce riconcentramento.
E Koerbitz rijìlglia a fantasticare secondo il solito ; si volge al
cameriere (che non c'è più), per rispondergli:
— Benissimo, dica a Sua Altezza die aspetto gli ordini per accom-
pagnarlo domani a Palazzo Reale ; ella può ritirarsi.
Poi va alla finestra, guarda giù. la via ancora gremita di popolo,
e dà un sussulto. Ricorda.
— Ma è, o pur no, un sogno codesto '^..
Torna a girar gli occhi per la camera; tutto il consueto allesti-
mento scenico delle sue fantasticherie lo circonda : è la sontuosa ca-
mera d"un albergo di prim'ordine.
Non volendo credere ancora d'esser desto, Waldemaro incomincia
a darsi una quantità di pizzicotti per tutta la persona; e .si persuade
cosi che non dorme.
Egli sospira di beatitudine, nel sentirsi lentamente pervaso dai
lievi profumi de' suo' sogni : il legno del piancito, la lana orientale
del tappeto, l'essenza d'Ireos della biancheria, l'odore naturale della
molilid nuova, l'acqua da lavanda sulla toletta, e tutte le blandizie
per l'olfatto, che seguono i privilegiati nei grandi alberghi.
Che incanto!
— Là quella morbida poltrona, ove i milioni, ieri, stamane, foisc
ancora, si riposarono, mi chiama...
Waldemaro vi si lascia cader fra le braccia, e la sensazione del
supremo benessere, gli fa dare un più lungo sospiro.
— Finalmente!!! -esclama, portando lentamente la mano disotto
agli occhiali, perchè due grosse lagrime gli scivolano giù per le
gote, avvampate dalla commozione.
« Finalmente!... Vero, tutto vero. Dio benedetto: il fantasticare
è una gran bella delizia... per chi non possa goder di veisamente ; ma
per gli altri, pei fortunati, pei... »
— Avanti!...
Bussavano discretamente all'uscio.
Entrò il cameriere: l'autentico, non già quello dipintogli dalla fan-
tasia un momento prima, e pel quale aveva mandato l'imbasciata a
Sua Altezza... Vattelappesca.
— Dica?
— Il signore pranza alla Table d'Hóte, o in camera?..
Waldemaro stette un po' sospeso; poi:
— Gh altri?..
— Quelli del seguito di Sua Altezza sono scesi tutti nella sala da
pranzo.
— Tutti?...
— Tutti; e il signore?...
— Ah, io no, io pranzo qui, in camera.
— Subito?...
IL PROFESSORE KOERBITZ l'2M
— Al più presto, vi prego.
— Sarà servito.
Non appena l'uscio si rinchiuse, a Waldemaro. d"un tratto, mancò
ogni coraggio, e precipitatosi fuori, uscì sul pianerottolo per richiamar
il cameriere: mali, tutt'una fragranza paradisiaca saliva dalla tavola
rotonda, onde il povero Koerbitz, cedendo alla nuova seduzione, tornò
in camera.
— Per una volta. Dio mio. per una volta sola!... - sclamò, e,
sdraiatosi sulla poltrona, chiuse gli occhi, aspettando.
Da lì a poco, arrivarono due cameriei'i. con una piccola tavola
;d un canestro per l'imbandigione.
In un attimo, tutto fu pronto. Sulla tovaglia fiorata, le piccole
;aliere, le mostardiere, i poggiaposate, i portastecchini ed altri nin-
loli d'argento, rilucevano vivacemente intorno alla cristalleria boema,
^on la superba sigla dell'albergo.
— 11 signore è servito.
E principiò la sfilata degli scaldavivande.
Waldemaro sedè a tavola, con una fame d' inferno, e, dimentico
lei mondo intero, si mise gagliardemente all'opera.
Dopo che ebbe sorbito il brodo, la zuppa, piena di misteriose
lelizie, cui il fumo odoroso gli investiva la faccia, l'altro cameriere
fli si presentò con due bottiglie fasciate a metà ne' tovaglioli: doman-
landogli con la solita discretezza da diplomatico:
— Crèpe de Savoie, o..."?
— Lasciate tutto qui, che faccio da me - lo interruppe presto
Valdemaro, ricordando certe parsimonie degli alberghi : e s'affrettò
versarsi e a trangugiar. 1" un dietro Talfro, tre bicchieri di «Crèpe»
elicatissima, che gii lasciò in bocca come il vago ritornello d'un
oave spumeggiamento.
Attaccò, poi, gli entre-méts: iraprescrutabili manicaretti, l'uno
ili lusinghevole dell'altro pel suo povero palato, sino allora uso ai-
acquolina che lo costringevano ad inghiottire le rappresentazioni della
intasia : di nuU'altro.
Seguirono le fritture inspirate da angeli ai principi del « berretto
ianco », ed i pesci, preparati da un qualche discendente in linea
stia dal sommo \'afel.
Ed eccolo qui. il vecchio amico britannico: il roastbeef nella sapo-
3sa salsa vermiglia, cui dintorno le dorate fettine delle patate face-
ano corona.
Frattanto, tre bottiglie eran già li vuote.
— Sciampagna?..
— Certamente - aveva risposto Waldemaro al cameriere, dopo che
altro aveva posato sulla tavola un piatto d'argento, su cui troneg-
iava il puddiìKj. in mezzo alla sua corte di frutta candite.
Sciampagna !... Che accompagnamento di calici al dolciume inglese!
Pel gelato, dovè comparire una seconda bottiglia.
Dopo che il freddo senso di ananasso scese a tentare inutilmente
i spegnere l'incendio che le cinque bottiglie avevano acceso nel
etto del professore Koerbitz, venne il Moka aromatico e la fiala
si Kummel, cui accanto, in un tondino dorato, si allineavano gli
vana.
A tal vista, Waldemaro ordinò ai camerieri:
— Lasciatemi solo!...
9 Voi evi, Serie IV . 1" Inglio 1903
130 II. PROFESSORI-: KOERIJITZ
Se ne stelle lungamente, nella realtà, a bere ed a sognare, inlrr
voralo dal liquore, come un eletto da Dio, nella contemplazione ih I
suo trono celeste.
— Eh-.'..
— Il signore è stanco?...
Il cameriere aveva dovuto desiarlo per sparecchiare.
— Oh, molto stanco, amico mio!...
— Vorrà certamente mettersi a letto...
— No!...
— Come, no"?...
— Cioè... sì... A domani.
— A che ora la sveglieròf...
— Alle sei.
— Tanto presto"?!!...
— Certo, debbo assolutamente destarmi a (luell'ora; un incarico
delicato di Sua Altezza mi vi costringe.
— Sarà servita, buon sonno.
— Grazie.
Per un momento, Waldemaro aveva tentato di levarsi, dappoiché
la prudenza |)iù elementare gli consigliava d'intllar la porta.... ma
sì! e le gambe"?... quelle dormivano già da un pezzo, ne c'era spe-
ranza si avessero a destare.
Il letto ei'a lì : il letto delle sue fantasticaggini, ove i ricconi suoi
connazionali riposarono le loro membra privilegiate... quel letto!...
— «Oh, giaciglio divino, tu mi cliiami. turni vuoi, eccomi, sono
a te ! »
E, senz'altro, si spogliò faticosamente, e si cacciò tra le lenzuola
di batista; ove poco mancò non isvenisse dalla suprema voluttà
delle piume.
Poi... più nulla: il sonno riparatore di tante commozioni.
IV.
Quando aperse gli occhi, non capiva niente. Si sentiva il capo
come pieno di piombo liquefatto e le gambe spezzate.
Di fuori, tempestavano l'uscio di colpi.
— Che c'è"?...
— Le sei.
— Bene, mi levo sul)ito! — rispose, ricordando, di botto.
In cinque minuti, fu pronto.
Poi. un naturale tremore lo assalì.
— « Se qualcuno, giù, per le scale, nel cortile, mi ferma... mi
domanda!... Ci siamo al redde rationeni .'... »
Ma, fortunatamente, era troppo presto, nessuno lo molestò.
Soltanto, giù, nel gran vestibolo, gli si accostò uno dei portieri,
per domandargli se avesse bisogno di qualcosa.
— Di nulla : esco per un telegramma da spedire.
— Dia qua, manderemo subito un commissionario.
— No, è affare di Sua Altezza ; affare segreto.
— È giusto, faccia piu'e.
ir- PROFESSORE KOERBITZ 131
Allorché Waklemaro fu sulla via, prese la corsa, per quanto glielo
■mettesse Fiufelice condizione delle gambe.
Ma, all'angolo di via Principe Umberto, volle volgersi per guardar
Itima volta il Grand-Hotel, la sua...
— « Eccola lì, la mia camera!... - sclamò, vedendo illuminata ima
mera in pieno giorno. - Guarda!... ieri sera dimenticai di girar la
iavetta della luce elettrica... Oh, non me ne stupisco: ero capace
ben altro, Jeri sera !...
«Addio, dunque!... - gridò intenerito, all'albergo, Waklemaro
lerbitz. - Addio, bella vita reale ! Torno a quella tanto magra e fa-
osa della fantasia, addio per sempre!.. »
E disparve.
Amilc.\re Laurìa.
RASSEGNA MUSICALE
La passata stagione teatrale — Gli spettacoli a Roma ed a Milano — Le difli-
coltà del teatro lirico — I concerti — I saggi scolastici — Libri nuovi S,;-
lerti, Dassori, Codazzi e Andreoli) — Recenti pubblicazioni musicali (Zamlli
Martucci, Gianturco, Caetani).
Nessuno penserà certo che io faccia oggi la necrologia della sta-
gione teatrale trascorsa. In quasi tutti i teatri d'Italia essa ha tiialo
avanti a furia di ripieghi, tra il disordine dell'oggi e l'incertezza del
domani: anche colà dove c'era un programma artistico prestahilito lo
si è dovuto sacrificare alle necessità del momento: a conti fatti la sla-
gione non merita nemmeno un postumo rimpianto, ed è andata ad
accrescere il numero delle tante stagioni negative che pur troppo si
vanno accumulando da parecchi anni.
A Roma in proporzione le cose sono passate abbastanza liscie, e
come regolarità di spettacolo nessuno s'è potuto lagnare: hanno cro-
ciiìsso persino il Morichini che da parecchi anni alacremente attende
a regolare l'unico spettacolo invernale lirico degno della capitale, ed
hanno fatio benissimo. Naturalmente neanche colla migliore volontà
i miracoli si possono fare, e quindi non è stato colpa dell'impresa se
il Grani, protagonista, si è trovato solo o quasi a sostenere colle ro-
buste spalle il Siegfried, se per VHaensel e Grefel il teatro Costanzi
è parso ambiente troppo vasto e se Germania di Franchetti ha lascialo
il pubblico in una indifferenza assoluta. Questa Germania, pur avendo
pagine magnifiche degne del superbo ingegno di Alberto Franchetti,
appartiene in complesso all'arte che si potrebbe diie industriale. Da
quest'arte, basata pur troppo su mezzi termini, Franchetti si era finora
nobilmente tenuto alieno : speriamo che il compositore trovi l'energia
di riscattare presto il presente errore.
il rovescio della medaglia come nobiltà inconcussa d'aspirazione
ce lo ha dato Antonio Smareglia colla sua Oceana alla Scala : e se
neanche V Oceana come risultato pratico immediato, ha risposto alle
speranze dell'autore (vittima indubbiamente di ben prevedibili guerre)
questo non toglie che lo Smareglia non solo ne sia uscito col pieno
onor dell'armi, ma sia salito ancora nel concetto degli artisti veri e
serii. E V Oceana molto probabilmente volerà all'estero e dirà brillan-
temente le sue l'agioni : come le disse e le dice in misura più modesta
presentemente in Germania quella Consuelo di Rendano che, difesa
in queste colonne, trovò tanta eccessiva acredine di giudizio l'anno
scorso a Toiino.
Del resto a Milano la stagione, pure cominciata bene colla Dannar
sione di Faust, si svolse un po' burrascosa : ed alla fine si manifesta-
RASSEGNA MUSICALE 13.3
ino forti dissidi fra il pubblico ed il direttore. Toscanini finì per
bbahdonare nò irato baracca e burattini, e, senza nulla detrarre ai
leriti del suo successore, la sua partenza costituisce per Io stoiico
;atro una perdita non facilmente riparabile.
Ma. ripeto, la necrologia della stagione teatrale non entra nel mio
roposito: auguriamoci che corra migliori sorti la stagione ventura, la
uale intanto ci porta fra le buone notizie quella del ritorno di Luigi
[ancinelli a Roma, come direttore al teatro (Sostanzi, e quella di al-
ane novità che il pubblico aspetta, come la Madatìia Butterfly di
'uccini, e la Siberia di Giordano. E nella stagione ventura sapremo
ure il risultato della colossale covata di nuovi operisti die ha fatto
editore Sonzogno col suo concorso. Chi avrebbe mai detto che i neo-
ti della scena in Italia si contassero non a dozzine ma a centinaia f
Evidentemente tutta questa gente che sacrifica tempo e fatica non
a esatto concetto o non pensa alle difficoltà tra le quali si dibalte
a noi il teatro lirico. lidotto in realtà ad uno stato d'anemia da met-
ìre seiiamente in pensiero tutte le persone che credono che al teatro
iano annessi interessi artistici ed economici rilevantissimi.
La buona volontà di una riscossa sarebbe generale: qua e là ap-
aiono dei sistemi ben chiari. A Parma si ritorna al sistema della
ote; a Torino una Società forte a denari offre di fare immediatamente
1 vecchio Teatro Regio le migliorie necessarie secondo le esigenze del
ionio; a Roma si presenta al Consiglio comunale una nuova proposta
nde si abbia un regolare funzionamento del teatro lirico nella capitale.
Da cosa nasce cosa: e faccio i voti più sinceri perchè tutte le co-
iggiose iniziative di questo genere conducano a risultati effettivi.
Ma c'è una questione preventiva da risolvere onde non rendere
lutili tutti gli sforzi passati, presenti e futuri pel rinnovamento del
iatro lirico nazionale. La prima necessità pel teatro lirico da noi è
nella che esso sia restituito alla indispensabile libertà di movimento:
idotto come è ora, esso non può che intisichire.
L'argomento è ampio: la dimostrazione non è diffìcile: dell'attuale
ondizione di cose, come spesso succede, hanno colpa tutti e ne.ssuno.
1 tempo, modificando ben prossimamente le condizioni dei diritti di
utore, rimetterà in pubblica circolazione molti spartiti, e cambierà
avorevolmente l'ambiente. L'essenziale sarà di vedere se frattanto non
uccederà al teatro lii'ico ciò che dicono sia capitato a quel certo asino
he un ammaestratore aveva educato a non mangiare: venne il giorno
Q cui l'animale si poteva dire ammaestrato, ma quel giorno la povera
lestia era morta di fame.
Il problema del teatro lirico merita un attento esame e mi propongo
i ritornare altra volta ampiamente sull'argomento. Per oggi ho più
he sufficiente materia alla rivista accennando ai concerti, ai saggi sco-
astici ed alle nuove pubblicazioni.
La stagione dei concerti avrebbe dovuto compensarci della carestia
ealrale, ma l'ha fatto in misura assai scarsa. Chi ha lavorato di più
a questo campo è stato Martucci: nell'alta Italia, a Roma, a Napoli
gli ha portato il soffio della sua arte squisita, della sua giusta ed
quilibrata i)ercezione interpretativa. A Santa Cecilia è mancata dopo
1 Martucci la maggiore attrazione, cioè il Richter, caduto malato dopo
a prima prova d'orchestra, e certo non ne fatto le veci lo Che\illard
imasto a Roma... una riputazione parigina. Ricomparve il Pugno
biadendo piuttosto che aumentando l' impressione favorevole della
134 RASSEGNA MUSICALE
venuta precedente; fu simpaticamente accolto Popper, uno dei principi
del violoncello, e lo sarebbe stato di più con un programma meno pei so-
nale, e si festeggiò 1' Hubay. il tipico artista ungherese. Mi sia pernifs-D
di dolermi che non abbia avuto l'elegante cornice e lo scelto udilnrio
di Santa Cecilia, Franz Oundrieeck, il fortissimo violinista bocnid.
caduto nelle fila di uno dei tanti pericolosi organizzatori di concciii
che offrono i loro servizi agli stranieri, pronti ad invitarli a veii!;-
in Italia, a farli sentire in qualche paese senza T indispensabile prenci-
razione. Abbiamo ancora sentito a Santa Cecilia due celebrità canore :
la medagliata signora Dolina, che imperterrita e con metodo corict-
tissimo ha offerto una interminabile sequela di arie, romanze e can-
zoni russe, e Adelina Patti, die rimane seini)re malgrado la lun^a
carriera la grande maestra e l'incomparabile fascinatrice. Non bisogna
dimenticare tra le audizioni più notevoli il concerto di musica nli-
giosa italiana, dato sotto gli auspicii e cogli elementi dell'Accademia
di Santa Cecilia al teatro Argentina in occasione del Congresso storieo.
e la diligente dilezione del maestro Terziani meritamente apprezzala.
A Milano, a Bologna, a Firenze, a Torino, niente fanciulli prò- ,
digio per quest'anno, niente trionfi acrobatici di solisti. L'Hubermann
violinista assicurano si sia rivelato subito artista di vero ed alto sen- '
timeiito: qualche altra meteora passò rapidamente, ma senza lasciai' ]
ricordo. A Milano il Qiiare, fantasia lirica di Gallignani, non trovò
favorevole il pubblico e la critica; a Bologna il Cantico dei Cantici
di Bossi, dopo reali ed anche clamorosi successi all'estero, fu accolto
con simpatica deferenza, ma ebbe intojipi d'ordine amministrativo che
ne troncarono le audizioni. Ancora a Milano un Oratorio di Tinel, del
quale si profetavano meraviglie, fu giudicato una sapiente, pesantis- |
sima palinodia, e rimase l'ultimo lavoro allestito nel salone Perosi, '
la cui Società è attualmente in liquidazione, non avendo trovato suf-
ficiente alimento nel fervore del j)ubblico per sopiìortare le gravi e
continue spese.
Ma tutte queste miserie effettive di insuccessi e di speculazioni
sbagliate non diminuiscono il contingente sempre nuovo di scolari nei
conservalorii pubblici e privati e di questi giorni ajipunto le più rosee
speranze fioiiscono nelle colonne dei giornali a proposito dei numerosi
saggi che hanno luogo. Si comprende die anclie agli istituti musicali
ognuno metta in mostra la più bella merce che ha in magazzino ; ma
tuttavia questa esibizione richiede lungo dispendio di tempo per pre-
pararla, e non so se le esagerazioni congratulatorie dei compiacenti
periodici giovino realmente ai neofiti dell'arte. I rivali di Paderewski
e di d'Albert ormai non si contano più fra gli allievi degli istituti:
violinisti e violinisle, solisti, arpiste, cantanti sbocciano d'ogni in-
torno con una abbondanza ed una regolarità spaventose: e dico spa-
ventose perchè la carriera, e specialmente quella « del solista », alla
quale il novanta per cento di questi diplomati e medagliati aspira,
presenta difficoltà sempre crescenti. Non potendosi sospendere per
almeno un quarto di secolo queste fucine tli celebrità in erba, è evi-
dente che le illusioni cozzeranno pur troppo maledettamente colla realtà,
ma cofesfa pletora è legge ormai fatale contro la quale le declama-
zioni sono perfettamente inutili.
Questi esperimenti almeno non sono stati inutili per provare lo
sviluppo razionale preso in questi ultimi anni dalle scuole d'insieme,
che erano state per lungo tempo come un mito nei nostri principali
RASSEGNA MUSICALE 135
istituti per quanto si fosse detto, scritto e raccomandato in proposito-
La vera utilità dei conservatori musicali consiste appunto nella pos-
sibilità che ivi si ha di dare airalunno l'educazione artistica completa,
e questa non si può certo ottenere senza le esercitazioni di quartetto,
di coro, d'orchestra, in una parola senza che sia ben instillata nel
discepolo l'idea del relativo e dell'assoluto, e le rispettive funzioni
dei singoli elementi nel grandioso complesso delle moderne cieazioni.
Da questo lato delle scuole d'insieme si può dire che abbiamo ormai
causa vinta, e c'è da rallegrarsene sinceramente, perchè solo con
questo mezzo potremo non trovarci inferiori agli stranieri nelle grandi
occasioni di feste musicali di importanza.
Ed ora chiudiamo questo molto sommario cenno sul movimento
musicale nostrano, con qualche cenno sulle recenti pubblicazioni atti-
nenti all'arte musicale che hanno diritto ad una speciale considera-
zione.
Un voluuie che sarà assai letto è indubbiamente quello del Solerti
che ha per titolo: Le origini del inelodrcimitia.
Su questo argomento vanno in giro molte errate od almeno im-
precise affermazioni che importa rettificare, ed il Solerti lo farà proba-
bilmente in un suo prossimo largo studio sugli Albori del melodramma.
la cui pubblicazione è annunziata. Intanto egli col presente libro
mette, per cosi dire, le basi dell'edifìcio, e raccoglie le tesfiìiìotìiaìize
dei contemporanei, quelle più note (come le prefazioni e le dediche
dei primi lavori del Cavalieri, del Peri, del Caccini, di Marco da Ga-
gliano, di Vitali) e quelle meno conosciute del Giustiniani, del Bonini,
di Pietro de' Bai'di, del Della Valle e del Doni. Basterebbe il discorso
sulla musica di Vincenzo Giustiniazii per dare al volume un simpatico
sapore di vivacità: il quadro dello stato della musica a Roma al piin-
cipio del 1600 vi è dipinto dal vero e non « rulibato da buoni autori
antichi e moderni » : e chi volesse spigolare in questo volume trove-
rebbe un'enorme quantità di acute osservazioni sulla musica in gene-
rale e sui musicisti romani e fiorentini che erano allora in auge. Le
annotazioni critiche ed estetiche di tutti questi autori sono curiosis-
sime: ma da tutte risulta la grande importanza che fin da quei primi
tempi si diede al fatto musicale che poi costituì l'opera moderna. Il
Solerti, mettendo queste interessanti testimonianze alla portata di tutto
il mondo mercè l'edizione che ne ha fatto il Bocca nella Piccola Bi-
blioteca di scienze moderne, ha agito molto opportunamente, perchè
è tempo che pensiamo noi a lumeggiare i nostri artisti e le memorie
del glorioso passato : lasciarne Io studio solo agli stranieri è spesso
troppo pericoloso, e recenti esem])i l'hanno provato.
Mentre l'attivissimo Solerti ci richiama alle origini dell'opera, il
Dassori ci mette sott'occhi la falange di oltre quindicimila operisti in
un Dizionario lirico universale che s'intitola appunto Opere ed operisti
e che è pubblicato a Genova dalla Tipografìa dei Sordomuti.
II Dassori piglia le mosse non dal Peri e dal Caccini, ma dal Della
Viola che fece rappresentare nel 1.Ó41 F OròeccAe, commedia in musica,
a Ferrara: ed è da menargli buona questa anticipazione senza discen-
dere a discutere la diretta figliazione della forma operistica, tanto più
136 RASSEGNA MUSICALE
che certamente anche Emilio del Cavaliere ha ben diritto di contate
per qualche cosa prima del Zazzerìno e del Bomuuo.
11 volume del Dassori forma una statistica interessante ed oltic-
modo giovevole per tutti coloro che per ufficio o per semplice curio-
sità entrano nel pelago delle ricerche di nomi e di date. I 31,40() spartiti
sono allineati con doppio sistema, prima sotto il nome del rispettivo
autore, poi sotto il titolo dell'opera: una premessa succosa e chiara
istruisce il lettore sulle vicende generali dell'opera, e porge nozioni
molto curiose sulla classificazione dei lavori, che naturalmente l'au-
tore deve arrestare sulla soglia del secolo xix.
Di tutti i dizionari lirici questo di Carlo Dassori mi sembra il più
completo, e deve essere costato una fatica immane al compilatore, il
quale ha diritto ad una proporzionale riconoscenza per parte delle
numerose persone che indubbiamente si serviranno delle sue pazienti
ricerche. Applaudo quindi senza restrizione al lavoro del Dassori. e
gii invidio anche l'ottimismo col quale egli scrive : « Se dal passato
è lecito arguire dell'avvenire, pure che la musica diammatica sia desti-
nata a subire notevole camhntmento di forma e d' indirizzo... già
alcuni tentativi isolati si sono prodotti nella musica da scena, lasciando
intra V vedere nuovi orizzonti... »
Confesso che ai nuovi orizzonti del giapponesismo asmatico, della
miseria melodica e dell'eccentricità aimonica elevata a sistema, delle
gonfiature periodiche e delle indiscrezioni preventive io non ciedo, ne
ho solo un ribrezzo giustificato dall'esito. E duolmi che specialmente
nella lusinga delle indiscrezioni preventive sui nuovi orizzonti cadano
troppo spesso gli arti.sti, precisamente come è accaduto di questi giorni
al Giordano jiei- la sua Siberia.
Ma questo non impedisce che realmente il Dassori sia il piìi pre- >
ciso e benemerito fornitore di dati sul lungo e glorioso passato dell'arte ■
lirica (e non nazionale soltanto ma universale) e quindi non v'ha dubbia ■
che il suo dizionario deve ti'ovar sid)ito posto in ogni biblioteca.
Un ottimo trattato d'armonia è quello dei signori Codazzi ed An-
dreoli che l'editoie Cogliati ha ripubblicato testé a Milano, essendo
andata esaurita le prima edizione. I due valenti musicisti hanno lie-
vemente ritoccato il loro già accurato lavoro, aumentando ancora gli
esempi musicali e gli esercizi pratici, per modo che questo manuale
ormai si può dire uno dei più completi e dei piìi utili per imparare
le armoniche discipline. Nel campo dell'armonia ognun sa che le di-
spute sono pem|ire aperte: ed anche la rigida e rigorosa esposizione
di questo metodo può trovare qualche opposizione. Ma non si può
negare che molto abilmente gli autori col loro sistema arrivano a dare
la ragione dei più moderni accordi, nulla sfugge alla loro indagine
nella infinita varietà delie combinazioni recenti. Opportunissima è poi
l'aggiunta fatta ai partimenti originali coi bassi estratti dalle opere di
G. S. Bach: il cammino di un allievo intelligente e studioso si tro-
verà indubbiamente accorcialo: e questo sarà un vero beneficio del
quale bisogna essere grati ai diligentissimi autori.
11 mannaie è |»ubblicato in un comodo foìiiiato, il volume è ele-
gante e correttissimo: sotto tutti i punii di vista dunque il trattato
è raccomandabile.
Entrando ora nel campo della composizione musicale sono assai
lieto che l'avveduto editore Capra di Torino abbia pubblicato la partitura
di quel poderoso studio struQientale che s'intitola Fantasia e grande
RASSEGNA MUSICALE 137
gaio sinfonico per orchestra e pianoforte di Amilcare Zanella. Ognuno-
jorda che detta Fantasia era uno dei caposaldi del programma dei
ncerti che lo Zanella con coraggio degno di miglior fortuna intra-
ese in Italia due jiriniavere addietro : con questa pagina e con una
nfonia in quattro tempi il giovane maestro si segnalava in modo
irticolare anche per un certo senso d'idealismo che certo non è co-
une nel tempo odierno. La puhblicazione della partitura ci dà agio
notomizzare ipiesta veramente riuscita composizione, così salda nella
[a architettura, cosi geniale nel suo sviluppo: essa ha ben diritto a
ender posto nei programmi sinfonici all' estero, quando ben inteso
jda al pianoforte l'artista capace di renderne il vario e caratteristico
lorito. Ne è cosi vivo il ricordo che ne reputo superflua 1' analisi,
a non posso a ment, di rilevarne l'esemplare sobrietà di disegno e
perizia colla quale i vari gruppi di strumenti son disposti. Lo Za-
;lla giovanissimo ha visto di recente coronata la sua forte attività
Ha nomina a direttore del Conservatorio di Parma. Dicono che sia
1 posto di combattimento: gli auguro piena vittoria: l'essenziale è
le egli non si dimentichi che è nato compositore e che ha qualche de-
to verso la nostra arte, poiché ha cominciato cosi splendidamente
!l dominio di quella musica strumentale che rimarrà sempre la meta
ù eccelsa, anche quando egli trovasse come compositore opeiistale
ù alte e meritate soddisfazioni.
Nuoto tra una moltitudine di altre piccole partiturine e la loro
ibblicazione è segno di un sempre crescente livello di educazione ar-
stica generale. Accenno a Quattro piccoli pezzi per orchestra di Giu-
ppe Martucci che sono finissime miniature ; la giga e la gavotta hanno
3 sapore arcaico delizioso, la canzonetta è un hadinage dei più ori-
nali ed il noftiinio passa come visione delicatissima sopra lo sfondo
una notte stellata. Tre altre partiturine sono di un maestro che è
l un tempo giurista e uomo politico insigne: Emanuele Gianturco.
ssignori, l'eminente professore napoletano tra le disquisizioni sul
ure in Cassazione, le lezioni all'ljniversità ed i consulti autorevo-
5simi si compiace di lavori musicali che sono finamente cesellati,
o sotto gli occhi, ad esempio l'andante della l'' Sinfonia, una pagina
una ammirabile chiarezza, trattata con finezza di gusto, fluida,
!nza pi'etese ma indubbiamente geniale. Anche la Baìtata dedicata al
aestro Serao è limpida da capo a fondo ed elegante nei suoi contorni,
compie la terna una Gavotta in re minore che nella infinità delle
le consorelle si distingue per una spontaneità ed un;i franchezza as-
iluta. Ai pianisti poi addito volentieri un Minuetto di Gianturco in
i bemolle, ai quali fa riscontro la Marcia dei soldatini di piombo,
M inezia, uno schizzo, ma di.'<egnato da mano maestra, come i mi-
jscoli quadretti dello Schumann e di tanti altri che non disdegna-
mo questa delicata pittura di genere.
Una arcaica semi»licità send)ra esseie l'obbiettivo del Gianturco:
ìT contro Roffredo Caetain, nei suoi lavori tutti editi dalla casa Schott
i Magonza, sale arditamente le vette della più complessa modernità di
itenti. di procedimenti, di risultati. Sulla sincerità assoluta dell'artista
3n vi può essere dubbio, come non ve n'ha sulla lunga e fervo-
»sa preparazione di studio che ha preceduto la manifestazione mu-
cale 11 Caetani fin dai primi lavori (ed oggi ha già al suo attivo
tt nucleo importantissimo di composizioni) ha dimostrato di voler
imminare per vie poco battute, ha adottato per divisa il noto odi
138 RASSEGNA MUSICALE
profanum viilgus: tra lui e i dilettanti c'è sempre stato un abisso, e
questo va detto a sua lode sincera.
Proseguendo impavido per questo cammino egli ci ha dato eia
- in aggiunta alla sonala per violino e pianoforte, alle Dodici vami-
sioni sopra un preludio di Ghopin, alle pagine sinfoniche di cui discoisi
altre volte dopo la privata audizione del teatro Argentina, e ad altre
composizioni - quatti'O impromptus, una ballata ed una toccata e!ie
formano un'opera sola e che sono una nuova e vigorosa prova di mi
peregrino e forte talento di musicista.
Questi lavori sono tutti ammirabili per la costruzione intima, \<rr
la selezione armonica, per certi ardimenti di tecnica e di forma che
sono assai originali, ma è peccato che in quasi tutti l'idea scompaia
spesso sotto il velame delli versi strani. Non c'è che dire, all'analisi
la mano sicura e la maestria vera del compositore risaltano vitti n Ì(j-
samente, ma l'attorcigliarsi del ritmo e dell'ornamentazione va spt--u
a danno dell'etticacia, e musicalmente l'opera dell'alambicco non è
sem[)re piacevole.
Comprendo perfettamente che la stessa osservazione è slata fatta
a molti compositori dallo Schumann al Brahms e che la questione di
pletora apparente svanisce colla dimestichezza che si piglia coU'autoiv:
ma questa in tin dei conti è una pecca e deve cercare di liberarsenr il
poderoso ingegno del Caetani, il quale non può di proposito delibeialo
rinunciare alla maggior efficacia del suo lavoro per quanto alto sia
r ideale artistico che lo guida.
La ballata in fa diesis minore, chopiniana a primo aspetto, è Ira
i sei nuovi lavori quella che guadagnerebbe di più da questo proc('s>u
di semplificazione. Nella toccata l'accento ritmico spiccalo e mantenuto
tale diminuisce l'inconveniente e la composizione scintilla veracemente
come ini prisma sotto un fascio di luce, ed è di effetto sicuro e pere- '
grino : la virtuosità e la tecnica appaiono di ottima fusione. j
I quattro impromptus formano un anello simpatico: musica da gran '
signore, vibrante di geniale vitalità nel primo e nell'ultimo (al quale
io darei la palma), leggermente romantica nel secondo e nel terzo, questi
impromptus, nella loro apparente tenuità, sono un valido contrappeso
alle tante vacuità che fioriscono oggidì, divagazioni inutili fatte per
mascherare l' incapacità presuntuosa. Quando all'atto pratico si tro-
vano tanti artisti dilettanti è provvidenziale che sorgano tempre come
il Caetani, e che combattano gagliardamente con tutto il fervore della
convinzione, con tutto l'entusiasmo della forte giovinezza.
Per ritornare ora all'antico, ritorno che di tanto in tanto fa tanto
bene, avrei da dare un tuffo in un largo lavoro di illustrazioni mu-
sicali compiuto da artisti insigni : ma oggi la misura è colma e quindi
riprenderò ben presto il discorso.
Valetta.
INGflILTEm ED ITALIA NELLA OOESTIONE DI MALTA
Non solo il gliKiizio della stampa lii)erale inglese, che è a Cham-
berlain sisteniatieanienle avversa, ma la preoccupazione dimostrata
ialla Camera dei Comuni, ove tre volle in sette giorni - il ^23, il 35 ed
il 29 giugno - fu sollevata la questione di Malta, dovrebbe persua-
iere il ministro delle Colonie che egli non fu felicemente inspirato,
sonducendosi, in argomento sì delicato per parecchi titoli, con una
brutalità che non aveva alcuna ragione d'essere, e che può recare con-
seguenze, almeno morali, assolutamente sproporzionate all'inteiesse
che intendeva di tutelare.
Non citiamo l'agitazione prodottasi a Malta, e neppure l'eco che
essa e la causa da cui fu provocata ebbero in Italia: il signor Cham-
berlain potrebbe trovare una tale citazione ino])]Jortuna. Ma della con-
venienza degli atti compiuti dal loro Cìoverno quali migliori giudici
rlei deputati britannici"? Ora, questi hanno mostrato la convinzione
che la violenza usata ai maltesi non sia ne legale, ne utile: e non
si è saputo dimostrare clie essi avevano torto.
Quando il signor Cliamberlain fece appello, contro i membri elet-
tivi del Consiglio di Governo di Malta, a quei padri di famiglia, nella
questione della lingua, e gli fu chiesto se le risposte di quei padri
sarebbero comprese nel promesso Blue Book, il signor Chamberlain
eluse la questione; quando fu chiesto se potevasi nelle Colonie sospen-
dere la Costituzione senza il voto del Parlamento, la questione fu
elusa dal Presidente; ed il signor Chamberlain infine giocò sulle parole,
i|iiaii(lo si voleva sapere se le misure adottate contro Malta erano state
itgticlto di corrispondenza col Governo italiano, col richiamarsi alla sod-
disfazione espressa dal Governo stesso nel gennaio dell'anno scorso.
La citazione di quel precedente era, invero, pericolosa; poiché alla
soddisfazione d'allora non può che fare riscontro adesso un non minore
malcontento. Allora, infatti, il signor Chamberlain aveva promesso so-
lennemente di usare a Malta i maggiori riguardi... per riguardo al-
l' Italia. Ora, invece, dai desiderii italiani hu fatto completa astrazione.
Il no.stro Governo non ha potuto e non può, naturalmente, interve-
nire, trattandosi di un atto di politica interna di un Governo straniero;
ma, ove contìdenzialmente gii si chiedesse della sua impressioue sul
modo come quelle promesse furono mantenute, non potrebbe a meno di
dichiarare che è stata spiacevolissima.
Spiacevolissima, non tanto per projirio conto, quanto pel paese,
e per l'intluenza che l'incidente ])uò esercitare sulle simpatie italiane
verso l'Inghilterra.
Non occorre dire che il tanto accusato irredentismo degli ita-
liani-quell'irredentismo, che non si può negare assuma a volte forme
di scarsa avvedutezza politica - non è affatto in causa. Nessinio fra
140 INGHILTERUA ED ITALIA NELLA QCESTIONE DI MALTA
gl'italiani ha mai pensato alla possibilità che Malta debba essere po-
liticamente annessa al Regno d'Italia. Ma il sentimento della solida-
rietà nazionale non è mai tanto vivace fia noi come quando lo si
offende, si cerca di reprimerlo e di sopprimerlo; quel sentimento di
solidarietà fra maltesi e italiani, che già si era risvegliato nelle lotte
pel nostro Risorgimento, e che poi si era assopito, si è rifatto vivo
e pugnace appunto quando prima fu sollevata per Malta la questione
della lingua; ora si riaccenderà più che mai.
Nessuna ragione più infondata di quella addotta dal signor Cham-
berlain quando, a giustificale l'ostiacismo da lui voluto daie alla lin-
gua italiana da Malta, disse in Parlamento che si trattava pei mal-
tesi di una lingua straniera, al pari dell' inglese, poiché a Malta si
parla un dialetto che con la lingua italiana ha poco o nulla a che
vedere. A questa stregua si dovrebbe ammettere che la lingua italiana
sia straniera anche in Italia, poiché non vi è alcuna delle nostre popo-
lazioni che non parli un dialetto, e spesso un dialetto lontano dalla
lingua ancor più che il maltese. Negare con ciò 1' italianità di Malta
é puerile, tanto la storia, come la geografia, depone in favore di quella
italianità, assolutamente indiscutibile.
Malt.i fu infatti siciliana, cioè italiana, sin dal 109U, in virtù di
quegli stessi Normanni, dai quali deriva quell'ordinamento della so-
cietà inglese che dura tuttora. Ruggiero conte, vi fondò la cattedrale
della Notabile; Ruggiero re vi estese le varie forme del governo si-
ciliano. In Malta come in Sicilia i re Normanni godettero il privilegio
della Apostolica Legazione, erano, cioè. Pontefici i on meno che Re,
e il Vescovo di Malta era suffraganeo della Metropolitana di Palermo.
Data in feudo nel 1530 da Carlo V all'Ordine Gerosolimitano, che
aveva perduto Rodi, Malta non troncò mai intieramente i suoi vincoli
coi Re di Sicilia, i quali erano sempre considerati come i suoi Alti
Sovrani, tanto che i gesuiti furono cacciati anche da Malta nel 1768
per volere del Re di Napoli, quantunque quel Vescovo li proteggesse.
La conquista francese del 6 giugno 179S ruppe i vincoli politici
di Malta con la Sicilia ; ma, né quella conquista, né l'occupazione
inglese, che aA'venne nel settembre 18(X», grazie ad una insurrezione
popolare contro ie improntitudini francesi, né il possesso dell'isola
riconosciuto alla Gran Bretagna col trattato del 1814. potevano di-
struggere i vincoli nazionali.
Questi divennero anzi più intimi, trasformandosi da regi ed eccle-
siastici in popolari, quando, vinta la rivoluzione del 1848, molti pro-
fughi siciliani ed altri italiani trovarono in Malta ospitalità generosa
da quei conijiatrioti, ed asilo sicuro presso quel Governo; il quale
non vi faceva che raramente eccezione: come quando, per opportunità
momentanea, espulse nel dicembre del 1854 Francesco Crispi, col pre-
testo che vi pubblicava un giornale politico compromettente. Nicola e
Paolo Fabrizi vi erano con Giorgio Tamajo, con Giovanni Daniele
Vasta ed altri, alla testa del movimento; Diego Fernandez corrispon-
deva da Malta con Francesco Bentivegna; da Malta partiva nel maggio
1854 Giovanni Interdonato con due amici, all'intento di sommuovere
la Sicilia, e spiato ed assalito a Rocca Lumera, sfuggiva per miracolo
alle palle borboniche. Malta era tanto divenuta, di fatto e nel con-
cetto generale, il centro dell'agitazione patriottica specialmente sici-
liana, che recavano la data di Malta - benché stampati a Genova
nell'officina dei fratelli Orlando - i primi numeii, usciti nell'agosto
del 1856, de La Libera Parola, la pubblicazione incendiaria a cui colla-
INGHILTERRA ED ITALIA NELLA QUESTIONE DI M.ALTA 141
doravano Rosolino Pilo, Antonio Mordini, Bartolomeo Savi, Carlo
Pisacane, e quel Falcone che con Pisacane doveva cadere a Sanza.
Molle famiglie maltesi, a incominciare da quella degli Sceberas, ave-
vano fatto propria la causa italiana. Nel 1859, durante i suoi viaggi
<li preparazione della rivoluzione siciliana. Francesco Crispi tornava due
volle a Malta: ed a Malta si preparavano elementi per la spedizione dei
Mille, sinché da Malta sbarcò a Pozzallo, Nicola Fabrizi con Giorgio
Tamajo e con Abele Damiani, che anch"egli aveva ricoverato a Malta
■dopo l'insuccesso glorioso del 4 aprile. Ed erano con essi armi e muni-
zioni, che a Malta erano state raccolte, ed ancora nel giugno del IStJO
seguitavano a giungere a Malta dalle più varie parti del mondo patrioti
italiani anelanti alla guerra, e da Malta Emilio Sceberas li dirigeva,
insieme ad altre armi, in Sicilia.
Tutto questo creava fra Malta ed Italia un vincolo ancora più
forte delia consanguineità; e se, dopo il ]8()0, questa intima corrispon-
denza di aifetti e d'opere sembrò assopirsi, specialmente coll'acuirsi
■del contlitto fra l'Italia ed il Papato, causa il clericalismo di molti
maltesi, bastò che questi vedessero minacciata nella lingua la loro na-
zionalità, perchè ancora si dirigessero all'Italia come alla loro tulrice
naturale, e perchè l'Italia sentisse il dovere morale di non disinte-
ressarsene. Tanto che lo stesso Governo nostro, per solito si alieno da
ogni iniziativa men che prudente, se ne occupò presso il Gabinetto di
Londra, e nei due Parlamenti di Londra e di Roma quell'interessa-
mento assunse foroia ufiicialmente pubblica, nel modo il più soddisfa-
cente; grazie anzitutto alle dichiaiazioni di quello stesso Cliamberlain,
dal quale è oggi partito il colpo di Stato che ha limesso tutto in que-
stione. Non per questo gl'italiani metteranno oia in forse la legittimità
del dominio biitannico a Malta. Benché in linea di diritto quel do-
minio abbia avuto origine dal consenso della popolazione, che accolse
gl'inglesi in odio ai francesi, e benché ragionevolmente i maltesi si
dolgano oggi di esseie trattati come un paese di conquista, con di-
spregio a quella libertà che l'Inghilerra si compiace di lasciare nelle
cose interne alle sue colonie, se nel 18ó5 Crispi, in uno studio dei
Diritti della Corona d' Inghilterra sulla Chiesa di Malta, lamentava
■che il Governo britannico avesse rinunciato, a benefìcio di Roma, al
privilegio sulla Legazione Apostolica, non vi è neppure oggi un ita-
liano che vorrebbe menomato il dominio inglese sopra Malta e l'eser-
cizio internazionale di quel dominio. Non lo vorrebbe menomato, per
"la amicizia organica che anima tutto il popolo italiano veiso gl'in-
glesi, e perchè lutti riconoscono, d'altronde, che il volerlo e il desi-
derarlo sarebbe assolutamente vano. Malta è oggi necessaria alla Gran
Bretagna ancora più di Gibilterra, poiché, a lutto rigore, Gibilterra
potrebbe essere scambiata con Ceuta, senza che la supremazia inglese
nel Mediterraneo ne fosse diminuita, mentre da nessun'altra posi-
zione Malta potrebbe essere sostituita, specialmente da quando la
Francia ha fatto di Biserta il più grande porto militale d'Europa.
Ma è appunto l'inesistenza morale e la impossibilità materiale di
qualunque pericolo, che rende assolutamente oziosa la violenza eserci-
tata su Malta dal signor Chamberlain, il quale mai come in questo caso
avià confermato la regola che vuole ogni qual tratto soggetti ai pic-
coli errori gli uomini di vasta levatura.
Errore piccolo in questo caso, ma grave nello stesso tempo ; poi-
ché, se i maltesi, come essi per primi riconoscono , possono essere
schiacciati senza fatica, se è tolta loro persino la possibilità di una
142 IXGHII.TEKRA ED ITALIA NELLA QIIESTIOXE 1)1 JL\LTA I
resistenza qualunque, l'effetto di tutto ((uesto nei sentimenti dejìli ita- ;
liani può essere notevole. Ora, V Italia è per l'Inghilteria ima quan-
tità tutt'altio che trascural)ile nel sistema mondiale; e l'alleanza in-
glese era tra tutte le alleanze, passate, presenti, future, quella che
trovava unanime nel consenso tutto quanto il popolo italiano. La po-
litica del Governo nostro non muterà per questo, per quanto ess.i
possa far sentire a Londra il suo rincrescimento: ma la politica dei
Governi non è oggi mai tanto forte e sicura come quando è appoggiata
dal suttragio delle popolazioni, e se questo venisse a mancare all' In-
ghilterra da parte del popolo italiano, anche le relazioni ufficiali non
potrebbero non risentirsene.
Che cosa ci guadagnerà l'Inghilterra, mentre invano si tenterà
di sopprimere l'antagonismo franco-inglese, mentre l'avversione ger-
manica tace a fatica, mentre il Nord-America non si è lasciato sedurre
dalle profferte d'alleanza del signor Chamberlain, ed il conflitto con
la Russia in Asia è permanente, per ciuanto ad istanti larvato "?
Il signor Chamberlain ed altri uomini politici inglesi hanno van-
tato le gioie del superbo isolamento della Gran Bretagna ; ma la
grande coscienza che il Regno LTnito ha di sé stesso non ha impe-
dito che l'esplosione di antipatia provocata dalla guerra Sud-Africana
gli riuscisse pesante, e che tanto più, quindi, fosse grato al popolo
inglese il contegno tenuto dagli italiani, ancora non offesi nelle loro
suscettibilità sentimentali.
Che quell'isolamento, del resto, comprenda pericoli insieme a gioie,
è un latto di cui la stessa InghilteiTa è tanto convinta da averne
l'inspirazione per una politica che renda più intimi i rapporti della
madre patria con le Colonie. È uscito da quella convinzione l'enun-
ciato della nuova politica doganale, che, se divide l'opinione pub-
blica e lo stesso Gabinetto inglese, ha pure la sua ragione d'essere
nelle conseguenze che, in certe circostanze, possono all'Inghilterra
derivare da quell'isolamento.
Né se l'ideale di Chamberlain si realizzasse, e Regno LTnito ed
Impero Britannico si fondessero in un solo ente, tutto sarebbe detto.
Per la vastità stessa e l'indole di quell'Impero, il concorso immediato
e diretto delle Colonie sarebbe assolutamente impossibile in più casi.
Che cosa potrebbero esse, ad esempio, in una gueri'a come quella che
l'Inghilterra è stata costretta ad imprendere nell'Africa Orientale contro
il Mad Mullah'? Il buon volere, l'amicizia dell'Italia sono stati questa
volta più necessarii e più giovevoli alla Gran Bretagna, che tutto il
denaro e tutti i soldati che le Colonie potevano, essere disposte ad of-
frire. Molte altre volte ciò può avvenire, e. se anche non avvenisse,
non meno preziosa sarebbe sempre per l'Inghilterra quell'alleanza mo-
rale e politica dell'Italia, che tutti gli statisti britannici hanno sempre
professata, almeno a parole. E che ima tale alleanza non sempre sia
stata servita di fatto, è rincresciuto, non men che a noi, airo|)inione
pubblica inglese. Essa non risparmiò, ad esempio, i suoi rimproveri a
lord Salisbury, quando questi, con la sua lenta freddezza, non ci giovò
in Africa come avrebbe potuto e dovuto; e quando, per le dichiarazioni
dell'on. Prinetti e del signor Delcassé, fu proclamato nei due Paria-
lamenti di Roma e di Parigi l'accordo franco-italiano, quei rimproveri
divennero anche più acerbi, inspirati dal timore che l'Italia si fosse
intieramente allontanata dalla Gran Bretagna.
L'eco di un tal timore risuona anche nelle interrogazioni rivolte
ora ai Comuni, e noi vorremmo che il signor Chamberlain ne traesse
INGHILTERRA ED ITALIA NELLA QUESTIONE DI MALTA 14:3
lorma. se non altro nell'applicazione delle misure da lui escogitate per
ivere ragione della resistenza maltese nella questione della lingua.
È certo che il Governo britannico ha diritto di vedere compresa
!d accolta la lingua inglese in tutte le istituzioni pubbliche di Malta;
na è pur certo che esso non riuscirà mai a distruggere con la violenza
a esistenza nelfisola della lingua italiana. E anche se dovesse rimaner
soppressa la Costituzione del 1887, ed es.sere quindi puramente illu-
iorio quel Consiglio di Governo, nel quale gli elementi elettivi sono
)rmai in minoranza e quindi destituiti d'ogni potere, il Governo in-
glese avrebbe tutto l'interesse a procedere nella pratica con la mag-
giore longanimità. E non solo per ciò che riguarda la lingua e le
lasse, le due ragioni, cioè, del conflitto. Invece di sopprimere addirit-
tura la Costituzione del 1887, meglio dunque avrebbe fatto il Governo
inglese a ricorrere alle elezioni contro il Consiglio di Governo, e se
inche le elezioni gli avessero dato toi'to, avrebbe potuto riformare
nella Costituzione il capitolo elettorale, allargando il suffragio, se è
vero che i capi famiglia erano, e sono, per lui contro il Consiglio di-
sciolto. 11 partito scelto dà invece diritto ai consiglieri di proclamare
che il signor Chamberlain è stato insieme violento e meno corretto.
Con la pseudo-costituzione attuale, il governatore ha, ad esempio,
il diritto di concedere proprietà immobiliari senza chiedere l'approva-
zione del Consiglio di Governo. Ora, l'applicazione di questo diritto,
fatta in un modo piuttosto che in un altro, potrebbe far nascere il
sosjietto che il Governo britannico voglia adoperarsi a snazionalizzare
Malta, eliminando l'elemento maltese ed italiano, a benefìcio dell'ele-
mento inglese. Ma se cosi fosse, quale frutto ne trarrebbe 1 Quale so-
spetto di separatismo può mai suscitare luia popolazione che è in tutto
(li 180,(X)t) anime ? Né le isole maltesi sarebbero mai suscettibili di
accogliere una immigrazione italiana così numerosa come quella clie
a Tunisi finirà col rendere formale l'occupazione francese, tanto era
destino segnato dalla stessa nafuia. che Tunisi divenisse di fatto ita-
liana, anche, o appunto perchè i francesi avevano voluto impadronir-
sene d'un tratto e per vie co|ierte. Una immigrazione artificiale inglese
a Malta non sarebbe dunque giustitìcata. più di una imposizione vio-
lenta della lingua inglese.
Tutto invece consiglia a Chamberlain. all'intero Gabinetto britan-
nico, temperamenti che. acquetando i maltesi, spegnino in germe il
malcontento del popolo italiano, e lo tengano unanime in quel senti-
mento d'amicizia verso 1" Inghilterra, che è supremo interesse reciproco
dei due paesi.
1 maltesi si sono lagnati, e non a torto, che la violenza di cui
sono vittime al)bia seguito a lireve distanza la visita di Re Edoardo.
Quella violenza mal risponde, del pari, alle liete e rispettose accoglienze
fatte a Re Edoardo in Roma, ed a quelle che Governo e popolo inglese
si apprestano a fare a Re Vittorio. Sarebbe atto di vera sapienza da
parte del Gabinetto di San Giacomo il far sì che nulla rimanga del-
l' incidente attuale, quando il ('apo dello Stato italiano giungerà in
Londra, evitando così che si accrediti nelle masse 1 impressione che
nulla valgono e a nulla conducono quegli scambi di visite regali, che
nell'interesse stesso del principio monarchico dovrebbero invece dimo-
strare praticamente di contenere la maggiore importanza politica.
XXX
TRA LIBRI E RIVISTE
I Congressi di Roma — Un Dante barbuto — Lo spirito scientifico — Zetto -
A Campfer nell" Bngadina — « II Genio » di H. Bérenger — Marsigli.i
i porti franchi — In libreria — La riabilitazione dei Carlyle.
I Congressi di Roma.
La Renaissance Latine è una ri-
vista che ha pochi mesi di vita, ma
si è affermata fin dal principio forte-
mente. Essa ha anche uno spirito in-
formatore assai spiccato. Come dal
titolo, essa si proi^one d'illustrare le
manifestazioni dei popoli latini in
tutti i campi della vita moderna. Di-
retta dal principe Di Brancovan, ha
per collaboratori molte robuste forze
della letteratura francese d'oggi, Bar-
rès, Hermant, De Regnier, Madame
De Noailles, Paul Adam, Gregh,
Jammes, ecc., e molti amici del-
l' Italia, Muret, Loiseau, ecc. Ab-
biamo letto recentemente un articolo
pieno di spirito, di Jacques Vontade,
intorno alla vita romana, intitolato
Dii Viminal à l' Aventin, e delle Im-
pressions d'Italie della principi ssa
A. de Caraman-Chimay. Nell'ultimo
numero il signor Julien Luchaire
scrive intorno ai Congressi di Roma.
Quest'articolo è il più importante che,
su questo soggetto, sia venuto a no-
stra conoscenza. Ne riassumiamo i
punti più caratteristici.
« Roma è sempre stata agli occhi
dell'Europa - dice il Luchaire - una
città speciale : la Città-art heologia, la
Città-poesia, la Città-religione, ma
essa è divenuta qualcosa di più. Non
è certo per il Papa che la Francia
ha testé mandato Chaumié e Paul
Meyer, né per Augusto o Caracalla ».
È, al contrario, per 1' Italia d'oggi.
E qui lo scrittore nota i progressi
economici della nazione e la stima
•ch'essa va acquistando nel mondo.
Mentre Roma vedevasi solcata di
nuove strade e di tram elettrici,
mentre Genova uguagliava e sorpas-
sava Marsiglia, mentre il cambio colla
Francia diminuiva fino a zero, in-
tanto i medici italiani, i giurecon-
sulti e gli economisti gareggiavano
con quelli di Germania, d' Inghil-
terra e di Francia ; Marconi maravi-
gliava il mondo come l'avevano fatto
maravigliare Roentgen e Edison; gli
eruditi di Firenze, di Milano, di To-
rino, di tutte le pro\^incie, produce-
vano lavori considerevoli : insomma
un' attività individuale eguale all'at-
tività economica e sociale. Ecco il
legame fra le visite dei re e quelle
dei congressisti di tutto il mondo.
Gli uni e gli altri, nelle chiare e liete
giornate della primavera romana, ve-
nivano a risalutar l'Italia rigenerata,
ritornata al suo posto fra le grandi
potenze del mondo.
Lo scrittore nota l'accento fami-
gliare e fraterno del Congresso La-
tino e trova che gli altri Congressi
parevano pure far rilevare questo
senso : pareva, « senza poterne dir
precisamente il perchè, una gran
festa di famig ia, a cui si fossero
invitati alcuni stranieri, anglo-sassoni
o germani ». Il Luchaire nota con
piacere che, per portar il saluto al
Re, non si scelse un tedesco o un
francese, ma un belga, mezzo ter-
mine, che parlò francese. l'Qui la
memoria gli fa difetto. Il Fiédèric
parlò italiano. Meglio, non è vero?) I
latini si distinguevano e si riconosce-
vano ; e pareva che avessero gran
voglia di affermarsi capaci anche di
qualità che loro non si riconoscono
di sovente, fermezza, disciplina, riso-
TRA LIBRI E RIVISTE
145
luzione. Perfino lo sciopero dei tipo-
grafi e i tre giorni di sciopero gene-
rale sembravano dimostrare di propo-
sito, tanto dalla parte del Governo
quanto del popolo, una disciplina che
stupì i forestieri.
Qui lo scrittore riassume i risultati
dei lavori al Congresso storico. Come
era giusto, i primi onori si fecero
alla produzione italiana, « notevolis-
sima sopratutto per la storia d'Italia
e particolarmente del medio evo ».
I Comuni italiani sono per le nostre
democrazie moderne un soggetto in-
teressantissimo, che dovrebb' essere
classico quasi quanto la storia d'A-
tene e di Roma. « Gl'Italiani sono
altieri della loro storia comunale,
ed hanno ragione di studiarla, co-
me fanno, con una p izienza minu-
ziosa, un metodo impeccabile ». Egli
cita la riedizione del Muratori, il pro-
getto di un Corpus inscriptionum ita-
ìicarum medii erri, di un Corpus cìiar-
tavum Haliae, di un Corpus di me-
daglie del Rinascimento. Giovani e
anziani, i lavoratori non mancano in
Italia. « L'Istituto di studi superiori
di Firenze è un seminario che vale
i nostri grandi stabilimenti scientifici
di Parigi, la « Ecole des Chartes >>
o « des Hautes Etudes » o le Facoltà
di lettere: e gl'Italiani hanno qual-
cosa che a noi manca, delle Società
provinciali di storia perfettamente av-
viate nei metodi nuovi, che pubbli-
cano riviste locali serie e delle col-
lezioni eccellenti di testi... Gl'Italiani
fanno ora la storia bene quanto i Te-
deschi o noi : ecco quel che appre-
sero coloro che ancor non lo sape-
vano ». Perfino nelle cose d'arte,
cittadella dell' Estetismo, la critica
bandisce il falso sentimento. « C è
in Italia tutto un partito, contrario
alla rico.struzione del Campanile di
Venezia, per la ragione che il nuovo
non sarà autentico ; sono piuttosto
-gli stranieri che si mostrano senti-
mentali a questo riguardo... La sezione
di Storia dell'arte ha dichiarato ad
unanimità che conviene lasciare in-
tatta la facciata del Duomo di Mi-
lano ».
I progetti di associazioni interna-
zionali per la storia delle scienze,
dell'arte medievale e moderna, piac-
ciono assai al Luchaire, il quale si
.associa pure al voto fatto dal Con-
io
gresso affinchè i Governi aprano gli
archivi, almeno quelli che non vanno
oltre il 1847.
Del soggiorno di Roma, delle vi-
site al'a villa Albani, a Ninfa e Xorba,
lo scrittore è rimasto incantato. «\'oilà
des beautés que Berlin, dansdeux ans,
ne nous offrirà pas ».
Il Luchaire rappresentava la Re-
naissance Latine al Congresso La-
tino. Egli ama 1' idea del professor
De Gubernatis, e pur criticando una
impresa che alla sua prima manife-
stazione non può d'un balzo mo-
strarsi perfetta, trova che il Congresso
fu « un de ces spectacles rares en
notre siede pratique, où reparait le
vieux fonds d'enthousiasme pour les
grands principes et les grands senti-
ments, de confiance naive en l'Idée,
que l'humanité, heureusement, n'a
pas perdu ; et si la fagon dont il se
manifeste parfois donne la tentation
de sourire, on a tort, grand tort ».
Egli trova che la consacrazione
ufficiale era forse superflua: dalle
persone ufficiali non si potevano in
questo caso attendere che frasi so-
nore: idealismo, fede, grandezza ro-
mana, ecc. Trova che il latino è
inoffensivo quando si sbizzarrisce nei
meuus, e scrive lumbos z'itulinos cuni
pisis nostratibus (vitello con piselli) o
asparagos burro madidos, ma che de-
nominar gli automobili currus in-
terna vi actos è piuttosto curioso, e
offensivo per alcuni chiamar lo scio-
pero opificum desertio. In tal modo si
dimostra quello che il Congresso non
voleva dimostrare, cioè che il latino
non serve affatto come lingua inter-
nazionale moderna. Un' altra cosa
che parve allo scrittore poco latina
è l'applauso all'abate di Grottafer-
rata che sermocinava gli scienziati
imponendo loro « certi limiti, al di
là dei quali, ecc. ecc. ».
Seguiamo volentieri il Luchaire nel
tentativo eh' egli fa di determinare
l'idea del movimento latino promosso
dal prof. De Gubernatis. « Si parlò
molto di Roma, faro del mondo, d'in-
tellettualità greco-latina, e anche di
pace e d'amor fraterno. Era, presso
certuni, l'espressione d'un istinto sin-
cero e giusto. Ma bisogna sapere che
cosa significhino quelle parole e dove
Voi. evi, Serie FV - 1» luglio 1903.
146
TRA LIBRI E RIVISTE
ci conducano. Se c'è un'idea latina
- o, più esattamente, neo-latina (ed
io penso che c'è, che dev'esserci, e
che è necessaria al progresso umano) ,
quest'idea è duplice: è, da una parte,
quando si parla d'educazione clas-
sica, l'idea dell'Arte, e quando si
parla di pace, l'idea del Diritto. Non
c'è al certo nei dominio delle idee
alcuna proprietà esclusiva ; nondi-
meno mi sembra che il mondo latino
può rivendicare quelle due, come suo
contributo al patrimonio comune del-
l'umanità; idee il cui sviluppo ci è
particolarmente confidato, parallela-
mente e d'accordo coli' idea scienti-
fica e l'idea economica, le due altre
grandi forze d'oggi ».
La parola felice fu trovata dal mi-
nistro Nasi : « un nuovo umanesimo :
l'umanesimo sociale », che significa,
secondo il Luchaire : - Non siate
classici stret.i, ciechi, reazionarii ;
non affettate disdegno per la scienza
moderna; non pigliate un'attitudine
d'esteti, d'aristocratici. Il vecchio
classicismo è finito, sterile, ridicolo.
Se volete essere qualcosa, siate i pro-
motori d'un nuovo umanesimo; - adat-
tamento dell'antico ai bisogni della
vita moderna, bisogni intellettuali,
politici, economici, sociali. La qua-
lità dominante dell'intelligenza della
nostra razza è il buon senso, la lo-
gica, la chiarezza; il classicismo,
l'umanesimo, furono nel primo e nel
sesto secolo due momenti maravì-
gliosi, in cui la nostra razza è stata
la coscienza profonda e chiara del-
l'umanità d'allora. Siamo, noi latini
d'oggi, se possiamo, la coscienza
profonda e chiara dell'umanità pre-
sente. Per ciò non respingiamo nulla,
non detestiamo nulla, nulla di ciò che
è essenziale e vero ; comprendiamo
tutto , coordiniamo tutto, siamo im-
parziali ed armoniosi. Cos'i potremo
conservare e far trionfare il nostro
retaggio: il senso della Bellezza e il
.senso della Giustizia.
Un Dante barbuto.
Il signor Walter Littlefield parla
nel Critic della dibattuta questione
del ritratto di Dante scoperto da Ales-
sandro Chiappelli nella Cappella de-
gli Strozzi a Firenze (Vedi Nuova An-
tologia, 16 aprile) premettendo che ui
ritratto dal vero del sommo poeta non
fu trovato ancora, e che tutti i ritratti
noti finora sono di maniera, poiché
differiscono dalle indicazioni che ne
abbiamo nelle opere del poeta stesso \
e nella l'ita del Boccaccio. Già Ro-
mualdo Fantini n^tWii Nazione (28 gen-
naio) asseriva che il ritrovamento del
Chiappelli non apporta nessuna riso-
luzione nuova. Il Dante tradizionale è
ben noto, una faccia sbarbata, i cui
tratti son tutti tirati verso il mento,
faccia che fu deformata sin quasi a ri-
durla una maschera di vecchia zitella
astiosa. Si dovrebbe ora cercare una
immagine che possa accordarsi con
l'affermazione boccaccesca di un Dante
barbuto e coi parecchi passi del Poeta,
dove realmente o metaforicamente par
che accenni alla sua barba.
Analogamente conclude il Little-
field. Egli riporta i versi del Purga-
torio, XXXI:
... ed ella disse : « Quando
Per udir se' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando » ,
in cui Beatrice accenna alla sua barba
perchè ella desidera ricordargli la
sua età adulta.
« Io non dubito menomamente che
Dante portasse la barba durante il
suo esilio e fino alla morte. Per con-
seguenza queste effigie che lo rap-
presentano quale autore della Divina
Commedia errano tutte. È naturale che
gli studenti di Firenze, che leggevano
la { 'ita del Boccaccio o ascoltavano
le sue letture, prendessero il ritratto
della cappella del Podestà per quello
che esso raffigurava - il Dante che
tutta Firenze avea conosciuto quale
amico di Guido Cavalcanti e di Giotto,
quale era il giovanissimo autore della
Vita Nova. Tutti gli artisti posteriori
ricevettero la loro ispirazione da quel
ritratto, mutando le fattezze, alteran-
done l'abito sì da conformarlo alla
loro idea d'un Dante d'età matura.
« Le ricerche intorno all'errante Ali-
ghieri del divino Poema non devono
prefiggersi un' immagine idealizzata
del ritratto del Bargello. Forse esso
esiste negli affreschi di Verona o delle
vicine città, Mantova, Padova, Ve-
nezia. Un giorno può venir scoperto
sotto uno strato di calce o traverso-
il rifacimento di qualche artista del.
TRA LIBRI E RIVISTE
147
(.'in
. inquecento. Ma l'ispirazione alla sco-
jierta dev'essere l'immagine di un
I )ante barbuto ».
Lo spirito scientifico
di fronte all'attuale letteratura.
Nel 1901, in occasione del suo giu-
iiileo, lo scienziato Berthelot pronun-
( io questa frase; « La science est
aujourd'hui en mesure de revendi-
juer la direction morale et matérielle
i1l-s sociétés». Camille Mauclair, ri-
cordando la profonda sensazione che
tale frase produsse, ha voluto nella
A'ez'ue del 15 giugno commentare la
sentenza che esprimeva una vera fede,
comune a tutti i devoti dell' ideale
scientifico.
Che la scienza - egli scrive -
possa rivendicare la direzione mate-
riale delle società, è stato general-
mente ammesso, poiché assai pochi
sono in grado di valutare lo sforzo
scientifico moderno e questa ignoranza
della scienza non permette loro di
scorgerne che i risultati tangibili. La
evidenza delle applicazioni li conqui-
sta. Alla folla il sapiente odierno, in-
ventore del telefono, del fonografo,
dell'acetilene o dei raggi X sembra
un mago moderno. I risultati pratici
delia scienza danno agli spiriti co-
muni una visione d'un futuro mondo
meccanico veramente lusinghiera.
Ma altri spiriti - continua il Mau-
clair - senza misconoscere i benefici
materiali della .scienza, erano risoluti
a sostenere anzitutto che non vi è
« !a Scienza » ma semplicemente « le
scienze » e che questa distinzione è
grave di conseguenze ; e in seguito,
che le scienze non possono preten-
dere a una direzione morale delle so-
cietà se non per mezzi molto indi-
retti. Per esempio, 1' introduzione
progressiva dei dati scientifici nel do-
minio industriale può, modificando le
condizioni della produzione e delle
tariffe, generalizzando l'igiene, e via
via, aver un'influenza sociologica...
Per una .strana inversione, gl'in-
tellettuali , che consideravano un tempo
la scienza come una sorella della fi-
losofia, cominciarono a detestarla per
ragioni opposte a quelle che le ave-
vano acquistata la simpatia confidente
della folla. Gli intellettuali le rimpro-
verarono di allontanarsi dai problemi
ideologici, di tornare alla specializ-
zazione, di dedicarsi all'analisi, anziché
alle idee generali : e per conto pro-
prio continuarono ad architettare dei
sistemi a pi'iori, a dibattersi nelle ca-
tegorie kantiane e neo-kantiane, a fare
delle bizzarre variazioni su l'idealismo
di Cousin o di Jouffroy, a trasformare
l'idea cristiana o a risalire all'elleni-
smo, a deformar Schopenhauer, ad
amalgamar la metafisica e la morale,
a conciliare il razionalismo e l'ani-
mismo, infine a confonder passioni,
ragioni, istinti, ciascuno secondo il
suo gusto personale, e a costruire ad
ogni momento delle sintesi ipotetiche
e leggermente declamatorie.
Pertanto essi furon inesorabilmente
ricondotti al lor punto di partenza,
davanti agli stessi problemi originari
della causalità e della finalità. Avvenne
allora che certuni, stanchi di questi
vani discorsi, si voltarono verso la
scienza e si chiesero se essa non avesse
trovato nella sua marcia lenta e poco
brillante qualche punto positivo. Vi
furono due ravvicinamenti alquanto
dannosi.
Il primo si fece colla divulgazione
delle idee darwiniane, che, commen-
tate a torto e a traverso da letterati
e moralisti da salotto, e considerate
come la glorificazione dell'ateismo e
la consacrazione del Io striigglefor life,
esercitarono un'indignazione fittizia e
senza causa : invano sopravvennero
gli sforzi di Taine per restituire al
determinismo il suo vero senso.
Il secondo ravvicinamento si pro-
dusse coli 'intervento del romanzo na-
turalista e sociale che s'appoggiava
su Comte e su Taine e lanciava nella
letteratura la pesante teoria dell'ere-
tlità coll'insufficienza intellettuale che
sappiamo. Gli spiriti liberi reagirono
questa volta più vivamente, trovando
che quel commento al determinismo
e al positivismo era veramente troppo
mediocre e che si trattava in fondo
di sostituzione di feticci, non di pro-
gresso.
Fu a questo punto che si presentò
il romanzo psicologico, con la pretesa
di raccogliere le due eredità e di svi-
luppare una concezione morale, te-
nendo conto delle osser\'azioni deter-
14S
ministe. « Il faut dire à sa louange
que c'était une tentative du moins très
supérieure aux monotones cas dt con-
science du déisme de Sorbonne et aux
non moins monotones documentaiions
du naturalisme. Mais si l'une et l'au-
tre parlaient des jargons, l'un nébu-
leux et l'autre chiffré, le roman psy-
cologique ne manqua pas d'en parler
un troisième ; et avec les poupées du
sentimentalisme et les mécaniques du
naturalisme, il inventa la poupée mé-
canique perfectionnée, à la fois auto-
matique et déclamatoire, dont les
actes piètres furent commentés sen-
tencieusement ».
Ma anche questo romanzo psicolo-
gico non resistette all'orgoglio di voler
introdurre nella letteratura un ele-
mento di certezza, e si credette ab-
bastanza forte da risolvere i vecchi
problemi, smontare il meccanismo
dell'anima, soddisfar ognuno salva-
guardando l'idealismo convenzionale
e la morale rivelata, evitando insieme
le obbiezioni rivolte al vecchio sen-
timentalismo dai deterministi. Ciò fece
dapprima sensazione: disgraziatamen-
te, la psicofisiologia era lungi dal
dichiararsi cosi avanzata come i suoi
commentatori letterari. « Il faut sou-
vent se résigner à sembler apprendre
d'autrui ce que l'on s'est chargé de
lui enseìgner, et d'e.xcellents disciples
de Claude Bernard durent passer des
heures de surprise profonde en lisant
les ronians de M. Bourget ».
Il romanzo psicologico, afferma il
Mauclair, annoiò tutti e dovette con-
fessare la sua impotenza. Allora ognu-
no andò per la sua strada: chi ritornò
elegantemente al « Que sais-je ? » ;
chi domandò dell'energia alla tomba
di Napoleone e dei consigli al culto
dei morti ; altri semplicemente torna-
rono al cattolicismo e al nazionalismo.
Ma tutti vollero far ricadere sulla
scienza, che non s'era mai curata di
loro, la responsabilità del proprio
scacco : e Brunetière gridò al falli-
mento della scienza che non sapeva
« consolare ! »
Gli scienziati lasciarono vaticinare
il Brunetière, e lavorarono. Ora sol-
tanto è venuta l'altera risposta del
Berthelot, a significare che, dopo il
periodo delle dissociazioni, la scienza
TR.\ LIBRI E RIVISTE
Sta per tentare la riunione dei due
principii, analisi e sintesi: colui che
ha creato la chimica organica rimon-
tando alla sintesi dopo esser disceso
al fondo dell'analisi, aveva l'autorità
necessaria per presagire tale opera-
zione dell'attuale spirito scientifico.
Berthelot non ha parlato di meta-
fisica, più riservato ancora di Pasteur
e di Claude Bernard : si è tenuto
apparentemente alla chimica, vale a
dire più lungi che i fisiologi dalle
questioni morali : ma sottintendeva
tuttavia alcune considerazioni essen-
ziali, prima fra le quali quella della
modificazione profonda della scienza
contemporanea. La discendenza degli
scienziati ideologici non ha infatti
cessato di stabilirsi, dalle teorie di-
namogeniche di Faraday fino alle idee
pastoriane, ai principi vitalisti di Ber-
nard, alle sintesi organiche di Ber-
thelot. « La scienza ha delle risposte
d'una tacita ironia: mentre si incri-
mina il materialismo e la matìcanza
d'ideale della medicina, ecco ch'essa
ci fa conoscere che le condizioni della
materia si trasformano : la vile materia
diviene, per le successive scoperte di
Chevreul, di Hertz, di Roentgen, as-
solutamente dissimile da ciò che si
credeva. L'interpenetrazione, la po-
larità, la dissimetria molecolare, le
identità delle onde luminose e sonore,
la percezione transustanziale dei rag-
gi X, distruggendo tutte le nozioni
sull'agglomerazione dell'opacità, ecco
altrettanti principi che giungono a
convertir questa famosa materia in
un elemento quasi metafisico, in un
tessuto magnetico continuo. Che di-
ventano quindi le vecchie teorie della
conoscenza e le arguzie separanti il
ponderabile e l'imponderabile?»
« E chi non vede - prosegue acu-
tamente Carni Ile Mauclair - che lo
studio della materia cosi compreso
porta immense conseguenze nel do-
minio metafisico ? Noi arriviamo di-
rettamente alla famosa questione del
mistero, pretesto e postulato di tutte
le morali di rivelazione, e chia-
ramente scorgiamo che la scienza,
come la concepivano gli antichi al-
chimisti metafisici, non è soltanto la
riunione delle scienze, è anzitutto la
loro riunione ad un egual grado di
sviluppo, è, insomma, la metafisica
realizzata, la riduzione all'unità del
TRA LIBRI E RIVISTE
U9
fisico e del morale. Ora, i gradi di
sviluppo non sono ancora uguali, e
succede, per esempio, che la chimica
sintetica secondo Pasteur e Berthelot
è ben più sciolta dall'antica conce-
zióne della materia, ben più ideolo-
gica che la medicina, oggi. In quanto
al mistero la scienza non è abba-
stanza ristretta per scrutarlo come una
specie di corpo semplice irreduttibile
di cui una sintesi tenace avrà un
giorno ragione : la scienza concepisce
che il mistero è, comunque lo si
chiami. Movimento, Porza, Dio, ecc.,
un principio auto-complesso, che in-
dietreggerà e si moltiplicherà quanto
più si progredirà. Il mistero inlatti
non è una nozione fissa, ma si accre-
sce in ragione diretta delle scoperte :
l'ignoranza primitiva, facilitando le
teologie, aveva ridotto l'immensa som-
ma dei fenomeni incomprensibili a
una concezione unitaria della loro
causa, e più l'umanità ha appreso,
più essa ha dovuto decomporre que-
sto viistero globale in un'infinità di
misteri parzialmente riduttibili ».
«
* *
Si può dunque prevedere che tutte
le nostre cognizioni, modificate, por-
ranno l'etica su basi assolutamente
nuove. Il Mauclair asserisce che la
scienza attuale, modificando esperi-
mentalmente la composizione del mi-
stero, non disturba le manifestazioni
teologiche e metafisiche. Tolstoi, cri-
stiano, Nietzsche, ateo, rispondono
esattamente come Pasteur e Berthe-
lot, e come Guyau (morale senza ob-
blighi ne sanzioni; trasmutazione di
tutti i valori ; la salute è in voi, al-
trettante varianti della stes.sa convin-
zione) che la conoscenza, la com-
prensione e il possesso di sé mede-
simi sono le sole forme di felicità.
Dobbiamo ora ritenere che il com-
pito del romanziere e del critico non
sarà più che quello d'un inutile com-
mentatore dei principi scientifici o
d'un vano protestante aggrappato al-
l'antica teologia ?
Il Mauclair dice d'esser stato lui
stesso, e d'esser ancora, troppo appas-
sionato di metafisica, troppo critico,
troppo sentimentale e troppo con-
vinto della coltura delle idee per ac-
cettare allegramente la capitolazione
della letteratura davanti alla scienza
e la traslazione dei suoi privilegi d'in-
segnamento morale a questa grande
sopravvenuta. « Ma io credo ferma-
mente che resta agli scrittori un com-
pito splendido, quello di vivificare e
di trasportare nel dominio espressivo
i nuovi dati del simbolismo scienti-
fico, cosa che la scienza non ha a
fare e non può fare ».
Egli accenna ai romanzi di Wells,
osservando che questo caso d'applica-
zione del merveilleux scientifique non
è ciò che occorre, perchè la vena
ben presto si esaurirebbe. Ricorda
che i grandi spiritualisti Poe e \'il-
liers de l'Isle Adam non sprezzarono
la scienza, e dichiara che i romanzi
dei Rosny segnano, a confronto di
quelli di Zola, un immenso progresso
nella nuova direzione.
« V,' emozione del pensiero finirà per
prender il suo posto. È ad un'epoca
in cui la musica si arroga di più in
più il dominio dell'espressione meta--
fisica e sentimentale, con mezzi co-
lossali e una potenza d'universalità
innegabile, che la letteratura s'osti-
nerà a non tener conto della sua ap-
parizione né della conversione della
scienza verso la sintesi, e crederà
aver fatto tutto, rifugiandosi nella
negazione ? E se la scienza prende il
posto della Rivelazione, penserà essa
a negare l'evidenza e a dichiarare
pessimisticamente che nulla non mo-
difica nulla ?
« La letteratura s'è comportata pue-
rilmente di fronte alla scienza e se
questa mostra for.se dell'audacia recla-
mando la direzione sociale con un
segreto disprezzo per la rumorosa
agitazione dei romanzieri psicologi,
essa ne ha almeno, all'ora attuale,
assai più diritto che non la lettera-
tura, e noi non possiamo esser soli-
dali con M. Brunetière e ostinarci
nella reazione per il semplice ])iacere
di maltrattare la scienza. Noi vediamo
d'altronde ciò che sociologicamente
danno queste idee: sarebbe veramente
una calamità esser riportati a un tal
ideale. Non parliamo neppure di quello
della benne soujfrance, che non merita
discussione. Nell'ostinata ricerca del
progresso, in questa lotta per l'ege-
monia della direzione morale, la let-
teratura ha esaurito tutti i sistemi,
ed essa è impotente, al momento in
cui la scienza propone le sue lente
constatazioni ».
150
TRA LIBRI E RIVISTE
Cam il le Mauclair termina il suo
acuto scritto con alcune succinte osser-
vazioni sul deplorevole disordine che
imperversa nel mondo dei letterati,
di fronte a cui la vita degli scienziati
« apparait unitaire, digne, grave ». Ma
egli non proclamerà a sua volta il
fallimento della letteratura. « Il ne
s'agit plus d'un antagonisme, niai.s
d'un accord ».
Dobbiamo considerar come amica
la scienza clie diminuisce la soffe-
renza sociale; come una naturale al-
leata della letteratura di cui es.sa rin-
nova la sostanza. Trattandosi d'una
letteratura che non si serve del ro-
manzo che per enunciare delle idee
filosofiche, psicologiche o sociali, sa-
remmo insensati miscono.';cendo la
immensa efficacia del concorso della
scienza, e non andando ad essa fran-
camente « dans notre amour de la
connaissance unitaire et antithéolo-
gique, de catte connaissance conci-
liant l'esthétique, la métaphysique et
la morale, qui est le corps simple
visé par l'universelle analyse des In-
tel lectuels ».
Studi italiani in PVancia.
Abbiamo sott'occhio il XXI Bol-
lettino della Socicté d'Etudes Italien-
nes, che i nostri lettori ben conoscono,
fondata sotto la presidenza di Jules
Simon or sono dieci anni, e di cui
attualmente è l'anima il prof. Carlo
Dejob, benemerito dell'Italia.
La Società e' informa che il Mini-
stero dell' istruzione pubblica fran-
cese ha in quest'anno preso una no-
tevole decisione a favore degli studi
italiani. Ha creato degli ispettori per
l'insegnamento della lingua nelle va-
rie Università, Licei, Collegi ove esso
è impartito; Mr. Carlo Dejob fu de-
legato a visitare i professori delle
Facoltà di Chambérj', Grenoble ed
Aix : egli non ha potuto naturalmente
anticipare per il Bollettino le in-
formazioni che risulteranno dal rap-
porto al Ministero; solo egli assicura
che l'impressione ricevuta è stata
eccellente, che in tutti gli istituti vi-
sitati r italiano è compreso corrente-
mente, all'audizione oltreché alla let-
tura, dalla maggior parte degli allievi,
e parlato da molti di essi. La cifra
degli studenti aumenta ovunque: al
collegio d'Embrun, per esempio, è
passata da io a 80 ; a Bastia è oc-
corso istituire una seconda cattedra ;
i rettori di Chambéry e di Grenoble,
si preparano ad estendere lo studio
dell' italiano alle scuole secondarie
femminili.
Il Bollettino contiene altre notizie
confortanti. Borse di studio per l'Ita-
lia sono state accordate in quest'anno
dal Ministero e elargite da privati be-
nemeriti : carovane di studenti si sono
formate volontariamente per visitare
il nostro paese.
La biblioteca della Società si ar-
ricchisce sempre più, grazie a molti
donatori. Le adesioni, che, come i
lettori rammenteranno, non implicano
alcuna quota, ammontano già a 1213.
Zette.
Paul e Victor .Margueritte ci ave-
vano date anni fa le « ave.itures
d'un petit gar^on ». Ecco che al
simpatico Poiim fa ora seguito questa
deliziosa Zetle, « histoire d'une petite
fiUe ».
Zette alla prima pagina del libro è
« quelque chose de rouge et d'af-
freu.x, une argile encore informe où
le Potier divin s'est amusé à ter-
niiner des détaìls et a. par e.xemple,
ciselé les ongles minuscules et piante
sur la tète de.=; cheveu.x de soie im-
pondérable, un duvet de lumière
blonde ». Nata da una setcimana, essa
ignora il -riso, il pensiero, l'amore.
« Elle n'est qu'une bouche, un su-
(joir ».
Ma via via negli occhi da cieca
della creaturina, occhi « qui ressem-
blaient à un bUiet dans du lait »,
un'alba si leva. Zette allarga il cir-
colo delle sue sensazioni, impara a
distinguere la nutrice, poi a sorri-
dere, poi mette il primo dente, poi
muove i primi passi... In otto pagi-
nette la divina metamorfosi è nar-
rata con una semplicità e un'evidenza
incantevoli e sorprendenti. E cos'i per
tutto il volume i due illustri scrittori
francesi seguono nella descrizione
difiìcilissima dell'infanzia un metodo
personale e ardito che non sapremmo
come definire, che non è del puro
impressionismo e tanto meno del
TRA LIBRI E RIVISTE
151
naturalismo obbiettivo, ma una fe-
lice fusione di intuitivismo, come di-
rebbe Edoardo Rod, e di ciò che i
due primi sistemi hanno di più spon-
taneo, di più l'h'o, di più geniale.
Bisogna leggere il capitolo Les Mou-
ches per vedere quali risultati di co-
micità finissima e insieme di ine-
sprimibile commozione i Margueritte
ottengano descrivendo le piccole osti-
nate riflessioni della mente infantile
e la strana logicità delle sue asso-
ciazioni d'idee. Anche il capitolo
Les mots è pieno di preziose rivela-
zioni sul mondo intellettivo che i
fanciulli tengono racchiuso in sé ;
gli autori non possono che averle
tratte dalle memorie della propria
infanzia; poiché, essi stessi lo dicono,
« giammai i fanciulli svelano il se-
greto, per essi stessi confuso, delle
loro divagazioni assurde e del mondo
d'idee fantastiche in cui si compiac-
ciono ». Assai più facile è strappare
ai cari fiori della nostra vita le loro
impressioni sentimentali, le commo-
zioni profonde della !or giovane psi-
che : un bimbo che softVe pel dolore
di chi lo circonda o per mancanza
d'amore, non sfugge all'analisi ap-
passionata di chi vuol sanare quella
sofferenza. Un bimbo che ha sof-
ferto, che ha sentito dai primi suoi
giorni un'atmosfera di lagrime in-
torno, non osserva superficialmente
la morte, ad esempio, come avviene
ai fanciulli felici, come avviene a
questa piccola Zette fortunata che non
ha fino ai quindici anni nessuna pena
fuorché quella di rompere una bambo-
la, di perdere un cagnolino, di sorpren-
der i cenci dei pagliaccetti visti una
sera a teatro come in sogno, di sen-
tirsi inferiore moralmente, qualche
istante, al suo buon amico Poum...
I Margueritte hanno voluto mo-
strarci come nelle condizioni più se-
rene di vita la bimba si avvii a di-
ventar donna, come in essa si accu-
mulino quasi inavvertitamente le im-
pressioni varie che domani col ricordo
l'aiuteranno ad affrontar le realtà im-
mediate, la lotta, il male, il mistero.
Essi non sono degli educatori, non
sono dei filosofi dall'anima pedago-
gica; il loro senso d'umanità pro-
fondo, ben noto a chi ha letto Femmcs
iwiivelles e Les deux vies, si trova,
dinanzi al problema dell'anima in-
fantile, naturalmente portato ad un
ottimismo sorridente, che taluno po-
trebbe dire superficiale, ma che in-
vece deriva direttamente dalla loro
balda e indomabile fede nella vita,
vita d'amore e di ascensione per gli
uomini e per le donne tutte, per gli
esseri umili come pei grandi. La loro
personalità intellettuale armonizza
quindi con quella artistica, e questo
breve volume dal freschissimo fa-
scino, che tante mammine e tante fan-
ciulle leggeranno ridendo e piangendo
insieme, è degno in tutto dei simpa-
tici scrittori e arditi pensatori che
sono i Margueritte.
A Campfer nell' Engadina.
Le incertezze della stagione prima-
verile sono scomparse e l'estate caldo,
afoso si avanza.
Il ristoro dell'aria fresca e pura
dei monti comincia a sorridere alle
menti affaticate ed ai corpi stancffi.
Ho conosciuto tardi i piaceri della
montagna e ne ho sentito d'un tratto il
fascino soavemente intimo.
Non le parlo, gentile lettrice, delle
ascensioni alpine, che, tranne per lo
scienziato, non arrivo a comprendere.
Quante inutili ansie, quante fatiche
sprecate per 1' umanità, quante sven-
ture, che gettano la desolazione nelle
famiglie, senza scopo alcuno di pro-
gresso, di benessere sociale!
Ma la montagna, dai verdi prati vel-
lutati, dagli alti pini, dai bianchi stra-
dali, dalle acque fresche e cristalline,
rappresenta in estate una delle mag-
giori delizie della vita: riposa la mente,
esercita il corpo, rinfranca e rinforza
la nostra fragile fibra. L'n amico filo-
sofo, cui sorride un'Italia forte, labo-
riosa e grande, ripone nel clima me-
ridionale e caldo del nostro paese una
delle maggiori cause della debolezza
della fibra nazionale e della minore
produttività. Egli sogna ovunque fer-
rovie dentate, funicolari e strade bian-
cheggianti a zig-zag che ascendano
alle più alte cime, per temprarvi,
in estate, una parte del nostro popolo I
Ben venga adunque la montagna,
col luglio che incalza! Sono le no-
stre Alpi quelle che presentano i mi-
gliori ritrovi, che oramai sorgono
numerosi e frequentati sia sul ver-
sante italiano, sia sopra quello estero.
152
TRA LIBRI E RIVISTE
E fra le regioni alpine che hanno
maggior voga v'ha appunto l'Enga-
dina, che rappresenta uno degli an-
goli più belli, una delle più interes-
santi plaghe alle maggiori altitudini
abitate dall'uomo.
Le vie d'accesso vi sono d'una
comodità indiscutibile. Dal Gottardo,
e dalla Svizzera sarà presto compiuta
la ferrovia dell 'Albula, che da Lucerna
e Zurigo penetra in mezza giornata
nel centro dell'Engadina. Dall'Italia
vi si arriva comodamente, colla fer-
rovia della Valtellina - da Milano a
Chiavenna, ora a trazione elettrica -
e poscia con sei a sette ore di car-
rozza, per la strada ombrosa di \'al
Bregaglia, che è semplicemente in-
cantevole! .Si parte il mattino, ad ora
.St. Moritz, ricca di grandiosi hótels
di giardini, di pinete, di concerti e
balli, di luce elettrica, è il centro del-
l'Engadina: è il ritrovo di un mondo
elegante iriternazionaie, che vi au-
menta ogni anno. Ma d'intorno alla
bella cittadina, sorge a diverse di-
stanze, da Samaden a Sils, una quan-
tità di villaggi tranquilli, di queti
ritrovi, ove pare più intimo il sorriso
della natura e il silenzio della mon-
tagna.
Campfer, sulla grande strada che
da St. Kloritz conduce all'Italia, è uno
di quegli angoli tranquilli, accocco-
lati fra la pineta, la prateria e il
lago, e che paiono a distanza bianchi
nidi di aquile. E il villaggio più vi-
cino a .St. Moritz, a cui si accede
VTTÌ
SftTì^i'^'^ii!'*^^
'JL-,
comoda, da Milano : si arriva la sera in
Engadina a 1800 e più metri e si va
a dormire sotto le coltri imbottite !
L' Engadina è tutto un meraviglioso
altipiano ad un' altitudine a cui è
difficile trovare altrove anche solo un
piccolo spazio. Il prato verde è lam-
bito dai numerosi laghi azzurri che
occupano in molte parti il basso della
valle; agli orli comincia la pineta folta,
scura, vasta quanto si distende l'oc-
chio umano, interminabile : dietro, le
cime dei monti ora ravvolte nelle
nubi, ora biancheggianti di neve e
rigidamente disegnate contro l'az-
zurro cri-stallino del cielo.
con una deliziosa passeggiata, sia per
due bianchi stradali, sia per il sen-
tiero boschivo, che attraversa una
piccola altura ombrosa. In mezzo alla
pineta, nel più folto del silenzio e
sovra il cocuzzolo della piccola altura
che domina l'intera valle, si asconde
una elegante villa, che porta un nome
caro all'arte ed alla società romana,
quello dello scultore Story. La squisita
ospitalità della illustre famiglia è una
delle maggiori attrattive della incan-
tevole zona che si stende fra St. Mo-
ritz e Campfer.
L'intero paese è seminato di al-
berghi, grandi e piccoli, imponenti e
TRA LIBRI E RIVISTE
modesti, colle loro pensioni a giorni,
1 settimane, a prezzo fisso e con quel-
l'arte che è tutta propria della Sviz-
sera. Ne presento uno^ il Julier Hof
3 V Hotel Julier di Campfer, che si
riannoda al ricordo della mia prima
ifisita airEngadina. È una di quelle
;ase elegantemente nitide e dotate di
ulte le comodità che rendono così
DÌacevole il soggiorno estivo: collocata
il crocicchio delle due vie che giun-
gono da St. Moritz, è il centro di un
massaggio continuo di corriere po-
stali e di carrozze signorili, che tem-
jerano la mite solitudine del luogo,
;d il silenzio della verde prateria e
Iella pineta folta ed ombrosa. Ne è
)roprietario il signor Miiller, uno di
juegli operosi svizzeri, delle Alpi, in
;ui la fibra tedesca e la genialità ita-
iana paiono insieme contemperarsi.
La corriera postale, con i posti-
filoni, i cavalli a sonagli, i grandi
nautici, ed i copertoni che proteg-
gono dai rapidi acquazzoni della mon-
agna è una delle bellezze e delle
ittrattive dell' Engadina, che ne è
ittraversata in tutti i sensi Le cor-
iere svizzere sono fra le più celebri
l'Europa ed è svizzera, con il suo
lolore giallo spiccato, la diligenza
:he a Chiavenna riceve i viaggiatori
li Milano, diretti all'Engadina. Vi si
rovano pure numerose carrozze pi i-
•ate e d'affitto. Il servizio della corriera
)rincipale è eccellente ; ma quello
Ielle carrozze supplementari presenta
m" anomalia inconcepibile in un or-
linamento cosi perfetto come quello
Ielle Poste svizzere. Ad ogni sta-
llone di posta - circa ogni due ore -
i cambiano non solo i cavalli, ma
inche le carrozze ed i viag^giatori
levono trasbordare più volte al giorno!
Non ho mai visto nulla di più pri-
nordiale in un servizio di Stato e
pero che vorranno porvi riparo nella
ìresente stagione le Poste svizzere,
ìsse accresceranno le attrattive di
lóa
un viaggio in corriera nell'Engadina;
una delle più belle delizie che la vita
estiva possa presentare.
« Il Genio » di Henry Bérenger^
Recentemente la Revue Bleue pub-
blicò nelle sue colonne un dramma
di un giovane. Henry Bérenger, che
abbiamo notato come una cosa molto
originale e forte. È intitolato Le Genie,
« pièce contemporaine» in tre atti.
Siamo a Parigi nel laboratorio di
un grande scienziato, continuatore
dell'opera di Claudio Bernard, di
Pasteur, di Berthelot. Laurière - cosi
si chiama quest'uomo di genio - ha
scoperto un veleno formidabile l'eu-
ta.xine, col quale pretende di poter
guarire l'epilessia e allontanare la pa-
ralisi generale: naturalmente la mag-
gioranza dei membri dell'Istituto lo
osteggia, e parte dell'opinione pub-
blica è da essi agitata contro la te-
merità delle esperienze cui Laurière
si abbandona. Ma lo scienziato non si
sgomenta; attorniato dai suoi allievi
devoti, appoggiato dall'amore di sua
figlia, egli avanza diritto al suo scopo,
ch'è quello di strappare quanti più
segreti gli è possibile alla natura, per
liberare l'uomo dalla sofferenza. Ap-
punto, il giorno in cui una Commis-
sione dell'Istituto deve esaminare gli
ultimi risultati delle sue ricerche, gli
arriva dalla campagna un ragazzo
epilettico che la madre è risoluta a
sottomettere a qualunque tentativo
della scienza per salvarlo. E l'espe-
rienza agognata, il primo essere umano
su cui Laurière proverà V eutaxine.
Un solo momento di dubbio nella sua
coscienza: poi egli decide: il ragazzo
è perduto in ogni altro caso, perchè
non rischiare? Egli non ne ha solo
il diritto, ma il dovere. Al suo sco-
laro prediletto, quasi un fi.'liuolo di
adozione, che nella stessa memorabile
mattinata ha perduto la speranza del-
l'amore di Teresa Laurière e ha de-
ciso di andar ad esperimentare \' eu-
taxine in una regione ove infierisce
la febbre gialla, il maestro afferma :
« Oui, la vie au milieu du danger,
c'est la vraie vie, c'est la grande vie,
la vie dont on peut mourir, mais qui
feconde ! » Un soffio di poesia tra-
gica spira su tutto questo primo atto
154
TRA LIBRI E RIVISTE
denso, agile, d'una teatralità sincera
che non scompare al ricordo dei mi-
gliori lavori di Ibsen.
» *
Al secondo atto son passati otto
giorni dacché si principiarono le inie-
zioni de\\'e!t/nxi>/ea.\ contadinello epi-
lettico. Gli allievi del Laurière c'in-
formano che l'infermo sta assai male,
ha la febbre a 40°. 7. Il professore è
risoluto a non indietreggiare: nella
giornata inietterà la più alta dose di
veleno, e se il ragazzo resisterà, sarà
salvo. Ma la madre, umile creatura
superstiziosa, ha perduto la fede cieca
nello scienziato, è pentita, vorrebbe
che si chiamassero dei preti e dei
medici. Contemporaneamente giunge
nel laboratorio l'eco dell'irritazione
del pubblico, e arriva il prefetto di
polizia a pregar Laurière a nome del
Governo, di non spingere le sue espe-
rienze al di là dei limiti permessi dalle
leggi del paese.
« Le leggi del paese - risponde lo
scienziato - non impediscono agli epi-
lettici e ai paralitici di tuffarsi nelle
piscine di Lourdes a rischio di morte. . .
Noi domandiamo per la scienza gli
stessi diritti che voi accordate alla
superstizione. La madre di questo
fanciullo m'ha confidato suo figlio. A
meno che voi non veniate ad arre-
starmi qui, in questo labora'orio che
venti scoperte utili alla Francia pro-
teggono, io non cederò ».
Ma dopo la partenza del prefetto,
Laurière si accascia : trema per la
responsabilità assuntasi, e lo confessa
alla figliuola : « Finché l'ultima pa-
rola non è detta, finché l'ultima prova
non è acquistata, si ha il diritto di
impegnare una vita umana? » K pensa
anche a tutto ciò che un'esperienza
imprudente potrebbe travolgere, tutto
il suo lavoro immenso che conteneva
il presentimento d'una indefinita con-
quista... Teresa gli asciuga le lagri-
me irresis'.ibili :
« Pauvre papa! Quel calvaire ces gens-là te
font monter ! Mais oui, tu les avais, tous ces
droits. N'allais-tu pas vers l'inconnu? Quel
genie n'a risqué, au moins une fois dans sa
vie, le tout pour le tout? La science serait
dono une calculatrice qui ne parierait qu'à
coup sur ? Seule parmi les grandes forces de
l'humanité elle n'auiait pas ses champs de
bataiUe, ses départs vers Vaventure, l'incer-
titude formidable du mystère qu'elle prétend
conquérir ? Elle n'aurait pas, eu des heui -
qui soni les tiennes aujourd'hui, elle n iiu-
rait pas les raémes droits que ChristL'j '
Colomb parmi ses équipages, que Danl'i
la tribune, que Victor Hugo à la v
d' //emani? Kcoute, papa. Tu te souvien
certains soirs, quand j'étais tonte petite '
songeais a tes découvertes, au balcon, il«i
le crépuscule... Ton regard, détaché de toiito<
choses, me paraissait profond comme l'in-
connu que tu interrogeais, luniineux comme
cette vérité qui déjà Ijrillait pour toi seul '
avant de rayonner pour tous les hommes... ■
Oh! papa, à ces minutes où tes yeux luisaient
plus magiquement pour moi que les étoiles
du soir, non, la science n'était pas la petite
vieille, peureuse, ratatinée qui risque de
petites avances pour de petits profits. C'était
la chimère ouvrant des yeux d'aigle sur les
abimes de l'inconnu... Et c'est celle-là que
tu aimais, non pas Tautre ! C'est celle que
tu m'as enseignée, qui nous a guidés; c'est
celle qui t'a fait grand et qui m'a faite
forte ! »
« Tu mi rendi la forza e il vole-
re ! » - esclama Laurière. E dopo aver
di nuovo soggiogata la madre del
piccolo moritaondo, va a compiere su
di lui l'operazione estrema.
Quand'egli torna, raggiante, perchè
all'infermo è evitata ormai la febbre
cerebrale, e si rinnova l'intensa spe-
ranza di guarigione, scopre che la
figliuola e gli allievi vogliono nascon-
dergli una notizia... La febbre gialla
ha attinto il giovane ch'è partito una
settimana avanti. Laurière decide di
raggiungerlo, ma una vertigine lo co-
glie: cade al suolo colpito da paralisi...
La tensione era stata troppo grave.
E il sipario scende lasciandoci nel-
l'ansia pili viva : vedremo dunque il
fallimento del genio?
No. Al rialzarsi della tela, nel terzo
atto, Laurière su un seggiolone, in
mezzo al suo laboratorio, riceve gli
omaggi del Presidente della Repub-
blica, del Ministro dell'istruzione, dei
rappresentanti delle varie Accade-
mie, ecc. I benefici della sua ultima
scoperta sono .stati riconosciuti, e la
Francia e il mondo onorano il grande
cittadino. P'gli ha vicino, guarito, il
piccolo contadino e la madre di lui.
Nella gioia di sentir sé stesso, mercè
y eittaxinc, liberato dalla paralisi, in
grado ancora di combattere le fervide
battaglie della scienza, egli non ha
che la tristezza d'aver perduto l'ai-
TRA LIBRI E RIVISTE
155
ievo diletto, di non aver potuto strap-
lare anche quello dalla morte. Egli
jnora che per il giovane la gio-
iosa morte è stata una liberatrice :
hiuso nel cerchio dei suoi studi, egli
lon s'era mai accorto di ciò che le
sistenze circostanti potevano acco-
:liere delle lusinghe della vita, degli
mori e dei dolori che gli fiorivano
sanguinavano accanto... Cosi egli
lon ha mai pensato che suafiglia avesse
Itra aspirazione fuor da quella di aiu-
arlo e confortarlo nella sua gloria: ep-
lure la fanciulla ha venti tré anni, è bel la,
la l'anima fervida, sente il bisogno
li conoscere qualcosa oltre le pareti
lei laboratorio, qualcosa di più spon-
aneo, di più caldo, di più umano; ella
.ccetta di sposare l'uomo che ama da
auto tempo e per cui ha rifiutato un
giorno il compagno dei suoi studi :
gli la chiederà al padre la sera stessa :
un uomo d'azione, che sarà do-
nani capo del Governo, un' intel-
igenza vittoriosa, anch'egli, in altro
ampo.
Mentre Teresa cerca di preparare
1 padre alla novità, questi, inconscio,
ngenuo, le annuncia d'aver accettato
I consiglio del suo più vecchio amico
: di voler partire al più presto per
in soggiorno di tre mesi in Sicilia,
on lei : « Ne abbiam bisogno, ci ri-
netteremo, ci distrarremo... E, al
itorno, riprenderemo la nostra bella
'ita di lavoro ». E continua: « Ouand
e songe que parfois tu pourrais n'étre
)as là, toujours près de moi, gar-
lienne de mon temps et de ma vie,
|ue je pourrais retomber seul ; ah,
■ois-tu, fiUette, je comprends tout le
>onheur de t'avoir, tonte la douleur
le te perdre I... Vois-tu. la vie sans
oi, je ne saurais plus la vivre ! Je
erai fini... vide... use... je serai perdu
)our la science .. Tu es autour de
noi ma jeunesse qui se prolonge,
non activité qui ne faiblit pas... »
La fanciulla ha trasalito : e d'ini-
irovviso la sua risoluzione è presa :
:lla non può lasciar suo padre per
rorrere alla propria felicità. Lo dice,
lualche momento dopo, all' uomo
imato, il quale prorompe nel suo
lolore : « Ma è mostruoso alla fine,
luesto egoismo del genio I » « Ma
IO - risponde ella - poiché egli non
;a nulla, non dubita nulla, non vive
;he nella sua opera ! »
Cosi è: pensavamo, leggendo que-
st'ultimo atto del dramma di Henry
Bérenger, inferiore agli altri due per
tecnica e per ispirazione e nondimeno
altrettanto interessante nella sua leg-
gera ingenuità (perché quei perso-
naggi, quel Presidente della Repub-
blica, che in teatro sono sempre
ridicoli?), a un altro egoista che di
recente ha avuto gli onori della ri-
balta, e che i lettori della Nuova
Antologia ricorderanno : l'egoista stu-
diato dal nostro Bertolazzi : mostruoso
veramente quello, perché travolge
tutto intorno senza nulla creare, .solo
soddisfacendo al proprio volgare be-
nessere...
Anche in Le Genie una figliuola
accetta di non abbandonare il padre.
Ma la donna é qui un essere di de-
vozione, non un essere di servitù: si
sacrifica con entusiasmo, ma vuole
che il suo sacrificio si risolva tosto
in una viuoria, le dia la costante sen-
sazione della sua superiore necessità.
Marsiglia e i porti franchi.
11 fatto che domina tutta la storia
commerciale di Marsiglia fin dal se-
dicesimo secolo é l'opposizione quasi
continua che fa la città alle decisioni
del potere centrale.
Sembra che ci siano, nei motivi
che regolano la sua condotta, come
un rimpianto dell'indipendenza pas-
sata, come un'aspirazione a ridiven-
tare la libera repubblica fiorente che
essa fu, quando essa sola determi-
nava le condizioni dei rapporti suoi
commerciali colle potenze del bacino
mediterraneo.
1 primi sovrani, dal dodicesimo
alla fine dei sedicesimo secolo, rico-
nobbero e conservarono tutte le im-
munità e tutti i privilegi che avevano
fatto la sua prosperità. Francesco I
osò toccarli; fu il segno d'una lotta
contro i poteri pubblici che, sorda o
dichiarata, dura tuttora.
I Marsigliesi protestano contro
Francesco I e i suoi successori che
impongono dei diritti fiscali, e poi
protestano contro Enrico IV e contro
Colbert, che rendono loro le fran-
chigie. Più tardi protestano, a ragione,
quando i loro privilegi scompaiono
affatto. Già d'allora i forestieri anda-
156
TRA LIBRT E RIVISTE
vano a Genova o a Livorno, ov' erano
più favoriti.
Napoleone, nei Cento Giorni, ha
l'idea d'accordare a Marsiglia una
zona franca, ma i Borboni continuano
a dar cagioni di lagnanze ai Marsi-
gliesi. Nel 1817 un'ordinanza si sforza
di combinare a Marsiglia un modo
di deposito che non leda gli interessi
dei commercianti e industriali del-
l 'interno. Questo regime è ancora in
vigore.
Nel 1S33, nel 1837, nel 1S41, i
Marsigliesi ridomandano la franchigia.
Ma in quell'epoca il commercio pro-
grediva e molte circostanze davano
al porto una gran prosperità. Ciò durò
parecchi anni : ora la decadenza è
dichiarata da molti.
« Ora, sotto il regime del protezio-
nismo che aggrava la Francia, men-
tre i diritti che colpiscono i navigli,
il caricamento e la manutenzione delle
merci sono più alti da noi, che non
presso ogni altra potenza europea;
mentre il macchinario dei porti si
perfeziona sempre più all'estero; men-
tre immense intraprese, quali le
nuove vie del Gottardo e del Sem-
pione, modificano i trasporti; mentre
tante cause diverse minacciano l'av-
venire di Marsiglia, come stupirsi
che la gran città alzi la voce e con
una forza uguale al danno minacciato,
reclami delle misure di soccorso?».
Cosi s'esprime il sig. C. A. Maybon,
che dimostra conoscere addentro la
questione, nella Renaissance Laliìie.
F"u primo il signor Charles-Roux,
deputato di Marsiglia, nel 1899, che
sollevò il problema dinanzi al Parla-
mento francese, poi parecchi altri
deputati deposero dei progetti di legge.
Una Commissione d'inchiesta venne
alla conclusione pure di preparare un
progetto e il Consiglio superiore del
commercio e dell' industria vi si mo-
strò a più riprese favorevole.
« Questo è il momento, o mai più »,
dicono i commercianti marsigliesi. E
finalmente il signor Giorgio Trouil-
lot, ministro del commercio e della
industria, d'accordo col ministro delle
finanze e dei lavori pubblici, il 4
aprile ultimo ha deposto un progetto
di legge relativo allo stabilimento di
zone franche nei porti marittimi.
11 progetto incomincia coll'esann-
nare le condizioni del commercio
estero. Non si tratta già qui di iik i-
tere tutta una città o tutto un |".r'u.
fuori del territorio nazionale, ma ili
creare una zona franca, come ad Am-
burgo o a Brema. È come un punto
all'infuori delle linee doganiere di
tutte le nazioni, ove le mercanzie
possono penetrare senza pagar diritti.
C'è di più. Fin qui non sarebbe i lic
un deposito {entrepót): ma si tratta
invece di poter manipolare le merci,
non soltanto per mantenere la hiro
conservazione (già ora si può, sotto
certe condizioni, travasare l'nlio», ma
per trasformarle. Si potranno lare
tagli di vini e d'olii, macinare e me-
scolare i cafTè, ecc.. stabilire delle
vere officine ove si potrebbero, dietro
autorizzazione, installare certe indu-
strie che sono vietate in Francia^
come la fabbricazione dei fiammiferi J
dei sigari e sigarette, ecc. !
Le obbiezioni che si sollevano con-
tro il progetto sono queste. I porti
franchi portano danno al Tesoro, dan-
neggiano altresì alcuni interessi par-
ticolari.
Al che si può rispondere agevol-
mente. Le zone franche favorirebbero
delle industrie che attualmente non
ci sono o vivono magramente; il gua-
dagno dello Stato non è già nel sof-
focare, ma nello estendere le indu-
strie. Quanto alla frode, la si eviterà,
stabilend 1 su tutto il perimetro della
zona dei cancelli, traverso cui si
possa sorvegliare dentro e fuori; ad
ogni modo i porti franchi stranieri
possono insegnare sull ' argoment \
Nella zona non si dovrebbe, natural-
mente, né abitare, né consumare.
Lo Stato non esporta tabacchi, né
fiammiferi. Se ciò é permesso in Al-
geria, nelle colonie, perché i fabbri-
canti non potrebbero avvicinarsi alle
porte doganiere della Francia?
Parlasi dell'esodo possibile di certe
indu.strie interne, che andrebbero a
stabilirsi nella zona franca. Quali ?
Le più importanti sono protette in
Francia con premi, col benefizio del-i
l'ammissione temporaria e dal draw-
back, che permette di affranchire to-
talmente o quasi le materie prime.
Sarebbero invece le industrie non
TRA LIBRI E RIVISTE
157
icora esistenti in PYancia che ne ap-
rofitterebbero.
Una classe che verrebbe danneg-
iata, pare, è quella dei viticultori.
ssi sono protetti dalla legge del 1899
le proibisce di tagliare, in porto, i
ini stranieri. Ma ecco quanto dice
stessa Camera di commercio di
ordeaux: « Non si comprende come i
ticultori potrebbero perderci , quando
vini stranieri venissero qui a subire
5lle manipolazioni conformi ai gusti
2i consumatori d'oltrenare e ripar-
re per l'estero. Il porto f anco fa-
literà semplicemente il trasporto, su
Itigli il più sovente francesi, di vini
ranieri nei nostri porti, e la loro
spedizione per 1' estero. Come un
.le affare, che si fa all'estero, può
isturbare i viticultori francesi?
D'altronde qual fu il risultato di
nella legge protettiva? Che i depo-
ti di vini esteri, proibiti in Francia,
stabilirono all'estero. La Spagna
)ecialmente ne approfittò, e i nego-
anti francesi stabiliti all'estero non
inno più alcun profitto alla patria.
«
* *
Alcuni domandano addirittura che
zone franche siano stabilite, oltre
le a Marsiglia, in due porti dell'O-
;ano, in uno del Mare del Nord e
Parigi. Il Maybon vorrebbe invece
le si stesse prima contenti dell'espe-
mento di Marsiglia. I porti francesi
)no troppi (69) e otto soltanto non
escono un carico per Io Stato. È ne-
;ssario sviluppare il meglio possi-
ne i più buoni.
Il progetto permetterebbe a Mar-
glia di riprendere una parte degli
Tari che Amburgo e Copenhagen,
enova e Trieste, le hanno tolto. Se
1 esso si unisse l'e-secuzione del ca-
lle da Marsiglia al Rodano, la co-
ruzione di nuove vie fra Nord e
[ezzogiorno, la linea dall' Estaque
Miramas per il litorale, la gran
ttà marittima riprenderebbe ben pre-
o il suo antico splendore.
In libreria.
La stagione libraria primaverile
ormai esaurita. Essa non fu forse
lolto feconda al paragone degli al-
i anni, ma fu molto varia, come
ifviene il più delle volte nella pro-
uzione editoriale italiana.
Veramente monumentale è il vo-
lume in-folio che l'Hoepli ci mandò
recentemente, ove, per opera di Luigi
Augusto Cervetto. si illustra una fa-
miglia di artisti italiani attraverso i
secoli. Dal quattrocento al novecento
i Gaggini, originarli di Bissone in
Lombardia, sparsero le loro opere
dall'Alta Italia alla Sicilia: decoratori
nati, scultori, pittori ed architetti,
lasciarono testimonianza di sé in
Francia e in Ispagna. Quest'opera è
un tributo doveroso a questi artisti,
non soltanto, ma un contributo alla
storia, e dal lato editoriale una delle
cose più magnifiche che noi abbiamo
avuto sotl' occhio. Un centinaio di
foto-incisioni che orna il testo mostra
che in fatto d'illustrazioni artistiche
non abbiamo più nulla da invidiare
agli stranieri.
L' Hoepli ha pure dato in luce
testé, in due considerevoli volumi, la
traduzione, a cui Gaspare Finali at-
tendeva da molti anni, delle com-
medie di Plauto.
Altri parlerà su questa rivista del-
l'opera su Carpaccio del Molmenti e
del Ludwig pubblicata da Bemporad.
II Molmenti è d'una fecondità straor-
dinaria, ma crediamo altresì che l'af-
foltarsi delle sue pubblicazioni arti-
stiche quest'anno sia dovuto sopralutto
a ragioni editoriali. Ad ogni modo
gli editori ci sono, ora, e buoni.
L'Alinari di Firenze ha fatto qui una
bella edizione della Pittura veneziana,
ricca d'incisioni nel testo e di tavole
separate, nella quale il Molmenti
traccia un quadro rapido e brillante
dell'arte che fu la gloria più alta di
Venezia: ottimo nunuale che consi-
gliamo agli studiosi e alle signore
colte. Un altro volume, F<?«tfsw, eh 'è
fra i più belli della collezione pub-
blicata dal benemerito Istituto di
Arti Grafiche di Bergamo, L'Italia
Artistica, non basta ancora a com-
pletare la serie di lavori terminati dal
Molmenti in questi ultimi anni, la
quale sarà coronata da una nuova
edizione, pubblicata dallo stesso Isti-
tuto, e interamente rifatta, della VHta
privata a Venezia.
Della bellissima serie, L'Italia ar-
tistica, son uscite già Ravenna di
Corrado Ricci, Ferrara e Pomposa
di G. Agnelli : un fascicolo contiene
Girgenti di Ser. Rocco e Da Segesta
158
a Seliniiiite dì E. Mauceri. Altre mo-
nografie parecchie sono in prepara-
zione e in pochi anni è probabile che
i più importanti e i più rari centri
d'arte siano adeguatamente illustrati
dinanzi al popolo italiano in libri
italiani, i quali reggono senza dub-
bio al paragone dei consimili fatti
all'estero.
Un editore che dimostra un'ope-
rosità continua, e che in pochi anni
ha accumulato una copiosa e utile
produzione, è Remo Sandron, l'edi-
tore dell'Italia meridionale che più
fortemente compete con quelli della
settentrionale. La sua Biblioteca di
scienze sociali e poìi/iche conili già 49
numeri: essa è piena di bei nomi e
di belle opere. Fra le ultime segna-
liamo le Voci del nostro tempo di
Alessandro Chiappelli, e // movimento
operaio di Achille Loria : i Saggi di
critica del marxismo di Giorgio Sorel
e gli Studi socialisti di Giovanni Jau-
rès vengono ultimi ad allargare il
campo delle trattazioni. La Biblio-
teca di scienze e lettere, già al 20° nu-
mero, è non meno pregevole. In essa
fu pubblicato il lavoro del Croce sulla
Estetica: l'ultimo è Tolstoi educatore
di Aurelio Stoppoloni. Il Sandron
stampa altresì una Biblioteca rara e una
Piccola cncinclopedia del secolo XIX,
appena iniziata. Ma la più bella no-
vità è la Biblioteca dei Popoli diretta
da Giovanni Pascoli, di cui parleremo.
Fra le collezioni in corso dob-
biamo lodare la seria ed elegante Pic-
cola Biblioteca di Scienze sociali dei
Fratelli Bocca, la quale ha dato fuori
in questi ultimi mesi parecchi la-
vori originali di varia coltura. Gli
studi religiosi vi sono rappresentati,
oltre che da L'essenza del cristiane-
simo di Harnack, dal Gesti Cristo
del Labanca e dal Buddha del Costa.
l^a. Storia dell' Alfabeto Ae\ Clodd è un
modello di monografia completa,
scientifica e insieme popolare.
Interessanti sono pure i due .'aggi
di Carlo Del Lungo: Goethe ed Hel-
moltz. Le origini del melodramma del
Solerti sono un buon contributo per
la storia della musica e L'irrazionale
nella letteratura del Fraccaroli, un
saggio d'estetica, darà del filo da tor-
cere ai critici e ai filosofi.
TR.\ LIBRI E RIVISTE
La Biblioteca Storica di Roux <
Viarengo s'è accresciuta di alcuni \n>--
gevoli volumi, fra cui la Storia della
Binansa italiana di Achille Plebano,
Roma e i Romani nelle campagne i'-'
4S-^() dì Ernesto Ovidi e ultimanu '
d'una nuova edizione degli Scria
Discorsi politici di Francesco Crisi n
(1S49-1890). Abbellisce la raccolta
un volume d'arte, Xz. Storia dell' A' Ir
di G. Natali ed E. Vitelli, un .Ni
manuali più completi che siano usciii
in questi anni, che l'insegnamento
della storia dell'arte è riconosciuto,
alfine come una necessità. 1
— E i romanzi ? - odo domandarmi
dalle lettrici cjre scorrono le colonne
àeW Antologia, incampagna, a! rezzo. -
Pochini, come sempre. Dicono che
siamo un popolo di fantasia: eppure la
fiction pare essere la produzione let-
teraria più prevalente fra gli Anglo-
Sassoni, gente positiva, che non presso
di noi. Abbiamo pochi romanzi.
Neera ha pubblicato in volume da
.Sandron il romanzo già apparso nelle
colonne della nostra rivista : Una
passione. Lo stesso Sandron ha dato
alla luce // dubbio dì Fulvia, Fu così.
di Sofia Bisi Albini, Piccoli esuli d'I-
talia dì Giuseppe Errico. Treves ci
manda, oltre alla Fiamma fredda di
Silvio Benco, Dopo la littoria di
Sfinge. La Poligrafica di Milano pub-
blica una raccolta di novelle del nostro
collaboratore Alfredo Fanzini, Trionfi
di donna. Altre novelle di Luigi Pi-
randello stampa l'editore Streglio.
Due traduzione dal tedesco. Le
affinità elettive di Goethe e V Eterno
fetnminino, poema di Roberto Misch,
sono state messe in luce decorosa-
mente dalla Libreria Editrice Nazio-
nale di Milano.
I versi non sono scarsi mai in Italia.
Abbiamo altra volta accennato ai
migliori volumi u.sciti nella stagione.
Sarebbe arduo notarli tutti. Meritano
di essere segnalati il Canzoniere di
Felice d'Onufrio, Savii e Pazzi di
Giuseppe Di Napoli, Odi ed Elegie
di Alfredo Galletti. Degni di esame
sono sopratutto L'anima dell'Italia di
Adele Galli, le Ore d'ombra e di luce
(Streglio, Torino) di V. A. AruUani e
TRA LIBRI E RIVISTE
159
Liriche Umane di Giovanni Bertac-
chi 'Soc. Ed. Naz., Milano).
Costantino Nigra ha pubblicato
(presso Menotti e Bassano, Milano)
una bellissima edizione del suo poe-
metto La Rassegna di Novara : essa
è ornata d'un ritratto dell'Autore, da
un dipinto a olio del Ricard, e di
splendidi disegni di R, Salvador!.
Dei libri stranieri teniamo conto,
in altra parte della Rivista, secondo
gli eclii che ci arrivano per mezzo
delle rassegne e dei giornali, in modo
che i lettori italiani sieno il più lar-
gamente possibile informati del mo-
vimento letterario e scientifico mon-
diale. Regna sempre fra gli editori
inglesi e americani un'attività di cui
non abbiamo un'idea in Italia: i libri
escono a migliaia ogni me.se e si
vendono in numero straordinario di
copie. Noi qui non possiamo tener
conto che di quel che giunge sul no-
stro tavolo, e non è poco. Ad esempio,
il Tauchnitz ci manda, della sua
scelta di British a>id American Au-
thors, parecchi volumi ogni mese.
Un nuovo editore francese, Fon-
temoing, che pubblica la bella rivista
Minerva, ha in pochi mesi stampato
molte opere pregevolissime, fra cui
parecchie raccolte di memorie stori-
che : I^e portefeuillc de la Comtessc
d'Albany, Le Registre de l'Ile d'Elbe.
entrambi per cura di L. G. Pélissier,
le Mhnoires du Baron de Lóicenstern
(1776-1858). a cura di M. H. Weil.
Libri di storia ha pure pubblicato
la libreria Pion ; le memorie del Conte
de Reiset, L'Unite de l' Italie - L'Unite
de l'Allemagne.
La Société du Mercure de France
continua la sua serie di varia lette-
ratura. Notiamo fra gli ultimi invii :
La Chaine des heures, \&rs\ à\ R. H.
De Vandelburg ; \\ alleati - Maiirs du
XVIII siècle, di Virgile Jozs ; La
fiction ?iniverselle, saggio letterario
di Jules De Gaultier ; Schéhérazade ,
versi di Tristan Klingsor ; fra le
traduzioni, Stalky et C. di Rudyard
Kipling.
Una nuova Società editrice pari-
gina, la Bibliothéque Internationale
d'Edition ha iniziato una serie di
brevi biografie, volumetti di meno
duna cinquantina di pagine, ove si
raccolgono piccoli profili di Célébri-
tés d'aiijoìtrd' hai. Queste celebrità
son tutti letterati : son già usciti Paul
Adam, e Oc lave Mirbeau : molti altri
s'annunziano, fra cui notiamo Car-
ducci, D'Annunzio, Bracco, ecc. ecc.
La stessa Società pubblica una col-
lezione / 'aria-Curiosa in cui troviamo
fra i primi numeri un breve studio su
Anton Francesco Doni, di \'an Bever
e .Sansot-Orland.
Tra i romanzi francesi pervenutici
e che consigliamo ai lettori, ecco
V Inutile Effort di Rod (Perrin), His-
toire comique di Anatole France
(Calmann-Lévy), Cteurs privilegiés , di
Abel Hermant La Ruse di Paul Adam,
che fa seguito a La Force e a L' En-
fant d'Austerlitz, illustrando la vita
francese intorno al 1828 (Ollendorff),
La Maison du péché di Marcella Ti-
nayre (Calmann-Lévy).
La libreria Fischbacher ha tradotto
da poco Marcella, il bel romanzo
della signora W'ard, P^ontemoing ha
regalato ai lettori francesi, prima sulla
Minei'va, poi in volume, Le marquis
de Roccaverdina del nostro Capuana, e
la Revue des deux Mondes, Elias Por-
tolu di Grazia Deledda che compa-
rirà presto in volume, mentre Per
Lanini ha fatto conoscere in Francia
Jérusalem en Dalecarlia della svedese
Selma Lagerlòf. che vorremmo veder
tradotto in Italia.
È un lavorio di trasfusione reci-
proca che avviene non soltanto nella
letteratura, ma anche nella scienza
dei diversi paesi. Ecco qui, ad esempio,
in bellissima edizione, accolta nella
Biblioteca filosofica diretta dal Muir-
head, edita da .Swan Sonnenschein di
Londra, la Psicologia contemporanea
di Guido Villa già comparsa dal Bocca.
Gli scienziati precedettero i letterati
nel far conoscere l'Italia nuova all'e-
stero : essi per i primi, insieme ai
nostri inventori emigrati, dimostra-
rono che l'Italia lavora nei campi
più ardui. Se noi traduciamo e assi-
miliamo molta produzione straniera,
ne rendiamo il beneficio in idee e
in opere: la nostra nazione cosi, an-
che nel lavoro e nel progresso intel-
lettuale, è fra le grandi potenze.
KK)
TRA LIBRI E RIVISTE
« Mens sana in corpore sano ».
É questo il titolo del nuovo libro
che Angelo Mosso dedica al pro-
blema dell'educazione fisica con l'am-
mirabile ardore di apostolo e la lucida
vasta dottrina percui aldi là dell'Atlan-
tico e in patria s'è conquistata la fama
di uno dei più geniali scienziati con-
temporanei (Milano, Treves).
I nostri lettori ricorderanno due
studi di lui : L'educazioìie moderna
della donna e L'arte di educare, che
comparvero tempo fa nella Nuova
Antologia. Essi sono raccolti ora in
questo volume (Treves. Milano), as-
sieme ad altri tre che il Mosso lesse
l'autunno scorso al Corso magistrale
di educazione fisica tenutosi a To-
rino : Origini dell'agonistica e della
ginnastica, L'agonistica tnoderna ,
L' educazione fisica nelle Università,
ed altri tre inediti ; L'educazione fi-
sica dei Romani e della gioventii itx-
lica. L'opera del Goi'crno, La demo-
crazia e l'educazione fisica. Il Mosso,
come si vede, ha inteso delineare
il cammino del concetto mens sana
in corpore sano attraverso i tempi e
le civiltà.
li popolo greco attribuì le origini
dell'educazione fisica all'epoca mito-
logica. Da Apollo, dio della medi-
cina e delle arti che iniziò i giuochi
pitici, a Erberto Spencer, il massimo
filosofo dei nostri giorni, giocatore
infaticabile di racchetta, rematore me-
todico, che sentenziò : « la prima con-
dizione del successo in questo mondo
è di essere un buon animale », il
tratto è veramente lungo, ma queste
pagine ce lo fanno seguire senza fa-
tica, con un interesse continuo.
Arrivato all'esame delle varie con-
dizioni in cui, secondo i paesi, si
trova adesso l'agonistica ■ il Mosso
propone questa parola più antica, più
nobile e più esatta, in luogo di sport
o educazione atletica o giuochi - il
lettore è ben conquistato alla fede
dell'illustre scienziato, e conviene in
tutti i suoi voti sull'opera dei Go-
verni e dei privati, perchè i popoli
latini raggiungano ed emulino gli
anglo-sassoni nel campo del progresso
fisico. Le statistiche di comparazione
che il Mosso presenta sono di per
sé stesse il più eloquente degli p-
poggi alla propaganda civile, vcr.i-
mente « democratica » da lui per-
seguita.
In Italia non abbiamo neppui
decima parte dei maestri di ginn;
che occorrono: altro che le i.,.>
versila americane, che hanno tutte
un ginnasio per l'educazione fisica,
e ove gli studenti che si iscrivuno
son visitati da un medico e u;tl
maestro di ginnastica, che ne redi-
gono la tabella biologica, consigliando
loro quegli esercizi di cui hanno
maggior bisogno per la lor costitu-
zione ! Laggiù il loro motto è A/oic
life and fuller (più vita e più ceim-
pleta). I nostri giovani invece udii
pensano che a procacciarsi la licenza
liceale o la laurea, per poi « campar
la vita » il meno faticosamente pos-
sibile : e nello studio eccessivo e pe-
dante, senza svaghi sani al sole ed
all'aria, diventan candidati della morte
prematura: per cento studenti che mo-
rirono neir ultimo quinquennio fra
i 15 e i 25 anni di età, cinquanta
sono morti per affezioni tubercolari;
il numero delle vittime che la tisi fa
nelle scuole è maggiore che non per !
tutte le professioni... J
« Perchè si sfollino le scuole - dice
il Mosso con ragione - bisogna che
prima cresca il desiderio della indi-
pendenza personale e che nel pub-
blico divenga più forte la simpatia
per i mestieri e le arti manuali...
L' industria, il commercio, l'agri-
coltura e più che tutto la colonizza-
zione ci guariranno forse da questo
male, ma l'evoluzione sarà lenta... »
II problema è d' una grave com-
plessità: il ministro Nasi nominò nel
febbraio del 1902 una Commissione
« al fine di studiare tutte le questioni
attinenti all'educazione fisica e di
proporre le riforme necessarie...», ma
ognuno comprende l'insufficienza di
questo pur lodevole progetto. Ci vor-
rebbe una serie d'atti energici che
sostituissero alle spese per parecchie
cattedre superflue di coltura frazio-
nata quelle per 1' introduzione del-
l'agonistica nelle scuole e nelle uni-
versità, e la creazione di Istituti psi-
cofisici ove si insegnassero la fisio-
logia, r igiene pedagogica e la psi-
cologia sperimentale. Il disegno di
legge che il ministro Gallo aveva
TRA LIBRI E RIVISTE
161
reparato nel 189S e che il Mosso
lubblica in appendice al suo volume
arebbe stato un buon principio, ma
enne travolto colla caduta del mi-
listro.
Intanto libri come questi di An-
;e!o Mosso incitano la parte intelli-
;ente e viva della nazione a colti-
'are in sé l'idealità d'una razza forte
: serena, meritevole dei beni che la
'ita non lesina ai tenaci conquista-
ori. Sono questi libri come soffi
l'aria nuova, che ci dilatano i poi-
noni e ci consentono d'allargare la
lostra visione d'avvenire : ascoltando
1 Mosso narrarci, colla sua fine e
nsieme vivace bonomia di filosofo
noderno, le impressioni da lui rice-
vute frequentando gli uomini e le
lonne degli Stati Uniti, quel mondo
3ve si opera uno sforzo formidabile
;d universale verso il progresso, il
;enso d'avvilimento e d'invidia non
; che passeggero : subentra tosto la
;oscienza di energie in noi latenti,
:he si risvegliano, che vorremo e
sapremo sviluppare, che ci daranno
!e stesse vittorie di cui ora van le-
gittimamente superbi i popoli d'oltre
mare.
La riabilitazione dei Carlyle.
L'editore John Lane di Londra ha
pubblicato di recente una interessan-
tissima raccolta di lettere e memorie
di Jane W'eish Carlyle, con una in-
troduzione di Sir James Crichton-
Browne.
Sono due volumi resi ancor più
attraenti dalle numerose illustrazioni
ivi contenute. Molti avevano creduto
che il Froude nel suo libro sul Carlyle
avesse detto tutto ciò che fosse stato
possibile dire dopo accurate ricerche,
ma così non è, giacché poche delle
lettere da lui pubblicate sono più in-
teressanti di quelle che troviamo in
questi due nuovi volumi. L'autore
non sa nascondere l'asprezza dei suoi
sentimenti verso il Froude per aver
questi presentato il Carlyle in una
falsa luce avanti al pubblico. Egli non
giunge fino ad asserire che il Froude
ponesse una certa malignità in quel
che fece, ma preferisce pensare che
fu la sua negligenza e la smania di
concludere che lo trasse in errore.
11
L'introduzione di Sir James-Crich-
ton-Browne, che consta di ben 80
pagine, è una severa requisitoria al
Froude. Quando questi pubblicò il suo
volume, egli scelse le lettere della
signora Carlyle che avevano maggior
merito letterario, tralasciando quelle
di natura famigliare, che ora vedono
la luce. Già le lettere che pubblicò il
Froude parlavano della pulizia della
casa, e specialmente di quella dei
letti, che sembra aver dato grande
fastidio alla signora Carlyle. Queste
nuove lettere contengono molti detta-
gli domestici, tra i quali le pulizie pri-
maverili hanno una parte importante.
Nuove edizioni dei libri del Carlyle
stanno per esser pubblicate, ed egli
è considerato ora molto più. che po-
chi anni dopo la sua morte. Egli era
appena sceso nella tomba, allorché
un vento di detrazione si levò, cre-
scendo ne' seguenti anni in un tur-
bine di biasimo che minacciava di
gettare il suo nome e le sue opere
in un limbo di sprezzo.
La causa della straordinaria deca-
denza del Carlyle nella pubblica sti-
ma fu, secondo il suo presente difen-
sore, il risultato de' volumidel Froude
colle sue reminiscenze e lettere. Esse
dipingevano il grande letterato nei
suoi più neri e meno amabili mo-
menti, nascondendo {brillanti e geniali
aspetti della sua natura e mo.stran-
dolo come egli era solamente rare
volte.
Il Crichton-Brovvne trova quasi im-
possibile il credere che il Froude
ponderasse o prevedesse il male che
egli andava preparando.
Il Froude fu, ne' suoi ultimi giorni,
il più intimo amico di Carlyle e il
suo più devoto discepolo, e lettera-
riamente sedè ai piedi del « Saggio
di Cheyne Row » per anni.
« Egli cominciò - dice lo scrit-
tore - con l'adorazione per l'Eroe e
fini quasi in uno stato di ossessione
demoniaca ».
« Dapprima egli abbiettamente si
pro.strò avanti al Carlyle come avanti
un incommensurabile suo superiore
e alla fine egli costruì un mosaico,
rappresendandolo come un mostro ar-
cigno e grottesco ».
Per comprendere il trattamento del
P'roude verso il Carlyle Io scrittore cre-
de necessario studiare il carattere det
Voi. evi, Serie IV - 1° luglio 1903.
16^
TUA LIBRI E RIVISTE
Froude ; l'esame di questo rivela che
aveva l'abitudine di storpiare le im-
pressioni che riceveva. Egli raramente
scopriva il vero significato e lo scopo
di alcuna delle discipline che egli stu-
diava, ma travolgeva i fatti dalla loro
esatta forma e figura e li rendeva
conformi alle sue idee e alla sua fan-
tasia, mentre li spingeva molto al di
là del vero. Non è mai esistito, af-
ferma Sir Crichton-Browne, alcun
eminente autore inglese che sia stato
cosi frequentemente e cosi schietta-
mente contraddetto.
Lo scrittore si stupisce come il Car-
lyle col suo acuto discernimento e
Miss Jant' Welsh.
(a<i ,.,„, ,m,;«tu,-aj.
amore per la verità potesse aver fatto
del Froude il principale depositario
del suo testamento letterario. Quando
ciò fece, egli era vecchio e aveva sol-
tanto pochi amici, sebbene contasse
molti adoratori. Quantunque il Froude
conoscesse le cose, egli si mise in testa
che il Carlyle avesse maltrattato sua
moglie, e che la sua vita dopo la di
lei morte fosse piena di rimorsi ; e
dal momento che questa idea s'impa-
dronì della mente del Froude, egli si
pose con ardente assiduità, quasi di
un litigante, ad appoggiarla fino apub-
blicare lettere che il Carlyle aveva as-
solutamente vietato che si rendessero
note. Non solo il Froude ommise più
della metà delle lettere che Carlyle ave-
va raccolto, ma sostituì, con conse-
guenze disastrose, a quella parte del
giornale della signora Carlyle prepa-
rata da! marito, un'altra raffazzonatura
molto differente, fatta da lui. Quanto al
falso ritratto che dell'autore de\\a.l'i/a
di .Federico II, fa il Froude, Sir James
ne trova la ragione nella negligenza
e nei preconcetti di lui.
E il Froude soffri, al pari del Car-
lyle, interamente il male che fece con
la pubblicazione delle reminiscenze
e delle lettere.
« Io so personalmente - scrive Ales-
sandro Carlyle- che questo gli fu causa
di molto dolore, giacché io lo incon-
travo di frequente un tempo Egli con-
fessava che l'accoglienza che il suo
libro aveva avuta era inaspettata, lo
credeva e credo tuttavia, che nel pub-
blicare queste carte private egli sba-
gliasse semplicemente nel giudizio, e
non fosse mcitato da alcun cattivo
sentimento verso Carlyle. Durante
qualche tempo dopo la pubblicazione
egli fu in uno stato di profondo avvi-
limento e di apparente contrizione tale
che quando lo incontravo, il che ac- '
cadde più di una volta, io non potevo
far altro che sentirmi pieno di com-
passione per lui » .
Questa contrizione, secondo il Crich-
ton Browne, si tramutò ben presto
in virulenza allorché la signora Ales-
sandra Carlyle pubblicò nel numero
del Times del 5 maggio 1881 la so-
lenne ingiunzione di suo zio {Tom-
maso Carlyle) che il Froude aveva
violata.
Il Froude sembra non aver com-
presa la vera situazione dei Carlyle.
Egli dichiara che Carlyle indusse
Miss Welsh a scendere dalla sua alta
posizione sociale, e fece una serva
di una donna che non aveva mai
conosciuto un desiderio insoddisfatto
per alcuna cosa che il danaro potesse
procurare. Egli aveva veduto i ricchi
del paese a' suoi piedi, ed ella avrebbe
potuto scegliere tra essi a piacimento.
Orai! padre della signora Carlyleera un
medico di campagna che riuscì a cam-
par di rendita, la quale fu poi lar-
gamente assorbita nel pagare l'arre-
damento di Craigenputtock. Una
serva, a otto sterline l'anno, faceva i
lavori più umili, e il restante era
compiuto dalla signora Welsh e da
sua figlia. Buona parte del denaro
fu dedicato all'educazione di Jane,
TRA LIBRI E RIVISTE
né trattamenti delicati, né sciu-
, uè lusso. Non erano ricchi i
ivani del paese che vivevano pro-
iti a' suoi piedi, e nello sposare
rlyle ella non scese di molto dalla
L posizione.
guanto al lavoro faticoso ne' pri-
irdi della sua vita maritale a Crai-
iputtock, Chrichton-Browne non
crede. Ella aveva sempre una
nna di faccende con sé, e qualun-
s lavoro materiale facesse lo faceva
suo piacere. Ella cavalcava ogni
la mattina con suo marito, racco-
èva fiori nelle ore d'ozio de! po-
riggio, e leggeva i classici con
durante la sera. Negli ultimi anni
sua vita la signora Carlyle stava
:sso poco bene e soffriva d'inson-
i. Come anche suo marito, ella be-
va. molto tè, e fumava costante-
:nte delle sigarette, allorché questa
itudine non era ancora cosi in voga
Ile presentemente tra le English
Iks; di conseguenza il suo sistema
rvoso era molto scosso, e siccome
she quello di colui che concepì
Sartor resartus era scosso già da
)lto tempo, si può immaginare di
;gieri, che la loro vita non era
riusi vamente fiorita di rose. Essi
svano le loro piccole differenze,
i mai alcunché di serio, e nessuno
ò leggere le lettere di questo libro
iza credere che si portassero reci-
jcamente un grande amore. Froude
ive molto intorno al rimorso di
rl)le, dopo la morte di Jane, ma
esto era unicamente il rimorso di
uomo molto sensibile che riandava
n la mente il passato e che pensava
e mille piccole cose che avrebbe
tuto fare, e che non aveva fatto
r la felicità di sua moglie; positi-
mente egli non aveva davvero nulla
rimproverarsi
Le lettere della signora Carlyle co-
tuiscono una lettura deliziosa. Ella
parla della novità nella vita che
nducevaa Craigenputtock, della co-
)dità e del piacere che vi trovava,
che sembrerebbe provare che ciò
e il P'roude diceva circa la vita
■vile di lei era tutta invenzione. Le
tere non sono tutte scritte al Car-
e; alcune sono dirette ad amiche,
re ai parenti. Ve n'è una assai
/ertente scritta a Carlyle, che stava
sitando il Re V. Vescovo di St. David.
1G3
Essa descrive una visita di Darwin,
che, come ella dice, era inquieto con
Harriet Martineau. Sembra che un
fondo di 1300 sterline fosse stato rac-
colto per lei, e che la prima cosa
che ella fece, fu di procurarsi il cata-
logo di un argentiere e di ordinare
un piatto da 100 sterline che le oc-
correva. « Certamente Harriet fa tutte
queste sciocchezze per vanità. Ora
ella sarà probabilmente in collera con
questi uomini, che hanno fatto tanto
per lei, perchè si rifiutano di accondi-
scendere a' suoi capricci ». \n un'altra
lettera ella scrive dell 'Harriet: « Io
dimenticai di dirvi clie la vidi il
La sign
rlvle e il suo cane Nero.
(da una fot. dei Itisi)
giorno avanti che lasciassi Liver-
pool - il ritratto di una robusta sa-
lute abbattuta dal tempo. Natural-
mente ella era tutta vivace, e noi
fummo solamente per breve ora in-
sieme, ma non fu scambiata parola
sul magnetismo animale... La sua
eloquenza era specialmente diretta
contro i cacciatori di leoni che tor-
mentavano la sua esistenza ai laghi ».
La signora Carlyle potè essere arguta
sia con la lingua, che con la penna.
Ella scriveva a suo marito; « Ieri
sera io pranzai dalla signora H...;
lt)4
TRA LIBRI E RIVISTE
mangiando si prova quasi il mal di
mare; sul momento si crede che ces-
serà, e allora l'impressione svanisce,
e ci s' immagina d'aver subito qualche
alterazione... »
In questa stessa lettera ella scrive :
« Sapevate che Alfredo Tennysonavrà
una pensione di 200 sterline all'anno ?
Peel ha dichiarato la sua intenzione
di raccomandarlo a S. M. la Regina,
il che è considerato definitivo : << A
chaqu'un selon sa capacité ! » Lady
Harriet mi disse che egli vuole am-
mogliarsi ; « deve avere una donna
per viverci vicino ; preferirebbe una
signora, ma non trova ; e così deve
sposare una serva ». La signora Henry
Taylor disse che essa era in procinto
di scrivergli in favore della sua ser-
vente, che possedeva un carattere ec-
cellente per la sua condizione... »
11 Tennyson non si sposò che nel
1850, con una signora di cosi alta
posizione sociale come la sua, e la-
sciando evidentemente in disparte la
serva che poteva proporgli la signora
Henry Taylor.
Non solo le lettere .sono di gran
valore per il merito dello scrittore,
ma esse hanno un grande interesse
a causa delle annotazioni fatte dal
Carlvle.
D'altra parte giunge un'altra voce.
La Fronde del 26 giugno scorso
scriveva che « l'orso mal leccato e il
tiranno domestico che era l'eccentrico
Scozzese » stava per essere riabilitato
dai suoi ammiratori : è possibile -
concludeva - che in avvenire Jane
sia una megera e Carlyle un santo?
Edmond Barthélemy, che tradusse
eccellentemente in francese il Sartor
resartiis (edizione del Mercure de
France) e compose un accurato studio
biografico e critico s 1 Carlyle, ha
scritto alla direttrice della Fronde una
lettera « per rimetter le cose al loro
posto riguardo la delicata questione
dell'intimità domestica dell'illustre
storico ».
« Froude - egli dice - ammirava il
Carlyle: ma non l'amava. Io credo
perfino che lo detestasse più di quanto
egli stesso poteva sospettare. La sua
testimonianza, ch'io ho pesata, è
dunque for.se improntata di parzialità,
perlomeno involontaria.
« D'altra parte, la recen.e t' -
monianza in senso inverso del [.-
rente di Carlyle può parer interessai.,.
« Ecco qui, in succinto, il risulti'
dei miei studi personali: Jane W'
seppe assai bene subito ciò che fai _
sposando Carlyle 'il quale, sia dt t >
di passaggio, non era affatto maUU -
stro né volgare) : un puro matrimoi:io
d'ambizione. Ella aveva avuto \n< -
cedentemente un amore disgraziat.
e non cercava nella sua unione C' >I
nuovo venuto che i compensi, un
po' vuoti in verità, della fama '■ -
teraria. Carlyle, dal canto suo, a\ -
pure amato un'altra giovinetta
bella e intelligente Margherita Cord. r.
da cui fu egualmente amato) e mm
poteva dare soddisfazioni sentimeni '
a s,ua moglie, che egli non chiedi
Per entrambi fu un ajfaìe di testa. I
lo sapevano, essi ne convenivano. ^1
imprudenti I Che farci?
« Sulla fede, io credo, di .Mnn
Arvède Barine, di cui lo studio e
simpatico ma superficiale, si è d'al-
tronde esagerata l'umiltà del compi :o
a cui Carlyle avrebbe ridotto sua
moglie.
« Sì, durante i sei anni passati nel
(■o/too-<? solitario di Craigenputtock .su-
bito dopo lo sposalizio, Jane W'elsli,
la brillante Jane Welsh, condusse un.i
vita da infermiera; Carlyle senza troji-
po stupirsi, la vedeva fare ciò ch'egli
aveva sempre visto fare da sua ma-
dre e dalle sue sorelle. Pertanto Jane
era aiutata da una domestica. Ella ri-
ceveva inoltre la visita di Jeffroy, il
potente iià.\\o'c&àt\\' Edinburgh Rcxinv,
soddisfazione d'amor proprio che non
è alla portata di tutte le infermiere.
« Xullameno era una dura vita, della
quale la signora Carlyle serbò a lungo
le traccie. Ma è affatto inesatto il dire
che questo regime d'isolamento, di
umiltà, di abnegazione sia durato «fino
alia morte ». I due coniugi non re-
starono che sei anni nella loro Tebaide
delle montagne del Dumfriesshire.
A Londra, dopo il fulmineo successa
di French Revolution, Jane Welsh co-
nobbe ad usura, per quanto poco iii-
vidiabili possano essere, le soddisfa-
zioni a cui aveva agognato sposando
Carlyle. Ella fu festeggiata come può
esserlo ogni moglie di scrittore quando
sa tenere il suo posto; e Dio sa quanto
la Car'yle sapesse I Tutte le sommità
TRA LIBRI E RIVISTE
165
letterarie che Londra e il continente
avevano, passarono nel salotto di Chel-
sea. Confessate che per quella « in-
tellettuale » la sorte non era disprez-
zabile.
« Per r intellettuale. Ma per la
donna?
«Ahimè! Nessun rumor di gloria
coprirà presso una vera donna i pro-
fondi battiti del cuore. È un triste
festino la fama; un granello di miglio
va! di più. Nondimeno se Jane Welsh
non trovò quello che non cercava in
principio, devesi in buona fede farne
un delitto a Carlyle? Egli non aveva
promesso l'amore ma la gloria, e man-
teneva quanto aveva detto. Egli stesso
non era felice. La Welsh non fu certo
la megera che vorrebbe mostrarci il
recente biografo di Carlyle ed io ho
reso un omaggio commosso al corag-
gio, alla devo7Ìone di questa squisita
e infelice donna: tuttavia Froude
stesso non ha potuto a meno di no-
tare nell'attitudine della signora Car-
lyle verso il marito, davanti ai fami-
gliari, qualcosa di poco tenero. In-
somma, i due sposi non comunicavano
fra loro se non colla letteratura. Ma
è precisamente quel che l'uno e l'al-
tro avevano voluto ».
Il Museo Victor Hugo.
Fu inaugurato a Parigi il 30 giu-
gno, nella casa stessa ove il sommo
poeta abitò dal 1833 al 1848. Alla
presenza dei rappresentanti del Go-
verno, del Municipio, dell'Accademia,
della << Comédie - Francaise », e del
toni Paris intellettuale, Paul Meu-
rtce, il nobile vecchio che fece ser-
vire il suo ingegno da piedistallo al
Poeta all'ombra del quale egli passò
la sua vita, disse :
« Alla fine del 1901, io indiriz-
zavo al Consiglio municipale di Pa-
rigi una lettera, in cui dicevo : « L'In-
ghilterra ha la casa di Shakespeare
a Stratford-sur-Avon, la Germania
ha la casa di Goethe a Francoforte.
In nome dei nipoti di Victor Hugo
e mio, propongo a Parigi di dare
allaFrancia la casa di Victor Hugo ».
Parigi ha risposto generosamente a
questo appello. I nipoti di X'ictor
Hugo ed io offrivamo le collezioni.
le opere di Victor Hugo e quelle su
Victor Hugo. Parigi ha dato la cor-
nice, questa storica e vivente casa.
E oggi, signor presidente, dopo ven-
ti mesi d'uno sforzo che mi è stato
assai dolce, ho l'onore e la gioia di
rimettere la casa di X'ictor Hugo a
voi che rappresentate Parigi, a Parigi
che rappresenta la Francia ».
Presero in seguito la parola M. De-
ville, M. de Selves, e M. Claretie.
Quest'ultimo diede dei dettagli inte-
ressanti sulla vita di Victor Hugo
nella casa di Place Royale ccn sua
moglie e i suoi quattro figlioli. È
in questa casa che furono scritti
quasi tutti i drammi, e i canti del
Ct-epìisculé, Les Voix in/érieures,
Les Rayons et les Omhres, Claude
Gueux, Les Misérables. Tutta una
generazione d'immortali venne qui
a far visita al Maestro : Lamartine,
Michelet, Alessandro Dumas padre,
Dumas figlio, Alfonso Karr, Arsene
Houssaye, Alessandro de Humboldt,
e altri e altri, forse George Sand,
De \'igny. De Musset : poi, lanuova
generazione, Banville, Baudelaire,
Leconte de Lisle... Nella casa all'an-
golo della piazza, allo stesso piano,
abitava Teofilo Gautier, il quale ogni
mattina apriva la sua finestra per ve-
der alzarsi il Maestro, come avrebbe
visto alzarsi il sole.
Nel salone del primo piano dello
storico palazzetto, ora divenuto Museo
Nazionale, sono riunite le tele che
grandi artisti hanno dipinto in gloria
del poeta: campeggia un busto di
Victor Hugo imberbe, affatto diverso
dall'immagine divenuta popolare del
poeta ; è opera pregevole di David
d'Angers. Un quadro di Alberto Bes-
nard riproduce la memorabile se-
rata della prima rappresentazione
A' Hernani^ restata celebre .sotto il
nome di Battaglia d' Heniaìti. Poi
v'ha un Don Cesar de Basan di
Roybet, Baiidin sur la Barricade di
I. P. Laurens, i Bitraraves di Roche-
grosse. La Legende des siècles di
Grasset, il Quasimodo di Lue Olivier
à Merson, la Fantine di Carrière
Infine, firmato da Raffaelli, un ri-
cordo dell'ottantesimo compleanno
del poeta, la sfilata dei fanciulli delle
scuole di Parigi sotto il balcone del-
l' avenue Victor Hugo, in cui il
nonno radioso s' appoggiava sulle
166
spalle delicate di Giorgio e di Gio-
vanna..
Tutti i ritratti di \ictor Hugo sono
qui raccolti, in^fotografie, a penna,
addio... una. poin/e sixhe colla data
del 1880 ha la firma di Rodin : di
Rodin v'ha pure un superbo busto
del maestro.
Accanto a questa raccolta si tro-
vano parecchi ritratti di amici illu-
stri con dedica autografa : uno di
George Sand, uno ili Lincoln, due di
Dumas...
Ai secondo piano due sale sono
piene di disegni, di piroincisioni e
di quadri, opere punto mediocri dello
TRA LIBRI E RIVISTE
Stesso Victor Hugo. Li pure è la
sua camera, ricostruita esat'amente
cosi com'era quand'egli vi vis.se e
vi mori : vi si trova il gran letto di
quercia a colonne, in cui Hugo dormì
l'ultimo sonno: accanto è una sorta di
leggio ove il poeta scriveva stando in
piedi : vi si conservano i due calamai
di maiolica e la penna, e sotto un
vetro, l'autografo ult mo del Poeta.
« Je reprf sente un parti qui n'e.xi-
ste pas encore : le parti revolution et
civilisation. Ce parti fera le vingtième
siècle. Il en sortirà d'abord les Etats-
Lìnìs d'Europe, puis les Etats-l'nis
du Monde ».
Nemi.
PUBBLICAZIONI DELLA CASA R. SANDRON DI PALERMO.
Studi socialisti, di Giovanni Jauuès. Tr.aduzioue di Gauzia Ca.'ìsola. pa
gine 362. L. 3.
Storia della prostituzione in Sicilia, di A. Ci'treua, pcagg. 286. L. 2.50.
Il movimento agricolo siciliano, di Filippo Lo Vetehe, pagg. 192. L. 1
La Canzone di Garibaldi del. D'Annunzio documentata, per A. Mario, pa
gine 164. L. 1.20.
Storia della economia pubblica in Italia, di G. Pecchio. pagg. 1-tO. L. 1.20
// dubbio. Romanzo di Fulvia, pagg. 198. L. 1.50.
Importanza sociale della medicina militare, di L. Scorano, pagg. 59. L. 1
La Statistica nella odierna evoluzione sociale, di Filippo Virgilii. — Pa
lermo, 1903, Remo Sandron, pagg. 240. L. 1.50.
Il « Prometeo incatenato > di Eschilo, per Mario Fuochi. — Palermo. 1!I03
Remo Siindron, pagg. 146. L. 2.50.
NOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI
ITALIA.
A Parmii. nel teatro Reinach. è stato commemorato solennemente il cente-
lario della prima lezione di diritto pubblico letta in quell'Ateneo da Giando-
nenico Roraaiinosi 11 discorso d'occasione fu pronunziato dall'on. De Marinis.
— Il prof. Elia ililloseTich. direttore dell'Osservatorio astronomico del Col-
egio Romano, ha detto a Reggio-Emilia un discorso commemorativo del padre
à.ngelo Secchi, invitato a ciò dal Comitato costituitosi da diversi anni in quella
?ittà per erigere un ricordo all' illustre concittadino.
— Il 1" luglio è stato inaugurato a Roma, sulla passeggiata del Gianicolo, un
lusto del generale Filippo Cerreti, che nel 18 19. insieme con Carlo Pisacane ed
litri tre membri, fu nominato dall'Assemblea costituente per provvedere alla
iifesa di Roma.
— Nella seconda quindicina di giugno sono stati inaugurati due busti di
P^erdi, uno ad Assisi, nell'atrio del teatro Metastasio. ed uno a Pistoia nei locali
3el Tiro a segno nazionale.
— All' Università di Modena è stato festeggiato il compimento del qnaran-
;acinquesimo anno di insegnamento del prof. Giovanni Generali.
— Giovanni Mestica, letterato insigne e deputato al Parlamento, ha cessato
li vivere in Roma n M'ultima decade di giugno.
— È morto a Xapoli 1' llustre e popolarissimo professore Francesco Pepere.
lecano della Facolt.\ di giurisprudenza di quella Università, in cui insegnava
la oltre cinquant' anni
— L'Accademia della Crusca ha nominato soci corrispondenti Edmondo
De Amicis. il padre Mauri, Ernesto Monaci, il professore Puccianti, Roberto
Dadidsohn e Paul Meyer.
— bell'ultima sua assemblea generale, l'Accademia di S. Luca ha eletto
iccademici di merito corrispondenti gli architetti italiani Sti-amucci, Manfredi,
Pommasi. Bernich e il belga Gewaerts, e ha dato il possesso alla nuova acca-
iemica d'onore signora Caterina Pigorini-Beri
— Nel concistoro del '22. giugno scorso sono stati creati sette nuovi cardi-
nali, cioè Antonio Fischer, arcivescovo di Colonia: G B. Katschthaler. arcive-
scovo di Sali.sburgo. membro della Camera dei signori austriaca e consigliere
intimo di Francesco Giuseppe: Herrero y Espinosa, arcivescovo di Valenza;
Emidio Taliani, nunzio apostolico a Vienna: Andrea Aiuti, diplomatico: Carlo
Nocella, segretario della Congregazione concistoriale, e Beniamino Cavicchioni,
segretario del Concilio.
X
Fra le ultime scoperte di Giacomo Boni al Foro Romano vi è quella del
completo basamento quadrato del Janiis Mcciins, che segnava lo sbocco nella
Sacra Via del Vicus Tuseus. e che serviva di riunione ai banchieri romani.
— Lo scultore Arnaldo Zecchi ha completato il bellissimo e grandioso
monvimento ad .Alessandro II, destinato ad essere mandato in Russia
— Il conte di Caserta ha donato al Ministero dell' istruzione, coll'obbligo
3he sia conservata nel Museo di S. Martino, una grande tela col ritratto ad olio
ii Carlo III ed il phaeton che appartenne a Ferdinando II.
— Si è costituito a L vorno un Comitato della Società < Dante Alighieri »
sotto la presidenza dell'avv. Adolfo Mangini, e la vice-presidenza del nostro
collaboratore Guido Menasci.
— A Viareggio si è tenuto, alla fine di giugno, un Congresso idrologico.
— Nella primavera del 1904 si terrà in Roma, per iniziativa dell'Associa-
zione nazionale degli ufficiali in congedo, un Congresso storico militare inter-
nazionale.
1()S NOTIZIE, LIlìKI E RECENTI FUUBI.ICAZIO.VI
— Lii Rivista delle battaglie d'arte, nuovo poriodioo mensile letterario, I;..
cominciato a pubblicarsi in Roma sotto la direzione del noto critico d'urta
Mazzini-Beduschi.
— Il pittore americano Frank William Stokes, che accompagnò Pearv in
due spedizioni al nord della Groenlandia, ha tenuto una conferenza al Collei;in
Romano su (juei viaggi nelle regioni polari.
— Il 14 giugno, nel salone della Società per le Bolle Arti. Ugo Valcarenuhi
parlò sul tema / due Regni, trattando questioni d'arte.
— Gli editori Le Monnier hanno messo in voniUta La vita di (iinsrpni-
Mazzini, di Federico Donaver. Questo lavoro, in forma piana e popolare, nciii
contiene molti scritti inediti o rari del grande genovese, ma l'autore ha cercato
di spogliarsi da qualunque passione politica, e questo è un pregio di cui va
tenuto calcolo.
— Il nostro collaboratore Giacomo Barzellotti pubblicherà presso l'editore
Remo Sandron un volume di saggi, che intitolerà Dal Rinascimento al Risorgimento.
— Una scuola tipogràfica, fondata a Torino lo scorso anno, ha or ora cele-
brato il suo primo anniversario distribuendo i premi agli allievi. La scuola
ebbe in questo. primo anno 63 allievi. I corsi, sorali, sono sei: Lingua italiana
(prof. Gironi); lingua francese (M. Capra); disegno (Ed. Cotti); corso composi-
tori (Arrighi e Saletti); corso impressori (Ajani, Cravori, Giorgis); corso fonditori
(Piaggio). Conferenze tecniche furono tenute nel corso dell'anno dal sig. Rinaldo
Cambiasi.
Antonio Cesari giudicato e onorato dagi' italiani, e sue relazioni coi con-
temporanei, con documenti inediti, per GIUSEPPE CrUIDETTI Reggio d'Emi-
lia, collezione letteraria, presso l'autore, 1903. — L' opera è partita nelle se-
guenti rubriche: Relazione e carteggio fra Antonio Cesari ed Alessandro Man-
zoni, pag. 3-01 - Antonio Cesari giudicato e onorato dai contemporanei e dai
posteri ne' loro scritti inediti, o rari, pag 95-38Ì - Di alcune opinioni del Giordani
intorno al Cesari, pag. 385-398 - Il Cesari, il Guasti, e un critico, pag. 395- 10 > -
Su le critiche di tre pretesi Manzoniani, pag. 407-438 — Il Cesari e Antonio
Rosmini, pag. 439-140 - De le lettere del Cesari e di Giuseppe jNIanuzzi suo
discepolo, pag. 441-46'J - Relazioni fra Antonio Cesari e Giacomo Leopardi,
pag. 467-491 -Antonio Cesari giudicato e onorato dagl'italiani, pag. 492-494 -
Il Cesari e i Governi politici del suo tempo, pag. 494- 196 - Albero genealogico
della famiglia Cesari di Verona, pag. 4 17-501 -Di una lacuna nelle relazioni del
Cesari col Giordani, pag. 5)1-508 - Del catalogo delle edizioni originali delle
opere di Antonio t^esari, secondo l'ordine de' tempi, in cui furono pubblicate,
pag 508-")l0 - Dopo la lettura delle relazioni e carteggio tra il Cesari e il Manzoni,
pag. 511-516 - Conclusione sul Cesari e Manzoni, pag. 517-.531. Una lunga sequela
di giudizi de' più illustri contemporanei del Cesari quale restauratore degli studi
della nostra lingua, non che di insigni scrittori tuttor viventi, occupano gran
parte del volume. Tra i primi sono principali il Botta, il Bresciani, il Costa, il Fan-
fani, il Fornari, il Gherardiui, il Gioberti, il Giordani, il Guasti, il Leopardi, il ,VIa
miani, il Monti, il Perticari, il Rosmini, lo Strocchi, il Tiraboschi, il Tommaseo ;
tra i second l'Ascoli, il Capocelatro, il Carducci, il Conti, il Del Lungo, il D'Ovidio,
d Grosso. E un lavoro giudizioso, minuto, omogeneo; da riuscire assai acconcio
a raddirizzare torte opinioni, e a colmare un vuoto della nostra storia lette-
raria. La storia, vorrei dire, di un secondo rinascimento. Avvengachè, nella
prima metà del secolo teste trascorso, un nobile drappello di scrittori d' ogni
genere riamicando l'arte con la scie iza. restituì all'eloquenza l'originario glo-
rioso ufficio d'ammaestrare dilettando. Di che è da dare ad Antonio Cesari la
debita lodo, per avere rimenato lo studio della lingua, vale a dire dell'espo-
nente del pensiero e del sentimento, alla sua nativa purezza e vigoria, appa-
recchiando così, coU'unità della parola, la concordia degli animi a rivendicare
alla patria la sua piena balia {Oinseppe Cagnoni^.
Doveri sociali dell'età presente, di G. VIDARI. Milano, Hoepli, L. 2. —
L'autore si è proposto, raccogliendo in volume alcune riflessioni .-uUa vita mo-
rale contempoianea, di rivolgersi spe ialmente alle persone di media coltura,
die lanno o avranno parte attiva nella società presente, di parlare al loio in-
telletto per indurlo a considerare, se già non l'abbiano fatto, i bisogni e i doveri
dell'età nostra, e di muovere il loro .sentimento, se già altrimenti non sia mosso
sulle vie luraino.se del bone e della civiltà. Lo intento educativo è dunque ma-
nifesto e soltanto con una tal veste il libro si presenta al pubblico, non tanto
degli scienziati e filosoli di professione, quanto di coloro che hanno a cuore le
sorti morali della società, al pubblico degli educatori e degli educandi.
NOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI 169
Il malato dAsia. per PIER LUDOVICO 0CCHI>T:. Firenze, LvMACHi,lW3.—
1 malato d'Asia è il popolo cinese: e ■|uesto discorso preceduto da una animosa
jrefazione e oonchiuso da un'appendice sulle atrocitìl dell'ultima guerra, fa parte
li uno studio più vasto sulla quistioue cinese. L' autore era finora noto per
ina delicata raccolta di versi : Biscnits de Sèvres : ma col presente volume
!;etta inaspettatamente un grido coraggioso nell'indifferentismo dei letterati ita-
iani, troppo alieni dal partecipare a quanto giova all'incremento materiale ed
?conomico del paese. L'Occhini è convinto che le ricchezze naturali del Celeste
[mpero debbano venire utilizzate dallEuropa so lecitamente. L idea è ottima, la
"orma eloquente.
Biblioteca italiana di Legislazione pubblica, diretta da FRAIS'CESCO
DELLA VALLE. Roma, F.lli Bocca. Per un anno (non meno di 10 fascicoli)
b. 10. — Pregevole e veramente utile ci sembra questa pubblicazione intrapresa,
iella quale verranno stiubate ed illustrate gradatamente tutte le leggi ed i rego-
amenti appartenenti alla legislazione pubblica, nonché l'esposizione procedurale
> pratica ad esse relativa. Oltre alle leggi italiane saranno illustrate anche alcune
straniere che abbiano grande importanza giuridica o un valore particolare in
•apporto alla legislazione italiana. In questa ■> Biblioteca » vedranno la luce
mche monografie originali ed, eccezionalmente, traduzioni di celebri monografìe
straniere intorno ad argomenti di legislazione pubblica.
Alla « Biblioteca > va annessa una pubblicazione autonoma, il Monitore am-
ninislratiio. d'indole eminentemente pratica.
Solingo Nauta, versi di LUCIANO CROCI. Roma, Casa editrice nazionale
Roux li Vi\reNjO, 19 >.S. pag 20!). — Sono più di cento componimenti poetici di
^ario argomento, di vario metro e di varia intonazione: dall'epicedio all'ode
)acchica. dal ricordo alla descrizione, dall'idillio al dramma. L'autore non tiene
i seguire una scuola poetica più che un'altra : dannunziano o pascoliano che
lia. ha curato di riuscire buon poeta e di dimostrare la sua padronanza cosi
b'11,1 nobile idea come della forma elegante. A particolar lode di lui diciamo che,
selilieni- questi Vci'si appaiano come primizia dell' ingegno poetico di e i li ha
jensati e composti, pur tuttavia sono stati maturati da molti anni, perchè quasi
utti furono scritti qualche diecina d'anni fa.
FRANCIA.
Il Libro Giallo sulle relazioni tra la Francia e il Vaticano costituisce un
locumento importantissimo. Esso non si trova dai librai : il Mi'iiiorial diploma-
iqae ne ha pubblicato il testo .completo nel suo numero del 2S giugno. (Prezzo
ire 1 ; indirizzo. 18 Rue Grange-Batelière, Paris).
— La Société des Poètes Frauf/ais è un' istituzione assai fiorente. Essa tiene
jeriodicamente le sue riunioni e presenta i resoconti al ministro dell'istruzione.
>ully-Prudliorame. che ha dato il maggiore incremento alla Società, ne è presi-
lente onorario; vice-presidenti sono Leon Dierx e J. M. de Hérédia: il. Al-
;anter de Bralim è il segretario generale, e M. C. Poinsot segretario archivista.
Da poco la Società ha adottato un regolamento relativo all'edizione dei giovani
loeti inediti, fra i quali sarà aperto un concorso dal 1° luglio al 31 dicembre
lei corrente anno
— AU'Académie Francjaise furono fatte il 18 giugno le elezioni per sostituire
jraston Paris e Legouvé. Al seggio di Paris si presentarono candidati Frédéric
Vlasson, autore di tante opere su iVapoleono. e Jules Delafosse. polemista politico
ìi grande valore: fu eletto Masson. Al secondo seggio riusci eletto Reni- Bazin,
ihe aveva per competitore Larroumet. segretario dell'Accademia di Belle Arti
? collaboratore drammatico del Tcmps
— Nel lato posteriore dell'Accademia di musica è stato eretto un monu-
mento in onore di Carlo Garnier. l'architetto che eostruì il teatro àeW Opera.
— Fra i libri più notevoli comparsi alla libreria francese nella seconda
juindicina di giugno, ricorderemo Au Soleiì de Juillet (1829-1830), di Paul Adam,
pubblicato da Oliendorff.
— Un nuovo libro di Jules Verne, Bonrses de Voi/age. è uscito il 29 giugno
presso l'editore Hetzel (fr. 3).
— È uscito il volume del 1903 ànW'Aiinnaire de t'Aristocratie itrangh'e en
France, che si pubblica già da cinque anni. Esso contiene più di 8tXX) indirizzi
li stranieri residenti in Francia e appartenenti all'aristocrazia della nascita e del-
l'ingegno, e dei membri dell'aristocrazia francese che hanno in moglie una stra-
liera. (Editori Chamerot cv R •nouard. fr. 12).
ITU NOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI
- Un importante lavoro sulla noToUistica italiana nei secoli XIV, XV e xvi è
stato compiuto da A. Van Bever e E. Sansot-Orland, col titolo (Envres galantes '.
dès Coiitiìirs ilalì'ens. (Mercure de Franee, fr. 3.50). '
— « La Soif Kouge » è il titolo complesHivo di una serie di volumi che
M. Charles Foley sta scrivendo, e l'editore Juven pubblicando. Il primo si occu-
pava di Marion Fruncliet : il secondo, uscito in questi giorni, è intitolato Madame
de Lamballe.
— Liii Casa editrice di Tours Alfred Marne &: Fila ha incominciato a pub-
blicare una collezione illustrata, a un franco il volume, intitolata: « Les Maitres ,
Actuels du rire ». I due primi volumi già apparsi sono: La Caserne allemande]
di Jean Drault e Un prix de cinq millions di Henriot.
— Madame Flirt è il titolo di una commedia di Paul Gavault e Georges '
Berr, che esce col 1' di luglio presso Calmann-Lévy (fr. 3.50).
— Tutto ciò che ora ancora rimasto di inedito di Paul Verlaine, ha trovato
posto nel volume di Qiiivns Postliumes. pubblicato da Leon Vanler (fr. (i)
— Lo stesso editore ha messo in vendita un nuovo volume di novelle di
Paul Cìinisty. intitolato: Les LIenrcs difficiles.
— L'editore Charpontier annunzia come imminente la pubblicazione di un
volume di critica di Catullo Mendès, Le mouvement polilique de 1767 ù t!>00.
che si divide in due parti: la prima è il rapporto al ministro dell'istruzione,
preceduto da ^//p.s,«'o«/' sulla personalità dello spirito poetico della Francia; la se-
conda consta di un dizionario bibliografico e critico e di una Nomenclatura cro-
nologica della maggior parte dei poeti francesi del secolo xix (10 fr.).
— Flammarion ha messo in vendita un nuovo romanzo di Gyp, Un mt'nane
dernier cri (fr. 3.50)
— Il 31 luglio verrà alla luce presso la libreria accademica Perrin & C."
un nuovo libro del monaco benedettino Doni du Boiirg: esso si intitola Dli
Champ de bataille à la Truppe - Le Frh-e Gabriel (1835-Ì897, fr. 3.50).
— M. G. Michaut. critico insigne, decano della Facoltà di lettere dell'Uni-
versità di Friburgo, in Svizzera lui scritto un volume, Sainte-Beuve arant les
'■ Lnndis » - Essai sur tu faniidiioii de son esprit et de sa métliode critique. Il libro
è stato messo in vendita il 30 giugno da Fontemoing. al prezzo di Hi franchi.
Mirabeau. Lettres à Julie, par M. DAUPHIX M KU XI EH et M. GEORGES
LELÓIR. Paris. PLi«-XtiuiiRiT. Fr. 7.50. — Jl. Dauiiliiii ^l<\inier. avendo otte-
nuto l'autorizzazione di pubblicare l'immensa corrispoiuliiiza inedita di Iilira-
beau, ne ha distaccato un centinaio di lettere, dirette a Mademoiselle Julie
Dauvers, nelle quali Mirabeau dichiara positivamente di essere l'amante della
principessa di Lamballe. Questo fatto che già altri avevano asserito non era stato
ancora dimostrato come ora da M. Meunier, che ne fornisce gli elementi auten-
tici e lo discute punto per punto, con argomenti che non lasciano luogo a
dubbi. Un giurista bon noto, membro dell'alta magistratura parigina, M. Georges
Leloir, gli ha prestato la sua collaborazione, in modo da fare di questa rivela-
zione delle Lettres à Julie un modello di critica storica.
Le Pressoir. Roman par BERNARD TAFT. Paris, Dvjarric, 1908 pa-
ges350 Fr. 3 50.— Il torchio delle superstizioni e dei pregiudizi che schiaccia e de-
turpa inesorabilmente tante anime gentili, non risparmiò neppure Georgette,
sebbene la buona Jeanne M irnère avesse logorato gli anni migliori della sua
vita per strapparla a quel giogo terribile. Tutto era vano, poiché per la inesperta
fanciulla, educata da una vecchia signora tutta imbevuta dei falsi pngiudizi, la
second I moglie di suo padre era sempre la matrigna crudele che liisugna odiare
e disprezzare implacabilmente. E Jeanne lottò a lungo e soUri assai, ma ottenne
alla fine vittoria, poiché mentre Georgette mori vittima delle sue stolte preven-
zioni. Pierrot. l'altro figliastro, posto nell'alternativa di scegliere tra colei che
gli aveva dato la vita, una donna frivola e mal>agia, e Jeanne, la matrigna
buona e affezionata, preferì quest'ultima e la tenne sempre come sola e vera
madre, contro ogni sciocco pregiudizio del volgo.
L'Immoraliste, par ANDRÉ GIDE. Société du > ERCiUE de France, Pa-
ris, — E la seconda edizione d'un romanzo ch'ebbe notevole successo or son pochi
anni, quand'eran di moda gli studi di psicologia sperimentale e oggettiva: non
tanto oggettiva questa narrazione d'una vita anormale (e amorale, piuttosto che
immorale) si che non si intraveda una convinzione dell'autore e non se ne tragga
un insegnamento veramente morale. Il Gide l.a senza dubbio forti doti di nar-
ratore, rapidità, giustezza incisiva, senso della misura: è un artista che pensa:
egli può darei delle cose veramente salde e sostanzioso.
NOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI 1/1
Études d'histoire Première serie, par ARTHUR CHUQUET. Paris, A. Fox-
EMO Nc, r.)03 (collection <- Minerva »). — Ifon v'è uomo colto che si occupi
ella storia dei secoli decimottavo e decimonono che non conosca i bei lavori di
L. Chuquet sulle guerre della rivoluzione, sulla giovinezza di Napoleone, sulla
uerra del 1870 e non sappia che l'egregio membro dell'Instituto è anche pro-
ondo cultore della storia letteraria, come dimostrano i suoi studi sulla lettera-
iira tedesca e su Stendhal. In questo volume, primo di una serie, spiccano le
oti che ognuno riconosce nel Chuquet, sicurezza d'informazione, precisione di
ocumentazione, nitida eleganza di stile e ci sfilano innanzi un episodio della
ita di Baiardo a Meziires, una delicata biografia della sorella di Goethe, il
acconto spigliato di un errore giudiziario in Corsica nel secolo decimottavo,
ino studio molto notevole su un rivoluzionario tedesco, Giorgio Forster, de-
lutato di Magonza alla Convenzione Nazionale. Come l'indica il titolo della col-
ezione, a cui il volume appartiene, una parto almeno degli studi che lo com
longono vide già- la luce nel'a rivista ìliiierva, che vanta appunto tra i suoi
liù accreditati collaboratori l'ili. stre direttore della Revue critiqne.
Profils de Théàtre, par JULES CLARETIB. Paris. G.\ultier, M.\gnier
i C. Fr. 4. — Questo volume è uno dei più graziosi che l'eminente amministra-
ore della Comédie Fran^aise abbia scritto. Ritratti di attori, profili di artisti
llustri vi sfilano disegnati da una penna abile e perfetta conoscitrice dell'argo-
nento. Pieni di malizia e di vivacità, questi profili ci narrano l'esistenza, le
grandezze e le serviti! degli attori di grido. La Comédie fornisce a M. Clareiie
a maggior parte dei modelli. Virginio Déjazet, Mélingue, Frederick Lemaìtre.
?ebvre Reichenberg, Barretta, Marie Laurent, Mounet-Sully vi si riscontrano
rivi e nella loro vibrante originalità. Sono anche degni di speciale nota i
■apitoli che si intitolano: L'Etioìhnie d<'s Comédicus, Acfeurs Sìiakrspearinis e
Rrpi-éseiiìatioiis de Retraite.
.lean-Jacques Rousseau et le Rousseauisme, par JEAN-FELIX NOLTR-
R.ISSON. PoNTE.MOiNG. Fr. 7.50. — L'influenza delle dottrine di Gian Giacomo
Rousseau è rimasta considerevole ai nostri giorni, ma le sue opere non sono suffi-
Menteraente conosciute, neppure da coloro che si fanno i panegiristi delle sue
dee. M. Nourrisson si occupa della biografia del Rousseau, secondo gli studi
M'itici pubblicati ai nostri giorni, e studia le opere di lui seguendo, per cosi
lire, la loro elaborazione attraverso le fasi diverse di quella vita così avven-
turosa, e tristamente curiosa da osservare e descrivere. Ciò che dà a questo
libro un carattere di attualità, è la propaganda che è stata fatta ai nostri giorni
in favore di certe dottrine che altro non .sono se non le dottrine di Rousseau
iidattate alle teorie politiche o deformate dai politicanti per i bisogni delle cause
che vogliono far trionfare.
Situation internationale de l'Egypte et du Soudan, par.lULBS C( )CHERIS,
LÌocteur en droit Pari.s, Plon, 1!J')3. — La lotta d'influenza tra Francia ed Inghil-
terra, sulle rive del Nilo, che per poco non prese talvolta carattere anche più vio-
lento, è il soggetto del grosso libro, edito recentemente dalla solerte casa edi-
trice parigina. L'egregio autore, cui un soggiorno abbastanza lungo in Egitto
permise di raccogliere sul posto elementi di molto valore, segue passo passo le
vicende di cui fu teatro l'Egitto dal 18ù2 in poi, tratteggiando degli uomini
principali, che vi eb ero parte, o clie anteriormente incarnarono la politica egi-
ziana, ritratti finemente delineati. Così sono notevoli le pagine dove appaiono
Ir ligure di Mehemet-Alì, di Ismail, di Tewfik, di Gordon, di Emin Pascià, di
Gliidstone, di Salisbury. di Kitchener, ecc. L'importante lavoro abbonda di do-
cuiuciiti inediti che gli danno un alto valore, specialmente per quanto concerne
hi Npidizione Marchand e l'incidente di Pascioda. Tre tavole analitiche molto
liiii redatte ed una carta speciale permetteranno ai cultori del diritto interna-
ziciiiiilt'. ai diplomatici, agli uomini politici di valersi con frutto di questa pu' -
lilicazione.
La Religion dans la Société au.v Etats-Unis. par HENRY BRAGY. Arm.«iv
Colin. Fr. 3.50. — Il cristianesimo, quale si è sviluppato nell'America del Nord,
non insegna più a morire, ma a vivere; è il culto dell'umanità piuttosto diodi
Dio, e conduce ad una vera chiesa laica, più curante della società che dell'indi-
viduo, e che considera come suo compito essenziale di collaborare per la sua
parte all'educazione della democrazia. Ad ogni modo, questo positivismo resta
dentro la cornice del cristianesimo, ed in ciò consiste la sua potente originalità.
Da queste poche parole e dal sommario del volume ci si può rendere facilmente
conto dell'interesse che presentano le questioni studiate in quest'opera, assai
I7'£ NOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI
suggestiva o t'orteinente pensata. Ecco i titoli dei capitoli: L'istinto sociale e
l'istinto positivo nel cristianesimo coloniale - Lo spirito positivo e lo spirito
sociale nelle filosofìe cristiane - Lo spirito positivo e lo spinto sociale nel cri-
stianesimo contemporaneo - La pace religliosa ottenuta col positivismo cristiano.
Le Commerce et les Marchands dans l'Italie meridionale au XIII^ et au
XlVe siede, par M. GBORdES YVER. Fontemoixg. Pr. 1-2. — Assai mal
nota è stata finora la storia economica dell'Italia meridionale nei secoli Xlll e
XIV Ci si immaginava volentieri, sulla lede di storici ammiratori appassio-
nati ed esclusivi di Federico IL che l'avvenimento della dinastia angioina avesse
segnato per le provincie meridionali il principio di una irrimediabile decadenza.
M. Yver, appoggiandosi a documenti trovati negli .archivi di Napoli, impugna
questa opinione generalmente accettata, e- dimostra come Carlo d'Angiò e i suoi
successori Carlo II e Roberto abbiano curato colla maggiore diligenza di assi-
curare lo sviluppo economico del loro regno. Li vediamo trar partito dalle rie-
chezze naturali del paese, introdurre nuove industrie, incoraggiare il commercio
marittimo, stimolare lo zelo dei loro sudditi, e fare appello al concor.so di citta-
dini delle città più famose pel commercio, specialmente di Firenze. Col presente
lavoro resta dunque dimostrato come nel primo secolo della dominazione an-
gioina l'Italia meridionale occupasse nn posto notevole fra le nazioni commer-
cianti del mondo mediterraneo.
Recenti pubblicazioni :
Le plus f'urt. Roman par Claude Feiiv.\l. — Calmann-Lf^vy. Fr. 3.50.
L' Èxpnhée. Roman par Jane de l.a V.audère. — Flaramarion. Fr. 3.(50.
L'Amour eii fiiitr. ]iar Henry Bordeaux. — Fontemoing. Fr. 3.50.
ConfessioH d'un enjant d'Iiier, par Abel Hbrmaxt. — OUendorff. Fr. 3.50.
Le L'ival de Don Juan. Roman par Louis Bertrand. — OUendorff. Fr. 3.50.
.InijteHe. Pièce en cinq actes par Maurice Maeterlinck. — Fasquelle.
Fr. 3..")0.
Epilo(/nes - Réflr.xiona anr la vie (189Ó-1S98), par Rémy Gourmoxt. —
< Mercure de Prance ». Fr. 3.50.
Sur le Tnrf, par Maurice Talm.ayer. — Perrin. Fr. 3 SO.
Propos de Tliéàfre, par Emile Fauubt de l'Aeadémie Fran^aise — Société
Franvaise d'Imprimerie et de Librairie. Fr. 3..50.
An Pni/s des Pi/réJiées. Relation anecdotique de voyage à Arles, Kimes,
Cette, ì^farbonne. Toulouse, Luclion, Lourdes. Cauterets, Gavarnie, Pau, Biarritz,
Hendaye. Arcachon, Bordeaux, par Emile Dai llia. — Charles Mendel. Fr. 10.
Maìtres imprimenrs et ouvriers ti/pograplies, par Louis Radiguer. — Société
Xouvelle de Librairie et d'Edition. Pr. 10.
Flrures. Ciiiia/ix. Cheniins de fer, par Paul Leon. — Armand Colin. Fr. 4.
INQHILTERRA E STATI UNITI.
11 -0 giugno moriva a Londra il cardi lale Herbert Vaughan, arcivescovo
di Westminster. Nato a Glocoster il 15 aprile 1832, ebbe la porpora nel 1893
ed era il solo cardinale inglese.
— Un nuovo dramma in quattro atti, intitolato Dante, di Mr. Calmonr,
stato messo in scena il 15 giugno al Qiieens Tliealre di Manchester. Nel corso
dell'azione Beatrice muore avvelenata nef'e braccia del poeta.
— Si è costituita una SocietJl che si propone di compilare e pubblicare una
Interncitionnl Encijclopaedia of Journiilism. che dovrì» compremlere la storia del
giornalismo e tutte quelle nozioni che costituiscono la pratica del giornalismo.
L'opera sarà in vendita a prezzi popolari, e forse consterà solamente di due
volumi. La direzione della compilazione è aflìdata ai signori: William Hill,
della Westmins'er Oazette, Alfred Harmsworth, del Daily Mail, e Herr Maurice
Ernst, del Neue^ Wiener Tai/ebl'itt. Inviare lo comunicazioni al segretario (Gran-
ville House, .\rundel Street, Strane). London. AV. C.'.
— Gli editori Treherne & Co. hanno incominciato la pubblicazione di una nuova
serie, <■ The Connoisseur's Library •. Sotto la direzione di Mr. T. V^^. H. Cross-
land. Il primo volume si intitola Piclure Colleitinij ed è scritto da C. J Hol-
mes. I prossimi volumi saranno Cranj/erizing di J. M. BuUock, e Musical Istrn-
ments di Mr. Robert Steele.
— Vernon Lee ha scritto un nuovo romanzo intitolato Penelope Brandliug.
che entrerà a far parte della <• Pseudonim Library • dell'editore Unwin.
— 1 primi quattro volumi dello Letters of Horace Walpole. pubblicate dalla
•Claredon Press sotto la direzione di Mrs. Paget Toynbee saranno pronti in no-
.VOTIZIE, LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI 173-
vembre. L'edizione completa si coinporrà di sedici vohmii, e conterrà circa
quattrocento lettere finora inedite.
— Gli editori Chapnian ci Hall hanno preparato per la pubblicazione i
primi tre volumi della « Autos;rapli Edition > di Dickens che comprenderà
56 volumi e sarà limitata a "250 esemplari fi-a l'Inghilterra e l'America
— Per il premio intitolato da Matthew Aimold. bandito dall'L'niversità df
Oxford, il tema è stato scelto quest'anno dal poeta laureato Alfred Austin. I
concorrenti dovranno considerare in confronto l'uno eoU'altro due giudizi che
M. Arnold diede di AVordsworth.
— Dal 1° al '25 luglio starà aperta l'esposizione delle antichità trovate dal
prof. Petrie durante i suoi scavi in Egitto.
— Nel numero di luglio del Cornili// Magazine. Mr. Sidney Low scrive su
Mazzini dedicandogli una puntata della serie di « Nineteenth Century Studies. >
— Pel settembre venturo gli editori Methuen & Co. metteranno in vendita
un nuovo volume di brevi storie di Mr. H. B. Marriot Watson, intitolato
A/arms and E.vcivsious.
— Miss Ida Taylor ha completato una Life of Lord Editard FHzgerald, cha.
abbondantemente illustrata, sarà pubblicata da Hutchinson & Co.
— Presso gli editori Hodges. Figgis & Co. di Dublino vedrà tra breve la
luce un volume del prof. Stanley Lane-Poole, intitolato Abortii- West and bij North.
formato di bozzetti descrittivi di gite in Irlanda e nel York.shire. Il volume
sarà illustrato.
— Lady Betty Balfour sta trattando per preparare un volume di corri-
spondenza di suo padre, il defunto Earl of Lytton. Le lettore di indole troppo
privata saranno escluse: però sarà possibile da una tale raccolta farsi un'idea
esatta della vita intima di « (ì\ven Meredith » specialmente nella prima parte
della sua vita.
— La sorella del poeta irlandese Yeats. Miss Elizabeth C. Yeats. sta pre-
parando a Dublino una edizione delle opere del defunto suo fratello.
— I pittori Edward Detmold e Maurice Detmold hanno esposto una serie
di disegni a colori destinati ad illustrare il Jung/c Boùì; di Kipling. Nel pros-
simo autunno 1' editore Macmillan farà una splendida edizione di quel libro,
riproducendovi questi disegni in litografia.
— L'attore Sir Henry Irving si sta preparando a compiere un giro in
Inghilterra ed in America, rappresentando solamente il Dante di Sardou.
— Il 7 luglio sai-à messo in vendita dall'editore Methuen il libro di Bodley:
Coronation of Edward VII. Dopo alcuni giorni saranno pronte cinquanta copie
su carta del Giappone.
— La Cambridge University Press comincerà nel prossimo autunno una
serie di edizioni di scrittori classici inglesi, fatte con la massima fedeltà secondo
le ultime edizioni e le più autentiche delle edizioni postume.
New Letters and Memorials of Jane Welsh Carlyle, annotated by THO-
MAS CAELYLE and edited bv ALEXANDER CABLYLE, with an introduc-
tion by Sir JAMES CRICHTON-BROWNE. John Lane. 2òs. — Questa pub-
blicazione è della più alta importanza, tanto che il critico del Dai/y News non
ha esitato a chiamarla « il più saliente avvenimento letterario dell'annata ».
Per più di vent'anni la figura del grande scrittore inglese è stata oscurata dal-
l'ombra gettata sul nome di lui da colei che fu la compagna della sua vita :
con questa pubblicazione Carlyle può dirsi riabilitato poiché l'introduzione scritta
da Mr. Crichton-Browne demolisce l'edificio calunnioso eretto al Fronde e che
già il prof. Norton aveva assai minato. A ciò si aggiunga che la moglie di
Carlyle scriveva lettere con suprema eleganza, tanto da potersi paragonare la
sua prosa epistolare a quella di Lamb. Byron e Mr Carlyle stesso.
David and Bathshua. A new dramatic Poem by CHARLES WHIT-
\Y(JRTH WINNE. Kegan Paul, Tkench, Trììbner & Co. 5s.— Questo poema
drammatico di C. AY. Wynne è stato molto ammirato e i critici si accordano
col dire che esso supera i precedenti lavori del medesimo poeta: anzi la West-
ininster Beview. giunge a chiamare David and Batltsìina la più notevole pub-
blicazione nel campo del dramma poetico, che sia apparsa in Inghilterra da
alcuni anni a questa parte. 11 poema è concepito con ricchezza di immagina-
zione ed è scritto con linguaggio chiaro, armonioso e scintillante.
The House on the Hudson, by FRANCES POWELL. H.\rper & Brothers.
— È questo un romanzo americano che non è specialmente notevole por l' intrec-
cio, ma è scritto con semplicità, garbo e molto buon gusto. La ca.sa sul fiume
174 NOTIZIE, I,IBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI
Hudson, cui allude il titolo, è la dimora di una curiosa signora, eccentrica,
ricca, come si incontrava sovente nei romanzi di antico stampo. Come compa-
gna e come direttrice di casa, ella prendo con sé una giovane americana ohe
ha passato l' infanzia in mezzo a grande lusso, ma ohe è rimasta a venti anni
orfana o priva di mozzi.
Patriotibm under three Flags, hv RALPH LANE. Fisheu Unwin. - È
un volume che si riattacca ad alcune delle maggiori controversie politiche dei
nostri giorni. In esso l'autore si scaglia contro il principio del patriottismo, come
contrario all'amore per l'umanità, ed incomincia coU'attaccare la politica inglese
nell'Afric i Meridionale, per continuare con maggiore violenza contro gli Stati
Uniti pel loro modo di agire contro le Filippine. La terza bandiera è quella
della Francia, e a questo proposito Mr. Ralph Lane si occupa a lungo dell'af-
faro Dreyfus
Michael Angelo Buonarroti, b.y CHARLES HOLROYD.Duckwoutii & Co. —
Mr. Holroyd ha cercato di riunire nel suo libro tutto ciò che può interessare
una persona che, pur non avendo una speciale cognizione dell'argomento, senta
un profondo interesse per 1' opera di Michelangelo. Nella prima parto egli ha
dato una fedele e vigorosa traduzione della vita di Michelangiolo scritt:» da
Ascanio Condivi ; nella seconda ha espresso le sue opinioni sull'opera doH'aiti-
sta, e ciò come se discutesse la produzione di un contemporaneo, come so la
grandissima fama di Michelangiolo non disturbasse la sua equanimità. La terza
parte del libro consiste nella traduzione di tre dialoghi sulla pittura, scritti
dal miniaturista portoghese Francis o d'Ollanda che si trovava a Roma lU'l 1 .588.
Questi dialoghi, ad eccezione di una piccolissima parte, erano fin jra pubblicali
soltanto in una rivista portoghese di secondo ordine.
The Letters of Dorothy Osborne to Sir Willù-m Ter. pie. Edited by E. A.
PARRY. Sherratt & Hughes. (ìk. — Il 2i giugno è uscita questa nuova
edizione che contiene la pubblicazione, fatta ora per la prima volta, di sette
lettere di Dorothy Osborne a sir William Tempie. Queste lettere furono di re-
cente venduto a Mr. Parry, a condizione che egli stesso ne curasse la stampa.
Il volume contiene anche un'appendice, riprodotta daìl'A/lun/ic Montlhij, in cui
si trova una biografìa di Sir Peter Osborne.
Submarine Navigation - Fast and Present, by Mr. A. H. BURGOYNE.
Grant Richards. — Il lavoro di Mr. Burgoyne è veramente pregevole, poiché
egli espone la storia della navigazione sottomarina e lo stato attuale in cui si
trova la soluzione di questo difficile problema. Sono due grossi volumi compi-
lati con grande diligenza ed acume; essi però saranno un po' troppo gravi per
le persone di cultura media, e forse un po' leggieri per gli scienziati che vor-
ranno fare i loro studi e le loro ricerche su documenti originali.
Recenti pubblicazioni:
Mii Ludi) of the Bass. A novel by Sidney Herbert Burchell. — Oav
i: Bird. (i s.
The Btithers of Marricd Lifr. A novel by S. H. Sadler. — Swan Son-
nenschoin. 2 s. Od.
Thv Spy Companì/. A tale of the Mexican War by A. C. Ginter. —
Ward Lock & Co. b s.
Trapper « Jim » A New Book for Bovs by Euwyn Sandys. — Macmillan
& Co. 6s.
London Roses : Ah Ldyll of the British Mtiseum. by Dora Grbenwell IVIai'
Chesney. — Smith, Blder & Co. (i s.
Traveh in Southern Europe and the Levant, 1810-1817 : The Journal of
G. R. Cockcrell, edited by bis son, Samuel Pepys Cockerell. — Longmans & Co.
10 8. Cd.
Remrmbrancex of Emerson, by John Albee. — Gay & Bird. 6 s.
The Orreriì Papers, by the CÒuntess of Cork and Orrbry. — Duckworth
i Co. 42 s.
Crimean Simpson's Autohiography. Editod by George Eyrb-Tood. — Fisher
Unw in. 21 s.
Tintoreito, by J. B. Stoiouton Holhoun. — Bell & Sons. 5 s.
Sordello andCuniss<i, by Eigene Bknson. — J. M. Dent À Co. 2 s. 6 d.
Life in the Mercantile Marine, by Charles Prothbroe. — John Lane. Sa Cd.
NOTIZIE. LIBRI E RECENTI PUBBLICAZIONI i75
VARIE.
Le feste centenarie dell'Università tli Berlino, secondo una deliberazione
1 Senato aceadeiuico, saranno celebrate nell'ottobre del 1010. Il prof. Lenz,
cane della Facoltà filosofica, ha avuto rinearieo di scrivere la storia ufficiale
irUniversità.
— Ad Amburgo è stata inaugurata il 21 di giugno, una statua equestre di
iglielmo I.
— 11 giorno 4 del prossimo agosto si riunirà a Berlino la Conferenza Inter-
zionale radio-telegrafica.
— A Vienna è stato fondato un Museum Vindobonense, destinato ad acco-
ere le numerose antichità romane possedute da quella città. Il nuovo museo,
r cui sarà fabbricato un apposito palazzo, è diretto dalla Commissione archeo-
jica del Consiglio comunale di Vienna.
— A Nesario nell'Istria, presso Pola, alcuni scavi fatti sotto la direzione
I prof. Paschi hanno posto in luce parecchie tombe lampade di iute micenea,
getti di bronzo e vasi decorati che andranno ad arricchire il Musco di Pola.
— A Pietroburgo è stata collocata la prima pietra del monumento al com-
sitore Glinka.
— Il ministro dell' istruzone dell'Impero russo ha deciso di erigere una
ova università per le Provincie del nord-ovest ed ha finalmente scelto come
le la città di Mohilef. Vilna, Vitebsk, Minsk e Mohilef erano state proposte,
. Vilna fu scartata perchè il Governo non voleva risollevare il ricordo del-
Qtica università polacca che aveva sede in quella città: Vitebsk e Minsk
ano una popolazione inferiore a quella di Mohilef, e perciò forono lasciate
disparte.
— La Spagna ha perduto da poco il suo maggiore poeta, Nunez de Arce.
a nato nel 1834 e nella sua gioventii ottenne grande successo col dramma _£"/
S de Leììa. Prese parte alla rivoluzione del 1868 e allora scrisse il celebre
itos de Combate. Fu anche per un certo tempo ministro delle colonie, e da
ighi anni apparteneva al Senato.
— Nei mesi di settembre e ottobre si terrà ad Amsterdam la quarantesima
losizione internazionale di opere di artisti contemporanei, nelle sale del Museo
munale.
— E stato inaugurato a Bucarest il monumento di Giovanni Bratiano.
;nde patriota e uomo di Stato rumeno.
— Il Governo del Perù ha aperto un concorso interna».iona)e per la co.stru-
iie del nuovo palazzo del Governo a Lima I progetti potranno essere inviati
) al 31 dicembre del 1003. Il primo premio è di lire 7500.
OLI ITALIANI ALL'ESTERO.
Il giorno 13 del venturo settembre si terrà a Parigi una commemorazione di
)vanni Bovio sotto la presidenza del deputato Bouguier. Il discorso sarà pro-
iziato da M Hubbard.
— La colonia italiana di Parigi sta preparando la costituzione di una se-
le della « Lega navale italiana •>.
— La Frankfurter Zeitmig pubblica un notevole articolo, firmato dall'insigne
heologo Hauser, in cui molto si loda il riordinamento del Museo Nazionale
Napoli, condotto a termine da Ettore Pais.
— La nostra gentile collaboratrice, signorina Amy A. Bernardy, che si
."•a negli Stati Uniti, ad insegnare nello Smith College di Northampton, Mas-
hussets, farà tra breve ritorno in Italia, donde ha incarico di scrivere una
e di articoli per il Boston Evening Trnnscript. Pochi giorni or sono la regia
basciata italiana di Washington ha inviato una bandiera in dono allo Smith
'ege Italian Club che la signorina Bernardy ha fondato e dirige con vedute
ierno. A novembre ella inaugurerà a Boston la Lectura Danfis, che si terrà
o gli auspici del locale Comitato della " Dante Alighieri ».
— Tra gli italiani residenti a Tunisi che più si adoprano in favore dell'innal-
lento intellettuale della colonia, ricordiamo il nome del signor Giulio Pro-
zal. Egli ha tenuto pochi giorni fa una conferenza sul tema: La proclama-
'e dei diritti dell'uomo, ed ha pubblicato nel giugno scorso presso l'editore
zi di Tunisi un breve saggio filosofico-scientifico: Sulla costitusione della
eria.
— La Revue (ancienne Revue des RevaesJ coatiene nel numero del 1" luglio
traduzione di alcuni canti della Diva Natura di Alfredo Baccelli, Tradut-
9 è Mme Roussille.
LIBRI
PERVENUTI ALLA DIREZIONE DELLA NUOVA ANTOLOGIA
L'Aiglon. Dramma in (5 atti in ver.si di Edmondo Rostaxo. Tra-
dotto in italiano da Mario Giobbe. — Napoli, 1903. Luigi PieiTO
pagg. 379. L. 3.
La pittura veneziana, di Pompeo Molmexti. — Firenze. 1903
F"i Alinari. pagg. 180.
Razze inferiori e razze superiori - Latini e Anglo-Sassoni, j)e
Dr. Napoleone Coi.ajaxsi. — Roma. 1903, presso la « Rivista popò
lare illustrata ». pagg. 323. L. 5.
Il Giudice. Dramma in tre atti di Téresah. — Torino-Roma, 1903
Roux & Viarengo. pagg. 19. L. 1.
Crisantemi. Ultimi versi di Vittorio Betteloni. — Firenze. liK)3
Le Monnier. pagg. 211. L. i2.óO.
G. B. De Rossi. Cenni biografici per cura di Orazio Marucchi
Con 48 illustrazioni. — Roma. 1903. ed. Pustet, pagg. 128.
Macedonia (marzo-aprile 1903). con 41 incisioni e una carta, d
Vico Maxtegazza. — Milano. 1903, F."' Treves, pagg. 340.
Xiiore poesie, di Gii'Seppe Lipparini. — Bologna, 1903. Nicola Za
nichelli, jiagg. 150.
L' Anima dclT Italia. Versi di Adele Galli. — Roma. 1903. Cas£
Editrice Roux & Viarengo. pag. 176.
Mazzini, di Boltox Kixg. — Firenze. 1903. Barbèra, pagg. 400. L. 4
Aspettando l'Aurora. Versi di AxTOXio Cippico. — Zara, 1903, E
De Scliònfeld, editore, pagg. 73.
/biforme agrarie e cooperagione in Sicilia, di G. Giliberti-Co.sekza. — Rouiit
Tip. Colombo. L. 1.
Ore d'ombra e di luce. Riiuf di Vittorio Amedeo Arillasi. — Torino
1903. fì. Stresilio iv C, pagg. 21)1. L. 1..j().
Per un amore. Ciinzoni di Arturo Foà. — Torino. 1903, Renzo Stroglic
pagg. 30. L. 1.
Nel Natale di Roma - « Carmen Sieculare » di Orazio. Versione metrica d
Giovanni Manera. — Urbino, 1902, Tip. delia Cappella, pagg. 20.
Poemetto giocondo, di Licurgo Tioli. — Roma-Torino, Ì903, Roux & Vii
rengo, pagg. 38. L. 1.
Pagine o.scure. di Exrico Boni. — Roma-Torino, 1903, Roux & Viarengi
pagg. iSO. L. -2.
Saggio di traduzioni da Catullo, Orazio e Tibullo, di Giuseppe Puccianti. -
Firenze, 1903. Le lEonnier. pagg. 290. L. 2.
Grammatica greca, di Adolfo Kaecìi. — Roma, 1903. G. B. l'aravia <\ C
pagg. .350. L. 4.25.
Mosè 0 Darnin ?, di Arnoldo Dodel. Traduzione italiana di Luigi M
riani. — Arpino, 1903, Giovanni Fraioli. pagg. 217. L. 2.
// noce fatato. Fiaba di Luigi Da vini. -- Castiglione delle Stiviere, 191
pagg. 41. L. 0..50.
Sulla monacazione di Sreva Montefeltro -Sforza. Signora di Pesaro. Ricercl
di B. Feliciangeli. — Pistoia, 1903, Tipografia Giuseppe Fiori, pagg. 81. L
L'eredità di Peppino. Racconto di Ugo Valcarenghi. — Torino-Roma, 19(
Roux & Viarengo, pagg. 145. L. 2.
Antonio Cesari e gì' Itili ani, per Giuseppe Guidetti. — Roggio Emilia, 19(
presso l'autore, pagg. 545. L. 5.
Versi di Dagmar. — Torino-Roma, 1903, Roux <k Viarengo, pagg. 110. L,
tubblicato il IO luglio 19C3.
Direttore-Proprietario: MAGGIORINO FERRARIS.
David Marchionni. Responsabile.
Roma. Via della Missione, 3 - Carlo Colombo, tipograto della Camera dei Deputati.
I PAESISTI OLANDESI A ROMA
La rinomanza dei paesaggi italiani è diffusa in lutto il mondo
.'ile, e riconosciuta universalmente. Non è mio proposito scriver la
)ria della maniera con cui si produsse, ma di fermarne uno dei più
riosi capitoli e dei meni studiati: quello del contributo che pittori
nuli dall'altra estremità d'Europa apportarono a questa fama. Parlo
gli Olandesi che durante più di un secolo, attiatti dal fascino di
esti siti, ne ricavarono innumerevoli quadii e si composero per dipin-
rli una maniera che fece scuola tin nel proprio paese, eclissando col
o sjìlendore le stesse scuole nate e cresciute nella terra natale e
■condate d'una gloria indiscussa.
Tanto fu grande che infine 1" hnagerie popolare non conservò più
ro ricordo, non conobbe più altra Italia da quella che tali pittori
e vano raffigurata. Non è esagerato il dire che l'immagine prevalente
U" Italia, nell'Europa moderna or son cinquant'anni e ancor oggi co-
memente diffusa, è generata da questa scuola.
Ecco infatti quest'immagine. Un sito leggermente boscoso limitato
monti lontani, una rovina di castello in distanza, talora l'arco d'un
[fuedotto diroccato, un villaggio su un'altura; in prim' innanzi un
nento guada un fiume, un viaggiatore a cavallo interroga una pasto-
la che a braccio teso indica la strada. Tale è l'Italia di convenzione,
e non dico sia in disaccordo coli' Italia vera: n' è almeno un'imma-
le in special modo composta e ben caratteristica, che un numero
ìnito di quadri e di stampe fecero conoscere e ammirare nel mondo.
Onde emana essa? Ciii ha fissato per una serie di generazioni si
iga e che termina ora appena, la raffigurazione d'una contrada che
nualiò le menti e fu riguardata come la più bella? Gli Olandesi,
me e per c[uali felici tentativi si stabilisse il loro regno in questo
aere, come la voga se ne propagasse, quali uomini e quali ingegni
istificassero questo esito, in qual paese si diffondesse e quanto perdu-
5se, ecco quello ch'io mi propongo di svolgere.
1.
I maggiori fra questi artisti sono universalmente noti: sonoCriovanni
th, Berghem e Carlo Dujardin. Gli idtimi due vissero ad Amsterdam,
irimo a Utrecht. Queste due città furono come il centro e due uguali
olari del genere d'arte di cui parlo. IBoth, morto nel 165'^, è l'anziano,
rghem e Dujardin non fiorirono che dopo la metà del secolo dicias-
tesimo, durante un periodo di trent'anni.
12 Voi. evi, Serie IV - 16 lagUo 1903.
178 I PAESISTI OI.AMIESI A ROMA
Grandissima fu la fama loro ed innumerevoli gì' imitatori. Bergheiiv
sopi'aUitto n'ebbe infiniti e 1 suoi quadri divennero bentosto oggetto
di contraffazione universale. Non c'è forse al mondo pittore le cui
opere autentiche siano più spesso mescolate a tele supposte dei fal-
sari!, sulle quali trovasi la firma esattamente imitata, sia dagli stessi
copisti, sia dai mercanti.
Fu egli infatti il pili celebre e il più diffuso dei Ire. Tutti hanno
visto e ricordano i suoi quadri. Non c'è viaggiatore si tiepido e di-
stratto, o visitatore poco appassionato di musei che non abbia negli
occhi le sue facili composizioni, la sua luce artificiosa, le sue mezze
tinte brune, il suo pennelleggiare breve e carezzoso. Si ritrova nei
suoi quadri tal quale il tipo generale dei siti italiani, volgarizzati nelle
immagini correnti, che ho sopra descritto. Scegliendolo fra tutti, [las-
serà come padre vero di quella vena triviale e facile, il che spiegasi
agevolmente mediante il posto clie egli tiene naturalmente nella scuola.
Ora ecco quello che stupisce anzitutto. Questo pittore dell' Italia,
questo famigliare de" suoi paesaggi, de" suoi llumi. delle sue montagne,
de' suoi contadini e delle sue rovine non abbandonò forse mai il jiaese
nativo. A Harlem lo si trova nel l()4'i, di solii ventidue anni; più tardi
lo si vede ad Amsterdam tranquillamente insettiato, prodigare le vedute
d'oltremonti. Morto nel 1683. s'ignora positivamente s'egli visitasse
mai r Italia. Il mercante di quadri Lebiun assevera nella sua Galleria
dei 2}ìttori fi a mminfjhi e olandesi che la ielmli parecchi quadri di Ber-
ghem è di manifattura italiana: ma ciò basta per decidere la questione'?
E quando pur Berghem, al pari degli altri che la maggior parte
tornano da Roma verso la trentina, ne avesse fatto il viaggio, una
cosa è ben da notare sia riguardo a questi, sia riguardo a lui: è la
maniera in cui s'intrattenevano quelli pittori, servendosi senza fine
de' loro studi fatti nel paese in gioventù, o forse de' modelli altrui :
è il dipingere, ch'essi facevano, 1" Italia in Olanda, e le vedute della
Campagna romana alla luce del Heerengracht o dinanzi ai polders di
Harlem.
Perocché su tal punto non e" è dubbio. Both, tornato d' Italia a
trent'anni, abitò sempre nel suo paese. Non si conosce di Dujardin
alcun viaggio di là dai monti, se non negli ultimi anni della sua vita;
ma, senza contestare eh' egli ne avesse fatto alcuno prima, non è men
vero ch'egli non tralasciò in lutto il lungo tempo ch'egli passò in
Olanda di produrre il genere di tele di cui si tratta.
Lo stesso avviene per tutti gli altri. Non c'è un sol pittore nella
scuola cui non s'applichino queste osservazioni. Ed eccone la conse-
guenza. Non potendosi negare che la luce, i siti, l'aria generale della
penisola si trovino mirabilmente resi in questi quadri, converrà dire
che 1" Italia, la quale di fatto non trattenne presso di essa questi pit-
tori, si vide da essi trasportata in Olanda, non nel modo che facilmente
si concei)isce, con la presenza di alcuni quadri completi, ma presente
e vivente nel ricordo degli artisti che, avendola un tempo contemplata,
■ne riportavano un' impronta capace di produrre senza fine nuove imma-
gini. Così, per una specie di prestigio che non ha pari nella storia
dell'arte, quel che la mediocre fantasia dei disegnatori d' infima classe
opera altrove per il piacere degli ignoranti, voglio dire la sciolta ed
arbitraria pittura de' paesi meravigliosi che non furono mai visitati,
mutala questa volta in uno spettacolo di verità e di bellezza, divenne
il pane quotidiano di questi perfetti artisti e de' lor fe'ici compaesani.
I PAESISTI OLANDESI A ROMA 179
Di tali pittori ne conto una trentina in poco più di mezzo secolo.
Il che dimostra come questo spettacolo fu copioso e fino a qual punto
sia vero che fili Olandesi di quel temjio possedettero 1" Italia a casa
loro.
Non noterò quel che v' ha qui di contrario alle idee odierne. Noi
non sopportiamo oggidì nemmeno che si componga un paesaggio. Che
sono dunque dei quadri ricuciti d'elementi che il ricordo presso gli
uni, la copia presso gli altri, dovette fornire? Pure erano grandi mae-
stri, checche siasi tentato, or è poco, per deprezzare Berghem, ne si osa
negar l'elogio agli altri. 1 secoli scorsi non avevano da tener conto
delle idee che noi avremmo un giorno e de" sistemi che ci piacerebbe
di formularci. Forse anche non avrebbero preveduto che noi avremmo
giudicato in nome di teorie che i fatti compiuti fin dal loro tempo smen-
tiscono in modo sì perentorio.
Questa pratica dei modelli italiani presso uomini che non li ave-
vano veduti od avevano cessato di vederli, ebbe un effetto d'altra sorte:
portò qualcosa di questi modelli perfino nell'arte di coloro che stando
a casa propiia si limitavano alle vedute di lor paese. Quindi, vicino
a questa categoria d'Olandesi italicmisants tanto rispetto ai siti,
quanto alla luce, la specie d'equivoco di quei pittori che prendono
soggetti in Olanda, mentre la maniera e il gusto, notevoli specialmente
nella luce e nelle ombre, sono in essi perfettamente confoinii a quelli
de' pittori dell'Italia. Tal miscuglio rischia di far gridare allo scandalo.
Mi affretto ad aggiungere che un de' piìi grandi maestri de" Paesi
Bassi, morto a trentasette anni dopo una carriera tutta ripiena di
capolavori, Adriano Van de Velde. è il perfetto rappresentante del
genere. Onde si vede 1" Italia avere rivelato a questi pittori del Nord
non solo dei soggetti, ma una maniera, e la natura essersi fatta ispi-
ratrice d'uno stile : osservazione essenziale in questo riguardo.
Infatti (piantumpie vi fosse una tradizione e luia pratica ])articolare
nei pittori italiani j)cr i paesaggi, la quale, indicata dapprima dal Tizianr
e dai Veneziani, aveva ricevuto dai Bolognesi dei perfezionam nti
ultimi, non è da questa tradizione che si videro istruirsi gli Olan'csi
di cui parlo.
Contemporanei di Poussin, del Guaspre. del Bolognese, i quaL in
gradi diversi, serbano qualche cosa dei Veneziani, non si vede affatto
ch'essi abbiano voluto somigliar loro. Non die essi non abbiano preso
a prestito nulla: dirò piìi avanti da chi: ma ciò ch'essi hanno d'ita-
liano nello stile non è la maniera di alcun pittore di questo paes--
essi sono intieri nella figura e nella luce che la riscliiara.
Non occorre infatti, per far comprendere che questo stile differisce
estremamente da ciò che qualcuno dei loro compatrioti traeva dalle
tradizioni propriamente nazionali, che il confronto fra Both e Hobbema,.
fra Carlo Dujardin e Ruysdael.
Questi praticarono quello che potrebbesi chiamare il paesaggio'
retnbranesco, che qui non posso altrimenti definire, certo tuttavia che'
il mio lettore ne ricorderà abbastanza il carattere. Essi godono oggi
d'una voga invadente, che minaccia di eclissare tutto. Per abbreviare,
l'ultima somma pagata dagli Americani per un paesaggio di Hobbema
non fu inferiore a (i(Hl.(HH) franchi. Non si invidia loro questa voga,
giustificata da bellissime opere : confessiamo eh' esse sono perfette nel
loro genere; ma è a lamentare una volta di piìi che certe qualità di
forza, una gran varietà di risorse, e il vivo sentimento della natura.
180 1 PAESl.STI OLANDESI A ROMA
che si fondono in quello che chiamasi in generale il genio sassone o
germanico, diventino il pretesto per tener in poco conto la libertà, la
grazia, la gioia, la pura luce, l'accordo agile delle belle linee, la pro-
fonda intelligenza delle cose che dà la coltura latina e che sono giu-
stamente un privilegio dei nostri Olandesi d'Italia.
Both, Berghem. Du.jiirdin, Van de Wide, quattro artisti superiori,
quattro glorie dell'arte dei Paesi Bassi, quattro conquiste dello spirito
latino nella Bassa Germania, conquiste del Mezzogiorno sul Nord, di
cui abbiamo il diritto di felicitarci.
Questa considerazione definisce il loro stile in generale. E ci sa-
rebbe facile, traendola più oltre, opi>orre coltura a coltura e, i.stituendo
il parallelo secondo le nostre ])referenze. rendere ai grandi ingegni di
diversa sorte il loro posto ed ordine naturale. Ma questa polemica non
vale 1" analisi delle opere e la storia della loro origine che ho pro-
messa: Soiu) i fatti stessi che lodano e che conviene riferire.
11.
11 iirinio inizio dello stile di cui si (ratta risale a un pittore di
Francotorte, stahilitosi a Roma fin dal principio del secolo xvn, cono-
sciuto al suo tempo col solo nome di Adamo, e che noi chiandamo col
suo cognome Elzheimei'.
Egli primo, venuto dopo i quadri ingombri di fogliame di Paolo
Bril, ebbe l'idea di raccogliere accuratamente i vari effetti della luce
in tutte le parti di un paesaggio, e di mettervi l'ordine con questo
mezzo. Egli tentò degli effetti notturni in piccoli e minuziosi lavori,
che lo fecero moltissimo apprezzare da un jùccolo numero d'amatori.
11 conte palatino Goudt, lo incise in tavole che son divenute altresì
rarissime, tanto die le origini di un'arte che doveva spandersi ben
|<)sto in si numerosi esemplari hanno nella storia l'apparenza d'una
iniziazione misteriosa.
( Breemberg e Poelembiug che chiamano l'uno Bartolomeo l'altro
Cornelio, Olandesi entrambi, imitarono Elzheimer, e percorrendo la
Cac^ipagna romana, cominciarono a mescolare le rovine in vedute delle
qitali gli aggruppamenti d'alberi avevano cessato di fare tutto il me-
rit'o, dopo che lo studio curioso della luce vi si trovava unito. Con
uiha fantasia ispirata dai pittori di stile, delle figure nude, divinità,
bagnanti, vi erano questa volta mescolate, componendo colle rovine
i;:legli antichi monumenti, che il paese fornisce in al)l)on(]anza. un ge-
nere semi-mitologico, e si chiamarono « le Arcadie ».
L'anno 16*27 vide questi pittori tornati tutti al loro ]mese, Cornelio
ad Utrecht, Bartolomeo ad Amsterdam, ove i due rami gemelli d'una
medesima arte non dovevano più da allora cessare di fiorire.
Bisogna segnalare quest'anno 1627 come un'epoca in questa storia.
È il tempo difatti che riappare a Roma un uomo giovane ancora e poco
noto, che, venuto dapjirima nella Città Eterna nel modesto ufficio di
garzone pasticciere, s'era inalzato in poco tempo alla professione di
pittore. Tomaio per qualche tempo in Loiena siui patria, l'ientrava nel
[laese dell'arte, questa volta per non più uscirne e percoiaiuciarvi una
carriera che è la più mirabile e la più gloriosa che piftoi- di paesaggio
alibia mai percorsa. Voglio dire Claudio Lorenese. Durante 50 anni e
fino alla morte sopraggiunta nel 168'2, videsi quest'ariista condur-re con
1 PAESISTI OLANDESI A ROMA 181
lina costanza di sforzi, una uniformità di disegno, una continuità d'ispi-
lazione incomparabile, quel!" inesauribile serie di lavori, che. senza
l'aiuto di alcuna facile seduzione, senza chiasso e senza varietà, esposti
più che altri mai al rimprovero di ripetizione e di monotonia, non ces-
sarono, dopo rammirazione del suo secolo, di sostenerlo nella gloria
presso la lontana posterità. Questo periodo abbraccia tutto il tempo
della più brillante fioritura dell'arte olandese, sicché non c'è un solo
di questi pittori dei quali principalmente mi occupo (parlo di quelli
che vennero a Koma) che non vi abbia conosciuto il Lorenese.
È certo che la sua inthieuza fu decisiva nell'inizio. Da lui questa
scuola d'Olanda imparò ad animare il paesaggio coi raggi trionfanti
del sole, a sgombrare i fondi, ad approfondire l'orizzoiite. a gettare
infine su tutte le cose quella facilità e quello splendore che gli altri
non conobbero mai. Claudio fu. in qualche modo, discepolo di Poelem-
burg : |)rese da lui. fondo e forma, il genere nuovo deUe Arcadie : ma
quel che egli vi aggiun.se di suo gli conferisce in questa concate-
nazione di stili un'importanza sì eccezionale che devesi considerarlo
come il vero iniziatore del genere da cui gli Olandesi si istruirono.
Con lui l'arte del paesaggio si esercitò nella rappresentazione della
luce, di cui s'imparò a digradar gli effetti dall'estremo orizzonte fino
agli oggetti pili vicini. La profondità delle sue pitture, d'onde viene
quell'aria di naturalezza insieme e di sublimità, deriva da questa per-
fetta esattezza: quei fondi scoperti ove la sera e l'aurora splendono
per la gioia nostra e che incorniciano in mille modi variati i fogliami
dei maestri olandesi, essi non li presero altrove che da Claudio. Essi
medesimi lo riconobbero e questa confessione formale si legge ancora
in Houbraken.
La luce d'Italia rivelata coll'arte d'ini francese ai paesisti venuti
dall'Olanda, tale è il tratto principale del genere. Non parlo della di-
stribuzione degli oggetti, dei castelli, dei ponti sui fiumi, degli armenti
e dei cavalieri che vedonsi alternare presso Claudio col bagaglio ar-
cadico, e che i nostri Olandesi hanno parimenti serbato e accomodato
a modo loro.
È d'uopo immaginare quello che era a Roma, poco dopo il 1530.
- al tempo che viveva ancora la vedova d' Elzheimer, conservando gelo-
samente le tele più perfette del defunto - il piccolo gruppo di pittori
di cui Claudio formava il centro e di cui il francoforte.se Sandrart
resta per noi lo stoiiografo. Facevano insieme delle escursioni artisti-
che, sia traverso la Campagna romana, sia nei siti scelti di Subiaco
e di Tivoli : si eccitavano allo studio e l'allegria non difettava loro.
Sandrart ha riferito gli schizzi e le pitture ch'egli eseguiva in queste
passeggiate a lato del Lorenese amico suo. Pietro Van Laar. nomato
Bamboccio, celebre per le sue idee gioviali e la stranezza della sua
figura, distinguevasi in questa compagnia. Famigliare di Claudio, come
r indica Sandrart. egli fu il primo fra quelli del suo paese ad intro-
durre la maniera di quell'aitista nei paesaggi. Era una nuova attrat-
tiva, un miscuglio nuovo di stili, di cui altri avrebbero tosto tratto
jìrofitto.
Both comparve poco dopo e. senza forse divenir ainico di Claudio,
poiché su ciò ci manca la testimonianza di Sandrart. esegui dapprima,
sotto la medesima intluenza. dei lavori che sono i più meravigliosi
della scuola. Poi fu un po' più tardi Asselyn detto Crabetje o Clio van-
netto Olandese, infine Miei, copista del Bamboccio, nomato in Italia
182 I PAESISTI OLANDESI A ROMA
Giovanni della Vite, il quale, staliilitosi a Torino, moi'ì pittore del
Duca di Savoia.
Quest'Olandese fa eccezione. Tutti tornavano nel loro pae.se. 11
Bamboccio partì primo, poi Bolli, poi Asselyn. Dal 1545 questa prima
generazione aveva raggiunto Breemberg e Poelemburg, Bolli, come
dissi, a Utrecht, Bamboccio e Asselyn a Amsterdam.
Qui sarebbe interessante sapere precisamente in qual modo t|ue-
st'aiie nuova fece subito scuola nel paese. La vita che questi pittori
menavano ciascuno nella propria città è un punto oscurissimo. I nomi
stessi degli allievi che fecero ci mancano. Non si conosce meglio, a questo
riguardo, la parte degli amatori e dei mecenati del commercio e della
banca che le Provincie Unite possedevano allora in altbondanza; e
infine quella dei mercanti di quadri, di cui l'importanza era conside-
revole. Nell'incertezza in cui siamo, se alcuni dei più grandi fra questi
pittori avessero essi almeno visto l'Italia, si comprende che più grande
ancora è la curiosità di sapere come si propagasse l' imitazione di
questo genere. È una delle questioni più interessanti per gli eruditi
e di cui è da augurai'si che alcuno si incarichi un giorno di istruirci.
Comunque sia, non dul>iliamo che uomini come il ricco Adriano
Pan d'Amsterdam, il quale conobbe a Roma Claudio e Sandrarl. che
mercanti di i(uadri come fu un po' |)iù tardi il jìortoghese Diego
Duarte e come quell' Uilenhorch pi-esso cui studiò Polidoro Glauber,
non abbiano efficacemente aiutata la voga che tosto si dichiarò.
Vicino a Both, Guglielmo De Heusch, vicino a Asselyn. Moucheron,
poi Mommers , poi Swanevell nominalo Herman d'Italia, poi un'ab-
itondante discendenza, sparsa dappertutto, di Poelemburg, Cuylem-
burg, Hansl)ergen, Van aer Lisse. le crescevano splendore. Questi ul-
timi vissero all'AJa; Harlem fu toccala dal Bamboccio, che vi passò
gli ultimi anni. Dappertutto si sparse il gusto per questa uianiera
netta e brillante; zuivere en heldere n-ijze, di cui Houbraken riferisce
che i pittori di quel tempo occupavano i loro discorsi.
Si cominciò a vivere nell'incanto di quegli orizzonti dorati, di
quelle molli chine ove il sole si smarrisce traverso le rocce e i ce-
spugli, di quelle frondi che la luce traversa, il cui verde assume
riflessi d'argento, di quei corsi d'acqua capricciosi, ove spumeggiano
delle cascate, di quei sentieri salienti e tortuosi, di quei muletti agili,
di quegli armenti superbi a cui la figura umana mescola il ((uadro
della vita all'aria aperta e della facile esistenza. Non bastava il pen-
nello; il bulino ugualmente vi si compiaceva. Tutti questi artisti erano
ugualmente incisori: l'acquaforte nelle loro mani jìrodusse dei capola-
vori, fra cui la serie dei paesaggi che Both pubblicò presso Matham
rimane il più illustre esempio.
Nel punto saliente di questo movimento si dimostrò l'ingegno di
Berghem. Ho detto in ([ual modo e per quali ragioni egli ne segnò
l'apogeo. Non si può negare ch'egli è meno fine e meno squisito in
generale che Both : nondimeno abbastanza a])parisce che la sua estrema
facilità l'ha reso capace, quando occori'eva. di raggiungere le cime
dell'arte, li suo paesaggio della Galleria Si.x di Amsterdam, una
delle gemme della scuola, basta a mostrar questo fatto, e a riparare
il torto che gli fanno oggidì trojipe affrettate produzioni di carattere
popolare e volgare.
I PAESISTI OLANDESI A ROMA 183
III.
È tempo di dir qualcosa della vita che conducevano in Italia i
pittori olandesi che vi si recavano.
Questi pittori e ([uelli di Fiandra, formavano a Roma una società
nominata « la Banda », de Bevi, come la chiamano gli scrittori olan-
desi. I menihri si nomavano Bentvoueh ossia uccelli clella Banda. È
da notare che una società, che sembra aver tenuto in Roma a quest'epoca
un posto di qualche importanza, non abbia lasciato se non pochissima
traccia nei racconti dei contemporanei.
Le sue origini erano oscure agli autori stessi che nel xvii secolo
ce ne hanno conservato il licordo. Corneille Lebrun (in olandese
De Bruyn) nei suoi Viagfji, pubblicati a Delfi nel 1698, dice corresse
voce che Raffaello stesso l'avesse fondata, il che non è verosimile.
Egli unisce il racconto del suo proprio ingresso in quella illustre com-
pagnia. Sembra, da tale racconto, che fosse una società di divertimento,
principalmente una società per bere, lo che fu il gusto eccessivo dei
Fiamminghi d'ogni temiKt. Van Mander ha riempito le sue Vite di
Pittori di lamenti a tale riguardo. È a credere che, in confronto della
sobrietà italiana, simili costumi, consacrati da una associazione e da
regolamenti speciali, facessero in Roma un certo scandalo.
Il defunto Bertolotti fu il primo, nei suoi Artisti Belgi e Olandesi
a Roma, a riassumere per il pubblico italiano il curioso testo di cui
parlo. Esso contiene tutti i dettagli d'un bizzarro cerimoniale, in cui
il novellino, o membro in erl)a {de Groene, dicevano nella Banda),
passava per varie prove, nel mezzo d'una rappresentazione allegorica
in maschera fatta dai suddetti Uccelli. Uno di essi, montato sopra
un'alta sedia, leggeva parecchie esortazioni per la pratica della pittura
e le regole della società. A che il membro in erba, dopo aver risposto
il più umilmente che poteva, veniva coronato di lauro verde e accla-
mato con lunghi evviva dai suoi nuovi confratelli sotto il nuovo
nome, detto nome della Banda, ch'egli assumeva. Lebrun ha aggiunto
una tavola al suo racconto, ma si può credere che né tavola né rac-
conto fanno parte della verità intera, se si guarda un certo quadro di
Van Wynen inciso in una stampa di Pool e Bernardo Graat. Il giura-
mento di fedeltà vi è rappresentato in una scena di buffoneria tale
che difficilmente si può darne idea. Basti sapere che la torcia alla cui
luce vengono letti i regolamenti, è introdotta nel corpo del matricolino
nel posto il meno immaginabile. Lo stesso Van Wynen dipinse pure
la distribuzione delle lettere d'invito e il banchetto che seguiva, egual-
mente inciso dagli stessi artisti. Questo banchetto durava tutta la notte.
Era il matricolino che lo pagava a tutti i tirmatari delle sue lettere,
ch'egli chiamava suoi testimoni.
Passata cosi la notte bevendo, cominciava una cerimonia, meno
grossolana e più scherzosa, in cui le antichità di Roma trovavano un
posto inatteso. Era il ]iellegrinaggio alla tomba di Bacco, che quei
devoti al dio reputavano consistere in un sarcofago di porfido, dipoi
portato al Vaticano, che decorava allora la chiesa di Santa Gostanza
fuori porta Nomentana. All'alba, la truppa si metteva in marcia verso
questo luogo di pellegrinaggio cristiano, e vi andava a far le sue de-
vozioni a Bacco, di cui la parte più materiale si terminava in un al-
184 I PAESISTI OLANDESI A ROMA
bergo non lungi dal santuario, in faccia d'uno dei più bei punti di
vista che si possano trovale nella campagna romana.
Hoogstraaten, nella sua Ititrodusione alla pratica della pittura.
assicura scherzando che una tale società era mantenuta allo scopo di
risvegliare il genio che sonnecchia. Ciò può intendersi in parecchie
maniere. Houbraken, nelle sue Vite di Pittori, che forma la quarta
delle testimonianze conosciute, aggiun.se qual<-lie campione dei nomi
di banda che si davano quei famosi compari. I/uno si chiamava Ar-
chimede, l'altro Marionetta (Slenqwp), l'altro TEiemita, un quarto
Platluisenbaard, che signitìca qualche cosa un po' peggio di barbe
à poux.
Pertanto, e a dispetto di tanti eccessi burleschi, ciò che fa credere
che la Banda accademica non si stancò di divertirsi onestamente, è
la compiacenza mista d'amor proprio nazionale con la quale i prece-
denti autori ne hanno parlato. È vero che. per mancanza generale di
documenti a questo riguardo, noi non conosciamo positivamente alcun
pittore di grande rinomanza che ne abbia fatto ]iarte. Un fatto sicuro
concerne Carle Dujardin: ed è che avendo egli rifiutato di far parte
della Banda, i Bentvogels non tralasciarono di gratitìcarlo d'un sopran-
nome ingiurioso, Barba di becco, o Bockebaard.
È notevole che quanto Houbraken, Lebrun e Hoogstraaten ci hanno
trasmesso di questa società si riferisce precisamente all'annata in cui
Carlo apparve in Italia, durante il tardivo viaggio di cui ho parlato,
nel l(i74. Queste narrazioni vengono dunque a punto per fornirci qual-
che immagine di questa Roma fiamminga ove s'intratteneva la bella
fiamma di cui abbiam" visto l'effetto.
In que.^fo periodo avanzato della scuola, il quale contando dopo
Breemberg e Poeleinburg, si può classificare come terzo, si vede spun-
tare un nuovo ramo di cui bisogna dire una parola.
Carle Dujardin fu a Roma con un pittore di fama mediocre, di
cui le testimonianze del tempo ci obbligano pertanto a fare speciale
conto: Simone \'an der Does, eccellente artista che ebbe una parte note-
vole in questa storia. Sembra che nella scuola si fosse stanchi dell'uni-
formità luminosa di Claudio: ma senza dubbio si era troppo attaccati
a questo maestro per abbandonare completamente la sua maniera, e
tutto ciò che si ideò fu di rendere il sole ])iù l'aro in quadri d'un
nuovo genere. L'ombra annegò la terra, il bestiame e le persone, di
cui si compiacque far emergere soltanto qualche estremità nella luce
sempre inalterabilmente pura e splendida. Questa ricerca degli efietti
d'ombra prese il nome di maniera bruna, bruine n-Z/ze. È una parola
questa che tolgo ancora da Houbraken. Questo autore riporta che
Carlo e Van der Does usavano disputarsi in proposito, il secondo
parteggiando per la maniera oscura, il primo per la chiara, heldere.
ch'egli praticava.
Quest'atfeimazione serve di guida preziosa nell'esame delle opere
di {(uell'epoca. In Van der Does si ritrova esattamente la maniera ch'io
ho descritta sotto il nome d'oscura, Forse egli ne fu rin\entore, ma
non è pertanto lui che l'ha meglio praticata. Io credo esser il primo
a notare, come riesce evidente dall'esame, che il grande maestro in
questo genere è stato Adriano Van de Velde. Io cito a memoria i suoi
Pastori del museo d'Anversa, la sua Siesta della Collezione Wallace,
sopratutto la Pastorella del palazzo Steengracht all'Aja. capolavoro asso-
lutamente ammirabile, così sorprendente d'altronde per il paitito preso
I PAESISTI OLANDESI A ROMA 185-
dell'ombra che mi sembra che il testo di Houbraken ne faccia il com-
mentario esatto. Un altro pezzo di sua mano del medesimo genere, a
Francoforte, ha la data del 1668, e segna cosi almeno il tempo in cui
questa maniera trionfò.
Tutta la breve vita di Van de Velde è trascorsa a Amsterdam.
Van der Does vi dimorò circa quindici anni, nello stesso tempo che
Du.jardin. di cui i viaggi sembrano aver seguito i suoi. Insieme essi
abitarono rA.ja, e più tardi Roma, opponendo cosi le due maniere Tuna
a lato dell'altra.
Resta a stabilire quanti seguaci ebbe la maniera bruna. Berghem,
che per la sua facilità poteva assaggiare tutte le varietà del genere.
ha qualche volta voluto provarsi in questa, ma con poco successo. Le
tendenze di Du.jardin son })iuttosto opposte. Il suo colore è vivo, splen-
dente, la sua luce fortissima è spiegata. Non si sbaglierà conside-
randolo per questo lato come il più energico di tutti. La Galleria di
Arenberg a Bruxelles ha potuto osare di conservare il suo nome su
una tela ove certi tocchi fanno pensar meno agli Olandesi che a
Decamps.
Tali sono gli ultimi tratti della storia del paesaggio italiano d'O-
landa nel suo periodo più brillante. Van de Velde mori nel 1672, Carlo
Du.jardin a Roma nel 1678, Berghem ad Amsterdam nel 1683, un anno
più tardi di Claudio. Con lui finiva la gran voga e il grande splendore
della scuola, della quale restano ora a dire alcune applicazioni parti-
colari e il posteriore destino.
IV.
Per tema di confonder troppe cose, ho dovuto lasciar da un lato
un genere estremamente brillante e che si rese assai popolare, quan-
tunque nessun maestro eguale a quelli di cui ho parlato s'incontri
per sostenerne la gloria: è quello di quei porti di mare del Levante,
(li cui il primo modello rimonta a Claudio stesso, e ove sbarca il cor-
teggio lussuoso di qualche gran signore o di qualche fantastica prin-
cipessa, ove dei vascelli dalle prore ornate si rifugiano, ove abbor-
dano scialuppe sormontate da baldacchini, ove ogni sorta di gente si
affretta allo sbarco, e intorno alle masserizie, ove dei curiosi si spar-
gono per animare la scena e renderla più magnifica. A questi soggetti
aggiungo tutti quelli in cui l'architettura e il costume vengono ad
aver un posto principale, diversamente da ciò che si vede nel tipo
arcadico della scuola, d'onde tutti i pittori nominati fin qui derivano:
vedute cittadine, ove, nell'assenza di varietà campestri, l'ornamento
ricercato dei palazzi e la piacevole dispo.sizione delle rovine, sempre
offerte al pittoie dall'Italia, sembrano servir d'alimento al capriccio
e alla fantasia dell'artista.
Nel discredito in cui son cadute ai giorni nostri le idee di cui
tutti quei pittori hanno vissuto, e, se non le opere dei più eccellenti fra
essi, almeno l'estetica del genere, è naturale che questi, non salva-
guardati da alcun merito eccezionale, siano stati dapprima dimenti
cali. Non bisogna però che essi siano disprezzati.
Gian Battista VVeenix e il francofortese Lingelbach fecero la for-
tuna di questi soggetti al tempo che Berghem viveva, il primo a
Utrecht, il secondo a Amsterdam. Berghem stesso non mancò di
186 t PAESISTI OLANDESI A ROMA
attingervi, e si vide in Harleni Toiiiniaso Wyt-lc. conosciuto per i suoi
quadri d'interno, di genere affatto differente, provarsi in questa sedu-
cente maniera.
Bisogna confessare che né gli uni ne gli altri hanno portato nella
rappresentazione degli orizzonti marini e nell" imitazione delle super-
tici liquide l'arte miracolosa di Claudio. Ciò che fu Botli riguardo a
questo ultimo nel genere del paesaggio terrestre, nessuno l'è stato in
quello delle marine. Ma i primi piani, arcliitetture e costumi, sono
almeno d'una maniera eccellente, una delle più vive e piacenti che si
ahhiano. mai adottata dai pittori di (|uaisiasi scuola. Weenix ha di-
pinto i suoi personaggi col medesimo pennello e colla stessa pasta che
servirono alle figure di Both. opere, si dice, di suo fratello Adriano,
se pure non dello stesso Weenix. giacché nulla impedisce di supjjorlo.
Ad ogni modo, e checché la pedanteria accumuli contro questa
fantasia d'oriente latino, sbocciata nel paese del sole, contro questo
favoloso quadro degli Scali del Levante, vago e magico ricordo dei
tempi in cui Venezia regnava su l'Arcipelago, in cui i vascelli scol-
piti portavano in Europa le merci ambite e preziose delle Indie, col
grave i)ericolo d'esser saccheggiati dai Corsari, in cui la lingua franca,
che si crede di sentir risuonare sulle labbra di tutti quei facchini, por-
tava, conquistando, il vocabolario latino presso l'Armeno e presso il
Turco, presso il Greco, l'Arabo e lo Schiavo, è bello di deporre gli
scrupoli e di abbandonarci al fascino che gustavano fra il maestoso
silenzio dei canali fìanclieggiati d'alberi della Venezia del Nord, in fondo
alle ricche dimore del Keisersgracht, i mecenati traftlcanti dell'Arcipe-
lago della Sonda e di tutti i mari del globo.
Mai abbastanza si dirà quanta ]iroi>rietà. cura e solidità la pit-
tura olandese deve alle abitudini di vita comoda ed opulenta che un
counuercio straordinariamente jnospero manteneva nei Paesi Bassi. I
(piadri eran oggetti di mobiglio. Bisognava terminarli puliti e lucci-
canti, come la noce dei tavoli preziosamente scolpiti, come le argenterie
rare, come i fiori di prezzo che vediamo aggiungervisi. nelle conver-
sazioni di Terburg e di Metsu. Ed é un altro tratto da riportarsi qui,
quello dell'uso che si fece allora dei paesaggi per decorar le stanze.
Fu una moda simile a quella che si vide in Francia al tempo di
Luigi X\'l e del Direttorio, alla quale gli ultimi paesaggi storici ser-
virono. Grandi pezzi di paesaggi portati sul plinto dei muri, incorni-
ciati nella decorazione, vi tenevano luogo di tappezzeria. 11 poeta olan-
dese Veihoek ha lasciata una lunga descrizione in versi, accompagnati
d'elogi, di questo genere d'ornamenti. « Ora. - egli dice - tutte le pareti
delle sale sono dipinte di artificiose praterie, di verdeggianti boschetti
che un levar di sole rischiara... » Ed egli termina con l'elogio del
pittore, di cui il nome dev'esser citato (|ui. a titolo di maestro del
genere : Pynacker.
Sembra veramente che queste decorazioni non avessero atteso
questo pittore per esistere. Il museo Konstliefde d'Utrecht conserva un
quadro di Poelemburg che servi primamente da ornamento di cami-
netto. .Ma questo é ben poca cosa al jiaiagone della voga di cui godette
Pynacker e dell'abbondanza della sua ojiera. .\ questo riguardo egli
tiene un [M)sto a parte, e assai ragguardevole, nella scuola. Si hanno di
lui dei quadri estremamente accurati e preziosi, che non testimoniano
quasi d'una scienza meno profonda e d'uno spirito meno attento della
maggioranza delle tele di Both. \'e ne sono altri in cui il tocco é prò-
I PAESISTI OLANDESI A ROMA 187
priameiite decorativo e d'un genere che non si vede jiresso nessun altro,
quasi elle Pynacker avesse dovuto nascei'e per fornire la prova incon-
testabile delle attitudini ornamentali del genere.
Ciò che non bisogna omettere qui è che dal suo lato il ])aesag-
gio reinbranesco non restava punto indietro per questo lato. Ever-
dingen ehbe in questo genere lo stesso ruolo di Pynacker: e i due
jiittoi'i. nei quali si riassumeva tutta l'arte del paesaggio dei pittori
d'Olanda, ebbero la gloria di dividersi le decorazioni di cui abbiam
detto. Houbraken si lamenta che questa moda ])assò presto, e il suo
malumore si esala in proposito contro la tappezzeria d'appartamento
che prese il posto di queste pittui'e e die egli chiama la peste del-
l' arte.
Ho detto che la morte di Berghem segna la fine di tutta questa
epoca. Resta a concludeie questa storia con (|uei pochi che vengono
al suo seguito.
Un solo discepolo veramente singolare gli sopravvisse. Non par-
liamo dei Soohnaker, dei Van der Beni, e di parecchi altri, contratfat-
toii piuttosto che allievi, che al suo tempo moltiplicarono le fredde
copie del suo stile. Ma \'erscure, o Verschuuriiig, merita dopo lui un
posto d'onore per il valore delle sue pitture. Qualche quadro di Stoop
segna anche un talento che non devesi disdegnare. Goubau, o Goebouw.
portò il genere ad Amsterdam, nello stesso tempo che l'eccellente
Minderhout vi faceva conoscere quello dei porti di mare. In questa
ultima qualità di soggetti lavorarono in quel tempo Van der Ulft e
Begeyn, il quale morì a Berlino.
Si vede qui qualcosa della scuola iu via di trasportarsi all'estero,
voglio dire fuori d'Olanda e d'Italia, in Prussia passarono anche Gott-
lieb Glauber, detto Mirtillo, fratello di Glauber detto Polidoro, pittore
rinomato in questa taida epoca.
Cosa notevole, tutta (jiiesla scuola restò come sconosciuta in Francia.
Né Both. ne Berghem. uè Van de \'elde, né Dujardin appaiono nelle
collezioni di Luigi XIV. Non si scelsero fra i maestri olandesi che due
o tre inttori d'interno. Quanto al paesaggio al seguito di Paul Bril non
si conosceva altri fuori di Cornelio e di Bartolomeo, come venivan
chiamati Breemberg e Poelemburg. E quantunque Claudio Lorenese
fosse apprezzato come valeva, non si supi)oneva cli'egli avrebbe avuto
tanta posterità, lo non so se Glauber detto Polidoro, che prese questo
soprannome dalla Banda accademica di Roma, non traesse un po' più
di rinomanza dai suoi rapporti con il famoso Lairesse. che di]>ingeva
le figure dei suoi paesaggi. Egli conobbe Carlo Dujardin a Roma e
dipinse per il princijie d'Orange a Soesldyk uno degli ultimi modelli
di paesaggio decoiativo. Gli eccellenti fratelli Van Bloemen d'Anversa,
nominati in Italia Standardo, e l'Orizzonte, sembrano egualmente non
■esser rimasti del tidto sconosciuti.
Quanto agli altri, furon necessarii i primi amatori di quadri olan-
desi, del xvm secolo, come la Contessa di Verrue e Julienne, per in-
trodurre infine la loio reputazione. La quale guadagnò bentosto tutto
ciò che l'oblio dell'età precedente aveva lor fatto perdere. La voga di
Berghem sopratutto si dichiarò : e cpiesto pittore divise con Wouwerman
le predilezioni del tempo.
Non bisogna dimenticare che Vernet si è formato in gran parte
sotto l'intluenza di questa voga, e che il suo talento, d'altronde scarso
e insipido, non ha preso ciò che sembra tener da Claudio che per la
188 I PAESISTI OLANDESI A ROMA
intromissione di questi iiittoii. i^o stesso Hubert Robert lia (iiialcosa
d'essi.
Nel paese stesso la scuola aveva cessato d'esistere. Standard morto
ad Anversa nel 1720, l'Oj'izzonte morto a Roma nel ]74^t ne segnarono
l'estremo termine. 11 fiammingo Demarne, nei galanti pezzi cli'egli di-
pinse in Francia sul finire del secolo, e ove riappare qualcosa di questo
stile, separato com'egli è dalla tradizione defunta da un intervallo di
mezzo secolo, non deve considerarsi che come autore d'una risurre-
zione effìmera : e le ultime vestigia ne svanirono con gli insegnamenti
dei paesaggi storici francesi dove si serbava ancoia un resto delle i)ra-
ticlie di Vernet. Ho detto in qual modo ciò che nei gusti, nelle abi-
tudini, nella moda perdeva, si mutava, si abbassava in mille modi,
continuò cionondimeno ad occujiar l'immaginazione popolare. Succede
di queste vecchie scuole come dei grandi avvenimenti politici, che assai
tempo dopo che le ultime conseguenze ne sono compiute, durano
ancora, trasformati, e allo stato di leggenda infine misconosciuti, nella
memoria ingenua dei semplici e nella tradizione fUittuante della società.
Oggi, dopo tante rivoluzioni nei gusti, tante reputazioiìi novelle,
tante discussioni, tanta estetica, tanti saggi in ogni genere d'un'au-
dacia imprevista, dopo che il terreno dell'arte, solcato e smosso in ogni
senso, sembra indifferente ad accettare qualsivoglia novità, e nessun
pregiudizio forse è più capace di indurre uno spirito retto a giudicare
contro il proprio gusto, non dubitiamo che i pittori di cui abbiamo
tracciata la storia non riescano a farsi pregiare come per il passato.
Della profonda, infinita natura essi ci conservano la gioia, lo spazio e
la luce : gli elementi tutti delle loro opere conservano, senza scapilo della
verità e della forza, quella compostezza superiore che si chiama stile.
Questo stile non è un'invenzione dell'arte, come paiecchi cercano
di far credere, ma una suggestione della natura, propria incontesta-
bilmente alle contrade di cui l'Italia resta il tipo più coni|)leto. Fra
tutti i pittoi'i ispiratisi a questo paese, è ad essi che, tutto sommato,
si ritornerà di preferenza. Essi ce ne serbano le impressioni chiare, le
grazie commoventi, lo splendore sereno, in una lingua la cui flessuo-
sità compenetra tutte le sfumature e fonde tutte le parti: ammirabile
esempio di Claudio, di cui essi hanno in cento maniere lipreso il poema,
variandolo con tutte le risorse di cui dispone la pittura nei Paesi Bassi,
fusione unica, e forse senza esempio, d'uno stile sublime, d' un'arte
perfetta, e d'una natura incompaiabile.
L. DlMIEK.
CARPACCIO
Yif/ore Garpacciu et hi Confrérie de Sninte Ursiile à Venise, par Pompeo Molmenti
et Gustav Ludwu;. Florence. L. Bemporad et fils, libraires éditeurs, 1903.
Fra i più giaiirii pittori veneziani del Rinascimento, il Carpaccio
seppe, meglio d'ogni altro, rappresentare ne' suoi quadri, insieme coi
puri sentimenti della religione, l'espressione sincera della vita che
s'agitava per le vie di Venezia. Della maravigliosa sua patria, oltre
la bellezza del cielo e la sontuosità degli edifìzii. egli riproduce stu-
pendamente il lusso e la pompa dei costumi, la solennità delle ceri-
monie, lo splendore delle feste. Destano sempre la più viva am-
mirazione, non ostante gli oUraggicbe il temilo e più ancora l'ignoranza
degli uomini hanno loro recato, i quadri della Vita di Saìd' Orsola, che
si conservano nell'Accademia di Venezia. Quei quadri, tra i più antichi
che si conoscano di lui e nei quali si manifestò primieramente tutta
la potenza del suo ingegno, furono fatti per la cappella della Scuola
di Sanf Orsola, che fu soppressa nel 1810. Così come son oggi, essi
hanno altezze diverse, ma nella loro origine avevano tutti le stesse
dimensioni. Ciò è provato luminosamente, con l'aiuto di documenti,
nella stupenda pubblicazione di cui diamo notizia, la quale è un pre-
zioso contributo non solo alla storia di Sant'Orsola e alla vita del
Carpaccio, ma alla storia dell'arte e della vita di Venezia in quel soave
Quattrocento che fu la splendida aurora della grande pittura veneziana.
Pompeo Jlolmenti e Gustavo Ludwig, due nomi illustri e s'altri
mai autorevoli fra gli studiosi dell'arte veneziana, animati dallo stesso
amore pel Carpaccio, hanno messo in comune i loro studi j er dare
siffatta pubblicazione. Essa non è che un ]irimo saggio, ma di singo-
lare importanza, sull'opera del grande artista. Quanto vi è detto è
tutto nuovo e confortato da documenti, che mostrano come molte no-
tizie e molti giudizi dati fin qui sul Carpaccio e sull'opera sua siano
in tutto o in parte erronei. Del Carpaccio il Molmenti si mostrò fer-
vido ammiratore tin dalla sua prima giovinezza, scrivendo di lui pa-
gine ripiene di sincero entusiasmo. Datosi ])iù tardi alle ricerche dili-
genti e pazienti, frutto delle quali fu la Storia di Venezia itella vita
privata, conservò sempre quell'antica ammirazione e ad essa unì quella
pel Tiepolo, altro grande pittore, col quale tramontò splendidamente la
lunga e maravigliosa giornata della grande arte veneziana, come splen-
didamente era sorta col Carpaccio. Tanto sull'uno che sull'altro egli
compì ricerche e diede in luce documenti che ne fecero meglio cono-
scere la vita. Il Ludwig, profondo conoscitor d'arte egli pure, è un
instancabite ricercatore d'archivi; le sue conclusioni, nuove, acute e
190 c:ahi'ac.(:u)
convincenti, sull'arie veneziana, sono ormai accettate dai maggiori
critici e storici dell'arte: il Tode, il Bode, il Cantalamessa. il Venturi.
Nei cataloghi delle Gallerie d'Europa le vecchie ed eirate attiibuzioni
vengono corrette secondo le notizie e i documenti scoperti da lui. Non
fa maraviglia pertanto se due cosi valenti studiosi, mettendo insieme
l'opera loro intorno ad un argomento egualmente caro ad entrambi,
sono riusciti a scoprire ciò ciie altri prima di loro non avevan saputo.
CARPACCIO. — Tosta ili (loniin (Disogno).
e ricostruire ciò cli'era stato distiutto e di cui non rimanevano che
poche tracce appena visibili.
Una vera e perfetta ricostruzione è ipiesfa die han fatto dei quadri
della Vita di Sant'Orsola.
Posto in chiaro ch'essi oiiginaiiamente dovevano aver avuto le
stesse dimensioni quanto alTaltezza : poterono scoprire, confrontando
le misure presenti con le antiche, conservate nelle note di Pietro Ed-
wards, e consnltando le incisioni del De Pian, fatte nel secolo xviii,
che tutti erano stati egualmente ridotti di più centimetri nei lati, forse
per adattarli ai locali dell'Accademia, dove fuiono trasportati nel 1810.
Dopo ciò parve loro importante di tentarne la ricostruzione, giovandosi,
per le parti laterali, delle incisioni del De Pian, e per le superiori, di
minute indicazioni, potute rilevare sull'estremo limite del taglio e,
dove queste mancavano, di motivi ornamentali tolti ai quadri medesimi.
CARPACCIO 191
Ricostruiti cosi i quadri, bisognava ricostruire la cappella di San-
t'Orsola qual era al tempo del Carpaccio, per vedere il partito che
questi aveva saputo trarre dalla forma e grandezza di essa pel numero
e la distribuzione di quelli. L'aspetto esterno dell'edilìzio è dato dal-
l'antico piano di Venezia attribidto a Jacopo dei Barbari; quellolin-
lei'no gli autori desunsero dalle indicazioni prospettiche dei quadri
stessi, da quelle fornite dai documenti e da confronti con altri edifizii
Carpaccio.
Testa (li donna (.Dise^iuo).
del tempo e particolarmente con ia chiesa di S. Giacomo dall'Orio, ed
ebbero la soddisfazione di constatare che la lunghezza delie pareti
laterali corrispondeva a quella complessiva dei quadri, così com'essi
li avevano ricostruiti, dai quali erano ricoperte. Rifatto, perlai modo,
l'edifìzio, poterono, con l'aiuto di preziosi documenti dell'Archivio di
Stato, rifarne la storia. Da questa risulta che la Scuola di Sant'Orsola
fu fondata nel 13CKÌ e che quattr'anni appresso fu cominciata ad eri-
gere, nel cimitero dei monaci dei Santi Giovanni e Paolo, la cappella,
che fu compiata nel 1318. Nella seconda Marie(jola di detta Scuola,
in data del 1(> novembre 1488, è parola di economie a fine di abbel-
lire la cappella e, so]iiattiitto, di far dipingere / teleri de la isforia de
madona santa Orsola, che sono appunto i quadri che il Carpaccio
dipinse, il primo de' quali reca la data del 1490, che è altresì la prima
che si conosca della vita artistica di lui.
1^2 CARPACCIO
Egli, secondo le nuove ed accurate indagini degli autori, nacque
in Venezia prima del 147i2. da famiglia oriunda di Torcello, e morì
non dopo il IMò. Suo maestro fu Lazzaro Bastiani. da altri erronea-
mente creduto suo discepolo, del quale il Carpaccio segui la maniera,
tanto elle i posteri attribuirono i (juadri deli" uno alla giovinezza del-
l'altro. II Bastiani era particoiaiiucnte studioso della |)rospeftiva. la
qual dote si riscontra eminente nel Carpaccio. A torto alcuni lian
voluto far derivare le prospettive del Carpaccio da quelle di Gentile
Bellini, il quale se emerge per la purezza della concezione, pel colo-
rito e il disegno, è spesso difettoso nella prospettiva; ed è poi tanto
meno vero cbe il Carpaccio abbia potuto formare il suo stile, stu-
<liando le opere del Bellini alla Scuola di S. Giovanni Evavgeiista, in
(pianto cbe egli possedeva già il suo stile caratteristico nella Scuola
(li Sitnt'Oniola ])rima che quegli desse principio a' suoi quadri.
L'ultimo dei quadri della Vita di SaiifUrsola ba la data del 141>6;
altri, tra t(uelli che non hanno data, possono esser stati eseguiti poste-
riormente, ma non più tardi del 14'.t8. nel qual anno sorse una grave
contesa, che durò a lungo, tra i monaci dei Santi Giovanni e Paolo
e la Scuola, cbe si disputavano la proprietà della cappella. Questa fu
ingrandita nel Ló()4 e rifatta nel 1407. In tale occasione, per lasciar
posto a cinque grandi tinestre. ciascuno dei quadri fu accorciato nella
parte superiore.
Interpretandone gli argomenti, gli autori procedettero col pensiero
che l'artista riproduce esattamente le cerimonie, le feste e i costumi
veneziani del suo tempo, cosicché le sue pitture non solamente evo-
cano, come in una visione luminosa, lo splendore dell'antica vita
veneziana, ma otfiono altresì agli storici odierni un mirabile commento
dei vecchi documenti che descrivono quelle cerimonie, quelle feste e
quei costumi. Sapendo inoltre che i pittori di quel tempo solevano
ritrarre nei loro quadri determinate persone e, particolarmente, i
committenti delle opere loro, cercarono se il Carpaccio avesse seguito
l'usanza comune, e col mezzo di lunghi e pazienti confronti con altri
ritratti, poterono identificare qualcuno dei personaggi effigiati nei
quadri di Sant'Orsola e, fra gli altri, alcuni membri della famiglia
Loredan cbe furoiu) benefattori della Scuola, a cui fecero dono dei
quadri preziosi ne' quali rivivono. In questi infatti sono dipinte le
arme dei Loredan. quali si vedevano scolpite sulle loro tombe nella
capi)ella o nei luoghi circostanti.
Per far poi meglio comprendere come l'opera insigne del Carpaccio
abbia potuto nascere e manifestarsi in tutta la sua grandezza e bel-
lezza, gli autori hanno cercato di ricostruire con opportuna erudizione,
frutto in parte di nuove accurate ricerche, l'ambiente sociale in mezzo
a cui quell'opera sorse. Il capitolo V. che descrive la vita intima
della Scuola, è oltremodo importante. Esso ci dà copiose notizie sulle
diverse specie di confraternite esistenti a quel tempo in Venezia, sui
loro legolamenti, sul line cbe ciascuna si proponeva; ci fa conoscere
gli usi, le insegne, le vesti dei confratelli; ci mostra gli oggetti sacri,
e ci fa assistere alle feste religiose, alle processioni, ai trasporti fu-
nebri, facendo rivivere quel mondo così singolare di pietà sincera
congiunta alla maggior pompa esteriore, che è uno dei lati più carat-
teristici della vita e dell'arte di Venezia.
La leggenda di Sant'Orsola e delle undicimila vergini, formatasi
a Colonia, dove la Santa e le sue compagne hanno culto dal terzo
Iiss
A'i , 'Cii.z^:;
vi : >
13
Voi. CSa, Serie IV - IG luglio 1903.
194 cARrAccio
secolo, andò via via modificandosi fino ad assumere, nel secolo unde-
cimo. la forma sotto la quale ce l'ha rappresentata il Carpaccio. Egli
s'ispirò naturalmente alle fonti italiane nelle quali, in confronto delle
nordiche, che trattano l'argomento con semplicità e gravità, prevale
l'elemento pittoresco: permettendosi di fare ad esse qualche variante
di sua testa. La leggenda, com'egli l'ha rappresentata, si può riassu-
mere brevemente cosi: Gli ambasciatori d'Inghilterra chiedono al re
di HretaL'ti:i Im inniv di (>r<i'l;i -^iin tiL'Iin ]>r\ tÌL'Iin ild lnri> <i'jiiore.
^
?t
'^t.^
Dist-guo Jel Carpaccio per // soyno dì Siiiil Oraoln.
Galleria degli Uffizi. Firenze.
Il re di Bretagna, consigliatosi prima con Orsola, acconsente, purché
il re d'Inghilterra e suo figlio si facciano cristiani, permettano che
quella vada in pellegrinaggio a Roma e le procurino la compagnia
di dieci nob li vergini donzelle, seguite, ciascuna, da altre mille. Le
condizioni sono accettate. Orsola, col suo seguito, intraprende il pel-
legrinaggio, al quale s'unisce anche il giovane principe d'Inghilterra;
ma una fiera tempesta getta i naviganti sulle rive di Colonia. Quivi
un angelo apjiarisce in sogno ad Orsola e le ordina di recarsi a Roma,
per ritornare appresso a Colonia, dov'ella riceverà la corona del mar-
tirio. La Santa, in compagnia del fidanzato, va a Roma, dove è
accolta con grande onore dal Papa. Questi, alla sua volta, fa un
sogno pari a quello di Orsola e, per comando celeste, rinunzia al
papato e segue quella nel suo viaggio di ritorno. A Colonia i pelle-
CARPACCIO
195
? da
grini s'abbattono negli Unni, che allora assediavano la città,
essi sono tntti barbaramente trucidati.
Neil" interpretazione di queste scene commoventi, il Carpaccio
ebbe in Italia un modesto precursore, forse Tommaso di Modena, che
verso la fine del xiv secolo o sul principio del xv, dipinse in Treviso-
nella chiesa di Santa Margherita, ora demolita, alcuni affreschi che
1 fratelli Loredtnio.
Particolare di un quadro del Carpaccit
si conservano nel Museo di quella città. La grande rassomiglianza
fra quest'opera e quella del Carpaccio, fa credere che questi l'abbia
conosciuta, essendovi nei paiticolari dell'una e dell'altra molte ana-
logie che non possono essere puramente accidentali; ma mentre quella
mostra ancora l'infanzia dell'arte, l'opera del Carpaccio ne mostia la
fiorente giovinezza.
Così, come son ora all'Accademia di Venezia, in una sala etta-
gona, imitante l'antica cappella, i quadri sono disposti in modo che
agli autori non pare il più ragionevole e tanto meno conforme a quello
onde li avrebbe disposti il Carpaccio nella cappella. Per quella dispo-
196 CAKPACCIO
sizione, la Storia incomincia a destra dello spettalore, e il gran qnadro
dell'altare è collocato fra la Partenza dei fidanzati e l'Arrivo a Roma,
mentre il suo posto naturale sarebbe tra le Esequie e il Ricevimento
degli ambasciatori. Essi credono che la Storia dovrebbe cominciare a
sinistra di chi guarda, e ciò per varie ragioni talmente serie e convin-
centi che non si può non convenire con loro. A queste s'aggiunge il
fatto che nel primo dei quadri, sotto il trono del re, si scorgono an-
cora le tracce d'un taglio, che prova esservi stata in quel posto una
porta, la quale, non essendo indicata nel piano attribuito al de' Bar-
bari, che mostra la parte esteriore della cappella dal /«/o dell'Epistola,
si deve necessariamente supporre che s'aprisse dal lato dell' EvaìKjelo.
Questo quadro è diviso in tre compartimenti, nel primo de' quali
a sinistia, gli autori ravvisano alcuni tra i membri della famiglia
Loredan, che avrebbero regalato alla Scuola l'opera magnifica. 11
taglio era nel secondo dei compartimenti, e fu coperto dalla pittura
che oggi si vede, opera, forse, del Carpaccio stesso, dopoché, nel 1504,
fu costruita una tribuna speciale per l'altare e appianato il coro dove
la porta s'apriva. Se non che tal cambiamento ha nociuto al quadro,
dacché non si possa più comprenderne la composizione e la divisione.
E questa una delle ragioni per le quali gli autori hanno insistito sulla
ricostruzione dell'antica cappella. In esso son ritratti Giovanni Bellini
e Lazzaro Bastiani, amico l'uno, maestro l'altro del Carpaccio.
11 secondo de' quadri rappresenta II Re di Bretagna che congeda
gli ambasciatori. La scena stupenda riproduce esattamente il 7'icevi-
mento degli ambasciatori, quale si faceva nella sala del Collegio di
Venezia. La lettera ch'essi recavano al Doge era letta ad alta voce
dal segretario del Collegio, e la risposta di quello era dettata dal can-
celliere ad uno scrivano. Particolarmente caratteristico per verità di
espressione e semplicità di esecuzione è, nel quadi'O, il gruppo tbrmato
dalle due figure di quest'ultimi; cosicché il popolo veneziano chiama
l'intero quadro Lo scrivano.
Argomento del terzo è II ritorno degli ambasciatori alla corte del
re inglese. È uno dei quadri più belli della serie, per la magnificenza
degli edilizi che ricordano quelli di Venezia, ed è il solo che, non
prestandovisi, non sia stato tagliato nella parte superiore. In quella
vece fu abbassato, e la parte di esso che oltrepassava il limite infe-
riore degli altri quadri, fu nascosta dietro la spalliera del banco ch'era
addossato alla parete. Avesse voluto il cielo che la medesima sorte
fosse toccata anche agli altri! Nuove e preziose notizie danno gli autori
sulle compagnie della Calza, delle quali sono rappresentati in questo
quadro alcuni cavalieri.
11 quarto, che ricopriva in tutta la sua larghezza il muro dov'era
"q, porta d'entrata, rappresenta La partenza degli sposi, ed è diviso
^-<Ìi die parti ineguali da uno stendardo dipinto. La minore sì trovava
f^Miz^a iJorta, che s'apriva da un lato, verso la parete dclV Evangelo;
in a\qgore, sopra il banco della confraternita. Le due grandi torri che,
sopra i, fj\ maggiore, s'innalzano ai jjiedi delle colline, sono quelle di
ia maggiy, ^iindia. Il Carpaccio non aveva veduto né Luna né l'altra,
nella partere^otuto conoscere la foi-ma dal libro del Breydenbach Pere-
Rodi e di CantJ'f'w Sanctam, stampato a Magonza nel 14S6. Le inci-
^^^ ne aveva igrflibro, fatte su disegni di Reiiwich, furono messe a
gi'inatio in rendacelo non solo in questa, ma in altre delle sue opere;
sioni di questo ^ ripromettono di dimostrare chiaramente, se, com'essi
P'otìfto dal Carn'
CARPACCIO 197
sperano e come è da augurare vivamente, avranno occasione di pub-
blicare un giorno tutti i loro studi sull'opera completa di lui. Figurano
in questa parte maggiore del quadro altri membri della famiglia Loredan.
Fra essi il giovinetto vestito del ricco ed elegante costume di una delle
compagnie della Calza, quella dei Zardinieri, è Antonio Loredan. Egli
tiene in mano un cartello a forma di banderuola, dove sono le iniziali
di alcune parole che dovrebbero significare come di que' quadri faccia
dono alla Santa Nicolò, il vecchio padre di lui, ivi effigiato a poca
distanza. Pare fosse dapprima intenzione dell'artista di mettere il car-
tello nelle mani del vecchio, dacché vi si vegga l'abbozzo di esso ; ma
poi, forse per ragioni di convenienza artistica, mutò parere e lo pose in
quelle del giovane.
Dei quadri seguenti, che coprivano la parete dal lato dell'Epi-
stola, il quinto e il sesto rappresentavano il Sogno di Sant'Orsola e
l'Arrivo a Roma. Essi, secondo gli autori, formavano in origine un
quadro solo, diviso in due parti da un filetto d'oro. Nell'ingrandi-
mento della cappella, il dittico fu, senza dubbio, diviso in due, e i
due quadri che ne risultarono, furono separati l'uno dall'altro da
un pila.stro. Narra la leggenda che Sant'Orsola, arrivata a Colonia,
vide in sogno un angelo che le ordinò di recarsi a Roma. La spie-
gazione del sogno era evidente, quando i due quadri formavano un
dittico: divisi, appariscono come due scene di.stinte di cui non si
vede la relazione. Ciò è tanto vero che i descrittori del ciclo sono
indotti nell'errore di premettere al Sogno l'Arrivo a Roma. Siffatta
disposizione, che è un anacronismo, hanno i quadri nella sala del-
l'Accademia di Venezia.
Neir ylrrn-o a Roma il fondo rappresenta il Castel Sant'.Angelo.
quale l'avea fatto restaurare Alessandro VI, e poiché nella medaglia
commemorativa di quel restauro sopra il castello figura l'angelo, gli
autori hanno creduto di doverlo aggiungere al quadro, dove proba-
bilmente si vedeva piima della mutilazione.
La scena di questo quadro è ispirata da quella veneziana della
Processione del Doge con tutto il cerimoniale che 1' ccompagnava. Nel
papa il Carpaccio ritrasse Alessandro VI. attenuandone i lineamenti
sensuali con una tal quale rigidezza ascetica, e in uno dei cardinali,
Domenico Grimani. .\ltri ivi ritratti sono l'ambasciatore veneziano Ni-
colò, Michiel e Francesco .\rzentin. il più autorevole dei monsignori ve-
neziani, allora residenti in Roma. 11 blasone di lui. ripetuto su tutte le
bandiere papali, mostrerebbe, secondo gli autori, il desiderio del Car-
paccio di vederlo innalzato al soglio pontetìcale, indegnamente occu-
pato, in que' giorni, dal Borgia.
Di minor valore in confronto degli altri è il settimo quadio, che
rappresenta l'Arrivo di Sanf Orsola col Papa a Colonia assediata dagli
Unni. Reca, col nome del pittore, la data del settembre 14U(). e dev'es-
sere il primo che il Carpaccio compose, com' è il primo datato da lui
che si conosca. Credono ragionevolmente gli autori ch'egli abbia in-
cominciato da esso per provarsi in una composizione di secondaria,
importanza. Ha piccole dimensioni, poiché quando fu composto cerano
ancora lungo le pareti le tombe dei Loredan, come risulta dai docu-
menti. Il Carpaccio avrebbe scelto per esso un piccolo spazio libero
fra le tombe, ed avendo già fatto il piano del suo ciclo, ne cominciò
l'esecuzione con la scena, clie. nella disposizione definitiva del e ciò,
doveva occupare quello spazio.
198 CARPACCIO
L'ultimo quadro è diviso in due parti ineguali da una colonna
dipinta. La scena della maggiore rapiuesenta il martirio di SanfOrsola,
del papa e delle vergini, vittime della crudeltà degli Unni: ed è d'una
ingenuità che commuove. Vittime e carnetici sono pieni di gentilezza
negli atti, quasi si trattasse non di un massacro, ma di un giuoco.
// pfìlio del Re degli rimi.
Particolare di un quadro del (.' it*pai-fio. in cui il pittore probabilmente effiiiió se stesso.
La mite natura ond'era dotalo avrà, senza dubbio, impedito all' artista di
cominendere tutto l'orrore di quella scena. Tra le figure dei carnefici dà
particolarmente nell'occhio quella d'un giovane che, colpito dalla bellezza
di Orsola, lascia cadere la spada. Secondo la leggenda quel giovane è il
figlio del Re degli Unni, che innamoratosi della Santa, avrebbe voluto
salvarla, purché questa avesse acconsentito di divenire sua sposa. Ella
UAnrin_.VjHj
aiaturalmente ricusò. La somiglianza di questo giovane con un ritratto
d' ignoto di scuola veneziana nella Galleria degli Uffizi, induce gli
autori all'ardita, ma non improbabile, supposizione che in quel gio-
vane il Carpaccio abbia voluta ritrarre se stesso. Nella parte minore
del quadro sono rappresentali i funerali di Sant'Orsola.
Ti'a i per.sonaggi che seguono la bara, quelli vestiti del costume
dei patrizi veneti appartengono alla famiglia Loredan. La dama ingi-
nocchiata in un angolo del quadro è Eugenia Caotorta che fu moglie
di Nicolò Loredan ; il suo stemma, intrecciato a quello del marito,
figura sul piedistallo della colonna. Ell'era già morta prima che il
i|uadro fosse dipinto; per ciò il pittore l'avrebbe, secondo il costume,
rappresentata in disparte dei viventi e con in dosso u)i abito reli-
gioso, quello delle pinzochere, col quale ella avrà probabilmente desi-
derato di essere sepolta.
A coronare l'ammirabile ciclo, s'innalzava sull'altare ì;i [xila rap-
presentante la glorificazione di Sant'Orsola. Essa ricopriva nell'antica
cap]iel]a (juasi tutta la parete di fondo. L'architettura che vi è di])inta
figura un piccolo tempio, che formava, in qualche modo, la continua-
zione della semplice navata della cappella. Sant'Orsola sembra uscire
da un fascio di palme posto nel centro, mentre dal cielo discende
l'Eterno Padre per benedirla.
A destra e a sinistra sono inginocchiate le altre vergini vestite
dei sontuosi costumi delle patrizie venete, e fra l'una e l'altra si di-
stinguono i visi del principe fidanzato e del papa. In un gruppo di
tre bellissime vergini, nella piima fila a sinistra dello spettatole, l'ar-
tista avrebbe ritratto tre giovinette della casa Loredan e in quello di tre
uomini in piedi in un angolo, pure a sinistra, il (jastaldo, il vicario
e lo scrivano della Scuola, che maggiormente s'erano adoperati a van-
taggio delle pitture destinate ad ornare le pareti della cappella.
Tale, in breve, è l'ingegnosa e sapiente ricostruzione che il Molmenti
e il Ludwig hanno fatto dei quadri componenti il ciclo meraviglioso,
restituendo loro molte bellezze che il Carpaccio, col suo senso decorativo,
aveva saputo cogliere. Eseguita mercè l' opera accurata del inttore
Silvio Misinato sulle negative fotografiche dei quadri, essa è riprodotta
stupendamente nelle otto grandi favole che s'aggiungono al libro. 11
quale, e pel contenuto e per essere magnificamente stampato e adorno
di numerose e finissime incisioni, non potrà non essere accolto col
massimo favore da quanti, tra le mutazioni, le contraddizioni e le aber-
razioni dell'arte odierna, serbano tuttavia un culto a quel caro e glo-
rioso Quattiocenlo. del quale il Carpaccio, tra i grandi pittori vene-
ziani, è una delle piìi ingenue e dolci espressioni.
Antonio Zardo.
1 CAVATORI DI ARDESIA
I.
Grigia è la valle e son grigie le rupi,
Su cui, brandendo la ferrata mazza,
Batte e s' affanna la gagliarda razza
L'ardesia a disfaldar giù dai dirupi.
Rozze capanne in grigia e breve piazza
Sorgon dai fianchi di burroni cupi :
Le cave aperte son bocche di lupi:
Stride sui massi la rupestre gazza.
Non carezza d'amante o di fanciullo.
Non sorriso di elei, non ombra amica,
Non lieto canto sul granito brullo.
Sola, dinanzi, l' orrida nemica
Parete bigia e '1 ruinoso rullo
ni pietre e la titanica fatica.
11.
0 dolce sera, tu che apportatrice
Sei di riposo a quelle membra stanche.
Scendi, t' affretta, e persuadi airanche
Lasse la pace e alibruna ogni cornice.
Rosso licore e coltri molli e bianche
Essi non hanno: e pur non maletlice
L'accento lor, né sta vendicatrice
L'ira, che al ferro fa correr le branche.
Ma voi che, sparse qui, croci di legno.
Storia di morti e culto di viventi.
Siete d'umanità 1" unico segno.
Dite, dite a chi passa: Ai sofferenti
Amor, giustizia e di pii sensi il pegno.
Oh, nuovi raggi, aurore, a queste genti!
Chiesa di Val Malenco.
Alfredo Baccelli.
SUL L' IPPICA
PENSIERI E RICORDI
Capitolo I.
E già da tern|)o die, osservando il decadimento e la diminuzione
della nostra produzione equina, me ne vado rammaricando, anche
perchè tale fenomeno è tanto più deplorevole in quanto che vi è stata
un'epoca nella quale i cavalli italiani erano rinomati in tutta Europa
e. come ottimi ripioduttori, esportati all'estero.
Non è ceitamente la nostra terra, che rimarrà abbondante di pa-
scoli, finché non ci obblighino a distruggerli, ne la mitezza del nostro
clima che c'impedisca di otteneie migliori risultati dai nostri alleva-
menti del nobilissimo animale.
Le cause del decadimento sono molto e complesse, ma, a mio pa-
rere, tre sono le principalissime, cioè la ristrettezza di mezzi e l'igno-
ranza dei nostri allevatori, la nociva influenza dei proprietari di scu-
derie di corse ed i mal scelti aiuti ed incoraggiamenti dati dal Governo.
L'universale disagio dei proprietari ha fatto si che molti fra co-
loro che allevano cavalli han dovuto alienare le migliori fattrici, perchè
costretti a batfei'c moneta ni (pialuni[ue modo e così per la rii)rodu-
zione sono rimaste soltanto le più scadenti. Inoltre, in Italia, il Mini-
stero della Guerra, essendo il principale acquirente di cavalli ed esi-
gendo, per la rimonta dell'esercito, degli animali che abbiano raggiunto
una certa altezza, pensiero predominante di tutti gli allevatori è di-
ventato quello di produrre grande. La loro ignoranza poi li ha con-
dotti ad usare mezzi inadeguati allo scopo; hanno voluto ad ogni costo
stalloni grossi, senza preoccuparsi d'altro, e cosi, da animali linfatici
e male costruiti son venuti degli ippogrifl e non sempre grandi. I
pro|>rietari di scuderie da corse poi non giurano che pel puro sangue
inglese e lo considerano un istromento di un giuoco col quale si pos-
sono vincere ingenti somme, e più facilmente si può distruggere il
proprio patrimonio. Perciò hanno sopratutto in mira di sviluppare nel
cavallo una qualità sola, la velocità, perchè è con questa che si vin-
cono i grossi premi: né loro importa se tale pregio si ottenga anche
a detrimento di tutti gli altri. Le loro teorie in ippica sono adeguate
ai loro intenti, ma spesso opposte a ciò che si richiede per produrre
dei cavalli che rispondano ai bisogni più comuni e veri del paese.
Giacché, a tale effetto, non occorrono animali soltanto veloci, ma anche
202 sull'ippica
robusti, ben costruiti, fortemente membrati, resistenti alle inleiuperie
ed alla fatica, insomma animali nei ([uali vi sia un complesso di qua-
lità differenti, formanti una perfetta armonia.
ila i pio|)ri('tari di scuderie di corse vestono con i-icercata eleganza,
parlano perfettamente il gergo sixjrtivo della lingua inglese e con tali
pregi si sono saputi impoire ed hanno invaso tutte le Commissioni
ippiche, dalle quali si detta legge. La loro influenza però non ha ser-
vito ad altro che a riempire i Depositi degli stalloni governativi con
lo scarto delle loro scuderie di corsa, le quali poi occupano appena
il quinto posto fra quelle delle nazioni più progredite nell'ippica. Perciò
non credo di errare, ritenendo l'opera loro funesta al miglioramento
delle nostre razze cavalline.
Finalmente il Governo, almeno per quel che riguarda il Ministero del-
l'Agricoltura e Commercio, non si è mai occupato delle fattrici, dimen-
tico in ciò del parere degli Arabi, i ])iù antichi e valenti fra gli allevatori
di cavalli, i quali litengono essere le giumente il fondamento j)rimo
ed essenziale di ogni buona razza. Ma, se da quel Ministero nulla si
è fatto a tale scopo, so invece che qualche tentativo è stato iniziato
da quello della Guerra, che sta ricostituendo l'antica razza di Persano,
per fornire, a qvianto si dice, delle buone fattrici e cederle a prezzi di
favore ai privati allevatori.
Mi è noto che. a questo intento, hanno già riunito circa 200 cavalle,
e si son fatti jireslare dal Ministero di Agi-icoltura e Commercio gli
stalloni. Giiihilf- tiglio di Mcìtou e Jacnhello, proveniente dall'antica
razza Piacentini, tutti e due non certamente stalloni di prini'oi-dine.
Ma nulla di più preciso posso dire intorno alla ricostituzione della
razza di Persano, non essendo mai stato invitato a visitarla, come
nemmeno credo lo sia stato alcun altro intendente o amatore di cavalli.
Però, come sopra ho accennato, il Ministero di Agricoltura e Com-
mercio si è sempre limitato all'acquisto di stalloni ed alla loro distri-
buzione nelle varie stazioni di monta. Ma in ciò non ha mai avuto
un programma ben definito, non una linea di condotta prestabilita che
seguisse con perseveranza : si è sempre jiiegato a tutte le influenze che
si sono succedute ed incrociate. Ha conij^erato cavalli da corsa per
ingraziarsi gli sportsmen, ha acquistato degli hacknejjs per soddisfare
gli allevatori che volevano jirodurre grande ed ha cominciato tali ac-
quisti quando siffatti cavalli venivano abbandonati negli altri paesi
perchè se ne erano sperimentati i pessimi risultati.
Per solleticare la fibra patriottica si è messo ad acquistare cavalli
comunque fossero, purché nati in Italia; finalmente, accentuandosi
ovunque un movimento di ritorno ad ajiprezzare gli arabi, ne ha voluti
avere anch'esso, ma è andato a cercarli proprio nel paese ove non ve
ne sono. Così ha formato mia miscela eteroclita, che neppure ha saputo
distribuire con criteri razionali, ma l'ha disseminati nelle varie Stazioni
di monta, a seconda che predominavano influenze, non sempre ili per-
sone scientifiche in quel ramo.
Quest'estate passata ho avuto occasione di vedere il Deposito cen-
trale di stalloni governativi a Pisa, e sono rimasto esterrefatto dal
gran numero di rozze che vi ho trovato. Tale vista mi ha confermato
nell'antico mio convincimento che, cosi stando le cose, meglio sarebbe
sopj)iimerlo. Sono persuaso che. se ciò avvenisse, le nostre razze equine
ritornerebbero gradatamente all'antica loro ruvidezza, ma insieme
riacquisterebbero il tipo, l'eiiuilibrio delle forme, la robustezza e resi-
sull" ippica 203
stenza ali" intemperie ed alle fatiche, pregi che in passato ne formavano
la rinomanza.
L'importazione degli stalloni dall'estero certo diminuirebbe, ma quei
pochi che ancora si acquisterebbero, giova sperare, sarebbero migliori,
perchè comperati soltanto da privati allevatori, resi guardinghi dal
propiio interesse. In ogni caso è poco presumibile, che questi, anche
mettendoci della buona volontà, riescano a fare peggio del Governo :
perciò, a mio parere, l'azione governativa in questo ramo, anziché gio-
vare, è una delle principali cause del decadimento della nostra produ-
zione equina.
Ma, come ebbi a dire in Senato, il proporre la soppressione dei
Depositi degli stalloni governativi non condurrebbe a nulla, perchè
questi ormai formano una istituzione, intorno alla quale si sono abbar-
Stalione Rajah di razza Kohailan.
bicati tanti e sì svariati interessi, che non vi è più forza umana che
valga ad abolirli. Volendo essere pratici e giovare efficacemente agli
interessi dell'ippica, iiisogna contentarsi di cercare che gli attuali stal-
loni vengano gradatamente rimpiazzati da migliori, che gli acquisti
siano fatti con criteri più razionali, e venga eseguita con migliore
discernimento la loro distribuzione nelle varie Stazioni di monta.
Con tale intendimento ho spesso esposte le mie idee, scrivendo e
pronunciando discorsi, ma presto mi sono accorto che per questa via
non approdavo a nulla, giacché nessuno leggeva i miei scritti e le mie
parole le portava via il vento. Allora ho tentato un altro mezzo, quello
cioè di influenzare, se era possibile, con privati colloqui, quei ministri
«he, per il loro speciale ufficio, dovrebbero interessarsi più particolar-
mente dell'ippica.
E perciò due anni or sono jio avuto un colloquio col generale
Ponza di San Martino, allora ministro della Guerra. Dopo avergli esposto
gli ottimi risultati, che nella provincia romana si erano avuti in pas-
sato dall'incrocio di cavalle indigene con stalloni arabi, gli proponevo
l'acquisto di tali cavalli, per adibirli alla riproduzione nell'alleva-
204 sull'ippica
mento, che il Ministero della Guerra stava allora ripristinando nella
tenuta di Persane. Ma, essendo cosa ditticilissima poterli acquistare n
Oriente senza l'appoggio di qualche personaggio altolocato, gli proposi
di inviare un incaricato, al quale avrei dato lettere di presentazione
per illustri personaggi che avevo conosciuto in Gerusalemme, quando
vi andai or sono alcuni anni, e mediante rinlUienza dei quali avevo
potuto acquistare un hello stallone dell" illustre razza dei Kohailan,
chiamato Rajah, che ho poi importato in Italia.
Come ognun sa, sulle opposte sponde del mar Morto o lago Asfal-
tide, cessa la Palestina e incominciano le stc minate lande dell'Arabia,
ove tribìi nomadi vanno vagando: da li i capi Beduini scendono con-
tinuamente in Terra Santa, per scortare le carovane o accompagnare
privati viaggiatori, che bramino andar sicuri nelle varie gite che si
faiiuo nei luoghi ricordati dalla Bibbia. Ma se è tacile vederli montati
sui loi'o superbi destrieri, altrettanto
è difficile il persuaderli a distarsene
e. come ho detto, ciò non si ottiene
se non per l'intluenza preponderante
di qualche persona altolocata: avevo
pelò fiducia die l'inviato del Governo
italiano avrebbe potuto otter.erlo me-
diante le mie lettere.
Quando ebbi finito di parlare mi
jiaive che il ministro accogliesse con
l)enevolenza la mia proposta; però,
era\anio pi'ossimi alla chiusura del
Parlamento e, non essendo l'estate
stagione piopizia per andare in quei
luoghi, convenimmo di riprendere i
nostri discorsi ad ottobre e che allora
per parte del Ministero si sarebbe
l)resa una risoluzione definitiva.
Intanto ebbi a recarmi in Unghe-
ria per miei piivati interessi, e non
lungi dalle terre che vi possiedo mi
capitò di visitale un l)ellissimo alle-
vamento di cavalli a base di puro sangue arabo, impiantato da cinque
o sei anni soltanto dal signor Leopoldo Pfeiffer di Orlowniak, che lo
iniziò acquistando dall'ora dismessa razza del re di Wiirtemberg uno
splendido stallone, chiamato Anmrad, e quindici o sedici madri di
puro sangue arabo.
Essendo rimasto colpito dalla bellezza dei prodotti di questo nuovo
allevamento, mi proposi di segnalarlo al nostro Governo, perchè even-
tualmente vi avrebbe potuto fare degli acquisti altrettanto buoni e
adatti allo scopo, (pianto quelli che si importano dilettamente dal-
l' Oriente. Ma. al mio ritorno in Roma, trovai che tutto era cambiato;
al Ministero della Guerra non si pensava ])iìi ad acquistare stalloni
per la razza di Persano, invece il generale Berta era stato mandata
da quello di Agricoltura e Commercio a ricercarne, ma non più in
Siria o in Palestina, come avevo proposto, bensì in India.
Rimasi meravigliato a tale notizia, né sapevo darmi ragione del
perchè i cavalli arabi si dovessero ricercare nell'India, anziché nel
loro paese d'origine.
Leopoldo Pfeiffer di Orlowniak.
sull'ippica "20b
Nell'estate passata poi, aveiulo avuto occasione di visitare, come
ho detto, il Deposito centrale degli stalloni governativi in Pisa, mi
sono accertato che s'era commesso un grave errore a mandare in
India, giacche, vedendo i cavalli riportati dal generale Berta, in nes-
suno di essi potei riscontrare i caratteri distintivi dei nobili corsieri
dei deserti dell'Arabia. Pure mi fu detto che quelli erano i migliori,
e che i rimanenti sparsi in diversi altri Depositi erano di gran lunga
più scadenti. Figuriamoci che cosa mai dovevano essere!
La sfavorevole impressione che ne ebbi è stata poi indirettamente
confermata dal Consiglio ippico, che ha proposto di scartarne alcuni,
e dai privati allevatori, che ne hanno rimandati diversi, non stiman-
doli adatti per la monta.
Malgrado tale insuccesso, il Ministero di Agricoltura e Commercio
quest'anno ha mandato nuovamente in India per acquistarvi cavalli
StullMiif Allunali.
arabi, e questa volta vi ha inviato il capitano Airoldi. lo stesso che
l'anno passato aveva riportato dalla Siria e dai paesi limitrofi splen-
didi animali acquistati per S. M. il Re. Parrebbe incomprensibile che
il detto capitano sia stato inviato in India, anziché nei paesi ove la
sua missione aveva incontrato pieno successo, se non si sapesse che
spesso le decisioni della nostra burocrazia sono prive di qualimque senso
pratico (1).
Ma riprendiamo il filo della nostra narrazione. Quando nell'otto-
bre tuoi ritoinai a Roma, trovai che l'on. Baccelli aveva assunto
il portafoglio dell'Agricoltura. Industria e Commercio. Mi affrettai ad
andarlo a visitare e gli segnalai l'allevamento del signor Pfeiffer, ove,
a mio parere, avrebbe potuto trovare eccellenti stalloni arabi. In
(1) Questi eavalli sono arrivati in Italia o stanno ai Deposito di Santa Maria
di Oapua: non avendo avuto l'occasione di vederli, non potrei dare su di essi
un giudizio mio personale ; però, da amici, mi è stato riferito che sian peggiori
di quelli acquistati anteriormente dal generale Berta.
206 sull'ippica
sej?uito a tale notizia, l'on. Baccelli inviò il cav. Alessandro Pia-
centini in Ungheria, col mandato di stendere un rapporto intorno
a detto allevamento. E tale relazione, essendo riuscita favorevole,
vennero acquistati poi due stalloni, che ora trovansi al Deposito di
Pisa, cioè: Marko, cavallo di tre anni, puro-sangue arabo, baio dorato,
e Ssamer, mezzo-sangue arabo, baio ciliegia, j)ure di tre anni.
Fermandoci un poco intorno a questo primo acquisto, si potrebbe
chiedere perchè il signor Alessandro Piacentini abbia segnalato per
la compra un cavallo di mezzo sangue, sapendosi che dai puro-sangue
soltanto si ha certezza di ottenere un tipo costante nei prodotti.
Ed eccone la ragione: Tallevamento del signor Pfeilfer è ristret-
tissimo e, quando lo visitò il Piacentini, non v'era disponibile che un
puro-sangue; non volendosi limitale a questo solo, ha dovuto per
forza segnalare anche un mezzo-sangue. Però, quello che egli ha scelto
è, come suol dirsi, cosi vicino al sangue, ossia prodotto da sì numerosi
incroci, che vi ha ogni probabilità che anche i suoi prodotti siano
di tipo costante ugualmente a quelli dei puro-sangue. Perciò non
potrei biasimarlo per quest'unico esperimento; ma per l'avvenire con-
siglierei sempre, per maggior sicurezza, di attenerci esclusivamente ai
puro-sangue.
Qui non sarà fuor di proposito il dare qualche spiegazione del
perchè un allevatore tanto intelligente, qual'è il Pfeiffer. si sia dato di
preferenza alla produzione dei mezzo-sangue. Ciò è avvenuto perchè
non siamo stati noi soli a commettere degli errori in ippica; pei me-
desimi sono passate più o meno tutte le altre nazioni, ed anche l'Un-
gheria. Lì pm-e è venuta la smania delle corse; lì pure hanno creduto
di far bene, incrociando le loro razze indigene con cavalli da corsa.
Ma i cavalli autoctoni dell' Ungheria, ajipartenendo per la massima
parte ai così detti Jiirkcr. animali di molto lirio. resistentissinii, ma di
forme alquanto sottili, tale incrocio ha portato di conseguenza un as-
sottigliamento eccessivo, sicché ora in Ungheria cercano di reagire
contro gli errori commessi, di correggere quanto hanno fatto di male
e nel momento la loro principale preoccupazione è quella d'ingrossare
le ossa dei cavalli. Credono di raggiungere meglio lo scopo, impiegando
a preferenza stalloni di mezzo sangue arabo ; quindi tali riproduttori,
essendo più licercati, sono quelli che raggiungono prezzi ]iiù elevati,
e ciò spiega a sufficienza perchè il signor Pfeiffer s" attenga special-
mente a produrre tali cavalli nel suo allevamento. In quanto poi al
decidere se gli Ungheresi abbiano scelta la migliore via ]ier raggiun-
giungere l'intento, non ho sufficienti cognizioni e notizie per potermi
pronunciare. In ogni caso non spetta a me di definire la questione.
Credo che il primo acquisto fatto pel nostro Governo in Ungheria
abbia incontrato favore. Benché nessuno me ne abbia mai parlato, lo
desumo dall'avere il ministro Baccelli dato in settembre nuovamente
incarico al Piacentini di recarsi in quel paese per comperarvi due altri
cavalli. Questi, come ebbe avuta tale commissione, venne a trovarmi
ed avemmo insieme una conversazione sull'argomento, nella (piale gli
dissi che mi sembrava inutile si recasse ancora dal Pfeiffer. poiché già
conosceva perfettamente lo stato di quell'allevamento, né aveva bisogno
di ulteriori notizie intorno al medesimo e che in ogni caso, per farvi
dei nuovi acquisti, conveniva attendere la prossima primavera, epoca
nella quale soltanto i suoi iniledri avrebbero raggiunti i tre anni. Ed
aggiunsi che in Ungheria, oltre questo, non mi erano noti altri alleva-
-tali..,,.. ]l,irl,,
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é» m
■ .,^-^'''-^^''*ésm^
Stallone Szamer.
■208 sull'ippica
menti di arabi, fuorché quello governativo di Babolna; ina die non vi
ero mai stato, e lo conoscevo soltanto di nome e di reputazione. Gli
consigliai di andarlo a vedere, benché avevo poca speranza vi po-
tesse riuscire a concludere qualcosa, perchè i prodotti di Babolna non
sono destinati ad essere venduti, bensì a sopperire ai bisogni interni
dell'Ungheria, e talvolta soltanto se ne cedeva qualcuno ad un Governo
estero per cortesia internazionale. Quindi se a Babolna non avesse tro-
vato il fatto suo, gli suggerii di proseguire il suo viaggio, recandosi
nella Russia meridionale, ove sapevo che esistevano antiche e rinomate
razze di cavalli orientali appartenenti ad alcuni miei parenti ])olacchi.
Ciò mi fece sorgere l'idea di accompagnarlo nel suo viaggio e met-
tere in esecuzione un antico progetto, che varie circostanze mi ave-
vano sino allora impedito di c;)mpiere, quello cioè di andare a far vi-
sita a questi miei parenti nei loro possedimenti.
Credo che tale mia proposta sia stata riferita al Ministero di Agri-
coltura e Commercio, peichè poco dopo ricevetti una lettera ufticiale
del Ministro, nella (juale mi invitava ad accompagnare il Piacentini
in Russia e a facilitargli con le mie
relazioni 1" esecuzione del compito
che gli era stato affidato. Accettai
il mandato offertomi, e nei primi
dello scorso settembre. Piacentini ed
io partimmo da Roma e per la via
d'Ancona e Fiume ci recammo di-
rettamente a Budapest. Lì, per jirima
cosa, andammo dal signor dottore
.1. l)aritn\i. ministro ungherese per
l'Agricoltura ed il Commercio: questi
ci dette il {ìeruiesso di visitare lo sta-
bilimento di Babolna e gentilmente
ci concesse di acquistarvi uno stal-
lone di puro sangue arabo per conto
del Governo italiano.
11 giorno appresso, partivamo per
Babolna e vi giungevamo dopo tre
ore di ferrovia; alla stazione ci atten-
deva una carrozza, alla quale erano
attaccati quattro bellissimi cavalli
orientali di quella razza, che in po-
chi mimiti ci conducevano al centro dello stabilimento ippico, ove
fummo ricevuti dal direttore, colonnello Fadlallah.
Condotti da lui, visitammo tutti i fabbricati, comprese le vaste
scuderie, e ne ammirammo la razionale costruzione, fatta egregiamente
ma con grande semplicità e senza alcun lusso. 11 colon elio ci mostrò
pure i riproduttori e la numerosa schiera di puledri : debbo confes-
sare che il momento non era favorevole per visitare questa razza,
essendosi la medesima lasciata decadere alquanto, in questi ultimi
tempi, per mancanza di buoni stalloni arabi. L'anno passato s'eran
ridotti ad averne uno solo e ancora questo arrivato all'età di ventidue
anni, il vecchio Ohajan, superbo esemplare di arabo puro-sangue, i
cui prodotti però non han sempre corrisposto a quanto si poteva al-
ili.
sull'ippica '209
tendere da lui. perchè alcuni sono venuti leggermente curvi sulle gambe
davanti, altri un poco sottili di stinchi.
Finalmente il Governo ungherese si è deciso a mettere riparo a
tale inconveniente e l' inverno passato inviò quel direttore a fare nuovi
acquisti in Oriente : avendo in lui la persona più adatta che per tale
incarico si potesse mai desiderare, giacché il colonnello Fadlallah è
arabo egli stesso. Molti anni or sono, era venuto fanciullo a Babolna,
conducendovi un cavallo acquistato in Oriente, e da quel tempo vi è
sempre rimasto. Entrato nella milizia, ne ha percorso tutti i gradi fino
a quello di colonnello, ed in tale qualità è stato nominato direttore di
quella razza governativa.
Egli, dunque, nell'inverno lOOl-Wtì ha fatto un viaggio in Oriente,
trattenendovisi per circa .sei mesi, percorrendo tutto il paese ed inol-
trandosi fino alle rovine di Babilonia : ne ha potuto riportare sei stal-
loni e nove cavalle di puro sangue arabo, il numero più grande di codesti
animali clie tutti in una volta siano stati mai esportati dall'Oriente.
Debbo alla sua cortesia di aver iiotuto procurarmi le fotografie di
alcuni dei più belli esemplari dei suoi acquisti, che qui riproduco.
Osservando queste illustrazioni si può rilevare che, come uella
seconda figura, il tipo di quel cavallo si scosta alquanto da quello che
abitualmente presentano gli arabi. Qui la statura dell'animale è più
alta, le fattezze più robuste e la testa presenta una curva leggermente
montonina. Ho appreso dal colonnello Fadlallah che tali fattezze si
riscontrano fra i cavalli delle razze dell' interno dell'Asia e trovansi
più specialmente nei dintorni di Babilonia, mentre quelli appartenenti
alle tribù della costa hanno invece il tipo che siamo stati abituati a
vedere. Ebbi pure da quel Colonnello molte altre interessanti notizie
intorno ai cavalli, che non mi accingo a riferire, perchè ciò mi con-
durrebbe troppo oltre, e mi farebbe varcare gli stretti limiti che mi
sono imposti in questo scritto.
Però non voglio tacere quant'egli rispose al quesito da me postogli,
se era opportuno ricercare cavalli arabi in India, risposta che autore-
volmente confermava l'antico mio convincimento in proposito.
« Vedete. - egli mi disse - non tutti i cavalli che provengono dal-
l'Arabia sono discendenti d'illustie genealogia o appartengono a grandi
famiglie, come dicono gì' indigeni e quali li ricerchiamo per miglio-
rare le nostre razze. Che, anzi, nel paese stesso di loro origine, codesti
esemplari sono rarissimi. Non si esportano in India, perchè colà non
ve ne è richiesta, non essendo gli Inglesi allevatori di cavalli arabi.
« Egli è vero che dall'Arabia vi mandano ogni anno numerosissimi
cavalli, ma questi sono d'alti-o genere : sono di minor sangue e adatti
a pronto servizio, quali li richiedono gli ufficiali delle guarnigioni bri-
tanniche, oppure piccoli jjoueys adatti pel giuoco del jjolo, che è assai
in voga in quelle contrade.
« Il signor Bliint è 1' unico che in Inghilterra allevi cavalli puro-
sangue» arabo ; ma questi è andato in Arabia e non già in India per
acquistarvi i capi-stipiti della sua razza ».
Avendo trovato a Babolna un numero scarsissimo di cavalli di
puro sangue arabo, pensammo che nelle condizioni attuali sarebbe
stato indiscreto di sottrarne anche una alle esuberanti richieste dell'in-
terno dell'Ungheria stessa, e declinammo la gentile concessione. A tale
risoluzione ci spinse anche Tessere i cavalli di Babolna relativamente
cari, cosa del re^to giusta, vista la rinomanza della loro provenienza.
14 Voi. evi, Serie IV - 16 IngUo 1903
■^tallone Sherife.
Stallone Kohailan-Rashid.
stallone Kmtiur,
Stallone Hadxsali-.
'ali sull'ippica
Ma per noi l'acquisto di un solo cavallo avrebbe esaurita la te-
nuissiina somma messaci a disposizione dal Governo, e quindi pren-
demmo il divisamento di proseguire il nostro viaggio di ricerche,
avviandoci per la Russia meridionale. La nostra meta diventava dunque
quella di arrivare nelle terre dei miei parenti polacchi: mi era noto
che le loro proprietà trovavansi nella provincia di Ukrania, ma ne
ignoravo l'esatta ubicazione e non sapevo se presentemente vi dimo-
rassero, giacciiè fra me e loro esistono queste strane relazioni : benché
in ottimi rapporti d'amicizia, data la lontananza dei paesi nei quali
abitiamo, passano degli anni senza ch'io sappia dove stiano,' né loro
quel che accada di me.
Conoscendoli poi poco amanti di scriver lettere e spesso anche
negligenti a rispondere, pensai che avremmo perso inutilmente il tempo
ricercandoli per corrispondenza ed avremmo fatto piìi presto recandoci
direttamente a Kiew, città capitale dell' Ukrania, dove potevamo facil-
mente rintracciarli a furia di telegrammi; ciò che poi ci riuscì con
successo.
Dunque ritornati a Budapest ci recammo subito all'ufficio Cook
per assumere informazioni intorno al viaggio che avevamo da (-om-
piere. e per prendere i biglietti. Ignaro della lunghezza delle distanze
che si percorrono in Russia, quale non fu la mia sorpresa apprendendo
elle per andare da Pest a Kiew occorievano 48 ore di ferrovia! Ne
fui dispiacentissimo, perchè, mentre compio con molta facilità i lunghi
percorsi in mare, quelli in ferrovia mi sono in uggia ])el continuo
scotimento del treno che mi urta i nervi.
Ma ormai non v'era da indietreggiare e, come volgarmente si
dice, eravamo in ballo e conveniva ballare.
Così l'il di settembre 1903 montavamo in vagone alla stazione
nord di Budapest ed il giorno .seguente, alle 8 di mattina, arrivavamo
a Leml)erg. Lì vi erano alcune ore di fermata ; ne piofittammo per
andare a far colazione in città. Non conoscendo alcuno che ci potesse
servire di guida, capitammo, per indicazione di un facchino della
stazione, in un piccolo albergo di quinfordine, ove ci servirono un
deplorevole pasto del piìi pretto stile polacco. Poi disgrazia volle che,
essendo differente l'ora della ferrovia da quella della città, ci sbagliammo
ed arrivammo in ritardo alla stazione quando il diretto delle due, che
dovevamo prendere, era già partito.
Convenne aver pazienza ed aspettare quello omnibus delle 9.50
di sera per proseguire il nostro viaggio. Impiegammo quelle ore che
ci restavano di forzata permanenza a visitare Lemberg e ne percor-
remmo le strade die sono lastricate con pessimi ciottoli, disagiata-
mente, parte a piedi e parte in carrozza.
Malgrado ciò non posso riferire molto intorno a quella città, né
saprei dire altro se non che é prsta in una situazione pittoresca,
appare del tutto moderna, con grandi case costruite di recente, con
eleganti botteghe. Le sue larghe vie sono sempre gremite di gente:
tra la folla si incontrano moltissimi ebrei con due lunghi boccoli che
scendono dalle tempia, e vestiti nel loro tradizionale costume che asso-
miglia alle lunghe sottane dei preti.
* *
Ripreso il treno verso le 9 di sera, alle 3 dopo mezzanotte arri-
vammo alla frontiera e lì ci colpì il vedere che tanto gli addetti alla
dogana, quanto quelli della ferrovia eran vestiti in uniforme militare,
slll" IPPICA 213
portavano berretti bianchi con visiere in cuoio ed avevan alti stiva-
loni: in Russia tutto è organizzato militarmente. Dopo avere minu-
tamente osservato i nostri passaporti e guardato con attenzione se tra
le nostre carte ed i nostri libri nascondevansi scritti o stampati d'in-
dole sovversiva, ci fecero entrare in una gran sala d'aspetto, fornita
d'un eccellente buffet.
In Russia tutte le stazioni, anche le più piccole, hanno di qiiesti
buffet, sempre allestiti con ottime vivande : forniti di carne di ogni
specie e di pesci eccellenti, provenienti dai numerosi fiumi che solcano
le terre del vasto Impero, né manca mai il caviale, specialità russa per
eccellenza. Ma ciò che servono continuamente e che i Russi sorbiscono
ad ogni istante è del thè senza latte, versato in bicchieri di cristallo,
messavi entro una fetta di limone. 11 bicchiere di thè in Russia equi-
vale alla tazzettina di caffè dell'Oriente.
Le rotaie delle ferrovie russe sono a scartamento più largo delle
altre: credo per porre im impedimento ad ogni possibile invasione
dall'estero. Per conseguenza i loro vagoni sono più grandi e comodi
di quelli del resto d'Europa. Vi ci adagiammo confortevolmente : non
tardammo a prendervi sonno e ci svegliammo soltanto alla levata
del sole.
Appena fattosi chiaro potemmo vedere 1' aspetto del paese: tra-
versavamo la piccola Russia, eravamo nell'Ukrania, oi'a utticialmente
denominata Governo di Kiew. Queste lande erano primitivamente abi-
tate soltanto da nomadi cosacchi : furono dominate anticamente prima
dai Lituani, poi possedute a vicenda dai Turchi, dai Tartaii. e dai
Polacchi, e disputate da questi con continue guerre, finalmente an-
nesse alla Russia, formano ora parte integrale di quell'Impero. Questo
paese deve la sua rinomanza in Europa specialmente al i)oema di
Byron. intitolato Mazeppa, nel quale il nobile Lord canta le avven-
turose gesta del protagonista che, giovine paggio, venne sorpreso da
un gran signore polacco in amoroso colloquio con la di lui moglie.
L'offeso marito, per vendicarsi, lo fece legare, spogliato d'ogni vesti-
mento, sul dorso di un indomito cavallo, che lasciato libero, traversò
tutta la ste]>pa con vertiginosa corsa e non s'arrestò che quando fu
giunto alla mandria dalla quale traeva origine : lì, estenuato, cadde
morto.
1 nomadi cosacchi sciolsero Mazeppa, lo raccolsero morente, colle
loro premurose cure lo richiamarono a vita, sicché egli presto ria-
cquistò le forze e la salute. Fissatosi fra costoro, prese parte alle loro
guerre, vi si segnalò per senno e coraggio, tanto che finalmente lo
elessero atamanno o loro duce supremo. Dopo molte vicende, già vec-
chio, si alleò al Re Carlo XII di Svezia, ne seguì le imprese, finché
ne condivise la disfatta finale nella battaglia di Pultawa, ove l'eser-
cito di quel monarca fu completamente distrutto dai Russi. Da questo
punto il nobile Lord prende le mosse del suo poema, ed immagina
che il re e Vataiiiuiiiio, fuggiaschi, si siano ricoverati sotto una quercia
per passarvi la notte seguente al giorno della loro sconfitta e che Ma-
zeppa, onde alleviare l'insonnia di Carlo XII. gli racconti questo dram-
matico episodio della sua giovinezza.
Dunque traversavamo la cosi detta steppa che ho nominato più
sopra, ma l'aspetto attuale ne è ben diverso da quello che presentava
ai tempi di Mazeppa. Allora quelF immensa pianura era coperta sol-
tanto da erba selvaggia e la percorrevano nomadi cosacchi, spingen-
(214 sull'ippica
dovi le loro mandrie d" indomiti cavalli. Ora II vergine seno della
stejipa è stato solcato ovunque dall'aratro; vi si produce quella enorme
quantità di grano, che poi, caricato sulle navi alla costa del mar Nero,
viene ogni anno a riversarsi nei porti Italiani per sopperire alle nostre
deticienze di frumento. Oltre ai campi di grano, si vedono ancora vasti
appezzamenti lùcopertl di barbabietole: tale coltura è recente, e si è
estesa coll'Impianto di numerose fabbriche di zuccliero, la cui produ-
zione ha subite gravi oscillazioni che sono state causa di rapide for-
tune, (juanto d'Ingenti rovesci.
La pianura della Russia meridionale assomiglia tanto a quella
dell'Ungheria quanto alla Pampa argentina. Soltanto quella dell'Un-
gheria presenta un aspetto assai meno grandioso, essendone lo spazio
molto più ristretto, mentre la pianura Argentina, per la sua stermi-
nata grandezza e per l'enorme larghezza dei fiumi che la solcano, im-
pressiona assai più ed apparisce più maestosa ancora. Però mentre la
Pampa argentina e la pianura ungherese sono assolutamente livellate
e piatte, la steppa russa è leggermente ondidata ed In ciò assomiglia
più alla campagna romana. Ma le ondulazioni della pianuia russa non
raggiungono mai l'elevazione di quelle dell'Agro romano, ove In certi
punti appaiono vere colline. In tutti e due si osserva, meno alcune
piccole selve, l'istes.sa totale assenza di piante, e per gli alberi gli
abitanti della Piccola Russia sembrano avere la stessa antipatia che
hanno i nostii contadini e gli uni e gli altri danneggiano e distruggono
le piantagioni che qualche ])roprietario intiaprendente tenta iniziarvi.
Il clima dell' Ukrania, è freddissimo d' inverno ed assai caldo
d'estate: i cambiamenti di temperatura vi sono rapidi, tantoché all'an-
data avemmo un'atmosfera tropicale e pochi giorni dcjpo, al ritorno,
soffiava una brezza rigidissima. In questa vasta pianura i venti si
scatenano furiosamente e comuni vi sono gli uragani : verso la calata
del .sole assistemmo allo spettacolo pittoresco e grandioso di uno di
questi uragani che s'innalzò ad un tratto. Le case dei contadini sem-
bravan tremare sotto l'azione del vento, i rari alberi piegavano quasi
fino a terra le loro frondose cime, la jiolvere che ric()])re le strade s'in-
nalzava In vortici simili a trombe marine e l'eiba. agitata dal vento,
l)areva la superficie del mare quando s" increspa sotto 1" azione della
brezza mattutina. Poi si fece notte e le tenebre ricoprirono il maestoso
spettacolo; alle nove di sera giungemmo alla stazione di Klew. Li sa-
limmo in un drojki, tipico genere di carrozze, sjteclale alla Russia. Il
drojki è un legno bassissimo, al quale è attaccato un solo cavallo con
un finimento singolare, sormontato da un grande arco In legno. Lo
giuda un cocchiere, generalmente grasso, vestito con un lungo sopra-
bito che pare una sottana e porta in capo un cappello a cilindro colle
falde arricciate.
Con questo veicolo traversammo quasi Inteiameide la città, tra-
ballando sui ciottoli, onde le sue strade sono lastiicate. finché ci fer-
mammo alla porta del Grami Hotel. Entrati in (piesf albergo, osser-
vandone la disposizione interna, jiarvemi che assomigliasse a quella
degli Hotels deirAinerica meridionale e mi rammentò sjìecialmente un
albergo della città di Rosario, ove ero sceso alcuni anni or sono. Ma
forse vedevo così soltanto perchè l'aspetto della steppa mi aveva vi-
vamente risvegliato I ricordi dell" Argentina.
Dopo breve refezione, ce ne andammo a ri])osare. contenti di poter
dormire finalmente in letti che stavano fermi, senza più sentire le
sull'ippica 215
oscillazioni della ferrovia. Riuianemnio un intero giorno a Kiew, e lo
impiegammo a visitarne le principali curiosità. Prima però di riferire
i miei ricordi, dirò che Kiew è chiamata la madre di tutte le città della
Russia ed anche la Gerusalemme di quell" Impero, per le sue cata-
combe, per i suoi santuari e le sue chiese, frequentate sempre da un
numero grandissimo di pellegrini, i quali, durante le feste, che hanno
luogo dal lu luglio al 15 agosto, ascendono talvolta fino a 150,(HH).
Per chi volesse poi conoscere in succinto la storia di questa città,
trascrivo il breve sunto che trovasi nella Guida del Baedeker:
« Kiew fu fondata da Kii, Chtchek e Khoriv, tre fratelli della
razza dei Poliani. Alla loro morte, Askold e Dyr, variaghi del seguito
di Rurik, s'impadronirono di quel piincipato. Oleg, successore di Ru-
rik, occupò Kiew neirSSi^, facendola sua capitale. Ben presto vi fu
introdotto il cristianesimo e nel 988 il principe fece battezzare i suoi
popoli. La città fu assai importante sotto .laroslav I: ma, alla sua
morte (10.Ó4), cominciò la decadenza e le lotte civili. Fu distrutta quattro
volte negli anni 11B9, 1171. 1^204 e h24(): quesfultima dai Tartari, che
poi ne furono cacciati nel 1320 da Ghedimin, principe lituano.
« Nel 1483 di nuovo fu distrutta dal Khan di Crimea Mengli-Ghirel;
ma presto venne rialzata ed ottenne da Sigismondo I il diritto di
Macjdehurrjo nel lóKi. 11 metropolita Michele Logosa adottò l'Unione,
ma Pietro Moghila ristabili 1' ortodossia nel KiSl. Kiew passò alla
Russia nel 1631 ».
Kiew è attualmente una città di circa 280.()tM» abitanti; è posta in
una situazione pittoresca, la divide il fiume l)nie])r, che in quel tratto
ha una larghezza che varia da 360 a 530 metri : a destra s' innalza
sopra una collina che ascende fino a 90 metri sid livello del fiume: a
sinistra si stende in pianura. È fortitìcata: sede di un governatore di
provincia, di un generale comandante un corpo di aimata e di un
metropolita, ha un'università ed una scuola politecnica. È venerata
per le numerosissime sue chiese e luoghi santi; ma sopratutto è una
città eminentemente commerciale ed accentra il traffico di tutta la
Russia meridionale.
A Kiew adunque rimanemmo un giorno, e. condotti da un dome-
stico di piazza, audanunoa vederne le curiosità più rimarchevoli. Inco-
minciammo dal museo, che è di recente istituzione ed è posto in un
grande edificio moderno, costruito in istile neo-ellenico, le cui sagome
tentano arieggiare quelle d'un tempio greco. Nelle sale del pianterreno
sono disposte le collezioiM di antichità; visitandole, non vi ho tro-
vato nulla di rimarchevole, interessanti però sono degli oggetti sciti,
provenienti da scavi locali. Ma, per apprezzarli e quindi descriverli,
converrebbe avere studi speciali che non possiedo. Nelle sale superiori
poi vi è una galleria di quadri, la quale mi appari essere al disotto
del mediocre.
Da li ])assammo alle catacombe di Lavra; la chiesa che vi sta
sopra è dedicata all'Assunzione. Questa è di origine antichissima, però
venne distrutta da un incendio nel 1729. Fu poi ricostruita nello stile
barocco, che era di moda in quel tempo: all'interno è ricchissima per
sovrabbondanza di decoiazioni e di dorature. Quando vi entrammo vi
si celebrava una funzione sacj-a. era gremita di pellegrini e vi risuo-
navano i canti rituali della liturgia ortodossa, i- quali per la bellezza
della musica e la perfezione della esecuzione sono meritamente rino-
mati. Sono un intreccio di sole voci senza accompagnamento istru-
!216 sull'ippica
mentali, come nelle nostre cappelle papali in Roma. Tali canti hanno
un carattere originale, un'impronta prettamente nazionale, che, a chi
li ascolta per la prima volta, producono un grandissimo etìetto.
In sacrisi ia incontrammo un grosso frate. A^estito di una lunga
sottana nera, che, all'uso ortodosso, portava in capo una mitria tonda,
dalla quale scendevano lunghi veli. Era seduto accanto ad un tavolo
coperto di ceri : mediante una piccola oblazione egli vi presenta una di
queste candele ; accesala, si scende a visitare le catacombe. Queste
sono posteriori di qualche secolo alle nostre. 1" introduzione del cri-
stianesimo in Russia non rimontando oltre il 9tKt. Come le nostre,
sono composte di lunghi cunicoli scavati sotteira: vi si ricoveravano
i primi cristiani in Russia, ugualmente a quanto facevano in Roma
molti anni jìrima.
A fianco di questi cunicoli vi sono delle celle, scavale nel masso,
che servirono anticamente per dimora ai romiti : ora vi hanno de-
positali dei corpi santi, racchiusi entro sarcofaghi foderati di broccato
all'interno e ricoperti all' esterno di lamine d" argento con ornati la-
vorati a shaho. Fra le leggende che corrono intorno alle storie dei
santi romiti, ve ne ha una singolarissima ed è quella di un tale Gio-
vanni, detto il Sofferente, il quale pretendono sia per mortificazione
vissuto treni' anni sepolto sino al collo. Ignoro quanto vi possa essere
di vero in tale racconto ; ciò non pertanto vi mostrano una lesta
sporgente dal suolo, sulla quale hanno messa una nùtria e ve la ad-
ditano come quella del suddetto santo, lasciatovi semisepolto nella
stessa posizione in cui visse.
Dalle catacombe di Lavra ])assammo a vedere il cimitero moderno;
questo è posto in cima alla più alta collina che si elevi entro la cinta
di Kiew. 11 panorama che si gode da quella elevazione è veramente
splendido; la vista vi si estende non solo sull'intera città, ma anche
sidla campagna che la circonda ed il Dniepr appare come un nastro
d'argento che serpeggi tra verdi pianure, tinche s'inoltra entro l'abi-
tato e divide Kiew in due parti. Ma, se da quel cimitero la veduta che
si gode è rimarchevole, non lo son punto le tombe ed i monumenti
moderni che riempiono questo asilo della morte.
Poco lungi da li, in mezzo ad una piazza, vedemmo una statua eque-
stre di bronzo sopra un piedistallo di granilo, che rappresenta l'ata-
manno dei cosacchi Bocidan Klemnitshìj, che visse dal 1593 al 1(557 e
compì l'annessione della Piccola Russia alla Grande. Tale statua mi parve
un'opera d'arte rimarchevole. L'alamanno vi è rappresentato nell'alto
di arrestare d'un tratto il suo focoso destriero, nelle cui sagome si
riscontra tutta la nobiltà del puro sangue arabo. L' artista che lo ha
eseguito ha dimostrato di essere un profondo conoscitore della struttura
del cavallo, dote che assai di rado possiedono gli scultori moderni.
Molte altre piazze sono pure ornate di statue monumentali, rappre-
sentanti santi ed imperatori; ma fuori di quella del citato duce dei
Cosacchi, nessuna mi sembrò degna di nota.
Santa Sotia. la cattedrale di Kiew, è insigne monutnento di arte
bizantina. In questa città vi sono pure altre chiese che contengono
interessanti esem]ilari di quello stile, e che sarebbero state meritevoli
di esser vedute ; ma la ristrettezza del tempo non ci consentì di visitare
che quella sola, e ricordandola dirò che Santa Sofìa venne fatta inalzare
dal duca di Russia Jaroslaiv e fu costruita dal 1020 al 1037, che è di
forma rettangolare, misura 54 metri di lunghezza e 36 di larghezza, è
sull'ippica 217
sormontata nel centro da una gran cupola di forma schiacciata ad arco
evaso, all'esterno è dorata e la circondano molte altre piccole cupole
che hanno la stessa sagoma. AH' interno, l'abside è decorato con un
gran mosaico in campo d'oro, che ricorda, per la tipica rigidità delle
figure, le parti più antiche dei mosaici di S. Marco in Venezia, nonché
quelle delle chiese di Ravenna ; sui lati vi sono soggetti sacri dipinti
all'encausto: le figure di questi sono, per tipo, contemporanee a quelle
dei mosaici. Dal peristilio s'innalza una gian scala, che coniluce a un
ballatoio che nell'interno gira intorno alla chiesa; le pareti di questa
scala sono pure ricoperte di pitture all'encausto: ma è curioso notare
che le medesime non rappresentano più santi o soggetti biblici, bensì
vi sono etBgiati balli, scene di caccia ed animali fantastici, bizzarrie
che si riscontrano spesso nelle produzioni dell'arte di quei tempi.
Dalla basilica di Santa Sofia, passammo a visitare una chiesa tutta
moderna, quella di S. Vladimiro, costruita dal 1862 al 1896. È un
grande edificio fabbricato con molto sfarzo e ricchezza di materiali:
all'interno è ornato con pilastri e riquadrature di Tnarmi di vari colori.
Artisti russi ne hanno decorato tutti gli spazi lasciati vuoti, dipin-
gendovi santi, scene bibliche e fatti storici, fra i (juali primeggiano
due pitture, in grandi riquadri, le quali raffigurano l'una la conver-
sione di S. Vladimiro, l'altra il medesimo santo che assiste al batte-
simo dei suoi popoli
Queste pitture mi fecero bellissima impressione: vi riscontrai po-
tenza di composizione, correttezza nel disegno e molta grazia ed
armonia nel colorito. Mi apparvero portar 1" impronta di un carattere
affatto nuovo, essere l'espressione di un'arte eminentemente nazionale.
Tali dipinti sono una manifestazione della ettlorescenza che ora sta
germogliando rigogliosa jìer tutta la Russia, tanto nelle arti belle,
quanto nella letteratura e nelle scienze, sintomo di un potente risveglio
intellettuale, prodromo di futiua trasformazione della razza slava. Ma,
se tali sintomi appariscono chiari, è impossibile misurarne fin d'ora
tutte le conseguenze che ne seguiranno e distinguere ciò che a quei
popoli serba l'avvenire.
Terminata così la visita dei più interessanti monumenti, impie-
gammo il resto della giornata a percorrere in ogni senso le strade di
Kiew, per avere un' idea dell'aspetto generale della città.
Tornato all'albergo, trovai dei telegrammi, dai quali appresi che
tanto la mia zia Branicka. quanto il mio cugino Ladislao, ci atten-
devano con ansia e mi dicevano di recarmi a Bieloczerckiew, piccola
città, che dista di tre ore di ferrovia da Kiew e piesso alla quale sono
situate le loro proprietà.
(Conlinna).
Baldassarre Odescalchi.
LE PIÙ ANTICHE CIVILTÀ DELL'ITALIA
Chiunque consideri quale fosse la scienza delle antichità in Italia
«inquant'anni sono, deve riconoscere che, nello studiare il problema
delle più antiche civiltà del nostro paese, si trascuravano allora ele-
menti di capitale importanza (1).
Di quei giorni, tutto quanto di antico veniva in luce e non era
pregevole pel lavoro o per la materia, ove non fossero monumenti
scritti, si restituiva spesso al suolo dal quale era uscito. Le cure degli
archeologi erano ancora più che altro l'ivolte a decorare i musei con
quanto di nobile e di splendido avevano prodotto le età gloriose.
Nessuno si dava pensiero delle intere pagine, che della loio vita e
della fede loro le più lontane generazioni hanno stampato nei luoghi
di abitazione, o pietosamente composte nei sepolcri.
Fu Bartolomeo Gastaldi, il nostro rimpianto collega, che nel 1861
ci schiuse nuovi orizzonti e ci additò la via da seguire {"ij. Fu quel forte
intelletto di Gaetano Chierici, troppo presto rapito alla scienza, che
c'insegno poco dopo ad eseguire gli scavi archeologici con metodo rigo-
rosamente scientifico, ad osservare i più minuti particolari di ogni
fatto, a studiare le antichità nelle loro relazioni col terreno ove stanno
«epolte, a distinguere strato da strato, a cercare il coordinamento di
essi e a svolgerli e a interpretarli come le pagine di un libro (3).
Una volta dimostrato che l'Europa fu abitata dall'uomo innanzi
all'età geologica nostra, parve si avessero documenti della sua esi-
stenza in Italia tino dalla terziaria, ma nulla lo prova. Le ossa del
pliocene di Colle del Vento, giudicate umane, fiuono liconosciute di
un antropoide; lo scheletro d'uomo di Castenedolo, creduto pliocenico,
per poco non è risorto con una fede di nascila dei nostri giorni; eie
incisioni sulle ossa di balenottero di Monte Aperto sono rimaste il
semplice testimonio della voracità dei carcarodonti (4).
Talune delle nostre contrade furono ad ogni modo fra le prime
in Europa percorse dall'uomo durante l'età quaternaria, nello stesso
tempo che la penisola iberica, la Francia, le isole britanniche e il
il) Diil discorso che l'A. tcnm> iiirAccaileraiii dei Lincei nella seduta so-
lenne del 7 giugno.
(2) Nei Bend. ci. Accademia dei Lincei (CI. di se. mor., yoI. XI, pag. 348 e segg.),
ho ricordato i nomi e le opero dì coloro che qua e là in Italia fecero scoperte
od osservazioni di speciali fatti paletnologici anteriormente al Gastaldi, a partire
dal secolo xvi.
(3) Gaetano Chierici e la paletiioìoqia italiana, appendice al Bull, di Paletn.
Ital., 1880.
(4) Bull, di Paletn. Itul.. a. TU. pag. 90: a. XIII, pag. 08; a XY, pag. 89.
LE PIÙ ANTICHE CIVILTÀ DELL"IT.\LIA 219
Belgio. Soltanto, al di qua delle Alpi, rimasero dapprincipio deserte
le isole e le pendici occidentali dell'Appennino. Quella prima gente
visse all'aperto e nomade con gli elefanti e con gli ippopotami. Innanzi
però che gli elefanti fossero scomparsi, altre famiglie erano giunte che
lavoravano in diverso modo la pietra, e trovavano ricovero nelle ca-
verne o ai piedi delle rupi che strapiombano. Fu allora che altre
regioni europee furono occupate dall'uomo, fra le quali l'occidente
della nostra penisola e la Sicilia (1).
D'onde erano venute quelle famiglie'' Nello stato attuale della
scienza si può ajipena arriscliiare la ipotesi che provenissero dall'Af-
frica le più antiche, poiché dal Marocco e dall'Algeria, giù fino al
Congo e alla Somalia, i primi prodotti del lavoro umano sono quelli
stessi, tipici, che nell'Europa occidentale stanno sepolti alla maggiore
profondità nelle alluvioni quaternarie. E se, giudicando dalle armi e
dagli utensili di pietra rimasti, vogliamo figurarci la civiltà che rap-
presentano, il pensiero corre a quello che sono i nativi delle vergini
foreste dell'Australia, a quello che erano gli indigeni della Tasmania
prima che la « Guerra Nera » li sterminasse.
Con la misera vita di quei selvaggi si apre 'la storia dell'Italia,
se può chiamarsi storia la notizia di un passato al quale non arriva
la memoria dell'unuinità. Tuttavia se di quelle anticliissime genera-
zioni manca ogni ricordo, ne rimasero distinti a lungo i discendenti,
lasciandone il testimonio nelle sedi occupate. Cadeva la Repubblica
Romana e nell'alto Veronese, sui Alonti Lessini. persistevano semi-
selvaggi i tardi nepoti delle prime famiglie calate dalle Alpi (2).
Se si ripetesse o perduiasse nell'età geologica nostia, sia pure
solo in parte, ciò che vi fu di più caratteristico nella i)recedente, forse
il naturalista non può dire completamente. 11 cultore dell'archeologia
primitiva ad ogni modo non si abbandona certamente a un puro volo
della fantasia litenendo, che mentre i primi abitatori dell'Occidente
si spingevano fino ai fjords del Jutland e delle isole danesi, presen-
tando sul Baltico il quadro della vita attuale dei Fuegini, e turbe di
Iperborei, seguendo il renne attraverso il Belgio e la Francia, arriva-
vano ai Pirenei e alle Alpi, l'Italia si allietava di una nuova luce. A
dei selvaggi, non dissimili nella vita dall'Australiano, si sovrappose
una immigrazione che occupò non il solo continente, ma pur le isole,
e che nella scala della civiltà uguagliava sotto vari aspetti la ftimiglia
polinesiana quale apparve agli esploratori olandesi.
S'inizia allora l'età che diciamo neolitica (3). Sui piani e sui colli,
dalle contrade lombarde alle spiaggie del .Ionio, sorgono villaggi di
capanne circolari mezzo sepolte nel terreno, abitate da famiglie dedite
alla pastorizia. Fra i monti invece si riparano anche nelle caverne,
t'he però più spesso occupano per asilo dei morti che per ricovero dei
vivi. Fabbricano con la pietra armi ed utensili, ma sono levigati e di
(1 1 In Itiilia il materiale paleolitico presenta solo i tipi detti chelléen o inoii-
stérii'ii chf caratterizzano distinti giacimenti, il secondo dei qnali è meno antico
dell'altro ed assai più diffuso. Cfr. Bull di Paletn. Hai., a XXVIII, pag. 15S e segg.
(2) Bull, di laletn. Hai., a. XVI. pag. (51.
(3) Per quello che risguarda l'età neolitica e l'eneolitica, che ne è la conti,
nuazione. reggasi l'importante lavoro del Colini. // sepolcreto di Remedello, che
si pubblica nel Bull, di Paletn. Ital.. a partire dalla. XVI : in esso sono pure
citate le molte pubblicazioni italiane e straniere relative alle dette età.
2i^0 LE Pir ANTICHE CIVILTÀ DELL'ITALIA
rocce non tutte forse del paese. Dove poi, nelle inchistrie. palesano
una singolare eccellenza, gli è nella ceramica, sorprendente per la
tecnica, per le forme e per le decorazioni.
Con quelle famiglie appariscono i primi sepolcri. 11 rito funebre
è quello della inumazione, e al cadavere, deposto come nomo che
riposi sul fianco piegate le ginocchia, o nella attitudine del feto, quasi
per esprimere la fede in una risurrezione, si associa quanto Festinto
aveva di necessario in vita. In alcuni casi si tumulavano le ossa
scarnite, come fra i Taitani e fra i nativi delle Andaman. applicando
talora alla faccia del cranio la maschera funebre, segno di riconosci-
mento e di onore nel mondo degli spiriti. Talvolta i superstiti tratte-
nevano un osso in ricordo del morto, se non per un concetto animi-
stico, oppure, se egli in vita aveva subita la trapanazione flel cianio.
per guarire da quella che fu detta « la malattia sacra », si tagliavano
rotelle craniali quali talismani che ne preservassero i vivi.
Né solo questo ci rivelano i pi'imi sepolcri. Nelle pianure si afli-
davano gli estinti alla nuda terra e tra i monti alle caverne, ma dove
era possibile si scavavano le tombe nelle rupi, costruendosi cosi il
più antico monumento del continente europeo. Per solito somigliano
a un angusto forno, e vi si entra scendendo ali" ingresso per un breve
declive o per un pozzetto cilindrico. In pianta disegnano la figura
della casa, e pel garbo delle curve, per la finezza della scarpellatura.
sono quanto di più iierfetto nel genere si possa eseguire con l'ascia
di pietra.
Gli avanzi di quella lontana età certamente non attestano un pro-
gresso locale dello stato anteriore, né accennano ad una civiltà len-
tamente introdottasi. Qua e là. con ciò che avevano di proprio,
restavano i vecchi abitatoli, e in mezzo ad essi apparvero improvvisa-
mente usi e costumi, arti e industrie senza relazione col passato. La
scena mutò d"un tratto, sicché nel quadro abbiamo la immagine di
una nuova immigrazione, della quale il cultore dell'archeologia pri-
mitiva non può pronunziare il nome. Egli vi dice soltanto che dovette
approdare alle spiaggie meridionali, se fra gli oggetti di ornamento,
portati con sé e abbandonati nel suolo delle capanne e delle caverne,
lasciò i gusci del mollusco delle perle e della Mitra oleacea. Sono
miseri avanzi, ma rispondono eloquentemente a chi non disdegni di
interrogarli e svelano le vie dell'Oriente. Né deve sembrale inverosimile
la traversata del Mediterraneo sopra dei canotti nell'età della pietra.
In condizioni uguali i Polinesiani si portarono sul Pacifico, distenden-
dosi dalla Nuova Zelanda, alle Sandwich e all'isola di Pasqua, un
triangolo di circa 05 gradi per 85, e soltanto quelli delle Isole della
Società, al secondo viaggio di Cook, avevano una fiotta di 17(lU ca-
notti con 08,000 uomini di equipaggio.
L'Asia Anteriore come la Minore, le isole dell'Egeo come l'Egitto,
ebbero la civiltà neolitica pari alla nostra : la stessa acropoli di Atene
ha dato di recente un sepolcro che vi appartiene: ma di tale civiltà
si ignora ancora la sorgente, né sappiamo da qual punto partissero
coloro che la portarono nell'Occidente. Questo é certo, che non solo
le famiglie stabilitesi in Italia, ma pur le altre spintesi ai lidi più
lontani parteciparono ai progressi di quelle rimaste oltre il Mediter-
raneo orientale, e al pari di esse impararono a fondere il rame.
L'introduzione dell'uso del rame segnò la fine della pura età neo-
litica, ma non la chiuse d'un tratto. Non fu che assai lentamente
LE PIÙ ANTICHE CIVILTÀ DELL "ITALIA 221
che le primitive condizioni ebbero a trasformarsi, tanto lentamente
«he oggi ancora, in Italia come altrove nell'Europa, rimane un filo
che ci lega a quel remotissimo passato. L'errore popolare di attri-
buire alle armi di pietra una origine celeste, credendole generate dal
fulmine, è la persistenza di una superstizione che sale alla piìi alta
antichità italica e greca, e anche allora non era che l'eco di una ar-
monia morta da secoli (1).
Non è possibile dire in breve quello che divenisse la civiltà neo-
litica col nascere della metallotecnica, quali i rapporti che stringevano
l'uno all'altro i vari centri abitati su tanta estensione di paese. Gli usi
e i costumi del jieriodo anteriore non mutarono sostanzialmente, ma
ebbero maggiore sviluppo le industrie, specie la ceramica, si molti-
plicarono i tipi delle armi e degli utensili di pietra del più squisito
lavoro, e si spandevano per ogni dove prodotti di contrade dispara-
tissime. Arrivava nella Lombardia l'argento lavorato dalla penisola
iberica, e nell'Italia media e nella inferiore alle armi del paese se ne
aggiungevano altre, forse originarie delle sponde del Nilo, quali si
rinvennero ad Ilio e nell'Alto Egitto.
11 segno più solenne peraltro della civiltà che si svolgeva allora
nel bacino del Mediterraneo, e fino all'estremo Occidente e al Nord,
l'abbiamo nello sviluppo delle grotte funerarie scavate nelle rupi e
nei monumenti megalitici, la cui semplicità misteriosa e la rozza
g:randiosità colpiscono tanto più vivamente la nostra immaginazione,
in quanto manca la speranza di svelarne il significato.
Erano templi all'aperto quegli enormi circoli di monoliti"? Erano
■colossali felici, o dovevano rammentare gesta gloriose quegli informi
blocchi che isolati o disposti in file si levano al cielo? La storia loro
è perduta, e sappiamo soltanto che si collegano coi dolmen, gigan-
teschi sepolcri che per la suppellettile e pei rito funebre hanno lo
stesso valoie delle grotte scavate nelle rupi. Una grotta aitificiale
•eneolitica dell'Italia ])arla il medesimo linguaggio di un dolmen del-
l'Andalusia, della Bretagna o della Drenthe. E qua e là sulle loro
pareti sono talvolta scolpiti i segni che non solo le industrie, ma
pur le idee religiose legavano quelle antiche popolazioni dell'Europa
alle più lontane dell'Asia. Le figure dell'ascia iramanicata e della
donna ignuda, rappresentate in alcuni dolmen e in alcune grotte del-
l'Occidente, sono il riflesso di uguali simboli venerati fino nell'Asia
Anteriore.
1 monumenti megalitici e le grotte artificiali, nel loro insieme,
formano una corona die chiude l'Europa centrale, nella quale si può
■dire non siavene traccia, tanto clie bisogna correre dalle sponde del-
l'Elba alla Crimea e al Caucaso prima di incontrare di nuovo i dol-
men. Del fatto sono state ]iroposte le più disparate interpretazioni,
ma non è forse diffìcile di spiegarlo, ove si tenga conto di un- note-
role avvenimento che nello stesso tempo si compiva nell'Europa
centrale.
Dal Wiirtemberg e dalla Savoia alla Baviera ed all'Austria s'im-
piantavano allora entro i laghi le prime stazioni lacustri. Pur queste
•ci rivelano un popolo che associava dapprincipio l'ascia piatta di rame
agli strumenti di pietra, sicché non è dubbia la sua ajiparizione al
termine dell'età neolitica, ma nulla ci autorizza a credere che fosse
(1) Cartailhac, L'àffe de pierre dans les souvenirs et sBperstitions populaires.
222 l.E Pir ANTICHE CIVILTÀ DELL ITALIA
uscito dalle famiglie che già occupavano il nostro continente. Esso
non vive in capanne sparse, né in caverne, bensì in centri limitati e
popolosi che hanno carattere di città. Inferiore ai vecciii abitatori
nella ceramica, li avanza nella copia e nella varietà di altre indu-
strie. Possiede numerosi armenti, e nei terreni circostanti coltiva su
vasta scala il lino e il grano. Non lo eccita il pensiero di eternare
in alcun modo la sua memoria : certo egli non ha scolpito sulle rupi
il segno del suo passaggio, né ha inalzata ]>ur solo una pietra che
lo rammentasse alle generazioni future. La sua storia è scritta sol-
tanto nei ritìuti della vita quotidiana, oggi coperti dalle acque o
dalle torbaie.
11 mutarsi improvviso della scena nel cuore dell" Europa rivela
senza dubbio una nuova gente, la quale do\ ette arrivare per la Valle
del Danubio, invitata dalla lunga distesa di laghi. All' intorno rima-
sero indipendenti le popolazioni antiche, e furono queste che lascia-
rono il testimonio della potenza loro non interrotta nei monumenti
megalitici (1) che. specie al Nord, si continuarono ad inalzare per
lungo tempo, e del cui signiticafo rimase traccia fin tardi nel culto
alle pietre, fieramente colpito da editti di Childeberto. Carlomanno,
Caiiomagno e da fulmini dei Concili di Arles, Tours, Nantes e Toledo (3).
Ma la barriera delle Alpi non limitò a sud il dominio dei nuovi ve-
nuti, e valicate le giogaie lepontine scesero nella Lond)ardia, ne' occu-
parono gli stagni e i laghi, con la sede forse principale in quello di
Varese. Di quei giorni l'Italia e le isole, importa di rammentarlo,
erano popolatissime da genti di diversa origine, alcune con la civiltà
neolitica, altre, e in numero maggiore, con quella caratterizzata dal-
l'uso del rame.
La prima invasione lacustre nell'Italia dilatò via via i propri
confini, superando a ponente il bacino d'Ivrea e toccando il Chiese
a levante: a sud si distese fin dove erano conche allagate acconce
per nuove sedi, senza giungere alle rive del Po. E in progresso di
tempo sarebbero cadute nel suo dominio anche le regioni subalpine
orientali, se non fosse sopraggiunto il popolo destinato a fondere in
uno i vari elementi della penisola e a compiere la propria missione
sulle rive del Tevere.
Etnicamente doveva (piesto avere origine comune con quello dei
laghi centrali, perchè eguale ne era la maniera di vita, perchè gene-
ralmente simili ne sono le industrie. Per esso è certa la provenienza
dalla Valle del Danubio, a motivo degli avanzi lasciati lungo la via (3).
Poneva come l'altro le stazioni sopra le palafitte, ma anche fuori dei
laghi e degli stagni; e dobbiamo a questo se ce ne rimangono inoltre
i sepolcri, che presentano un rito funebre affatto nuovo, quello della
cremazione. Non aveva interamente abbandonato l'uso di armi e di
utensili di pietra, portava con sé il bronzo che sapeva fondere mira-
bilmente, e traeva l'ambra dal Baltico. Gli erano sconosciuti l'argento
e il ferro, ma non si può dire altrettanto con certezza dell'oro. Emi-
grava in giorni nei quali fiorivano le splendide civiltà dell'Oriente,
tuttavia non è chiaro se e quali relazioni avesse con l'una o con
(1) Jiend. d. Accad. d. Lincei, ser. 4". voi. VI. 1" som., pag. 192.
(2) Nadaillac, Les premiers ìiommes et ks temps préhistoriqnes. toL I, pag. 14.
(3) Questo venne osservato fino dal 1877 {J/em. d. Accad. d. Lincei, CI. di
se. mor., ser. 3", voi. I, pag. 309j.
LE PIÙ ANTICHE CIVILTÀ DELL' ITALIA 223
l'altra. In ciò che ha lasciato di quel periodo non vi ha nulla, almeno
fin qui, che rammenti l'Asia Anteriore, e scarsi o di dubbio valore
sono gli indizi di rapporti con l'Asia Minore e con 1' Egeo.
Pervenuto nella Croazia, nella Moravia e nella Bassa Austria sì
distende come un ventaglio, e al sud, proseguendo tra i monti, con
un ramo passa sulla Bosnia (1), e con un ramo diverso scende nel
Veneto, ne popola i laghi tuttora disabitati, e poiché questi non
bastano si diftoiide fuori di essi, popolando il Mantovano e i tenitori
orientali del Bresciano e del Cremonese. Xè ([ui si arresta. A diffe-
renza delle prime famiglie lacustri varca il Po, invade l'Emilia, e sale
su per i colli subapennini fino a toccare le alture di Porretta.
Uscito dalla schiatta che edificava le abitazioni sui pali, non ab-
bandonò l'antica usanza qualunque fossero le condizioni del luogo. Si
posasse nelle pianure o sui colli costruiva religiosamente la palafitta,
che costituiva il carattere nazionale delle proprie stazioni. Sono opera
sua e di cpiel lontano periodo le terremare della bassa Valle del Po,
forse il più importante monumento della pura età del bronzo in tutta
Europa, pel quadro completo che ce ne mostra, e di altissimo valore
per noi, come quello che ci svela l'origine della civiltà italica, ci dà
il filo per interpretare e coordinare antichissime tradizioni rifiutate
come leggende, e ci guida a risolvere il problema della fondazione di
Roma.
So di dir cose troppe volte ripetute, ma poiché l'avere chiarita
nelle terremare la prima pagina notevole della nostra storia è tutto
merito di studiosi italiani, confido che non si vorrà tenermi in colpa
se ricordo le particolarità caratteristiche di quelle stazioni.
Fin qui abbiamo incontrato selvaggi nomadi, o società più pro-
gredite ma jiur sempie primitive, o popolazioni come quelle dei laghi
lombardi, relativamente avanzate, le cui reliquie però non permettono
di formarci un concetto pieno della loro organizzazione sociale. Nelle
terremare invece ogni dato rivela norme, leggi, riti che si mantengono
e si svolgono nelle età posteriori.
Esse non disegnano in pianta la figura che il caso porti; sul monte
o nel piano sono sempre quadrilatere con forma di trapezio, in origine
determinata nelle pianure dalla ragione idraulica di avere nell'angolo
acuto il partitore dell'acqua che allagava la fossa: trapezoidale era la
Roma quadrata, e più tardi trapezoidale si costrusse la favissa del
tempio di Vesta, perchè il tempo rende spesso venerabile e perpetuo,
sia pure come simbolo, ciò che ne viene dalle passate genera-
zioni. Chiudono le terremare un argine di terra circondato da fossa,
e aggere e fossa cingevano la Roma Serviana. Per determinare il peri-
metro delle loro stazioni i terramaricoli scavavano nel vei-gine un
solco, e cum aeueo vomere, secondo la tradizione, i popoli storici
dell'Italia tracciavano con un solco il pomerio. Le terremare sono
orientate con orientazione primaverile che prova la stagione in cui si
impiantavano: orientate erano le città italiche, e si ha pur sempre la
tradizione delle primavere sacre. Un unico ponte, di solo legno, mette
(1) La suzione di Dòii.ja Dolina sulla Sava, ad esempio, trova riscontro
nella terramara Castione dei Marchesi in provincia di Parma {Glasnik Zema-
Ijskoy Mmeja n Bosni r Hcrcegovini. voi. XIII, tav. I-YIII: voi. XIV. tav. I, II.
Cfr. con gli Atti d. Accad. d. Lincei, Mem. d. CI. di so. mor., ser. 3", voi. TIII,
tav. II-IV della terramara di Castione).
'224 LE PIÙ ANTICHE CIVILTÀ DEIX'lTALIA
alle stazioni dei terramaricoli : in Roma il Ponte Sublicio è mantenuto
di legno senza chiodi, affidato fin tardi alle cure dei Pontifices, ai
quali se ne attribuiva la prima costruzione. Nelle terremare le case,
quadiilatere, sorgevano entro insulae rettangolari, divise da cardini
e da decumani, che perfettamente corrispondono in ogni particolare
alle norme seguite dappoi e prescritte dai Gromatici per le castra.
Perfino l'unità di misura accertata nelle teriemare. salvo una insignifì-
caute ditterenza, ripete nella lunghezza il piede romano. .Ma v'ha di più.
Nel bel mezzo del lato orientale delle terremare s'incontra un'aiea
limitata, enorme costruzioiie di legno e di terra, un femjjhini nel
significato jirimitivo della parola, l'arce, il germe del foro e del pietorio,
nel centro della quale si apre una piccola fossa clie ci |)orta coi pen-
siero al mtmdìis della città romulea. E nei pozzetti chiusi da tavole,
che stanno nel fondo e sono incavati nel vergine, abbiamo forse la
origine di quei misteriosi pozzetti ai giorni nostri scoperti nel Comizio
sul Foro Romano (1).
E se ci muove il desiderio di sapere quale onore si rendesse agli
estinti dal popolo delle terremare. ci si para innanzi il quadro delle più
povere neciopoli che pieseiili l'Italia antichissima. 1 cadaveri venivano
cremati fuori dell'abitato, e ivi le poche ossa rimaste fra le ceneri si
raccoglievano in rozzi ossuari tenuti allo scoperto, privi di qualsiasi
corredo (2). In città di legno edificate sopra pali non era possibile accen-
dere roghi: di qui la necessità di compiere all'esterno i riti funebri,
di qui. se non m'inganno, l'origine del costume che più tardi la legge
sanziona col precetto: Hominem mortiinm in urbe neve sepelito, neve
urito. Oh ! non è certamente casuale il meraviglioso riscontro che le
città italiche dei tempi storici trovano in quelle ond'era sparsa la bassa
Valle del Po nel secondo millennio av. Cr.
1 palafitticoli, chiamiamoli cosi, nell'età alla quale siamo giunti,
formavano due gruppi nell'Italia superiore, l'occidentale che non oltre-
passava il Po. e l'orientale che giungeva alle vette dell' Appennino (3).
Le terremare spettano esclusivamente al secondo. L'uno e l'altro non
laminavano il bi-onzo, lo fondevano soltanto e in fogge svariai issime,
non sempre però eguali in una regione e nell'altra, e la copia più varia
dei tipi appartiene al gruppo orientale. Caratteristica in amendue è la
mancanza assoluta di segni che accennino a scrittura e di ogni indizio
(1) Per le particolarità caratteristiche delle terremare, così del monte come
■del piano, e per le analogie fra di esse e le città italiche dei tempi storici, vedi
specialmente : Atti d. Accad. d. Lincei. CI. di se. mor.. ser. 3", voi. Vili, pag. 265
e segg. - Read. d. Lincei, Ci. di se. raor.. voi. II, pag. 832 segg. e pag. OOó segg. -
Monnin. antichi d. Lincei, voi. I. pag. 121 e segg. - N^ot. d. scavi 1902, pag. 4ò0
e segg.; 1898. pag. 232 : 1893, pag. 9^e segg. : 189Ì5, pag. 57 e segg. ; 1897, pag. 132
e segg. : - Bull, di Paletn. Ital., a. XII, pag. 1 e segg. ; a. XIX, pag. 103; a. XXI,
pag. 73 e segg. ; a. XXIII, pag. 56 e segg. ; a. XXIV. pag. 296 e segg. : a. XXVI,
pag. 1.51 e segg. - Helbig, Die Italiker in der Poehene. 1879.
Il primo peraltro ad osservare le particolarità di costruzione delle terremare
e a notarne le relazioni con lo più antiche città italiche fu Gaetano Chierici
con l'opuscolo Le antichità preromane della provincia di Reggio nell' Emilia, pub-
blicato nel 1871.
(2) Bull, di Paìetn. It., a. XVI, pag. 21 e segg.
(3) Le prime e alquanto estese osservazioni sui due gruppi orientale e oc-
cidentale delle palafitte subalpine si hanno nei Momim. antichi dei Lincei, voi. I,
pag. 145 e segg.
LE PR- ANTICHE CIVILTÀ DELI. ITALIA 2^ii>
di arte tìgurata : la stessa decorazione geometrica si riduce a pochi e
semplici elementi non di rado isolati. Ma negli strati superiori delle
terremare compariscono rozze figurine fìttili, più spesso di animali, e
fibule di bronzo, arnese affatto nuovo, le une e le altre di tipi che si
incontrano nelle isole dell'Egeo.
Circa in quel momento rimane disabitato il Lago di Garda, e via
via sono abbandonate la Lombardia orientale e 1" Emilia occidentale.
Fosse raumentata potenza die li confortasse a tentare nuove con-
quiste, fosse il proposito di partecipare ai benefizi degli attivi com-
merci che le popolazioni dell" Egeo esercitavano specialmente con la
Sicilia, fatto sta che i terramaricoli uscirono in forte numero dalla
Valle del Po. si stesero a sud delfAppennino, e arrivarono sino alle
sponde del Jonio. Tuffai più si chiudeva allora il secondo millennio.
La via percorsa dovette essere quella fra le alture del versante
orientale delLAppennino. Ne sono indizio i prodotti industriali propri
dei terramaricoli che si sparsero fra le genti neolitiche ed eneolitiche
delle Marche e degli Abruzzi e rimasero sepolti fra gli avanzi delle
loro capanne. Di ciò invece non si ha traccia fin qui nell'Etiuria. Jla
a parte la questione della via tenuta, l'accennata antichissima emi-
grazione è certa. Inducevano da tempo ad ammetterla le palafitte
scoperte presso Oftìda nel Piceno, a Castelvenere nel Beneventano, a
Pertosa in quel di Salerno, e oggi se ne ha la prova la j)iù evidente
nella terramara di Taranto (1).
Si trova questa sopra lo Scoglio del Tonno, dove giunge apjjena
l'acqua che scende dal cielo, tuttavia non si lasciò di costruire la
palafitta e di circondarla con Faggere e con la fossa. Si risentivano i
benefizi della civiltà micenea attestati da talune reliquie rinvenute,
ma i bronzi che si fusero sul luogo, ma le ceramiche che ivi si pla-
smarono sono le .stesse della bassa Valle del Po. Dinanzi a quel
materiale archeologico pai' di studiare l'età del bronzo del Lago di
Garda o delle provincie dell' Emilia. Nelle contrade prossime gli an-
tichi abitatori mantenevano il rito funebre della inumazione in grot-
ticelle a forno; dove invece si era posata la nuova gente, come a
Timmari nel Mateiano, i sepolcii erano poverissimi ed esclusivamente
di cremati.
E quando, fra il .\ e l' viii sec. av. Cr., per gli elementi fecon-
datori venuti dall'Asia Minore, dall'Egeo e dalla Grecia, la civiltà
dei terramaricoli erasi trasformata in quella che si convenne chiamare
della prima età del ferro, nelle nostre contrade meridionali almeno
si abitava ancora sulle palafitte, come dimostra quella assai estesa
che si viene ora scavando sul Sarno nella Campania. Del resto non
vi ha in ciò nulla che debba sorprendere. Anzitutto fino ad oggi non
si avevano notizie delle stazioni italiche della prima età del ferro,
non essendo state mai, non dico esplorate, ma nemmeno cercate. Poi
si ripete pur qui uno dei tanti casi di persistenza dell'antico, che
presenta la storia di ogni civiltà, di ogni famiglia, di ogni razza: e
il fatto della Valle del Sarno non rimane isolato in Europa. Megabizo.
nel VI sec. av. Cr., non riusci a sottomettere i Peonii della Tracia
perchè abitavano sui pali nel lago di Prasia. le legioni di Traiano
incontrarono i villaggi sulle palafitte tra i Daci, i Ganci della Frisia
(1) Nof. ti. scali 1900. pag. 411 seg. - Bull, di Paletii. Hai., a. XXVI. pag. 6
e seg. ; a. XXVII, pag. 12 e seg.
] 5 Voi. evi, Serie TV - 16 luglio 1903.
:J'2l) l.E l'ir ANTICHE CIVILTÀ MEI.l/lTAl.I.V
li mantenevano al cadere dell'Impero, e sul Laf>o di Paladrù nel di-
jìartinienlo dell' Isère duravano ancora ai }>iorni dei Carolingi (I ).
Dalle spiafige tarantine alla Sicilia il tiagitto è breve, eppure i
conquistatori delle contrade nieiidionali non lo tentarono e gli abi-
tanti dell" Isola continuarono a vivere di vita propria e indipendente
fin) alla colaniz/azione greca. E come gli emigrati dalla Valle Padana
non passarono sulla Sicilia, così non occuparono alcun'altra delle
isole. Erano giunti per la via di terra, e mai, nei giorni ai ((uali mi
riferisco, percorsero qnella del mare. Ecco, in breve, ciò cbe oggi il
))aletnologo può diie delle civiltà dell'Italia anteiiori al primo mil-
lennio av. Gr.
So di non avere presentato un quadro completo, ma per ottenerlo
occorrono più estese esplorazioni. Non sono certamente pochi i pro-
blemi di archeologia primitiva italiana ri.soluti o quasi negli ultimi
quarant'anni, ma di altri si può dire non sia nemmeno cominciato
lo studio. Ignoiiamo ancora, ad esempio, quali fossero le condizioni
deirEtruria e dell'Umbria, allorché i terramaricoli stavano alle sor-
genti del nostro Reno e si dirigevano inoltre alle regioni meridionali,
il materiale delle arcaiche tombe dei Colli .\lbani e deirEsqinlino.
per le qnali si rendeva facile di presagire la scoperta di t(uelle coeve
del Foro Romano e di altri punti del Settimonzio. ha mostrato da
tempo che la civiltà laziale trae origine dalla bassa Valle del Po, ma
le scoperte frequenti e casuali di oggetti caratteristici dei terramari-
coli, che avvengono nella Sabina e nella Marsica, rimangono sterile
invito a rintracciare su quelle alture gli anelli che mancano alla ca-
tena, la quale mette capo ad Alba Longa e alla Roma quadrata.
Gli è principalmente a colmare lacune simili, e altre potrei ci-
tarne, che devono essere rivolti gli studi e i mezzi, se vogliamo che
l'arclieologo presti il più alto servizio che da esso si possa attendere,
quello cioè di concorrei-e col glottologo e con Io storico a scoprire
come sia nata e cresciuta la nazione italiana e a mettere bene in
chiaro le ragioni di quanto ha prodotto attraverso i secoli, affinchè
dal confronto del passato col presente abbia essa gagliardo conforto
a perseverare nella missione che le venne affidata'.
LlKil Pkìorixi.
(1) Oltre al fatto notissimo dei Peonii riferito da Ei-odoto, veggasi : per la
Dacia, CiCHORlL's. Die Traiaiissiiiile, tav. XX. XL, XLI; per la Frisia, Bull, di
Paleln. Ital., a. VII, pag. 110 e seg.. e Dirks. De Terpen viin Friculand ; pel lago
(li Paladrù, Chantre, Les palafittes on coiistnictions lavniitres dn lac de Paladrn.
JVIATERNITA
DRAM.MA I\ QUATTRO ATTI
ATTO TERZO.
In campagna. — È il pomeriggio di una bella giornata settembrina. Una
camera .spaziosa, nitida, gaia, piena di aria e di luce. L'ambiente è quasi rusti-
cano, ma raggentilito da una signorilità semplice e modesta. — Una porta a
destra, una porta a sinistra. Un'altra porta, molto ampia, a due battenti, si apre
nel mezzo della parete in fondo e scopre il verde scintillante di un folto pergo-
lato. A poca distanza dalla porta, tra il fogliame della vigna, spicca la tinta
biancastra del parapetto d'un pozzo e mettono un luccichio più vivo la secchia
tersa e la carrucola che pende dal ferro arcuato. — Un fìnestrone è accanto
all'uscio di fondo e s'apre anch'esso sulla vigna. La camera è mobiliata per le
bisogne domestiche. Una credenza carica di stoviglie, di biancheria, di posate.
Qualche stipo. Qualche pianta di rosa in vaso grezzo. Una piccola tavola per
il desco. Una tavola grande coperta da un panno bianco, e sopra di essa alciuie
scatole in cui sono ammonticchiati bavaglioli. camicine. cuffiette. Ticino a questa
tavola un cestino da lavoro.
SCENA 1.
Claudia e Teresi.va.
Claudia — {in piedi presso la tavola coperta dal panno bianco, vi
stende sa nastrini, tulle, mussola. È sola. Chiama:) Teresina !
Teresixa — {di dentro). Signora !
Claudia. — Che non sia freddo addirittura questo ferro.
Teresi.\'.\ — {entra portando un ferro da stirare. Lo accosta un
po' alla faccia). Per stirare robetta leggera basta com'è.
Claudia. — Dammi.
Teresina. — Faccio io. So fare. Voi vi affaticate troppo.
Cl.audia. — Ma di clie t'impicci tu? Non sono mica ammalata, per
tua norma. {Prende il ferro, lo strofina sopra una pietra che è
sitila tavola e stira accuratamente).
Teresina. — Un poco ammalata, siete. .Ieri, per esempio...
Claudia. — Che ne sai di Jeri ?
Teresina. — Si vedeva.
Claudia — (stirando;. Non c'era niente da vedere, hai capito ?
Teresina. — Avevate la faccia come la carta che era una pietà a
guardarvi.
Claudia. — Ma che me ne importa di Jeri se oggi sto benissimo? Sta
meglio di te, sai.
5^8 MATEK.VITÀ
Tekesi.va. — Axete un l)el direi Tutte le donne stanno mi pò" malate,
quando fanno i figliuoli.
Claidia. — \'oriei sapere chi te le insegna queste sciocchezze 1
Teresina. — Il curato.
Claudia. — 511 nievaviolio di lui che parla di certe cose alle ragazze.
Teresixa. — Ce ne parla a fin di hene. Egli ci dice sempre che il fare
i figliuoli è una malattia. [Imif anelo la voce del curato) « State
attente, ragazze. State attente a non cadere in peccato. Fatelo
almeno per la salute ».
Claudia — (sorrkleììclo). Se dice così, dice giusto. Ma resta a capire
quand'è che si cade in peccato.
Teresixa. — Da noi. .soltanto quando ci si marita non si cade in
peccato. Ho da liscaldarlo un altro ferro?
Claudia. — No. grazie. Non mi serve. Apparecchia itiuttosto. e pensa
a darmi da pranzo.
Teresi.na. — Ho già messo a cuocere i^ceci.
Cl.\udia. — Mi dai la huona minestra di avantjeri ?
Teresix.a. — Quella vi do. (Apparecrhia leiitanieiife indiifiiavclo (>(ji>i
IfAììlo a parhn-c). Vi piacque"?
Claudia. — Molto. E mi ti raccomando per la carne. Teresina. Ricor-
dati che devo mangiarne spesso: e tenera ha da essere.
Teresixa. — Don Fahiuccio Nasti, che nella macelleria del padre co-
manda lui. me n"ha portato un tocco da f;u-e alla cacciatora, tenero
come il hurro.
Claudia. — Un quarto di chilo ?
Teresixa. — Pago sempre per tanto: ma, siccome lui amoreggia con
me, io ne profitto e me ne prendo di più.
Cl.\udia. — Ciò non va bene.
Teresixa. — lo me lo sposo.
Claudia. — E che vuol dire che te lo sposi .'
Teresixa. — Vuol dire che io gli do più di quello che ho preso.
Claudia. — E della malattia, non ne hai paiu'a ?
Teresina. — Eh! Presto o tardi ci si ha da ])assare, penso io. Siamo
donne per questo.
Claudia. — Hai ragione. [Ha finito di stirare. Raccoglie e piega i
nastriiìi, il tulle, la mussola). Si dice che la Madonna di Roccaro-
mita ])rotegga le mamme...
Teresixa. — Sì che le protegge. Avete fatto hene a venirvene a Roc-
ca romita.
Cl.\udia. — Ma io... idissittiulaudo) non ne sapevo nulla. Ci sono venuta
perchè qui ho trovato ad acquistare questa casetta per pochi soldi.
Teresixa. — La Provvidenza vi ajuta.
Cl.\udia — {animandosi). Certo che mi aiuta! (Il suo viso si contrae
ìin poco. Iinpaìlidisce. Ella si sorregge a una sedia).
Teresixa. — Lo vedete?!...
Cl.vudia. — No, no, f inganni.
Teresixa — (corre a lei per soccorrerla).
Claudi.\. — Ma no... Inezie! (Un silenzio. Siede. Le passa sulla fronte,
come un'ombra. Indi scuote la testa. Si rianima). Ecco. Più niente.
(Si dispone a lavorare di cucito).
Teresixa — (terminando di apparecchiare). Frutta ne ho da comperare?
CL.A.UDIA. — E guarda! Abbiamo lì quel pò" pò" di uva mosc^della.
Teresixa. — Se la nuova massaia non se ne dispiace...
MATERNITÀ ^2:29
Claudia. — Non può dispiaceri^ene. L'uso di questa piccola vigna me
lo sono riserbato per me.
Teresi.na. — Allora, ve li colgo due grappoletti maturi ?
Claudia — {feslosameute). Io! io! (Si alza e corre al pergolato).
Teresina — (citrios((ii(lo, tocca e (juarda i nastri, i merletti, le cuffiette,
le carnicine, i harafilioli già cuciti). Gli fate un corredo coi flocchi
al piccino !
Claudia — {dal pergolato, mentre accglie i grappoli da cogliere). Xon
guastare. Teresa.
Teresixa. — Non guasto, no. [Continuando a guardare) Ma peicliè.
poi, tanto tempo prima ".'
Claudia. — Com'è bionda! Seml»ra tutta sparsa di polvere d'oro (Tor-
nando con i grappoli in mano e assaggiando-qualche chicco d'uva}
E com'è dolce! Prendi. Teresa.
Teresixa — (stacca anche lei (fitalche chicco e gusta). Dolce assai.
Claudia — (mette l'ara sulla tavola da pranzo e si asciuga le dita,
alla tovaglia).
Teresixa. — A voi che ve ne paie"/ Saia un maschio o sarà una
femmina '?
Claudia — (stringendosi nelle .'spalle, tutta sorrisi in volto). Mah !
(Siede presso il cestino).
Teresixa. — Non ce l'avete messa 1" intenzione .'
Claudia — (infilando l'ago). No.
Teresixa. — Quando sarà il momento, io ce la metterò, percliè il piimo
figlio lo voglio maschio.
Claudia — (cominciando a ornare una cuffìeitu). E se lo sposo ce ne
metterà un'altra .'
Teresixa. — L'intenzione dell'uomo non conta.
Cl.audia. — Ah no"? (Si volta e la guarda). E questo clii te l'ha in-
segnato !
Teresixa. — Nessuno. Lo so da me.
(Si odono, di dentro, tre colpi alla porta).
Claudia. — Picchiano. Teresa. Sono tie col|ii. Saia il signor .Maurizio.
Va ad aprire.
Tereslva. — Vado. (Esrr a. sinistra).
[Un silenzio).
Teresixa — (senza comparire, dalla .ifanza attigua), fi lui: il signor
Maurizio.
Claudia — (celiando). La marchesa non riceve.
SCENA 11.
Claudl^ e Maurizio.
Mairizio — 'porta gli occhiali verdi. Inilossa un costume dalle tinte
gaiette e un paltoncino col bavero alzato. Entrando) Riceviate o
no, io sono qua.
Claudia. — Ancora ?
Maurizio. — Come ancora'! È un pezzo ciie non mi vedete.
Claudia. — Da jeri l'altro.
Maurizio. — Ma non da Jeri. Ce n'era alibastanza per credere che voi
aveste il ]iiii vivo desidei'io di vedermi.
^30 MATEUNITÀ
Claudia. — \'enite (}ua. iSedete. {(IH porue la mano, die MaHvh'm
strhnjc con tiiU'o due le sue).
Maurizio — {phiìia mia seiìia e sta per sedere accanto al cestivo).
Claudia. — Toglietevi, per favore, quel imlef ot, que^M occhiali... Siete
opprimente cosi imbacuccato !
Maurizio. — Gli occhiali me li tolgo ;sui)ito. pei che qui dcatro, se iJio
vuole, polvere non ce n"è. Ma quella strada maestra!... L'altro
jeri mi sono rovinato gli occhi. Guardate (|ui {alìanjaìido le pal-
pebre con Ir dita). Ho mia minaccia di congiuntivite! Lasciare le
strade maestre in quello stato è iin"infamia! .Ma che cosa tanno i
consiglieri della Provincia':" (Ilic cosa fanno i depulafi/ Clie cosa
fanno i ministri? (Siede).
Claudia. — E il paletot 'ì
-Maurizio. — No. vi domando perdono, ma il paletot per ora mi ab-
bisogna. Ho fatto di eorsa quesfultimo tratto di via, che mi sembra
il Calvaiio, e. se non mi sbaglio, sono un tantino sudato. Aggiun-
gete poi che questa non è mica una camei-a : è un ventilatojo.
'Claudia. — Potevate fare a meno di correre.
Maurizio. — Eh ! di tante cose si potrebbe fare a meno !
■Claudia. — Per esempio^?
Maurizio. — Per esempio, di venire fin cpiassii Ire volte la settimana.
Claudia. — Perchè ci venite .'
Maurizio. — Io non lo so.
Claudia. — {ridendo un po'). Ali. ali. ali !
Maurizio. — Che c'è da ridere.'
■Claudia. — Ricordavo... le tre volte la settimana di Olghina : lunedi,
mercoledì e venerdì.
Maurizio. — Ma che confusione late !
Claudia — {graziosamente, dopo nna pausa). Come sta .'
Maurizio. — Sta bene. Credo che stia bene.
Claudia. — Sempre... tre volte la settimana '
Maurizio. — No, no.
Claudia. — Due volte?
Maurizio. — Nemmeno.
Claudia. — Una sola"'!... Povero .Maurizio!
Maurizio — {con comico risentimento). Vi prego di credere. Donna
t;iaudia...
Claudia. — Andiamo, non vi arrabbiate, che anzi io mi congratulo
che siate divenuto più saggio.
Maurizio. — Piìi saggio! .. Chi può dirlo poi se è proprio saggezza".'
La verità è che tutta questa storia mi ha scombussolato. Ci pen-
sate voi che quando verrà pronunziata la sentenza di separazione
tra voi e vostro marito non ci sarà un cane il qu.Ue non avrà la
convinzione che io sono il vostro amante e anche il... Mi ca-
pite, eh".'
Claudia. — La vedt^te (|iiesla cuftiettiiia com'è caiuccia.'
Maurizio. — La vedo si. la vedo.
Claudia. — E un amore!
.Maurizio. — I'] tanto caruccia. sì. ma datemi retta. .\ou si tratta duna
bazzecola. È un fatto d'una gravità singolare, singolarissima. Io
sarò in una falsa posizione vita naturai durante.
Claudia — {con la massima calma, lavorando a un'altra ciiffiefta). Il
vostro nome non verrà fuori. Voi sareste forse indiziato se ci fosse
MATERNITÀ 231
un sincero dibattito in tribunale. Invece, no, sarà tutta una mi-
rabile tìnzione, perchè mio marito ed io ci siamo messi d'accordo.
ilAURizio. — Ma visto che d'accordo avete stabilito di dimostrare che
vostro figlio non è suo, il naturale candidato alla paternità ho il
piacere di essere io. È chiaro.
Claudia — (sensa dorsi ìiessima pena). Ma no!
Mal'rizio. — Sentite, Donna Claudia, questo figlio deve pur averlo fatto
qualcuno.
Claldi.a. — {con un sorrisetto honario). Ecco quello che vi nego.
Maurizio — {scattando in piedi). Quando si arrivano a dire di queste
enormezze, non e' è più nulla a sperare dalla logica umana !
Claudia — {graziosissimamente). Non urlate. Nunù. perchè gii urli mi
guastano l'appetito.
Maurizio. — Chi è Nunù?
Claudia — {rifacendo le voci e i gesti del primo atto). « Addio. Nini ! »
- « Addio, Nunù! ». {Ride).
Maurizio — (rammentandosi). Ah !... Ve ne ricordate"? (Facendosi serio)
E da allora, purtroppo, sono cominciati i guai!
Claudia — {ride più forte).
Maurizio. — Ma voi ridete sempre. Donna Claudia I
Claudia, — Oh Dio ! Non dovrei ridere neppure ])ensando a quel servo
imbecille, che. secondo voi. riconoscendomi per la marchesa di Mon-
tefranco, mi avrebbe terribilmente compromessa ? Vedete come sono
mutate le cose. Adesso, voi medesimo venite quassù, da me... tre
volte la settimana, affrontando la polvere, il caldo, il vento, il freddo,
e mi compromettete con la i)iù spensierata disinvoltura.
Maurizio — {sedendo di nuovo). Voi scherzate, e intanto vi assicuro
che più o meno queste stesse parole io me le dico senza punto
scherzare quando ci penso. Non è precisamente della compromis-
sione ufficiale che io mi preoccupo. Oramai quella lì è un incidente
esaurito. Ma c'è una compromissione di altro genere...
Claudia. — Che riguarda me"?
Maurizio — {facendosi sempre piii serio). No, non riguarda voi. Per-
chè, sappiatelo, non tutti gli uomini sono come sembrano!-...
Cl.\udia. — Bella novità!
Maurizio. — Io sembro uu vecchio fannullone, un vile cultore del
proiuio lienessere, di quel benessere mediocre e jiedestre, che non
corre nessun rischio in mezzo agli urti, alle grida, alle attlizioni,
alle lagrime dell'umanità sofferente, e che, da altra parte, non
aspira alle grandi gioie, ai godimenti supremi, e non li rasenta
mai. Io sembro un uomo fatto con la ricetta : tanto di prudenza,
tanto d'indifferenza, tanto di bontà, tanto di debolezza, tanto di.
virtù e tanto di vizio, e il tutto mescolato bene e riscaldato a
liagnomaria. Io sembro, insomma, e sono forse stato, ne convengo.
la negazione di ciò che rende la vita molto bella o molto brutta,
(li ciò che la rende movimentata e profonda, di ciò che la distrugge
o la ravviva, che l'abbassa fino al fango o la eleva sino al Cielo:
(con slancio) ma io. Donna Claudia...
Claudia — {interrompendo apposta e mostrandogli la seconda ciif-
fietta). Vi piace quest'altra col nastrinuccio celeste"?
{Una breve pausa).
Maurizio — {con un po' di tristezza interiore). Si. mi piace.
::>3:2 MATERNITÀ
Claidia — coM molta- animazione). Ce n' è di tutti i e;usti. Guai-
date ! guardate! (Prende la scatola riborrmilr lìi riiffirtfp\.
Maikizio. — Ditatti, ce n" è moltissime.
Ci.ALDiA. — E ce ne saranno anche di i<iù.
.Maurizio. — Ma, tanto per sapere, quanti tJKliuoli conlate di mettere
al mondo in una volta sola?
Olai'dia — (con tenerezza soave). Uno. mio buon Maurizio, che sarà
tutto il mio mondo !
Malrizu). — Ecco... Quando dite queste cose, con quella voce, con
quel certo^non so che di dolce e di commovente... è un affai'e serio !
Io ne piglio...
Claldia. — Una malattia!
y.lw'RiziO — [la commozione ([itasi io rinrp sud mahiraiìo). No! Doiuia
Claudia, devo convenire... che ne piglio un jioco di buona salute.
SCENA III.
Claidia. .\ÌArRizi() r Terksi.va.
Teresixa — (di dentro). Signora! (E tossisce come per meglio aveer-
tire della sua presenza).
Ci-vroiA. — Cosa e" è?
Teresixa — (di dentro). Posso entrale'
Cl.AUDI.\ — (a Maurizio, sorridendo della reticenza di Teresina). Che
ne dite? Può entrare?
Maurizio. — Come vi divertite a mie spese! (Levando la voce e ten-
tennando la testa in segno di pazienza) Entra pure, ragazza, che
non ci disturbi.
Teresixa — (entra con la zuppiera famanie).
Clal'di.\ — {continaando la celia - a Teresina). Perchè hai doman-
dato se potevi entrare'?
Teresixa — (indicando Maurizio). Eh!... Quando c'è lui...
.Maurizio. — No, sai, ti sbagli !
Teresixa — (mettendo la zuppiera in tavola). Mi ]iien(lete per allocca"?
Ma io lo capisco quello che siete.
.Maurizio — E inutile: ne è convinta anche lei!
Claudia. — .\lmeno per galanteria, non dovreste lamentarvene.
Maurizio — (alzandosi). Si. sì. Buon jiranzo! lo vi lascio.
Claudia — (preparando in fretta un altro coperto). No, no. Qui. ac-
canto a me. \'i offro una minestrina paesana, che è un piccolo
capolavoro.
.Maurizio. — Non è ora mia. Donna Claudia. \"i ringrazio.
Claudia. — In campagna si può mangiare a tutte le ore.
.Maurizio. — Mijfarà molto male, lo so. Ho anche l'emicrania oggi.
Claudia. — Sedete e mangiate. Senza discussio:ie, e sopratutto senza
paletot.
Teresixa. — Evvia. non \i fate ])regare, che dovreste essere voi a
pregar lei.
.Maurizio. — Santa pazienza! (.S7 toglie il paltoncino e siede a tavola).
(ii.AUDiA. - Svelta, Teresa. Taglia il pane e cerca nella credenza una
bottiglia di Gragnaiio rosso.
Teresixa — (esegue).
MATEUXITÀ i233
Ilaudia — {seriiendo la ìninesti-a). Sentite che odore? Roba sana! E
bisogna mangiarla calda calda, {rnsistemlo} Non fate laflreddare.
ilArRizro. — Ho capito ! (Assaggiando) Non avete torto, sapete. Sarà
forse la suggestione, ma giurerei di non aver mai provato una mi-
nestra squisita come questa.
Claudia. — E se aveste la fame die lio io!
iIaurizio. — È un piacere vedervi a tavola con tanto ardore !
jLAUDia — Teresa! Tei-esa! Bada alla carne. Non troppo cotta, mi lac-
comando.
Peresina — {via).
iIaurizio. — Non vi si riconosce più. Non so... Siete tutfaltra donna!
vLAi'DiA. — E dite, dite la verità: d'aspetto come mi trovate.'
Iaurizio. — Attraentissima!
If^audia. — Che c'entra!
Iaurizio. — Vi trovo colorita, fresca, luminosa, inagnitìca. E mi pare
che tutto que.sto sia attraente.
Claudia. — E Jeri, invece, quel vecchio gufo del dottor Berner. di-
cendomi delle parole sibilline, mi guardava con certi occhi, che
per un momento mi fecero sospettare d'essere diventata un cencio.
Iaurizio. — Come vi saltò il ticcliio d'andare dal dottor Berner?
Claudia. — Volli consultarlo.
Iaurizio. — Eravate molto sofferente?
Claudia — {con urgenza, eccitandosi). No! Poco, jiochissuno... Quasi
niente! Ve lo accerto, Maurizio: quasi niente...
Taurizio. — Ne sono persuaso, che diamine! E aiipunto, dicevo, non
era il caso di recarsi apposta in città per consultare un pezzo
grosso.
;laudia. — D'altronde, io non ho nessuna esperienza. Il dottor Ber-
ner mi ha vista nascere... È uno specialista di gran fama... Mi
parve abbastanza naturale ])rofittare dei suoi consigli.
Iaurizio. — 13 questi consigli?
Ilaudia. — Non me ne dette.
Iaurizio. — . Meglio.
Ilaudia. — Soltanto, con la sua consueta aria d" importanza, mi pro-
mise che sarebbe venuto domani a vedermi qui. Ma mi annoia la
sua visita, lo non lo riceverò.
[aurizio. — Scrivetegli piuttosto di non venire.
!laudia. — E se poi... {Si rattrista ad un tratto) Se poi... avesse a
dirmi qualche cosa di molto serio?
Iaurizio. — Non cominciate a farneticare adesso, peicliè su cfuesto
terreno oggi non me la sento di seguirvi. Io non sono uno spe-
cialista... Ciò è incontestabile. Ma se io vi dico che non siete mai
stata così florida e forte, potete contarci.
Ilaudia. — Giuratemi che non m'ingannate.
Iaurizio. — Ve lo giuro.
Ilaudia — {esaltandosi). Sì, si. vi credo... vi credo!... \'oi siete un
amico incomparabile, voi siete un angelo, e io vi credo. Ma tutti
i farfalloni neri! Mangiamo, beviamo... Beviamo tanto da ubbria-
carci. {Versando il vino) Non vi volete ubbriacare voi"?
I.AURizio — (esaltandosi uncìie lui). Ma si che voglio ublìriacarmi.
perbacco !
Ilaudia. — Vi abbraccerei.
'eresina — (di dentro, tossisce per prudenza e doiitanda:) Posso entrare'?
^34 MATERNITÀ
Claudia — (prorompe in una riscifa). Ali. ah, ali!
Mal'rizio. — È esasperante!
Claudia — (ride clamorosutuente).
Maurizio. — Entra ! entra ! entra ! AHlizione !
Claudia. — Ma questa volta, sensate, poteva anche aver ragione. Stavo
per abbracciarvi...
Maurizio. — Magari!
Teresina — (entrando). Carne poco cotta. (Mette la carne in tavola).
Claudia. — Bravissima ! (Beve cì'iin fiato. Poi a Maurizio) K voi'.'
Maurizio. — Eccomi. {Inaolla un liicchier di vino).
Teuesina — (camhia-i piatti).
SCKXA 1\ .
Claudia. Maurizio. Teresina. Rosalia.
Rosalia — (compari. "ice sotto il peryolato e si ferma di là dalla soglia,
timidamente. Ha in tn-accio il himho lattante e porta con una mano
una canestra piatta, verdegfjiante). Signora bella!
Claudia — (voltandosi i. Oh! Rosalia".' lA Maurizio i È la nuova mas-
saia che è venuta jeri. Tanto eara ! .1 Rosalia/ Favorisca la nostia
vicina, favorisca !
Rosalia. — Non voglio darvi fastidio, signora bella. Ho qui. jter voi.
un po' di giuncata fatta or ora. Se non vi offendete...
Claudia — (battendo le mani). La giuncata f Che delizia ! Accetto con
entusiasmo! Voi avete avuta un'idea sublime!
Rosalia — (restando iìi fondo). Era dovere. Ieri, signora bella, diceste
che avevate desiderio di giuncata. E due e tre volte lo diceste. E
dagli occhi si vedeva che era vero. Non volevo avere scrupoli di
coscienza. Ne ho fatti cinque dei figli, e dispiaceri non ne ho avuti,
perchè la gente che mi stava attorno ci badava a queste cose. Ma
mia sorella, la più grande, poveretta, per un desiderio di len-
ticchie - che nessuno se n'accorse - non ebbe neanche il tempo
di raccomandansi alla Madonna, e all'impensata fece il tìglio morto.
Uno strazio che non vi so dire!
Claudia — (si ra>niiicola e fissando gli occhi nel vuoto resta per un
istante assorta).
Maurizio — (se ne avvede e vorrebbe distrarla). Avanti la giuncata,
Teresina !
Claudia — {scuotendosi e cercando di dominarsi i.' A.\aniil avanti!
Maurizio. — Ne ho desiderio anch'io e me ne voglio fare una scor-
pacciata. Non si sa mai !
Claudia. — Prendetene, prendetene tanta !
TeresiNìV — (mette in tavola la giuncata).
Maurizio — (ne riempie il sao piatto/.
Claudia — {contemjioraneamente ne cava dalla canestra a grosse cuc-
chiajate e se le caccia in bocca come per avidità). Buona.
Ros.\LiA — (accommiatandosi/. Con permesso...
Claudia. — Restate ancora un poco. Rosalia. Posso offrirvi un bic-
chiere di vino/
Rosalia. — No, a stomaco digiuno non ne bevo. (Accennando al bimbo)
Questo qui me lo proibisce.
Claudia. — È lui il tiranno?
MATERNITÀ -130
iSALiA. — Comanda lui. :>"inteiKle.
AUDiA. — E avvicinatevi. Mi fate venire il torcicollo.
iS.\iJA. — Ho dietio di me un mezzo reggimento, signora bella...
Me ne devo andare.
ACDiA. — Gli altri bimbi, forse.'
1S.A.LIA. — Uno è a casa con la febbre...
ALDiA. — Con la febbre"? Verrò subito a fargli una visita.
iSALiA. — Non è niente. È febbre di crescenza. E ce n'è voluto per
farlo stare a letto. Ma ci sono gli altri tre. che non mi lasciano
un momento.
AroiA. — Io non li vedo.
iSALiA. — Si nascondono, perchè hanno vergogna. E poi son sudici
che paiono usciti da un fumaiuolo.
AuniA. — Non imporla. Fatemeli vedere.
isALiA — (voltandosi e cliiamaiido con la voce e -col gesfo). Venite
qua... La signora vi perdona che siete in quello stato. La signora
bella non vi sgrida. Venite qua!
{Tre himhi paffuti, (/rasiosi. scahi. con indosso dei brandelli di
panni contadi iiesclii. sgusciano d((l pergolato e si aggrappaìio con
ambo le manine alla goìina di Rosalia e sogguardano Donna
Claudia in un misto di curiosità e di timor panico infantile).
.AUDiA — {alzandosi ancora con la bocca piena di giuncata). Eccoli
li, finalmente !
iSALiA — {ai bimbi I. Ohe. che stracciate la veste a mamma?
.\uniA. — Come li avete fatti bene. Rosalia!
iSALiA. — Andate a baciare la mano alla signora.
AL'DiA. — Niente affatto! Ci penso io. invece, a tempestarli di baci.
{Corre a loro ricaccinenfe come per afferrarli).
(I baìnbiui fuggono, riempiendo l'aria di piccole grida).
-AUDiA. — Voi fuggite, ma io vi raggiungo, e faremo la guerra !( i^/
rincorre e sparisce tra il fogliame i.
. VOCE d'un bimbo. — Non mi pigli ! non mi pigli !
>SALiA. — Cattivacci!
. VOCE DI Claudia — {allontanandosi}. Che guerra che faremo!
{Si ode lo strepito gaio dei bimbi che scappano).
a'Rizio — {ar.dando rerso il fondo). Donna Claudia! Non vi scal-
manate cosL benedetto Dio. È aria di raftreddori!
)SALiA — (« Maurizio). È buona come la Madonna la vostra signora.
Ve la possiate godeie per cento anni!
LIRIZIO. — Auff!
)SAi.iA — {va via ripetendo:) Cattivacci! cattivacci!
vuRizio. — Per quest'altra io sono a dirittura il marito!
RESINA. — Che aspettate per sposarla?
kURizio. — Sta zitta tu. non m'irritare.
iRESiNA. — Quando non avevate \oglia di sposarla, non dovevate
essere così imprudente !
URizio. — Fammi la grazia, Teiesa. vattene in cucina.
;resixa. — Ho da s]iarecc.hiare.
tURizio. — Non vedi che la signora ha da mangiare ancora la carne"?
;resina. — Non la mangerà più. Siete voi che le fate perdere l'appetito.
LURizio. — Non irritarmi. Teresa, e non mi ballare dinanzi agli occhi
che mi si aggrava il mal di capo. Ho due chiodi qui!... (Si tocca
le tempie).
~2'.MÌ .MATKMMTÀ
Teresixa — (portando ria il piatto con la- var>ie). He tossi stata io...
Maurizio. — Vaitene in (ucina!
Teheslxa. — Neanclie un'un^liia mi sarei fatta toccare! lEscc a xiitisfra).
La voce di Claudia — {cliiamninio). .Maurizio!
.M.MRizio — (rispondendo). Donna Claudia!
La voce di Claidia. — lo vado a casa di Rosalia i>er vcdeie il pic-
cino infermo. X'olete venire"?
.Maikizio. — Crazie, no.
La voce di Claudia. — \\ la passefr^iatiiia del di)|M> |iiaii/.ii .'
-Mviiuzio. — La faccio al coperto.
La voce di Claudia. — Torno fra dieci minuti. .Mi aspettale.'
.Maurizio. — Vi aspetto.
(Aììcora. piìi tontano, il gridio dei hiinhi).
La voce di Claudia. -- Clie giieiia che faremo se vi piylio !
SCENA V.
Teursina. Maurizio. .Vlkredo.
Teresi.xa — {rntr(i}ido in fretta). Sijrnore ! signore! C'è un signore
elle vuol parlare alla signora.
Maurizio — {perplesso). Dio mio! Sarà il dottor Berner. Digli chela
marchesa non è in casa, ma che torna suliito. K intanto può fa-
vorire, se vuole.
Alfredo — {dalla sinistra). Ti ringrazio del permesso...
Maurizio — {vivamente sorpreso). Sei tu!
Teresixa — (esce).
Maurizio. — Io non pote\o immaginare che fossi proprio tu.
Alfredo. — lo, al contraiio, avevo immaginato di trovaiti qui. {Os-
serva i due coverti). .Non ti confondere. )>erchè, anzi, io ci con-
tavo sulla tua presenza. E il caso è stato provvidenziale. Sono
giunto a pranzo finito, e mia moglie è fuori. Ciò mi dà agio di
|)a ilare con te invece che con lei. E sarà bene.
.Maurizio. — Tua moglie è andata a far visita alla ma.ssaia di questo
podere. Oi'a te la chiamo, te la faccio venire, e io me ne vado in
santa pace. {Piglia il cappello e .^i' avvia verso il fonilo).
Alfredo — {feriuaniente). Tu non la chiamerai, e avrai la compiacenza
di ascoltarmi. (Poi, con mitezza) Vedrai che ho avuto ragione di
contare su te.
.Maurizio — {resta titubante, interdetto).
Alfredo. — Sieili e sfammi attento.
( Siedono amhedne i.
.\lfredo. — Suppongo che tu sajipia... che le pratiche per la separa-
zione legale saranno fra hreve iniziate.
Maurizio. — Lo so.
Alfredo. — Xè puoi ignorare che lo scopo essenziale a cui tende mia
moglie con la separazione non è davvero «piello di sottraisi alle
formalità duna unione, la quale sarebbe diventata sempre più
etimera ed innocua. Ella vuole sopprimermi utticialmente come
marito soltanto per sopiìrimernii come padre. Ciò sarebbe evidente
anche se ella non lo avesse più volte aftermato. E giacche suo
tiglio, a quanto ella asserì con tanta insistenza, non è mio figlio,
io, a sangue freddo, non ho potuto che accondiscendere al riscattc
MATERNITÀ 237
■da lei sognato. In queste condizioni, il .separarsi legalmente non
è un fine : è im mezzo. 1 termini sono invertiti. .Von è già clie
bisogna provare l'adulterio pei' separarsi, ma bisogna separarsi per
provare l'adulterio. Bisogna cioè procedere allo scandalo d' ima
separazione per adulterio affinchè venga proclamato dinanzi a lei,
dinanzi a me, dinanzi alla società, dinanzi alla legge, che io non
sono il padre della sua creatura.
;rizio — (vivissimamente). Xon avresti dovuto accondiscendere.
KEDO. — Io ho avuto anzitutto l'intenzione di riconoscere tutta la
nobiltà che è nella sua monomania di madre.
•Rizio. — Tu hai accondisceso quando hai pei'duto ogni speranza
di riconquistare tuo zio e quando, data la tua diffidenza, non ve-
devi nel figlio di tua moglie che un cumulo di grattacapi.
REDO. — Ma sono state ajipnnlo la sua follia e la sua ostinazione
che hanno soffiato in quella diffidenza per mutarla in convinci-
mento.
jRizio — {(IH ima» dosi) Se tu fossi stato un uomo degno di lei...
REno — (iììfprromjirndo co» severità). Bada che non permetto a te
di farmi delle |)rediche !
■Rizio. — Sei tu che hai desiderato di parlare con me, e adesso,
perdinci, non m'impedirai di dirti tutto quello che mi passa pel
capo. Ah no i Non mi trovi più disposto a farti da pertichino.
Le vicende, a cui ho assistito e nelle quali mi son trovato com-
plicato per un capriccio del caso, mi hanno scosso dal mio tor-
pore e mi hanno costretto a pensai'e e a sentire, rivelando alla
mia coscienza un' anima non completamente frigida e un cer-
vello non completamente fossilizzato. Se tu fossi stato un uomo
degno di lei, ella non avrebbe mai concepita l'idea di emanci-
pare la sua maternità e di staccare radicalmente da te la siui
creatura. Visto che la maternità è stata l'ideale e la meta della
sua esistenza, ella non ])oteva tollerare, nel fatto compiuto, l'in-
tervento di un uomo che non aveva avuta nessuna qualità per
essere marito e che aveva dubitato di lei come di una sgual-
drina e aveva aspettata la nascita di un figlio, magari adulterino,
per farne lo strumento della sua venalità. L'orrore suscitato in lei
dalle miserie, di cui tu minacciavi il suo altare, ha spinto il suo
culto sino al fanatismo, ha spinto il suo attaccamento sino all'eb-
brezza di credere e mostrare che la paternità è un incidente del
tutto trascurabile e che su questo mondo, al conspetto dei figli,
non ci sono che delle madri ! Ella non è più la donna che procrea
ed è felice di procreare come tante altre. No. < Eccitandosi e com-
movendosi) Ella è la personificazione imponente e raggiante della
maternità; e, nel fenomeno singolare della sua meravigliosa 'mo-
nomania, si concentrano, allo stato acuto, gl'istinti, i diiitti, le
aspirazioni, le passioni, le gelosie e le cupidità divine di cento
madri unite in una madre sola ! (Un silenzio. Poi cambiando tono.
ma ((rendo ancora nella voce le vibrazioni dell'animò) Lina volta,
forse, avresti riso sentendomi parlare cosi ; e ne avrei riso certamente
io stesso. Ora, non ne ridiamo più ne tu, né io. Ma... siccome
mi accorgo di... di avere un po' scantonato, me ne dolgo assai
con me stesso... e ti prego di continuare il tuo discorso, libe-
ramente. Continua, continua.
[Pausa] .
i2:$S .MATCHN/TÀ
Ai.KKKi«() irlii' lo urrà ancoltato acutamente e ne avrà osservato il
contetino. ani fendo anche lai una vacja coiiiiuozionc insolita, ha ora
un acceìito meno freddo e piìi piano e lievemente angoscioso). Le
tue parole ini ranno a|)|)roton(lire anclie di più la gravità di ciò
che sto [)er dii'ti. Io ne ho. in questo momento, vnia sensazione
nuova, una sensazione complicata, die mi paralizza, che mi turba.
Vorrei ignorare. Vorrei tacere. Ma il tacere oggi con te non farebbe
che privar lei della tua assistenza.
M.^L'Rizio. — Della mia assistenza 1 !
Alfredo. — Sì. dell'assistenza con cui tu. dandole un triste annunziti,
potrai cercare d'attenuarno. in certo modo. 1" impressione.
iM.vuKizio — {imjHillidisre). Tu mi spaventi !
.Vi.KHKuo. — Una circostanza inaspettata elimina la necessità dello
scandalo a cui già mi disponevo. .Mia moglie ed io avevamo .sta-
lìilito di provare in tribunale non solo l'adulterio n)a anche le sue
conseguenze, per ottenere, comunciue, legalmente la sua completa
indipendenza di madre. Oibene, non e' è più scopo alcuno per cui
io debba .sobbarcarmi alla umiliazione pubblica del marito ingan-
nato. Contesso die soltanto la speranza egoistica di arre.stare le
pratiche legali iirima che si levasse del rumore intorno al mio
nome mi aveva istigato a correre qui per aver subito un colloquio
con mia moglie...
M.MKizio — [ansioso, febbrile). Ma parla 'finalmente ! Non divagare!
Qual" è questa circostanza inaspettata '
.Vlfkkdo. — II dottor Berner ha creduto suo dovere di rivelare a me.
marito di Claudia, ciò che egli ha constatato dopo una indagine
scrupolosamente eseguita.
.M.vuRizio. — Parla !
AiiiREDo. — Questo tiglio... non potrà nascere !
.Maurizio. - Che dici ".'
.\i.FREDO. — O pensare alla vita della madre o giocare tutt'e due le
vite.
Maurizio — [incalzando). Ma che dici?!
•Vi.FHEDO. — Dico che, per una fatale contraddizione della natura, il
concepimento medesimo che Claudia invocò ha denunziato, nel
suo organismo, il mal di cuore, a cui deve cedere talvolta ogni
ambizione materna, e che nel caso attuale la scienza esige che si
affretti il sacrifizio del figlio per salvare la madre !
.Mai^kizio — (con uno scatto violentissimo). Tu menti !...
Alfredo — [levandosi). Maurizio! {Breve pausa. Indi con dolorosa ma-
linconia) Io non so con esattezza.... quale sentimento faccia velo
al tuo senno e ti spinga ad abusare della mia posizione... sino ad
oTtraggiaimi. Non mi riescirebbe diflicile trovare ne' tuoi eccessi
la conferma... di molte cose. A che servirebbe? Io non spero di
rifarmi una forza moiale. Discendo per la mia china senza neppur
tentare di retrocedere, e non mi lesta che ad aggrapparmi a qualche
cespuglio per rendere la discesa meno rapida e meno rovinosa. Ma
ii<m ho mentito. Potrei dartene subilo le prove, perchè posseggo,
sigillata, la dichiarazione precisa e solenne del dottor ISerner, che
soltanto a tUaudia spetta di leggere. Non avrei che a violarne il
sigillo. Non voglio tarlo. Dandomi del mentitore, mi hai attribuito,
in sostanza, il tentativo d'un delitto enorme, lo f impongo... io
ti supplico di non credermene capace.
MATEKXITÀ :3o'.>
lURIZIo — {attefrito. attonito, ha appena la forza di pronnnsiare
qualche parola). Ho avuto torto... Te ne ehietlo perdono.
{Pausa).
KREDO. — Concludiamo. Un" ora assai triste :~uonerà tra breve per
Claudia. Sarà necessario daj^prima disporne raniiuo nel moilo più
prudente, e poi assisterla, confortarla, arrecare qualche sollievo al
suo dolore immenso...
.L'Rizio — {assalito dal terrore). No, non posso, non posso!...
FKEDO — (so fra eccitato dalla tragedia imminente). E vorresti che la
notizia le giungesse all' improvviso come una coltellata all'oscuro?
.URizio. — No !
FREDo. — Vorresti ch'ella fosse abbandonata alla sua dis])prazione
e alla ludezza scientifica del dottor Berner.'
X'Rizio. — No !...
FREDO. — 0 ch'ella continuasse ad alimentare la sua illusione af-
finchè nel momento dell'urgenza il martirio le fosse intlitto più
terribile e più raccapricciante ?
iRizio. — No ! no !
PREDO. — E allora perchè rifiuti?
.iRizio. — Perchè non avrei il coraggio di veder soffrire quella donna
come nessuna donna ha mai sofferto.
PREDO. — E avresti la fredda crudeltà di la.<ciar ci'escere di ora in
ora le proporzioni del supplizio sicuro ?
.URizio. — Tu mi soffochi.
FREDO — {vivacemente). Io esigo che tu faccia quello che oramai
cercherei di fare anch' io se sapessi di essere la causa prima di
questa catastrofe.
.URizio. — Ma dunque veramente m'accusi ? Ancora m'accusi ?
PREDO — icoììcitafissimo. sconvolto). Io non ti accuso, lo non ti giu-
dico. Io non distinguo e non comprendo nulla, io mi accorgo so-
lamente che per la prima volta in vita mia il mio cinismo m'ab-
bandona. (1)
{Giungono la voce di Claudia che grida scherzosamente e gli
urletti dei bambini di Rosalia che le fanno il chiasso intornio).
SCENA VI.
Cealdia. Rosalia. Maurizio. .Alfredo.
VOCE DI Claudia. — Corriamo, corriamo I... Clii mi vuol bene, ap-
presso mi viene !
Risponde lo schiamazzo del bimbi.
{Alfredo e Maurizio si guardano Vun l'altro negli occhi, quasi
interrogandosi a vicenda, e hanno lo stesso brivido).
\UDi.A. — {attraversa il pergolato facendo le viste di correre, seguita
a poca distanza dai bambini vocianti, iuebbriati dal giuoco). Cor-
riamo ! corriamo !
VOCE DI Ros.^LiA — {in gran lontananza). Attenti per il pozzo, ra-
gazzi, attenti per il pozzo !
(1) KoTA PER GLI ATTORI. — Dallci battuta : « No ! non posso » fino a questo
Ito il dialogo deve essere affrettatissimo, febbrile.
:240 MATERNITÀ
La voce di Ci..\ri)iA. — Di che avete paura, Rosalia"? il paraitetto è
alto...
L.\ VOCE ni Rosalia. — Ma saltano come i i>r\U\ (juesti diavoloni.
La voce di Claudia. — Hopplà, hopplà...
La voce di Rosalia. — Non ve li totilieiete più d" attorno, sijrnoia
bella !
Alfredo — {paurosamente a Maiirisio). Mi ha visto?
Maurizio. — No... non credo.
Alfredo — (hi fretta prende il cappello, avviandosi verso la porta a
sinistra) .
Maurizio. — Non fuggire così ! Se ella ti scorgesse...
Alfredo. — Non mi scorgerà.
Maurizio. — La serva glielo dirà che qualcuno è stato qui.
Alfredo. — Dovrai dirglielo anche tu che ci sono stato.
Maurizio. — Appunto per questo la tua fuga è inutile.
Alfredo. — Lasciami andare...
Claudia. — Hopplà. hopplà!... Siamo arrivati. {Entra tutta affilata
tenendo in mano un ramo fronzuto, rossa in viso, ansimante, i ca-
pelli in disordine, le pupille risplendenti ; e nel vedere il marito
lo apostrofa con festosa ironia). Oh. oh! Quale ajiparizione !...
{Senza fermarsi, tutta affaccendata, apre la credenza).
Alfredo — {si ferma).
La voce di Ros.\lia. — Luigino! Tolò ! Nanuccia ! Subito t|ua !
Claudia. — No, no, un momento.
(J himhi sono comparsi sotto il pergolato e son rimasti aggrup-
pati, mezzo nascosti nel verde).
Claudia. — La signora bella vuol dare le cose buone ai diavoloni.
{Prende dalla credenza una ìwnhonnii're. A Maurizio) Sono ancora
i vostri bonbon s : quelli deiraltro Jeri. Devono essere igienici!
{Maurizio e Alfredo la contemplano con profondo strazio).
Claudia — {torna all'aperto, si accosta ai bambini e distribuisce i bon-
hons). Due a te. due a te, due a te, e uno - uno solo - per il fra-
tellino malato. {Li bacia e li sospinge dolcemente). A rivederci, a
rivederci, diavoloni cari.
I bambini spariscono.
\j.\ VOCE DI Rosalia — {lontanissima). Qua Nanuccia! Qua Luigino!
Claudia — {rientrando, a Maurizio). Voi direte che mi agito troppo...
Ma siete un ignorante. Il moto è indicatissiino. {Ad Alfredo) E
così, caro marchese, a quale evento devo l'onore di questa visita'^
{Porgendogli la scatola scoverchiata) Volete?
Alfredo — {fa appena un gesto di diniego).
Claudia. — Io, si. {Mette in bocca un bonbon). A voi, Maurizio: ser-
vitevi, se è la vostra ora per gli zuccherini : e riponete.
Maurizio — {studiandosi di parer disinvolto). \i servo. {Esegue).
Claudia — (ad Alfredo, sempre con gaiezza di sovreccitazione). Del resto,
proprio in questi giorni io pensavo di offrirvi... un abboccamento.
C'è più d'un dettaglio importante su cui sarebbe tempo d'inten-
derci meglio. E se voi mi avete prevenuta, io ve ne sono vera-
mente grata. Intanto seggo... perchè non ne posso più. {Il suo volto
ha i segni d'uno sjiasimo passeggero. Si abbandona sopirà una
sedia. Breve pansa). Sedete anche voi, vi prego. {Ripigliando il
tono allegro) Parleremo come due vecchi amici. A condizione però
MATERNITÀ ^241
che smettiate qiiell'aiia truce, che non vi sta bene. Capisco che
dobbiate adottarla per Tocchio del mondo ; ma qui non è il caso.
Cominciate voi"? o comincio io'?
Alfredo — {seiisa serìere - mendicando le parole). No, Claudia... io.
che sono per voi un estraneo, e che tale mi sento di essere, non
ho nulla a dirvi.
CLAfDi.\. — E la vostra visita '?
Alfredo. — Convengo d'aver commesso un errore venendo qui.
Cl.ìudia. — Eppure, una ragione Tavrete avuta per venire.
Alfredo. — Sì...
Claudia — Quale?
Alfredo — {smarrendosi). Cercavo di lui... di Maurizio...
Claudia. — Non potevate vederlo in città"? Maurizio non abita mica
in questa casa.
Alfredo. — Ed è perciò che ho confessato d'aver commesso un errore.
Claudia. — Per altro, se venivate precisamente qui per trovar Mau-
rizio, sapevate bene di non trovailo solo.
Alfredo. — È vero.
Claudia. — Sicché avevate stabilito di pailargli dinanzi a me.
Alfredo. — Forse.
Claudia. — 11 vostro forse non ha senso comune. Non avete che a
rispondei'e o francamente s'i o francamente no.
Alfredo. — Ebbene, sì. dinanzi a voi volevo parlargli...
Claudia. — Dunque, si trattava di me.
Alfredo — (sempre piìt imharazzato). Si trattava anche di voi..,
Claudia. — Ed avete già esaurito Targomento"?...
Maurizio — [intervenendo, con uno sforzo). Si, signora Claudia, ab-
biamo temuinato.
Cl.audia. — Spero che mi farete sapere di che cosa vi siete occupati.
Maurizio. — Lo saprete, lo saprete.
Claudia. — Io voglio saperlo subito.
Maurizio. — Subito, non è possibile.
Claudia. — .Ma che aspettate "?
Maurizio. — Prima di piendere una decisione, dobbiamo riflettere..
dobbiamo ponderare...
Claudia. — Voi due state per prendere una decisione che mi riguarda,
una decisione della cui importanza non dubito visto che essa ha
fatto già tacere i vostri rancori e vi ha già riuniti in una solida-
rietà cosi bizzarra, e io dovrei ancora ignorare quel che mi pre-
parate? (<S'/ leva. Guarda l'uno e l'altro, cercando d'intuire, di ca-
pire, cV indovinare).
(Alfredo e Maurizio pallidissimi, immobili, vorrehìtero sottrarsi-
air intuito di lei, e non sanno).
Un silenzio.
Claudia — (con profonda trepidazione). Voi mi nascondete... una .-«ven-
tura"? (Pausa). (Si trasforma in viso e con una mano nei capelli
pare che voglia premere il cervello per fermarne il pensiero ver-
tiginoso). Ma di quale sventura vi affaticate tanto a ritardare fan-
nunzio? Di quale sventura io vi sembro la vittima se fuori della
mia persona, fuori della vita che è tutta chiusa nella mia vita,
nessuna sventura può essere veramente mia? (Un altro silenzio)..
16 VoL evi, Serie IV - IH luglio 190.3..
'ii'^l MATERNITÀ
\'oi tacete come due colpevoli... come due responsabili... E al-
lora... è una infamia quella che mi riserbate!
Alfredo. — No, Claudia !
Claudia. — È un'infamia, sì, sì, è un'infamia, di cui l'autoie princi-
pale sei certamente tu, giacché tu sei il mio nemico I
Alfredo. — Non lo sono jtiù, non saprei esserlo più !
Claudia — {con <jli occìn fiammanti di odio). Tu, tu, la causa d'ofrni
male, la minaccia d'ogni bassezza !
Alfredo. — Ah Claudia ! Con la ferocia del vostro sdegno voi mi
strappate dal cuore (juel jioco di bontà che mi pareva ci fosse en-
trala, non so come, non so perchè, in un quarto d'ora vissuto in
questa casa. Sarebbe stato molto meglio che me ne fossi allontanato
prima che voi arrivaste... E non ci resterò più oltre per non esaspe-
larvi maggiormente e per conservare, se non altio, intatto il
ricordo di qualche cosa che m'è passata stranamente per l'anima,
facendomi soffrile e facendomi del bene! {Prende il cappello per
uscire).
Claudia. — No, tu non mi lascerai sotto l'incubo di mille dubbi atroci!...
(Gli si aifiirappa addosso trattenendolo). Dimmi tutto, dimmi tutto,
te lo chiedo in grazia, dininii tutto!
Alfredo — {si ferma).
Claudia — (se ne distacca).
Maurizio — {fa (jiialclie passo verso di lui).
Alfredo — {a Claudia, con dolcezza e gravità). C'è una sventura che
vi asjìetta: non un'infamia. Anche questa sventura, è vero, ha un
responsabile... in colui che vi ha resa madre. E la misteriosa indi-
pendenza della maternità nasconde nella vostra coscienza il suo
nome. Se il responsabile sono io, maleditemi! (Commosso) Ma se
realmente non cade su me la funesta responsabilità, Claudia...
odiatemi un poco meno! 11 documento che affido a Maurizio vi
dirà a suo tempo che avete avuto torto di aggrediiini cosi. (Cara
di tasca una busta e la porge siihito a 'Maurizio).
M.U'Rlzio — {va per impadronirsene gridando.) Alfredo!
Claudia — {afferra il documento con un rapido atto felino), ilio!
Alfredo — {esce rapidamente).
(jLAUdia — {impiedi, tremrmdo, tremando come se il suo corpo fosse
squassato dal vento, lacera la busta, apre la carta, legge. A ogni
parola il suo volto diventa piii terreo, piii contratto, piii stecchito,
e le sue pupille si dilatano).
Maurizio — • {nel terrore e nella paura d'una crisi ferale, ne vigila le
alterazioni spa ventose).
{Quando ella ha letto rnltima parola, le sue pupille restano
spalancate in una fissità vitrea. La sua persona, ritta, irrigidita,
barcolla. - Maurizio corre a sostenerla, la trascina a una sedia,
dove ella, inerte, si lascia adagiare).
SIPARIO.
MATERNITÀ M'Ò
ATTO (QUARTO.
La stessa scena. -- È notte. — Sulla credenza un lume acceso. — La porta
che dà sul pergolato è aperta.
SCENA I.
Rosalia, Suor Filomena e Clauiha.
Rosalia — (è sola. S'inginocchia in messo alla camera e prega). Ma-
donna di Roccaromita, Madonna nostra, Madonna santa e pietosa.
Regina di pietà per tutte le mamme sante clie soffrono, per tutte
le mamme che portano nel cuore la bontà e nelle viscere il frutto
die Dio ha destinato e il dolore che Dio ha comandato; Madonna
nostra Ijenedetta dal Sionore. benedetta in cielo e in terra, bene-
detta dalle mamme poverelle che hanno partorito sopra letti di
paglia e dalle ricche d'ogni bene che hanno partorito sopra letti
di penne e di seta, benedetta da quelle che hanno vista la morte
con gli occhi, benedetta da quelle che hanno visto nascere il tiglio
in mezzo alle rose; Madonna santa e pietosa. Regina di pietà e
di soccorso, soccorretela voi questa signora bella, proteggetela voi
questa signora buona, benignatevi di darle la salute per lei e per
l'angelo suo, e, se Dio non vuole così, benignatevi... di darle la
forza di soffrire! {Resta inginocchiata, in silensio).
Slor Filomena — {salta soglia della porta a destra, sommessamente).
Rosalia...
Rosalia — (levandosi). Eh?
Suor Filomena. — È rinvenuta. Ha chiesto da bere.
Rosalia. — Come Gesù sulla croce, Suor Filomena !
Suor Filomena. — Presto dell'acqua, per favoie.
Rosalia. — Vi servo.
Suor Filomena — {sparisce).
RosALi.A — {prende nn bicchiere e il lume, si accosta al posso, e dalla
secchia che e sul parapetto versa Vacqua nel bicchiere. Ritorna.
Rimette il lume sulla credensa. Va alla porta a destra e sottovoce
chiama:) Suor Filomena !
Suor B^ilomena. — {rientra).
Rosalia — {dandole il bicchiere colmo). Se poteste metterla a letto...
Suor Filomena. — Lo so. Ma non vuole. {Via).
Rosalia — {resta presso la porta in ascolto).
La voce di Claudia — {piena di paura). Non ancora! non ancora!
Aspettate !
La voce di Suor Filomexa. — Tranquillatevi. Sono io, sono io. Suor
Filomena.
La voce di Claudia. — 1 miei carnefici !
La voce di Suor Filomena. : — No, no !
':244 MATERNITÀ
La voce ni Ci.aldia. — Sono di là!...
La vocf. di Srou Fii.o.mena. — No, signora (llaudia...
Yn silenzio.
Rosalia — (cecini 'io rciiire Claudia, si scosta e si rincaìif, uccia in un
angolo oscuro come per nasconrìersi, (juardando attenta e ansiosa).
(li.AiDiA — (/)/ una vestaglia bianca coi capelli sparsi sulle spalle, si
acansu rapidainente. Poi, non vedendo nessuno, si ferma rassi-
curata. E disfatta. Gli occhi, dentro le orbite infossate, lianno una
fredda lucentezza bianca).
Suor Filomena — [la segue a distanza, vigile e serena).
Cl.\1'DI.\ — (a Suor Filomena, con una specie di dolce rancore). \"oi
mi seguite sempre, Suor Filomena ! Sempre !
Suor Filomena — {con un gesto di umiltà devota si scusa).
Claldia. — È questa la consegna "?
Sl'OR Filomen'.\ — (ha un altro gesto uhiilniente affermativo).
Clai'dia — {dopo una pausa). Non c"è il signor Maurizio"?
Suor Filomena. — No, è andato via.
Claudia. — Da quanto tempo "?
Suor Filomena. — Da circa cinque ore.
Claudia. — Cosi lungamente sono stata priva di sensi"?
Suor Filomena — (attenuando). Eravate come assopita.
Claudia. — E dove è andato il signor Maurizio"?
Suor Filomena. — In città.
Claudia. — Nel cuore della notte "?
Suor Filomena. — La Teresina gli ha potuto far liovare giù. in paese,
una carrozza con due buoni cavalli. E con la stessa carrozza egli
sarà di ritorno, non più tardi dell'alila.
Claudia. — Ve l'ha detto"?
Suor Filomena. — Ne era sicuro.
Claudia. — Perchè cosi presto se tutto era stato fissato per mezzo-
giorno ?
Suor Filomena. — In verità, il signor Maurizio s'è un fio' impensie-
rito della crisi: e allora ha deciso di...
Claudia. — Di anticipare il martirio.
Suor Filomena. — No... Di condurre subilo qualche dottore...
Claudia. — Ho inteso : il dottor Berner coi suoi assistenti ! ( Un silen-
zio). Che ora è"?
Suor Filomena. — Sarà poco più delle quattro.
Claudia. — Quanto ci vuole per l'alba ?
Suor Filo.mena — (reticente). Una mezz'ora, credo.
Cl.u'dia. — Mezz'ora. (Riflette. Poi di scatto) Non entreranno all'im-
provviso, Suor Filomena"?
Suor Filome.va. — Certamente no. La poita di strada è ben chiusa.
11 signor Maurizio dovià picchiare.
Rosalia — (timida). Picchierà tre volte, come al solito. .Mi ha avver-
tito apposta di non aprire se non sento i Ire colpi alla porta.
Claudia — (che non s'era accorta di lei). Perchè sei qui anche tu"?
Rosalia. — È il signor Maurizio che m' ha fatto chiamare. Ha voluto
che la Teresina se ne andasse a casa. La poveretta cascava dal
sonno.
Claudia. — Non voglio tanti guardiani ! \'a via. (Quasi con asprezza)
Tu hai i tuoi tigli che ti aspettano.
MATERNITÀ 245
Rosalia. — Dormono tutti, signora bella.
Claudia — (piìi dolcemente). Non dai più latte al piccino"?
Rosalia — Sì, ma lui dorme come gli altri, adesso. È cosi tranquillo !
Claidia — Uli nuovo con asprei:3a). Va via !
Ros.ALiA — {rassegnata, otjtjediente. si avi-ia verso il fondo. Indi si
volta con gli occhi imploranti).
Claudia. — Vieni qua...
Ros.ALiA — (le si avvicina con le lagrime agli occhi). Signora bella !
Claudia — {prendendole le mani). Grazie, mia Rosalia. Lo so che vor-
resti aiutarmi. Ma che puoi fare tu per me"? Che puoi fare"?
Rosalia — Voi non volete eh' io resti qui, e non ci resterò. Passo un
momento per casa mia e poi andrò a pregare in chiesa. E sarà
meglio. La chiesa dev'essere già aperta, perchè si apre ogni giorno
un'ora prima dell'alba, lo ci entrerò ginocchioni, signora bella, e
bacerò la polvere della terra, e la bagnerò di lacrime finché avrò
occhi per piangere, e alla nostra Madonna dirò ancora con le pa-
role e con l'anima tutto quello che sai)rò dire, come se fosse per
me stessa e per i figli miei !
Claudia — {impressionota. coìifìdenziale). E che speri tu"?
Rosalia. — È lei che ha salvata la vita di tante mamme !
Claudia. — La mia, pur troppo, non corre più nessun pericolo, Ro-
salia I
Rosalia. — È lei che ha salvata la vita di tanti figli.
Claudia. — Quando erano già nati I
Ri)S.\LiA. — È lei che faià per voi il più grande miracolo suo !
Claudia — [esaltandosi a un tratto. pazzamente). Ah sì... Il più grande!
Il più grande ! Lo spero anch' io ! Lo spero perchè lo voglio. È
vero, è vero, Rosalia! È vero!... Tu puoi aiutarmi. Tu sola, tu
sola puoi! Va, va a pregare per me... Va a pregare per me! (La
sospinge verso il fondo. L'abbraccia e bacia).
Ros.Ai.iA — (esce).
SCENA 11.
Suor Filo.mena e Claudia.
Suor Filomena — (quasi immobile nella sua serenità semplice, osserva
tutto e contempla Claudia con intensità indagatrice).
Claudia — (dritta, con le braccia penzoloni, abliandonafe nelle lunghe
maniche che le nascondono le mani, si aggira lenta per la camera,
guardando intorno come se cercasse qualche cosa. A un punto, si
ferma, e, torcendo il collo, fìssa gli sguardi sul pozzo, die. nella
oscurità, biancheggia appena, come una tomba. Indi, con dissimu-
lazione, distoglie dal pozzo gli sguardi e si rirolgc alla monaca
con la voce tremante di palpiti). Suor Filomena...
Suor Filomena. — Signora.
Claudia. — Vorrei riposare.
Suor Filomena. — Vi gioverebbe.
Claudia. — Compiacetevi di prepararmi il letto.
Suor Filomena. — È già preparato.
Claudlv. — Allora... vi prego... precedetemi... Aprite le finestre...
Fate entrare dell'aria... Lì dentro non si poteva respirare...
>i OR Filomena — (impallidisce. Ma non un passo, non un gesto).
i24tì .MATERNITÀ
Ci-AfniA. — Suor Filomena ! Non mi avete udito ?
Suor Filomena. — Sì.
Ci.AiDiA. — Ebbene?
Suor Filomena — {con accento mite, ma fermo), lo non vi lascio sola,
pignora.
CLAiniA. — Per un istante...
Suor Filomena. — lo non vi lascio sola ! {Si accosta a lei amorosa-
mente) Mettetevi a letto, signora Claudia.
Clal'Oia — ^cupamente). No! (Poi con dolcezza, conte per impietosirla)
Non volete concedermi un poco di libertà?
Suor Filomena. — .Von de%'o.
Claudia. — Siete il mio carceriere ?
Suor Filomena. — Sono la vostra infermiera.
Claudia — Se foste la mia amica!...
Suor Filomena. — Sono la vostra amica, anche.
Claudia. — Non è vero.
Suor Filomena. — Perchè?
Claudia. — Perchè non sapete... non potete sapere !
Suor Filomena. — lo so quanto mi basta per esservi amica.
Claudia. — Non potete sapere !...
Suor Filomena. — Io so che lì, nell'ombra, quel pozzo vi attira come
un rifugio, come un asilo di salvezza. So che in questo momento
un solo pensiero vi possiede e v'invade tutta, ed è il pensiero di
sottrarvi al martirio!...
Claudia. — Ma non è concesso a voi di misurare 1" immensità di questo
martirio !
Suor Filomena. — Nei panni dell'umile suora che vi sta davanti c'è
una donna, signora; e sono i suoi dolori di donna, i suoi dolori
più profondi e più umani ciie hanno dato alla povera suora il
privilegio di comprendere e soccorrere i dolori altrui.
Claudia. — Voi dunque mi comprendete?
Suor Filomena. — Sì.
Cl.\udia. — Mi comprendete e m'impedite di morire?
Suor Filomena. — Sì.
Claudia. — E quale soccorso mi offrite ?
Suor Filomena. — Nessun soccorso. Vi offro soltanto l'esempio di ehi
probabilmente ha sognato come voi, di chi, come voi, avrà visto
svanire fra le miserie del mondo i suoi sogni più belli !
Claudia — (prorompendo). Lo vedete che siete tanto lontana da me...
.Non è un sogno il mio, non è un sogno oramai. È una realtà.
Voi non immaginate neppure quale differenza ci sia fra il sogno
che svanisce e la realtà, la realtà concreta, materiale, palpitante,
che si frantuma nel più vivo della vita !
Suor Filomena. — .Ma se è la morte che invocate !...
Claudia. — La morte, la morte appunto, prima che mi si strappi dalle
viscere la mia creatura !...
Suor Filomena. — E non sarebbe identica la rinunzia ?
Claudia. — No, perchè la mia creatura verrebbe con me. perchè con
me morirebbe, della medesima morte, intendete ?, nel medesimo
attimo. Neanche Dio me la potrebbe togliere ])iù, e nessun po.s-
sesso di madre sarebbe stato mai più vero ed intero di questo !
{La stanchezza e le sofferenze incalzano ; ma ella, con lo sforzo
della sua rolontà indomahile, continua a parlare, eccitandosi sino
MATERNITÀ 247
alla freuesia). La sentenza pronunziata ieri dai tre dottori che
vennero qui a torturarmi di nuovo non era che la conferma di
quella ben ciiiara, ben precisa, che, per ordine del vecchio Berner,
era stata da nie letta tino da un mese fa. In questo mese non mi
si è sorvegliata tanto severamente come da ieii vi ostinate a sor-
vegliarmi voi. Mi sarebbe riuscito forse facile di sfuggire alla sor-
veglianza e di finirla... E. disgraziatamente, non V ho fatto. Non
r ho fatto perchè, in fondo, m'illudevo. Mi sentivo ancora abba-
stanza resistente... Non volevo, non volevo convincermi che si na-
scondesse in me una così territ)ile rovina ! Ma da qualche giorno
mi sento molto male. Suor Filomena, molto male, molto male !...
Sono persuasa oramai che ì dottori hanno i-agione. {Come osses-
sionata) Fra pochi minuti udremo bussare alla porta... Fra pochi
minuti verranno!... Verranno per dilaniarmi il corpo e l'anima,
per impossessarsi di mio figlio, per ucciderlo, per mettere in salvo
la mia vita !... lo sono perduta ! lo sono perduta. Suor Filomena,
io sono perduta se voi non mi lasciate morire !
Suor Filome.\a. — Dio mio, fate che io abbia il coraggio e il potere
di combattere contro questa sventurata !
Claudia — (gettandosi ai suoi piedi e a poco a poco lagrimando in mia
fiduciosa effusione di dolore). Chiedetegli, chiedetegli piuttosto
r ispirazione, il consiglio della carità che io chiedo a voi. Vi giuro
di non esserne indegna. Non sono stata una perversa, non ho ve-
ramente sentito odio per chi mi ha tradita, non ho invidiato, non
ho peccato nemmeno nei sensi, perchè l'amore per l'amore non
1" ho conosciuto... Pensate che il condannarmi a vivere sarebbe
una crudeltà senza confronti ! lo non vi dico di resfare qui a ve-
dermi morire... No, no !... Lo so che questo non è possibile... Al-
lontanatevi, dunque... Io dichiarerò in iscritto d'avervi ingannata...
Dichiarerò di esservi sfuggita... Implorerò il vostro perdono... E lo
imploro anche adesso, anche adesso per le torture clie infliggo alla
vostra coscienza... Ma rispondetemi... rispondetemi... Conunovetevi
per me... Non siate così spietata!... Non siate così inesorabile!
ScoR FiLO.MEXA — (con desolazione), lo sono custode d'una legge che
impone a noi mortali di non disporre della nostra vita.
Claudia. — È della vita di mio figlio che io voglio dispoi-re per im-
pedire che ne dispongano gli altri !
Suor Filo.mena. — È la stessa legge divina, mia povera martire, che
non ve lo consente.
CL.iuniA — {drizzandosi impetuosa in un repentino risveglio di ener-
gia). Ma chi siete voi clie credete d'intendere la legge divina f
Essa è tutta qui, qui, nel mio sangue, nella mia carne... Io la
sento! io la sento!... Essa mi sostiene... Essa mi protegge... Essa
mi rende così forte che nessuno in questo momento è più forte
di me ! (Si slancia verso il fondo).
Suor Filomena — (sulla soglia, le sbarra il camìiiino con le braccia
spalancate, disegnando nella penombra la sagoma della croce). Dio
mio, fate che io abbia il coraggio e il potere di combattere contro
questa sventurata !
Claudia. — Suor Filomena, io vi abbatterò se voi non mi lasciate
passare !
Suor Filomena. — Sono forte e protetta anch' io, mia povera martire.
Claudia. — (va fino a lei con le mani protese e minacciose. Non osa
:>48 .MATEUxrrÀ
toccarla. Retrocede. Si ac/ita qualche istante per lei camera, fremendo
e dibattendosi come in un delirio di ferocia. Si arresta col capo
arrovesciato in un atto di estrema invocazione. Grida:) No! sono
io che posso ancora tutto. {Si getta a terra disperatamente).
jSroR Fn.OMENA — {dando un urlo di terrore, accorre. Si china su lei.
La cjuurda, le solleva la fronte, la chiama). Sijjnora Claudia ! Si-
gnora Claudia!... Signora Claudia!...
CL.A.UDIA. — Silenzio !.. E la morte.
Sl'or Fn.oMEXA. - Vedo.
«Claudia — (sostenuta da Suor Filomena, erge un poco il torace. Boc-
cheggia. Le linee del volto si contorcono dolorosamente, ma i suoi
sguardi pajono limpidi in una espressione di gioia). Ho vinto !...
Il grande miracolo è compiuto!... {Incrocia strettamente le braccia
sul petto). Con me... con me... (Abbandona il capo. Muore).
SroR FiLOMEN.\ — (volgendo gli ocelli al cielo, serenamente). Accogliete,
Signore, fineste due anime...
Tre colpi alla |)orta ili strada.
SIPARI»).
; Fine).
Roberto Bracco.
LA TEORIA DELL'EROE
IX T. CARLYLE e F. NIETZSCHE
Nel secolo xix le Arti, rotte le linee tradizionali in cui lo spirito
antiquato del classicismo le aveva rinserrate, e conquistata la libertà
della forma, vennero via via adattandosi alla vita d'ooni giorno, chie-
dendo a questa ispirazioni nuove e portandole il contributo di nuove
idee; vennero quindi al pari di qualunque altro istituto o funzione so-
ciale lentamente democratizzandosi.
Strappate alla contemplazione dei vecchi ideali di bellezza che,
se iuron negli antichi tempi parte integrante e necessaria della vita,
ne" moderni servivano soltanto a sviare gii ingegni negli oziosi labi-
rinti delle dilettazioni formali, si rivolsero con giovenile impeto a stu-
diare la società sboc-iata fuori dai grandi rivolgimenti economici e po-
litici tutta rinnovata negli spiriti e nelle forme.
Di qui la letteratura popolare; - popolare purtroppo anche nella
lingua e nello stile, che assai spesso si accontentarono e si compia-
cquero di apparenze volgari e dimesse, tanto da suscitare poi la rea-
zione in parte benefica dei gelidi Parnassiani e di tutti i cenacoli che
fanno pili o meno direttamente capo al decadentismo : ma popolare
sopratutto neiranima, in quanto non vi fu più speranza o lotta o sven-
tura pubblica che non trovasse nelle arti la sua voce e il suo atteg-
giamento. E se non mancarono le sterili esagerazioni di aspetti e di
nomi diversi - rami secchi dell'albero del romanticismo - in complesso
la letteratura del secolo passato ci appare intesa con ininterrotta serie
di tentativi e di sforzi ad accostarsi alla vita pratica, per diventare
una forza viva nel seno della società.
Vi fu quindi un apparente trionfo dell' individualismo, in quanto
ognuno conquistò la sua forma, foggiò il suo pensiero, manifestò la
sua anima non da stilista, ma da filosofo e da cittadino ; ma in realtà
chi trionfò fu Taggregato democratico, appunto percliè dalla nuova
smania investigatrice e dal confuso cozzo d'opinioni, di tendenze odi
sètte sorse non solo una più vasta e profonda conoscenza della società,
ma quasi \\n tipo medio di pensiero letterario, che fu l'espressione
genuina della coscienza collettiva. Sorse un elemento nuovo d'arte:
la folla: che se pur tenuta nell'ombra, fece sentire il misterioso pulsare
della sua anima attraverso alle pagine dello scrittore.
Si cominciò a comprendere come bisognasse scrivere per qualche
cosa e non già pel solo gusto di contemplare il proprio lavoro, o di
presentarlo, ridicolo feticcio, all'adorazione di pochi iniziati: come
l'arte non fosse, né potesse essere, una categoria astratta fuori del pen-
ÌÌÓ(> LA TEORIA DELI/EROE IN T. CARLYLE E E. NIETZSCHE
siero e della vita : e questo fu essenziale. Arte quindi di analisi che
forse nessun ingegno pei- quanto vasto potè in se slesso riassumere,
tanto incalcolabili ne furono gii effetti e disparate le manifestazioni :
arte analitica, che dell' uomo e dei ]wpoli descrisse tutte le conVin-
genze, rivelò tutti i pensieri e i dolori, parlò la voce di tutti i giorni
e di tutti i fatti.
L'« uomo medio » di Quetelet. che fu il prodotto delle scienze
rivolte allo studio dell'aggregato umano, fu innalzato in letteratura
alla dignilJi consueta di Eroe. Che se non radi manipoli d'artisti stac-
catisi dall'esercito dei « naturalisti » presero diletto nell' indagare e
nel ritiarre quanto di strano o di morboso ])resenta il mondo della
materia e, meglio ancora, della psiche, bisogna considerare tal feno-
meno come eccezionale deviazione dalla profonda coirente del secolo.
La mente moderna riceve dal mondo esterno, di giorno in giorno
più caotico e complesso, impressioni troppo varie e incalzantisi, è essa
stessa troppo frammentaria per poter indugiarsi a foggiar uomini
grandi, che abbiano in così alto modo tutte le buone e cattive qualità
dei nostri tempi da esserne i rappresentanti ideali. L'individuo si perde
nel brulichio dei suoi simili, e, né può abbracciare colla mente la
molteplicità varia e spaventosa de' fenomeni sociali, né può dell'opera
sua riempiere il mondo.
1 tempi non volgon propizi per gli Uomini //^/ alla Emerson, per
gli Eroi alla Carlyle, per i Siipenwmini alla Nietzsche. Questi uomini
ideali anno cervelli eminentemente semplici e sintetici, sono essi
stessi sintesi viventi, mentre la coscienza nostra è più che mai ana-
litica, e più die mai iito e intralciato è il campo delle nostre cono-
scenze.
La democrazia à detronizzato gli idoli, idtimo fra questi il Gran-
d'uomo, ed à collocato sé .stessa al loro posto. Avvenne un duplice
moto : della demociazia verso la scienza, e di questa verso quella. La
democrazia più non appagandosi dell' infantile spiegazione religiosa
circa i misteri della natura e dell'uomo, ne richiese la scienza: e
questa rispose negando Dio, i disegni della Provvidenza, la vita ul-
traterrena, la libertà e la sovrannatiuale missione dell'uomo. Che anzi
tentò di colmare l'abisso separante da tutti gli altri l'essere umano
collocando questo molto in basso vicino agli altri animali, dai quali
lo fece differire soltanto per gradi e per forme, non per qualità ed
essenza.
Disse che una molecola di ferro resta pur sempre una ed identica
sia che traversi gli spazi in un aerolito. o scorra nelle vene di una
giumenta, o batta in globoli sanguigni alle tempia di un poeta. Ed
aggiiuise non esservi di ijrande e di duraturo altro che la specie, alle
cui leggi, volente o nolente, l'individuo caduco e trascurabile obbedisce.
.Alla radice della natura umana à posto l'istinto della conservazione
della specie, facendo di questa non un composto casuale e caotico di
esseri, ma un tutto organico, solido e sensibile: e come subordinò
l'individuo alla specie, così sottopo.se questa alle eterne leggi della
materia. 11 dualismo tra spirito e materia disparve, e tutto si ridusse
a materia fornita di forze.
Allora le tradiziojiali teorie antropomorfiche e antropocentriehe
parvero crollare fatalmente per semjire in cumuli di macerie: e parve
che dopo il grande cataclisma morale lumanilà si fermasse attonita
e dubbiosa, forse lieta e forse in fondo triste dell'opera compiuta. E
LA TEORIA DELL EROE IN T. CARLYLE E E. NIETZSCHE ;25t
venne il periodo dello scetticismo intellettuale e morale solito a se-
guire le profonde rivoluzioni. L'uomo non fu ])iiì Fanima della terra,
né questa fu più il centro dell'universo.
Contro tale stato del pensiero filosofico e letterario si levarono due
voci sonore or di maledizione, or di sarcasmo: voci di due anime che
si piacquero in fantasie e pensieri divinizzanti 1" uomo e le sue fa-
coltà, che l'uomo vollero di nuovo riposto sui vecchi altari, celebrandolo
l'una come immagine divina sulla teira. l'altra come il sereno Re al
cui piacere, al cui dominio, alla cui gioia tutto deve servire.
Una di queste due grandi voci fu eminentemente cristiana, o me-
glio, religiosa, ed ebbe parole non ignote a Platone, ed impeti e gridi
che ricordano gli antichi profeti; l'altra fu voce jiagana, dolce e calda
spesso come quella dei poeti Greci celebranti la bellezza della vita,
talvolta rudemente temprata come quella degli antichi latini.
Tommaso Carlyle e Federigo Nietzsche, filosofi e poeti, risveglia-
rono con miracolo improvviso il senso dell'individualità umana che
si andava smarrendo: ambedue furono accolti da acclamazioni e da
grida di scherno: ambedue chiamarono a i accolta tutti coloro che in
letteratura e in filosofìa rifuggono dalle masse umane, e adorano l'in-
dividuo bello nella sua forte solitudine; ambedue eressero una teoria
che sopra il mareggiamento delle folle schiave dei bisogni e della in-
nata mi.seria, collocò l'uomo affrancato dalle umili leggi del branco,
l'uomo re di se stesso e degli altri, la creatura che è guida al bene
e a Dio. o die è l'incarnazione della libera volontà e della gioia
fiduciosa.
Per Tommaso Carlyle la storia dell'umanità si riduce ad una serie
di biografìe di Eroi, o almeno la vita degli Eroi ne è l'anima, il fuoco
centrale.
Qualunque sia il nome con cui furon chiamati - Dio. profeta, l'e.
poeta, sacerdote - qualunque sia la missione che quaggiù compirono,
l'umanità deve ad essi ogni sua luce ed ogni suo bene.
Un ebete branco sospinto dall'aculeo de' bisogni bestiali, ecco
l'umana famiglia, se araldi di Dio sulla terra -non apparissero gli
Eroi; coloro che debbono accendere segrete fiamme nei cuori, e driz-
zare gl'intelletti oltre l'angusto cerchio delle futili apparenze alla
divina Realtà, e mostrare ai poveri occhi ciechi « l'aperto secreto del
mondo » perchè vi sappian discernere le leggi della vita, e le genuine
espressioni di una volontà sovrannaturale.
L'uomo ])rimitivo è tro])po debole e schiavo del fardello della ma-
teria per poter camminare diritto ad una meta, per poter anche sol-
tanto discernerla. Una gran \ìln oscura gli batte nel petto con rombo
assiduo; egli è un caos di idee e di desideri.
Egli sente amore e sgomento per la natura piena di tremende bel-
lezze e di forze ignote ond' è cinto e minacciato; sgomento sopratutto
pel fondo silenzio umano che gli sta attorno, pel silenzio torbido del
proprio cuore.
Ed ecco, al suono di una voce provvidenziale il cuore inarticolato
trova ciò che da tanto tempo cercava, la parola, l'essenza cioè delle
cose. Suona l'eroica voce, e il terrore si dissipa, e gli attoniti occhi
cominciano di tra i veli che si squarciano a discernere nell' « aperto
segreto ». L'adorazione dei rudi cuori non più ferini e non ancora
25^ LV TEORTA OEI.L'EROE IX T. C.VIU.VI.E E K. NIETZSCHE
umani ])er TEioe che à compiuto il miracolo, e quindi genuina e
legittima.
Quando poi la fede primitiva degenera in idolatrie grossolane, e
di nuovo gii uomini sono intenti alle forme bugiarde e non alla di-
vina essenza delle cose, e la coscienza del popolo naviga fra gii abissi,
incerta come nave senza bussola o nocchiero, ceco di nuovo rinviato
della Provvidenza, che abbattendo i bugiardi fantocci e svelando la
verità, riaccende la fede nella serietà della vita, e mostra come questa
debba esser vissuta. Attorno a lui, come a nucleo centrale, si andrà
il poco a poco raggruppando e costituendo una nuova società rigenerata.
Così allorché popoli sventurati, malsicuri di lor forze e di loro
destini, giacciono in balìa di popoli violenti, ecco di nuovo 1' Eroe a
trasfondere in tutti la genuina sincerità del suo gran cuore, la ga-
gliardia del suo braccio, a integrare in solido fascio le sparse inutili
forze per condurle alla vittoiia. E così, allorché un popolo giunto alla
pienezza del suo sviluppo si ripieghei'à quasi stanco su se stesso col-
i'orecchio teso alle glorie trascorse, o si darà alla affannosa ricerca
di nuove strade, ecco nuovamente il mandato da Dio in veste di le-
.gislatore o di poeta : il primo inteso a santificare le conquiste nuove
della morale e dell'utilità sociale, il secondo natuiai voce di un'epoca
•che voleva esprimersi, e che del passato dirà le glorie e le vittorie.
■e dell'avvenire le sante speranze. Sempre, sotto qualunque cielo, in
qualunque età gii umani àn combattuto e vinto e progredito per viiiù
degli Eroi. Sempre chiusero questi nelle forti mani il destino dei po-
poli, e ne' magnanimi cuori le gioie, le ire e le parole degne di non
andar perdute.
Certo questo modo di comprendere la storia è, e fu detto, meta-
fisico; ma però non si è dinanzi ad una metafisica faticosamente in-
tessuta di sofismi e di sottigliezze verbali, ma ad una metafisica spon-
tanea, direi quasi po])olare.
Che cosa infatti di sostanzialmente diverso à semjtre creduto il
popolo, ed anche l'uomo dotto, sino al sorgere della moderna so-
ciologia?
La storia umana per il popolo come ]ier i dotti è un tpiadro dove
campeggiano sovra uno sfondo grigio e confuso poche luminose figure:
in esse è tutta l'espressione del quadro, anzi tutto il quadro. È quasi
una necessità dello spirito il personificare un"età od un popolo in un
grand' uomo. Nella vita quotidiana, man mano che si procede negli
anni, noi gettiamo dalla nostra memoria l'inutile zavorra delle nozion-
celle analitiche, dei lievi ricordi, degli innumerevoli piccoli fatti; e per
CQntrapposto osserviamo crescere e giganteggiare in noi pochi ricordi di
pochi fatti ; ma in essi è il succo di tutti gli altri, in essi è l'anima di
quanto abbiamo appreso o vissuto. .\llo stesso modo i popoli dimen-
ticano presto le i)iccole vicende (quelle che il Carlyle chiameiebbe fu-
filifi) e apixirciisc) e le turbe che la morte ha inghiottito, e che per
un'ora liempirono farla del loro ronzìo, simili a sciami di moscerini :
ma non dimenticano i grandi fatti e i grandi uomini, che sono sempre
tia loro in relazione di causa ad effetto.
Succede ai popoli come a chi si allontani su nave, che vede dap-
prima sparire gli oggetti più umili, poi confondersi in una unica mac-
chia grigiastra gli alberi e le case della riva, e questa macchia farsi
tenue e quasi diafana. Alfine anch'essa sparisce, e contro f azzurro
del cielo si accampa ancora, sola, la bruna massa del monte.
I.A TEORIA DEI.l"£ROE IX T. CARLYLE E F. NIETZSCHE 'Ìb3
Che avvenne degli antichissimi popol? delle loro lotte, dei loro
piati, delle loro canzoni"? L'oblio li a. travolti in sua queta fiumana,
sulla quale galleggiano ancora pochi nomi : tutto quanto è rimasto
d"un mondo. Poi tra secoli, fra decine di secoli, anche quei nomi,
quei punti luminosi spariranno, si spegneranno: e dattorno non saran
più che eguali tenebre ed eguale oblio.
La Grecia antica vive per i poemi d"Omero: e TEroe che la salvò
attraverso le vicende di tre millenni, per molti secoli ancora non la
lascierà cadere dalla memoria degli uomini, che già d'altri popoli ben
più iirossimi d'età anno scordato i latti e presto scorderanno i nomi,
appunto perchè nessuna eroica voce li fece risuonare nell'universo.
In che cosa dunque può parere strana la teoria di Carlyle?
In etfetto noi stessi, con tutto il nostro materiali-«mo storico e il
nostro spirito critico e la nostra multiforme sociologia, guardiamo istin-
tivamente la storia umana cogli ocelli di Carlyle. Per noi stessi Sparta
all'inizio di sua forza è sintetizzata in Licurgo; gli Israeliti vendi-
cantisi a libertà e cosliluentisi a Stato in Mosè; Atene vittoriosa e
alacre e ricca e gaudiosa e armonio.sa in Pericle: Roma dibattentesi
fra cristianesimo e paganesimo, fra credenze vecchie e nuove speranze,
mentre già i barbari premono alle frontiere, in Costantino. Chi di noi
pensa o può pensare ai patimenti degli ebrei, alla semplice vita degli
Spartani, agli arconti, ai sofisti, ai mercanti, ai senatori, agli schiavi,
ai preti di Atene o di Roma? Basta un nome, un gran nome, a illu-
minarci con sùbita luce le oscure regioni dei ricordi e della storia;
un nome, un gran nome di uomo che abbia sofferto, lavorato, com-
battuto per tutti; in lui si assomma tuttociò che gli altri anno fatto.
Giusta dunque come pratica costante e necessaria del pensiero, il
quale par abbracciai-e amplissimi periorli di storia à bisogno di dense
sintesi, la teoria di Cailyle appare mistica per il significato attribuito
agli Eroi, che sono gì" iiiriafi di Dio. Cj.sì parlavano i profeti, così
doveva pensare Omero quando chiamava i suoi re « pastori di popoli
prediletti da Giove ».
Tommaso Carlyle fu anima profondamente religiosa, che non com-
prese la religione come qualcosa di ristretto a formule di dogmi e
parvenze rituali, ma come una fede ampia ed ardente che deve avvol-
gere tutta la vita dell'uomo e determinarne la pratica. È quindi natu-
rale che egli vedesse nella religione il fatto principale così riguardo
all'uomo che alle nazioni.
« Io non chiamo religione la professione e l'affermazione di articoli
di fede, le quali sono spesso soltanto professione e affermazione delle
azioni esteriori dell'uomo, della mera sua ragione argomentante, se
|)ure sono tanto profonde. Ma la cosa che l'uomo crede ijraticamente
(e ciò bene spesso senza affermarla neppure a se stesso e tanto meno
agli altri), la cosa che l'uomo à praticamente a cuore, e ritiene certa
riguardo alle sue vitali relazioni con questo misterioso universo, ri-
guardo al suo dovere ed al suo destino quaggiù, ecco in ogni caso per
lui la cosa più importante che creativamente determina tutto il resto *.
Non fa meraviglia quindi ciie per Carlyle diventasse perno cen-
trale della teoria sugli Eroi il concetto metafisico di Fichte: non essere
le cose di questo mondo se non un involucro di sensibile apparenza
celante l'essenziale Realtà, cioè la « divina Idea del mondo ».
L'uomo è una divina apparizione, venuta da un mondo invisibile
dove dovrà ritornare, dopo una breve vita quaggiù sospeso fra due
454 I.A TEOHIA deli/eroe l.V T. CARLYI.E E K. NIETZSCHE
solenni silenzi: quello degli astri e quello delle tombe. L" Eroe è Tarma
di cui la Provvidenza si seive per attuare i suoi disegni in mezzo al-
l'umana famiglia. Tutta la sua vita è una battaglia, è il compimento
di una missione.
Mentre per altri fllosotì (ad esempio, pel Mazzini che ebbe con
r Inglese famigliarità e molti e profondi tratti di somiglianza spiri-
tuale) il Grand'uomo non è che il frutto maturo di un'età e di una
società, per Carlyle invece è il germe da cui età e società usciranno
e si svilupperanno. Mentre quelli fanno del Grand'uomo una forza
subordinata o almeno coordinata all'età e all'ambiente. Carlyle ne fa
una forza indipendente e provvidenziale che suU' ambiente e sull'età
deve intluire. Di qui una delle affermazioni più insistenti di lui: che
r Eroe sotto qualunque cielo in qualunque tempo è identico, è sempre
« intimamente della stessa stoffa » per quanto possa venir chiamato
con nomi diversi. Egli è l'uomo provvidenziale, è sempre una genuina
realtà : tutto il resto non è che « ombra che par persona ». Odino,
Maometto. Dante, Shakespeare. Cromwell, Lutero, Johnson, Goethe,
sono egualmente messaggeri iteli' infinito ignoto e ce ne recano novella:
escono direttamente dall' intimo fatto delle cose, vivono ed hanno da
\ ivere in quotidiana comunanza con esso. Sono della stessa stoffa adun-
que, soltanto differiscono dall'accoglienza che anno incontrato quaggiù.
« Il culto degli Eroi varia di continuo : differente in ogni età, è in
ogni età diffìcile a ben praticarsi. In fatto si può dire che il vero com-
pito di un'età si riduca al ben professarlo. Il culto di un Eioe è la
trascendente ammirazione per un grande, lo dico che i grandi uomini
sono ancora ammirabili, dico che in fondo non c'è altro di ammi-
rabile... Anche la religione si forma su questo culto... Culto degli Eroi,
cordiale ammirazione, sommessione ardente sconfinata per una nobi-
lissima, i)er una divina forma d'uomo, non è questo il germe dello
stesso cristianesimo? »
Se infatti persino l'adorazione di una pianta, di un animale, di
una stella fu per interi popoli e intere età un santo dovere, ed ebbe
in sé alcun significato, quanto più non poteva averne quella d'un
Eroe? Anche nelle nostre età attossicate da scettico criticismo sgreto-
latore, noi siamo ancora, secondo Carlyle, indotti dal naturale istinto
a cercai-e 1" Eroe, e ad ammirarlo quando ci è dato di rintracciarlo.
Suffragio politico, jtartiti. parlamentarismo, tutto si liduce infine a
scegliere i migliori, quelli a cui tutti gli altri obbediranno con gioia.
Certo, i romorosi metodi moderni di scelta non valgono gran che:
devesi anzi ad essi precipuamente se nella Eroiarcìiia, che è la spina
dorsale della nostra come di ogni umana società, alcuni sono falsi eroi,
non sono cioè d'oro puro, pur rappresentando oro. Ma come in com-
mercio, se si può andar innanzi con molte monete false, non lo si può
con tutte, che si finirebbe al fallimento, cosi nella vita politica quando
tutti coloro cui è commesso il comando sono d'oro falso, si precipita
nelle rivoluzioni. Il difficile sta dunque nel trovar l'Eroe, ma trovatolo
è giusto che tutti gli prestino adorazione.
Ogni popolo in ogni età cerca l'Eroe; qualclie volta lo cerca e lo
chiama invano : la Provvidenza non 1" à mandato e i tempi volgono
a rovina. Cuore magnanimo, indomita fermezza, genuina inconscia sin-
cerità, tutte le caratteristiche del Grand'uomo mancano agli imbelli
tempi se egli manchi: e allora, nell'assenza di ogni cosa buona, fio-
risce il cultu delle parvenze, delle futilità, delle caducità. 1 secoli di
LA TEORIA DEM. EROE IN T. CARl.YLE E F. NIETZSCHE ÌW
decadenza s' ingegnano assai bene nelle cliiaccliiere criticlie e così
dette scientifìclie ; ma le « età eroiche » in un « eroico silenzio » par-
lano con la voce di magnitìci fatti.
Le chiacchiere scientifiche! Ecco veramente ciò che Carlyle odia,
ciò che sferza spesso col suo feroce sarcasmo ; poiché è opera pazza
il volere spiegare con quattro nomenclature l'universo, il divino e mi-
sterioso universo, « come se fosse una povera cosa morta da rinchiu-
dersi in bottiglie di Leyda e da vendersi nelle botteghe ».
Anche Federigo Nietzsche à spesso amare parole contro la scienza:
ma mentre il filosofo inglese la odia come la gran nemica del senti-
mento religioso, il tedesco sente in essa « odor di palude con graci-
damenti di rane », e la dispiezza perchè da una parte mette capo ad
un mostruoso idolo, lo Stato, dall'altra finisce col sottomettere 1" uomo
alle leggi della reciprocansa, col rinserrarlo nel cerchio sempre più
angusto di una morale da branco, sminuendogli ogni giorno di più la
forza dell'arbitrio.
Lo scrittore inglese considerava la scienza da mistico, il tedesco
da anarchico morale quale fu in realtà. « Il mondo ora non è divino
se non per gli eletti; pure, esso è una cosa ineffabile, verso la quale
la migliore attitudine per noi dopo tutta la no.stra scienza è il rispetto,
la devota prosternazione, e l'umiltà dell'anima » - grida Carlyle.
Dice il Nietzsche: « Sopra tutte le cose si stende il cielo del caso,
il cielo dell' impreveduto, il cielo del capriccio. E questa libertà e sere-
nità celeste io posi al pari di un'azzurra cupola sopra tutte le cose,
allorquando insegnai che né oltre loro né in esse alcuna volontà eterna
si manifesta ».
Necessariamente dalla diversa concezione dell'universo - religiosa
e mistica in Carlyle, atea e materialista in Nietzsche - derivano delle
l)ròfonde differenze nel rispettivo modo di considerare e di spiegare il
Grand' uomo.
L'opera di costui non può per Carlyle restringersi alla vita di
quaggiù, dove quella cosa silenziosa e indefessa che si chiama tempo
finisce per avvolgerci nella sua onda, sulla quale noi e l'opera nostra
galleggiamo per un istante, come parvenze che sono e poi noti sono
piiA,. No: v'è una divina realtà oltre l'involucro di sensibile apparenza:
v'è un « al di là ». Quelli che non sanno spingervi lo sguardo per-
dono il tempo in futilità : pos.sono levar molto rumore, molta polvere,
ma poi il rumore si attutisce, la polvere dilegua, ed è di loro come
se non fosser vissuti. Ma l'Eroe porta in se stesso il fuoco che sa incen-
dere et accendere, e legge nel cielo un grande principio, un grande
insegnamento che possa essere come un vessillo attorno al quale tutti
gli uomini si stringano. E per questo vessillo l'Eroe deve combattere
e sperare e soffrire ogni ora della sua vita, tutta la vita.
Così si spiega il disinteresse, l'altruismo, lo spirito di sacrificio
di tutti gli Eroi carlyniani, i quali non operano per sé, non operano
neanche secondo un piano prefisso : un'ascosa forza li muove, inconsci
spesso e sempre schietti come la natura, di cui non sono che una
mirabile forza. Non cercano la ricchezza, non la potenza, non la gloria:
tali futilità verranno non desiderate ad essi, che potrebbero far loro
le parole di Cristo: « 11 nostro regno non è di questa terra ».
t>.ó(j LA TEORIA r)i:i,i."i;R()i-: in t. cAUi.Yi.t; e k. mut/.sche
E Gian Giacomo Rousseau, cl)e tante doti eroiche ;i pure come let-
terato, non si salverà dai riniprovei'i di Carlyle, appunto perdiè sof-
ferse di una miserabile fame: quella della gloria; appunto percliè il
contingente e il caduco distolsero spesso i suoi occhi dall'e/er/fo e
dal reale.
(vosì si spiega anche perchè il Carlyle [irediliga gli Eroi die altro'
non ebbero ali" infuori della loro grande anima, e lasci nelTombra quelli
che sulla scena del mondo jìarvero rappresentare le parti più importanti
di re e di imperatori. Egli più che al successo guarda al nieiito. più
che all'esteriore ali" interno; quindi se per Dante e Shakespeare à
parole di affetto e di adorazione di cui non conosco le più eloquenti,
venera pure letterati che passarono quasi sconosciuti fra gli uomini,
che certo non varcarono i confini della lor terra, come Roberto Burns
« balzato fuori di tra mezzo alle artificiali figure di cartapesta del secolo
decimosettiino quasi sorgente nei deserti rocciosi ».
Per tutto Cfuesto è naturale che il mistico inglese ammiri assai
scarsamente Napoleone, adorato invece dal Nietzsche quale perfetta
immagine dell'uomo che riesce ad affermare la sua vittoriosa e onni-
potente volontà. Oliviero (aomwell appaie agli occhi dell' Inglese assai
più glande del Bonaparte. «Le enormi vitloiie di costui che si este-
sero a tutta r Europa, mentre il campo d'azione di Cromwel si limitò
alla piccola Inghilterra, non sono, per dir così, che gli alti trampoli
sui quali l'uomo si vede salito : la statura dell'uomo per essi non muta.
Non trovo in lui sincerità pari a quella del Cromwell... » E più oltre
conclude: « Il napoleonismo era ingiusto, era menzogna e non poteva
durare... L'opera di Napoleone si ridurrà a lungo andare a quanto egli
compì giustamente, a quanto la Natura sancirà con le sue leggi, a
((uanto di realtà era in lui: a tanto e nulla più».
Qui si manifesta veramente tutto il modo di pensare e di compren-
dere del tiarlyle: il mondo ])er lui non solo è come realtà materiale,
ma sopratutto come realtà spirituale, e il mondo dell'uomo e della
società è sopratutto come realtà inorate.
Invece, secondo il Nietzsche, trovandosi l'uomo a vivere in un
mondo in balia del caso, deve vivervi con gioia, ed esser lieto,
libero, crudele, malizioso: deve principalmente ciicoscrivere quaggiù
ogni scopo ed ogni desiderio. Non teorie di rassegnazione, di morfi-
tìcazione, di impicciolenti virtù: tutte cose che vaiuio bene pel vulgo
foggiato sulle prediche dei celebratori della morte. Tuttociò che tende
a diminuiie la libera gioia dell'uomo, fatto o teoria, materia o spirito,
ecco il male: tuttociò che contribuisce all'autodominio, al potere, alla
bellezza, ecco il bene ; bello e buono, utile e lecito son nuovamente
termini che s' identificano, come già presso taluni dei Greci. Gran-
d'uomo sarà colui che meglio saprà vivere: che meglio saprà gioire
ed elevarsi e comandare : colui che saprà dire a se stesso e a lutti e
a tutto : io voc/lio. Non io qui ni' indugierò a fare una esposizione siste-
matica del Superuomo nietzschiano, di cui tanto si parlò in questi
ultimi anni, qualche volta assennatamente, più spesso a sproposito. E
neanche voglio parlare delle opere letterarie che trovarono in questo
teoria la sorgente di lor vita, poiché i Superuomini dei romanzi e dei
poemi sono ftmtocci assai male cuciti, e soltanto capaci di parlare cor
la voce altrui, e di far i soliti quattro gesti ad angolo retto.
I.A TEOllIA nELL EROE IN T. CARI. VI. E E K. NIETZSCHE T-)l
Ma ciò che da noi non fu se non ostentazione e scimmiottamento,
per Nietzsclie fu parte integra della coscienza ed espressione veia di
temperamento. Egli fu un greco col culto innato per la bellezza, la
forza, la pienezza della vita tisica, vissuto per anacronismo in un secolo
ricco di una sua speciale bellezza che egli non seppe compi endere. 11
mondo e la vita apparvero alla sua anima, come a quella degli Elleni
o dei Romani dell" impero, sotto una luce esclusivamente estetica e
sensuale. I problemi più ardui del cristianesimo che tanto agitarono
le coscienze del secolo xi.x, per Nietzsche non esistettero, contento come
fu di proclamare spesso che « Dio è morto ». e che con Lui è morto
il regno deirumiliazione e del dolore.
Chi comprende la vita come una cosa caduca in cui sia saggezza
il cariirre flirm. chi la comprende come espressione di gioia, o soddi-
sfazione di sensi o esercizio di potere, non à anima religiosa. Tanto
gl'individui che i jiopoli profondamente religiosi anno un culto spe-
ciale pel dolore : su questo si basa anzi in gran parte la costruzione
teorica delle religioni. Si pensa in un « al di là » solo quando tal pen-
siero può essere una speranza od una consolazione. Ma coloro che sanno
e possono dalla vita terrena esprimere larga e ininterrotta onda di gioia,
vedono nelle speculazioni ultraterrene un attentato alla felicità. Zaia-
thustra di Nietzsche porta anch'esso agli uomini la buona novella,
come i profeti e come il Rabbi di Nazareth : ma il regno che egli
annuncia non è quello dei cieli, quello dell'eternità, bipartito in luogo
di delizie e in luogo di tormenti secondochè si sarà operato confor-
memente o contro alla legge di Dio : ma è su questa terra, esclusi-
vamente su questa terra, dove l'anima spesso muore anche prima
del corpo.
« Il Superuomo è il senso della terra... Ve ne scongiuro, fiatelli
miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi par-
lano di speranze sovrannaturali! Sono degli avvelenatori coscienti ed
inco.scienti ». 11 Superuomo non può essere creatura dei nostri tempi
ancor troppo legati al passato, e schiavi del ])regiudizio dell' « oltre
tomba » e di quello « del bene e del male ». Tutto c[uello che noi pos-
siamo sperare è di preparare l'avvento di colui che balzerà un giorno
dall'anima nostra, purificata via via nel crogiuolo della bellezza e del
dominio, a distruggere il dolore, e a superare così lo stadio animale.
« Io non posso amare che il paese dei miei figli, il paese inesplorato
laggiù nel più lontano dei mari : verso di esso drizzo le mie vele ansio-
samente cercando. Ne' miei tìgli voglio redimere la colpa d'essere stato
tìglio de' miei padri, e coU'avvenire questo presente ! ».
Il concetto del progredire degli esseri da forme inferiori a forme
sempre più perfette - legge di cui la scienza involve tutto il mondo
tìsico - è, come si vede, trasportato dal Nietzsche nel campo morale.
Già gli Elleni, secondo lui. eran giunti alla soglia del tempio del Super-
uomo, e vi sarebbero forse entrati, se gli uomini dietro le vestigia del
Galileo non avessero distrutto gli strumenti della grandezza e della
gioia, per foggiare con cecità ridicola i ferri dei propri supplizi.
Però è da osservarsi, che mentre il fondo sociale dell'estetismo
greco fu democraUco, tantoché se Superuomini vi furono, lo furon tutti
dall'arconte al soldato, per Nietzsche solo un piccolo numero d'uomini
potrà affrancarsi dalla schiavitù della liassezza e del dolore.
L'arte, l'esercizio della volontà individuale, la pratica della libertà
avevano finito per sospingere veramente tutto il mondo greco ad una
17 Voi. evi. Selle TV - 16 luglio 1903.
'2ÓH LA TEoiuA dki.i/kroi-: in t. cari. vi. i: e r. Nietzsche
serena altezza, dove le slesse scarse fantasie siili' «/ ili là eiaiio iinpK'-
gnate eli un piot'unio di g-ioia, erano miti ombre e non tenebre l'osche;
mentre per Nietzsche il branco, il vile branco, si avvoltolerà sempre
nella sna innnondizia. sarà sempre, per dirla con Carlyle, una povera
cosa amorfa e inarticolata. Così V Eioe di quello, in quanto trae la
sua rag:ion d'essere dalla massa umana per la quale opera e vive, forma
l'esatto contrapposto del Superuomo, il quale vive quasi in odio alla
massa, in un'atmosfera nota a lui solo, cni'ioso tipo di gigante e di
anacoreta.
Il Superuomo è quindi line a se stesso : la viitfi. la verità, l'ideale
non esistono all'infuori di lui : non sono come nel mondo di Carlyle
(lei fari nascosti nelle tenebre, che solo la prodigiosa mano dell'Eroe
può svelare agli attoniti sguardi delle moltitudini. 11 Superuomo è il
senso della terra; è sopralutto il circolo chiuso che à coininciamento
e fine in sé. stesso, supremo fiore dell'albero della vita, destinato ad
accogliere in sé ogni raggio, ogni colore, ogni lìiofumo.
Da taluni si volle riallacciare il pensiero nietzschiano alla legge
della lotta per la vita con il conseguente trionfo del più forte e del più
atto, lo si volle anzi con quella spiegare e giustificare: altri, trasportan-
dolo nella politica, vi scorsero la teoria delle forme oligarchichedi governo-
« Zarathustra non deve parlare al popolo bensì ai compagni : Zarathustra
non deve essere il pastore ed il cane d'una mandria! » Certo la figura
creata dal Nietzsche è essenzialmente e crudamente aristocratica; si
direbbe anzi chea meglio sublimare la sua creatura, il tilo.sofo abbia vo-
luto accentuarne il distacco dal volgo, ostentando un esagerato disprezzo
per questo, e un soverchio entusiasmo per i pochissimi eletti. Ala il tra-
sportare il pensiero di Nietzsche dal campo puramente etico, dove sorse
e si sviluppò, in altri campi è opera arbitraria ; tanto più che se già nel
campo morale esso è sovente tanto ardito da sembi'ar pazzesco, ti'as-
portato nella i)olitica darebbe luogo a dei mostruosi anacronismi.
Di i)iù il Nietzsche, così facile a lanciar apoftegini in materia di
arte, di letteratura e di morale, sorvola sempre sulla politica, potendo
per lui essere volgo non solo coloro che servono materialmente, ma
anche coloro che pur avendo tutte le apparenze del comando àn la ser-
vitù nell'animo, potendo essere volgo anche i re di corona. Zarathustra
si ride dei governi e non li cura, vivendo essi assieme ai greggi umani
di cui sono i cani da guardia, in una zona d'ombra, lungi dal beato
colle del Superuomo irraggiato dal sole. « Ed ai governanti volsi il
dorso quando vidi che cosa essi chiamavano governare: il mercanteg-
giare e patteggiar colla plebe ! »
L'opera di Federigo Nietzsche bisogna quindi consideiai'la soltanto
dal lato etico, quale integrazione in un'idéal forma d'uomo di un nuovo
e più ampio sistema di morale, che non fissa arbitrari confini chia-
mandoli coi nomi di « bene » e di « male »: al di là di questi fittizi
confini deve allargarsi la libera e conscia volontà, deve stendersi l'illi-
mitato regno del capriccio.
La passione, reietta in tutti i sistemi morali e religiosi come radice
di ogni male, è dal tìlosofo-esteta posta al vertice della sua etica. « Una
volta tu possedevi delle passioni e le chiamavi cattive: ma adesso non
possiedi che le tue virtìi, le quali ebbero origine dalle tue passioni.
Tu collocasti il tuo scopo più sublime in quelle passioni ed allora
divennei'o le^tue virtù e le tue gioie ». Il branco invece seguiterà il suo
ebete andare lungo gì' insorpassabili confini del bene e del male, e
I
LA TEORIA deli/ EROE IN T. CARLYLE E F. .NIETZSCHE :25U
vedrà iiell' nonio che per t'orza di volontà li à varcati non un essere
ammirevole, ma un nemico. Tutta la sua gretta morale basata sulla
legge della reciprocauza che innalza a sistema la transazione, che im-
pone l'obbligo di innumerevoli schiavitù e riduce l'uomo ad una com-
pleta evirazione, è turbata quasi da temerario attentato dalia vita di un
Superuomo. 11 quale, perciò, sarà odiato, e sarà invece levato alle stelle
chi al popolo darà il più bello e chiassoso esempio di seintù, di auto-
ini picciolimento.
Mentre per Cailyle il culto degli uomini superiori è eterno e ine-
stJTiguibile, sebl)ene più o meno fervido secondo le età e le circostanze,
mentre dunque è il popolo colla sua ammirazione devota che misura
in certo qual modo l'Eroe, pei- Nietzsche il popolo è incajìace di giu-
dizio, e non bisogna mai credergli quando parla di uomini grandi per-
chè non comprende la giandezza dei pochi (i quali sono poi gli eitfì
dir creano), ma à occhi ed orecchi per i commedianti (cpielli che rap-
jiresentano le cose grandi! e ruota attorno ad essi e li cinge di gloria.
« Guardate i buoni ed i iiiiisfi. guardate i credenti di tutte le religioni :
chi odiano essi ]iiù d'ogni altro? Colui clie spezza le loro tavole dei
\alori, i'infran^itore. il corruttore: ma questi è colid che crea. Io
non voglio più parlare al popolo: per l'ultima volta ò |)arlato ad un
radavere ».
Tommaso Carlyle e Federigo Nietzsche furon quindi due fieri e rudi
e intransigenti individualisti in un'età in cui la .scienza pareva decre-
tare, in ogni ordine di S|)eculazioni e più di tutto nella pratica quo-
tidiana, il trionfo della specie e della folla..
Religioso e mistico. Carlyle ridusse l'uomo di genio ad un semplice
strumento della Provvidenza, atto a lavorare la grigia massa umana,
onde farne sprizzare scintille di luce e fiamme d'amore. Fu più che altro
un ricordo di antiche cosmogonie, un'eco di mitologie morte, un grido
(li fede religiosa tanto più commovente in cjuanto si sente che risuona
nel silenzio del cuore sociale: non fu certo, né lo poteva essere, opera
di scienza. Il suo Eroe, metafisico nell'origine e nello sviluppo, è pur-
tuttavia profondamente simjiatico. perchè non si rinchiude in sé stesso,,
ma si dona tutto agli altri, etl è il salvatore, il ]>adre. l'amico del popolo.
Ed è simpatico perchè questo, malgrado le sue vanterie e ostentazioni
egualitarie, adora un bel gesto, ima bella parola, un gran fatto : e an-
cora subisce il fascino di chi è tanto diverso da lui, ma anche tanto su-
periore. Tutta una nuova fioritura di eroi e di uomini tipici - nel teatro,
nel romanzo, nel poema - dopo il trionfo indiscutibile degli ambientisti,
dimostra la verità di questa asserzione.
Materialista e pagano. Nietzsche innalzò l'uomo ai limiti ultimi del
mondo sensibile, oltre i quali comincia il nidla. e lo abbandonò alla
sola legge tlel capriccio, al solo istinto della gioia. Ma il suo Supei'uomo
riesce antipatico non solo jierchè jioggia sulla precisa inversione dei
principi di morale universalmente accettati, ma perchè coll'esaltare la
solitudine egoistica del Superuomo il filosofo spezza ogni vincolo di
simpatia tra il mondo umano che attorno vive e la creatura della sua
mente, che diviene così un ridicolo feticcio dinanzi al (piale si sdi-
linquiscono in adorazione pochi esteti.
2(M) LA TEOIilA dell'eroe IX T. f.ARLVLE E E. XIETZSritE
Che se il concetto filosofico di Nietzsche applicato alla produzione
artistica diede lìutti copiosi forse, ma senza dul)bio risibili, anche
come sistema morale non aggiunse al pensiero greco, cosi sereno e allo
e sobrio nelle sjieculazioni metafisiche, altro che la parte ]>iii antipa-
tica: cioè l'opposizione dell'uomo agli nomini, la popolofohia. Cosa
questa che ])iìi forse è dettata al Nietzsclie dal temperamento suo di
antico che non dal lavorio del raziocinio; poiché la popolofohia non
discende necessariamente di illazione in illazione dalle premesse atee
e materialistiche: tutt'aUro. È tjuindi prodotto del suo temperamento
squilibrato di antico, reagente collo sprezzo impotente e cogli sfoghi
sentimentali al quotidiano elevarsi ed agitarsi della democrazia, verso
la quale vedeva fatalmente orientarsi l'arte, la scienza, la |Kj]itica, tutta
insomma la vita sociale.
GusEPPE Ravenna.
LA STORIA DELLA FINANZA ITALIANA
Achille Plebako. Storia della Fiitanza italiana dalla costilusione del Retino
alla fine del secolo XIX. Volumi 3 di pag. 1600. — Casa Editrice !Xazionale
Roux e Viarengo, Torino-Eoma.
Con la pubblicazione, testé avvenuta, del terzo volume, lia avuto
compimento la Storia delia Finanza^ italiana di Achille Plebaìio.
La riconosciuta competenza delfautore, favore vohn ente noto agli stu-
diosi per pregevoli lavori in materia economica e finanziaria, e la
speciale importanza del poderoso lavoro ora venuto compiutamente
alla luce, basterebbero ad esigere che di questo fosse trattato con am-
piezza maggiore di quella che le riviste bibliografiche sogliono consen-
tire, per ragione di spazio, anche a pubblicazioni di gran conto. Né
solo il valore dell'Autore e il pregio dell'opera sua esigono un più
ampio esame di questa: lo esige ancora la prcscMile situazione della
finanza italiana, la quale cela gravi pericoli, in ragione del migliora-
mento suo, che de.sta troppi, per quanto non tutti ingiustificati, desi-
deri. Perchè se la situazione della finanza pubblica è, da qualche
tempo, notevolmente migliorata, come attestano il pareggio realmente
«uramente conseguito, e il progressivo incremento di impoitanti
;ùti di entrata; se anche la situazione economica e monetaria è
migliorata, come appare dall'aumento della produzione e del traffico,
e dalla scomparsa dell'aggio della moneta; è pur vero, d"altra pai1e,
che a questo miglioramento finanziario, economico e monetario non
corrisiìoude esattamente la situazione del paese in generale, e special-
mente quella di alcune regioni, a sollievo delle (juali sono insistente-
mente invocati speciali provvedimenti. Come è pur vero che l'assetto
della finanza è sfato conseguito e si mantiene a costo di sacrifizi
yiavi per i cittadini, sui quali pesa sempre un onere tributario assai
gravoso, che è più difficilmente sopportato in quelle regioni appunto
nelle quali il miglioramento si è meno accentuato; onere cfie non è
equamente ripartito tra le varie classi sociali e che, per quanto si sia
altrimenti affermato, ma non dimostrato, colpisce più duramente le
popolazioni più bisognose.
Tuffo ciò, se giustifica i desideri di alleggerimenti fiscali che da
ogni ])arfe. ad alta voce, si reclamano, e di speciali provvedimenti a
favore di regioni meno prospere, giustifica altresì le inquietudiui di
Kiloro che dal soddisfacimento di quei desideri vedono comi)romessa
la saldezza della compagine finanziaria. Inquietudine tanto piii giu-
stificata, in quanto che i provvedimenti che si invocano da varie parti
non apjiariscono inspirati ad un largo concetto organico di riforme
tributarie, la cui attuazione potrebbe essere tentala, sia pure a sem-
plice titolo di esperimento, nella non ingiustificata fiducia che potesse
diri LA STOKIA DELLA KLVANZA ITALIANA
derivarne una più giusta ed equa liiiartizioiie tributaria, avente per
effetto un sollievo delle |iopolazioni più lìisognose. e capace di con-
sentire, per dirette ed indirette vie, adeguati coinpensi e risarcimenti
in un elexainenfo del tenore di vita economica delle popolazioni stesse,
determinante un considerevole aumento dei consumi.
Non soltanto nulla di tutto ciò è stalo fin qui proposto neiram-
bito politico, ma in esso e fuori di esso. s"è quasi generalmente dif-
fuso il concetto o. a meglio dire, il pregiudizio, che nulla sia da
tentare in argomento di largiie, radicali, organiche riforme tributarie.
Cotesta avversione, che deriva dalla troppo scarsa coltura economica
del paese, può tuttavia sembrale, fino ad un certo segno, giustificata,
perchè tutto ciò che appare troppo complicato e tropjio ardito è sempre
-accolto con avversione e con sospettosa diffidenza, e perchè si crede
che manchi in Italia l'uomo atto a concepire coraggiosameide, a difen-
dere strenuamente e a far prevalere un vasto e radicale disegno di
riforma tiibutaria, per il quale si ritiene che il paese non sia ancora
preparato.
Di guisa che, per timore deiravveisa corrente della publilica
opinione, anche coloro che sono intimamente persuasi della utilità di
una organica e complessa riforma tiil)utaria. si astengono dal proporla,
nel timore di essere consiflerati quali uomini avventati e pericolosi.
Intanto, poiché si crede che qualcosa sia i)ur necessario di fare,
non fosse altro per calmare le inquietudini delle popolazioni, proposte
varie sono state fatte da parti diverse, coirintento di venire in aiuto
•di classi o di regioni piìi bisognose. Senza entrare qui a discutere le
varie proposte, giova a\vertire che esse incontrano opposizioni gravi
da parte specialmente di coloro che, badando, sopra ogni altra cosa,
alla assoluta necessità della saldezza finanziaria, giudicano i provve-
dimenti proposti atti a com])romettere fequilibrio del bilancio, che ne
sarebbe dannosamente sbocconcellato senza reale ])rofitto per alcuno,
essendo i provvedimenti medesimi troppo scarsamente ed ineffica-
cemente giovevoli alle popolazioni bisognose.
Per quanto riguarda la tenuità del l)enetizio immediato che i con-
tribuenti trarre])bero dai provvedimenti invocati, è da considerare che
la critica e la opposizione che su essa soltanto si fondano, non po-
trebbero essere accolte in modo assoluto; giacché è bene evidente che,
a siffatta stregua, niun provvedimento meriterebl>e di essere approvato,
il meno che non importasse una perdita per il bilancio di parecchie
centinaia di milioni : perdita che questo, per lungo tempo ancora, non
potrà so[)p(jrtare. Ma se si riconosce che i contiibuenti sono troppo
•duramente colpiti: se, anche per considerazioni politiche e sociali, si
ritiene opportuno di inaugurare Tèia di una jtolitica tìnanziaria meno
^opprimente e più umana, non si dovrebbe recedere dal prt)ponimento
di iniziarla per la considerazione del limitato benefizio immediato che
ne avranno le popolazioni, purché, per altro, sia bene accertato che il
bilancio |)uò sopportare la perdita, per modo che non vi sia il pericolo
-di ricadere nel disavanzo. E per non ricadere nel disavanzo è neces-
sario avere sempre margini attivi per fronteggiare le eventualità im-
previste o, meglio, le prevedutili eventualità straordinarie.
Nel momento presente v'è però chi teme fortemente che il pericolo
di ricadere nel disavanzo vi sia, e raccomanda perciò di non sperpe-
rare gli avanzi del bilancio e di destinarli più utilmente ad altro uso,
vale a dire a rafforzare la posizione del Tesoro e ad estinguere i suoi
LA STORIA DELLA FINANZA ITALIANA ^63
"debiti, a cominciare da quello, apparentemente innocuo, rappresentato
<lai biglietti di Stato.
11 timore che una diminuzione di entrate po.ssa riuscire dannosa
alleditizio finanziario, con tanti stenti, con tanti sacrifizi innalzato,
sembra, ai più rigidi difensori del pareggio, giustificato anche da che
gli avanzi di esso sono, in gran parte, dovuti ai deficienti raccolti di
grano che hanno aumentato 1" importazione dalfestero, e ingro.ssato
il prodotto del dazio. È stato osservato che. in tal modo, il bilancio
dello Stato si avvantaggia di un danno del paese. Non sarebbe tuttavia
fuor di luogo osservare che, per i contribuenti, la cosa non ha impor-
tanza o ne ha piuttosto una favorevole; giacché il maggior gettito del
dazio protettore entra nelle casse dello Stato, invece di entrare nelle
tasche dei produttori sotto forma di aumento del prezzo del grano
nazionale.
Comimque sia. sta di fatto che il miglioramento del bilancio è
stato ottenuto, in buona parte, per il mancato raccolto del grano nazio-
nale, vale a dire per mia causa clie non ha carattere jiermanente e si
desidera abbia anzi a cessare. Di guisa che la situazione, nei rispetti
della finanza dello Stato, è ora questa : da una parte un soddisfacente
avanzo non ritenuto però da tutti solido e durevole: e. dall'altra,
richieste di sgiavi. di alleggerimenti, di opere pubbliclie e di altri
provvedimenti diretti a sollevare le classi povere tra le quali, in alcune
regioni, infierisce anche il flagello della disoccupazione.
Ui fronte a tutto ciò, non dovrebbero sembrare ingiustificati ed
esagerati gli ammonimenti di coloro che cercano di difendere la sal-
dezza e la integrità del bilancio dagli assalti die da ogni parte gli
sono rivolti; di coloro che proclamano la assoluta necessità di una
finanza rigida e severa, e additano i pericoli gravi ai quali si andrebbe
inevitabilmente incontro, quando, per soddisfare troppi desideri, si
commettessero nuovi errori e si riaprisse l'èra dei disavanzi.
Qui non è fuori di luogo avvertire come il maggiore pregio in
cui è tenuta ora V Italia nel consesso delle Nazioni derivi, sopra
ogni altra cosa, dalle migliorate condizioni della finanza e della pub-
blica economia. Non è certo un accesso di italofllia sentimentale quello
che muove gli altri paesi a tributare lodi e dimostrazioni di simpatia
all'Italia; è, invece, il riconosciiiiento della cresciuta prosperità eco-
nomica e finanziaria, que